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Nullità selettiva: l’abuso del diritto dell’investitore

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di alcuni investitori che, dopo un decennio di operazioni finanziarie, avevano richiesto la nullità dei soli investimenti risultati in perdita. La Corte ha stabilito che tale azione di nullità selettiva costituisce un abuso del diritto e una violazione del principio di buona fede, in quanto gli investitori avevano tratto cospicui profitti dal rapporto complessivo con l’intermediario finanziario. La decisione conferma che non si possono ‘selezionare’ solo gli ordini svantaggiosi per chiederne il rimborso, ignorando i guadagni ottenuti.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Nullità Selettiva: No all’Abuso del Diritto dell’Investitore che Sceglie Solo le Perdite

L’azione di nullità selettiva rappresenta un tema cruciale nel diritto bancario e finanziario. Recentemente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2043 del 2025, è tornata a pronunciarsi su un caso emblematico, chiarendo i limiti all’esercizio del diritto di un investitore di contestare le operazioni in perdita quando il rapporto complessivo con l’intermediario è stato profittevole. Questa decisione rafforza il principio di buona fede come pilastro fondamentale nell’esecuzione dei contratti di investimento.

I Fatti di Causa

Una famiglia di investitori, dopo aver intrattenuto un rapporto di intermediazione finanziaria per oltre un decennio (dal 1998 al 2008), ha citato in giudizio la banca intermediaria. La richiesta era chiara: ottenere la dichiarazione di nullità per circa 300 operazioni di investimento che si erano concluse con una perdita. La motivazione principale addotta dagli attori era la presunta assenza di un valido contratto quadro che autorizzasse tali operazioni. In subordine, lamentavano la violazione degli obblighi informativi da parte della banca.

L’Azione per Nullità Selettiva e la Difesa della Banca

La strategia degli investitori si configurava come un’azione di nullità selettiva: mirava a ‘isolare’ e annullare unicamente le transazioni svantaggiose, chiedendo la restituzione dei capitali investiti, senza tener conto delle numerose operazioni che, nello stesso arco temporale, avevano generato ingenti profitti, plusvalenze e dividendi.

La banca si è difesa sollevando una potente eccezione: l’exceptio doli generalis. Ha sostenuto che la richiesta degli investitori fosse contraria al principio di buona fede e correttezza (art. 1375 c.c.). Secondo l’intermediario, gli investitori, dopo aver consapevolmente condotto un’attività speculativa per anni, traendone notevoli guadagni, tentavano abusivamente di scaricare sulla banca il rischio di mercato relativo solo alle operazioni andate male. La banca ha dimostrato l’esistenza di validi contratti quadro e ha evidenziato come l’azione degli attori, se accolta, avrebbe determinato un ingiusto sacrificio economico a suo danno.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso degli investitori, confermando la decisione della Corte d’Appello e basando la propria decisione su principi ormai consolidati.

Violazione del Principio di Buona Fede

Il fulcro della decisione risiede nell’applicazione del canone di buona fede contrattuale. La Suprema Corte, richiamando una sua precedente pronuncia a Sezioni Unite (n. 28314/2019), ha ribadito che un investitore non può abusare dello strumento della nullità (in questo caso, una nullità ‘di protezione’, posta a sua tutela) per finalità opportunistiche. Quando un’azione legale è diretta a colpire solo alcuni ordini di acquisto, l’intermediario può legittimamente opporre l’eccezione di buona fede. Se la selezione delle operazioni nulle causa un danno sproporzionato all’intermediario, alla luce dei vantaggi complessivi ottenuti dall’investitore (profitti da altre operazioni, dividendi, plusvalenze), la domanda di restituzione deve essere respinta. Nel caso di specie, l’effetto impeditivo è stato integrale, dato l’ammontare dei vantaggi conseguiti dagli investitori nel corso del decennio.

Validità del Contratto Quadro e Irrilevanza del ‘Prospective Overruling’

La Corte ha inoltre affrontato la questione della validità dei contratti quadro, alcuni dei quali recavano la sola firma degli investitori. Richiamando un’altra fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 898/2018), ha confermato che il requisito della forma scritta è rispettato anche con la sola sottoscrizione del cliente, purché il contratto gli sia stato consegnato. Il consenso della banca può essere desunto da comportamenti concludenti, come l’aver dato seguito agli ordini per anni.

Gli investitori avevano anche tentato di invocare il principio del prospective overruling, sostenendo di aver fatto affidamento su un precedente orientamento giurisprudenziale meno favorevole alla validità di tali contratti. La Corte ha respinto questa argomentazione, chiarendo che tale principio si applica solo a mutamenti imprevedibili di norme processuali, e non a questioni di diritto sostanziale come la validità di un contratto.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento offre un importante monito: il diritto non tutela l’abuso. Gli strumenti di protezione previsti per l’investitore, come la nullità per vizi formali, non possono essere utilizzati in modo selettivo e strumentale per alterare a posteriori l’equilibrio economico di un rapporto duraturo e complessivamente vantaggioso. Il principio di buona fede impone a entrambe le parti di un contratto di agire con correttezza, e impedisce di scaricare sulla controparte le conseguenze negative di scelte di investimento consapevoli, solo perché rivelatesi ex post svantaggiose. La decisione consolida un orientamento che mira a preservare l’integrità e la lealtà nelle relazioni finanziarie, bilanciando la tutela dell’investitore con la necessità di prevenire comportamenti opportunistici.

È possibile chiedere la nullità solo degli investimenti in perdita, ignorando quelli che hanno generato un profitto?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che un’azione di ‘nullità selettiva’ viola il principio di buona fede contrattuale (art. 1375 c.c.) se l’investitore ha tratto un vantaggio economico complessivo dal rapporto di intermediazione. Un simile comportamento è considerato un abuso del diritto.

Un contratto di investimento (contratto quadro) firmato solo dall’investitore è considerato valido?
Sì. Secondo l’orientamento delle Sezioni Unite, il requisito della forma scritta è soddisfatto quando il contratto è sottoscritto dal solo investitore e una copia gli viene consegnata. Il consenso della banca si può desumere dai comportamenti successivi (facta concludentia), come l’esecuzione degli ordini.

Come può difendersi una banca da un’azione di nullità selettiva?
La banca può sollevare l’eccezione di dolo generale (exceptio doli generalis), dimostrando che la richiesta dell’investitore è contraria a buona fede. Se l’intermediario prova che accogliere la domanda selettiva comporterebbe un sacrificio economico ingiustificato, alla luce dei profitti complessivi realizzati dal cliente, il giudice può rigettare integralmente o parzialmente la richiesta di restituzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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