Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2043 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2043 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13368/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME e NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE DI SIENA, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME NOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA della CORTE DI APPELLO DI LECCE sez. dist. di TARANTO n. 582/2019 depositata il 30/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- Il ricorso riguarda la sentenza con la quale la Corte di Appello di Lecce- Sez. Distaccata di Taranto ha parzialmente riformato la decisione del locale Tribunale che accolto in parte la domanda proposta dai sig.ri NOME COGNOME, NOME Michele COGNOME e NOME COGNOME nei confronti di Monte dei Paschi di Siena s.p.a. per vedere dichiarata la nullità di circa 300 operazioni finanziarie di investimento eseguite tra il 1998 ed il 2008, deducendo di non aver mai sottoscritto un valido contratto quadro e, in subordine, per la violazione da parte della banca degli obblighi informativi gravanti sugli intermediari finanziari ex artt. 21 TUF e 28 e 29 delibera Consob 11522/1998, con conseguente condanna della banca intermediaria al pagamento, a titolo di restituzione o di risarcimento del danno, dei capitali investiti per l’acquisto dei titoli.
La banca convenuta si è costituita in giudizio eccependo la prescrizione del diritto vantato e il carattere abusivo dell’azione di «nullità selettiva» in quanto proposta dagli attori in violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto e chiesto, quindi, il rigetto delle domande. In particolare la banca ha osservato che gli attori, dopo aver effettuato investimenti in titoli per importi ingenti nel corso di oltre un decennio tra il 1998 e il 2008, ne avevano selezionata soltanto una parte, ovvero quelli diretti all’acquisto di azioni trattate alla Borsa Italiana e risoltisi in perdita, deducendo la nullità dei relativi ordini di acquisto eseguiti dalla banca intermediaria perché nessuno degli attori avrebbe sottoscritto il contratto quadro, laddove, invece, i contratti quadro c’erano ed erano stati sottoscritti dagli attori, che avevano taciuto molti acquisti nonché le correlate operazioni di vendita dalle quali
erano stati ricavati ingenti profitti, oltre i dividendi incassati negli anni nell’ambito di un’attività speculativa volta a lucrare sulle plusvalenze. L’accoglimento della domanda attorea avrebbe finito, perciò, per scaricare sulla banca un rischio consapevolmente assunto dai signori COGNOME che intendevano traslare sull’istituto intermediario il risultato di investimenti finanziari andati male.
Formulava, quindi, un exceptio doli generalis contestando l’uso «selettivo» dell’azione di nullità e, sostenendo la tesi giurisprudenziale della convalida per facta concludentia dei contratti quadro e dei singoli ordini di negoziazione, ovvero la rinunzia a farne valere l’invalidità desumibile dall’univoca circostanza che gli attori, per ben 10 anni e per cospicui importi, avevano ripetutamente concluso operazioni di acquisto e vendita titoli incassando i dividendi senza nulla mai eccepire.
2.- Il Tribunale con una prima sentenza non definitiva (n. 1031/2012) ha dichiarato prescritte le domande degli attori limitatamente alle operazioni di investimento eseguite prima del 12.6.1999; ha dichiarato le stesse domande inammissibili limitatamente a talune altre operazioni oggetto di un diverso giudizio tra le parti; ha accolto, per il resto, la domanda formulata in via principale, dichiarando la nullità delle operazioni finanziarie di investimento per violazione delle disposizioni di cui agli articoli 23 d. lgs. n. 58/1998 e 30 del regolamento d’attuazione (delibera Consob n.11522/1988); ha, quindi, rimesso la causa sul ruolo per procedere ad istruttoria attraverso l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio volta a quantificare gli effetti restitutori dell’accoglimento della domanda di nullità dei cosiddetti contrattiquadro e delle operazioni di investimento.
Con una seconda sentenza non definitiva (n. 1125/2014 il Tribunale ha delimitato il thema decidendum , dichiarando la tardività, dunque l’inammissibilità, dei conteggi allegati dalla Banca Monte dei Paschi di Siena con la memoria ex art. 183 comma sesto
n.2 c.p.c. e disposto nuove indagini peritali nell’ambito dei quesiti precedentemente formulati.
Infine, con sentenza definitiva (n. 2369/2016), ritenuta la nullità delle operazioni successive alla maturata prescrizione, ha: a) condannato la banca alla restituzione a favore del signor NOME COGNOME della somma di 240.434,54 €, del signor NOME COGNOME della somma di 536.747,17 €, della sig. NOME COGNOME della somma di 1.756.838,75 €, e, ancora, in favore di NOME COGNOME e della sig. COGNOME -titolari di un conto operativo cointestato – dell’ulteriore somma di 279.986,28 euro; b) ordinato agli attori di restituire tutti i titoli relativi alle operazioni di investimento nulle e i dividendi percepiti nonché le somme ricevute in caso di cessione di detti titoli in corso di causa, dichiarando che, nel rapporto dare/avere, le parti potranno procedere alle dovute compensazioni; c) condannato la banca al pagamento delle spese di lite (in favore del difensore dichiaratosi antistatario) e della consulenza tecnica d’ufficio.
3.La Corte d’Appello – disposta la riconvocazione del CTU nominato dal Tribunale per una integrazione dell’indagine peritale -ha accolto il gravame principale della Banca Monte dei Paschi di Siena e respinto quello incidentale dei signori COGNOME e COGNOME condannando questi ultimi alla rifusione delle spese legali e il loro difensore antistatario alla restituzione di quanto percepito sulla base della pronuncia definitiva di primo grado.
La Corte d’appello ha ritenuto che le operazioni di investimento dedotte nell’atto introduttivo fossero tutte sorrette da validi contratti-quadro, comprese quelle riconducibili ai contratti-quadro recanti la sottoscrizione del solo investitore e non anche del rappresentante della banca e che nulla spettasse ai signori COGNOME e COGNOME in relazione alle operazioni eseguite. In particolare ha osservato la Corte che:
a) due recenti arresti di questa Corte a Sezioni Unite, intervenute nel corso del giudizio di appello, avevano fatto chiarezza in materia, dirimendo i contrasti giurisprudenziali registratisi in precedenza: la sentenza n. 898/2018, che ha fissato il principio di diritto secondo cui il requisito della forma scritta del contratto quadro relativo ai servizi di investimento è rispettato ove lo stesso sia riadatto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, essendo sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore e non necessitando anche quella dell’intermediario il cui consenso ben può presumersi in ragione di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti; la sentenza n. 28314/2019 con la quale, a proposito dell’uso c.d. «selettivo» da parte dell’investitore dell’azione di nullità proposta ai sensi dell’articolo 23 d. lgs. n.58/98, ne ha statuito l’ammissibilità ma nei limiti del canone della buona fede contrattuale di cui all’art. 1375 c.c., nel senso che, ove la domanda sia diretta colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, l’intermediario potrà opporre l’eccezione di buona fede se la selezione delle nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno alla luce della complessiva esecuzione degli ordini derivanti dalla conclusione del contratto; con l’ulteriore precisazione che trattavasi di eccezione non «in senso stretto» dunque soggetta unicamente all’onere di specifica allegazione, e che, ove il petitum sia pari o inferiore ai vantaggi economici conseguiti dall’investitore relativamente agli ordini non coinvolti nell’azione, l’effetto impeditivo della domanda restitutoria sarà integrale, mentre sarà soltanto parziale ove gli investimenti esclusi dall’azione abbiano prodotto risultati positivi di entità inferiore al pregiudizio patito;
b) gli otto contratti quadro tempestivamente prodotti in giudizio dalla banca per confutare l’assunto difensivo di controparte di non averne mai sottoscritto nemmeno uno, apparivano perfettamente validi e regolari pur se mancanti -in alcuni casi -della sottoscrizione dell’intermediario, in applicazione di quanto statuito
dalla predetta pronuncia delle Sezioni Unite; che gli stessi coprivano tutto il periodo in cui gli odierni appellati avevano operato in borsa; che NOME COGNOME e sua madre NOME COGNOME avevano conferito a NOME COGNOME -rispettivamente padre di NOME e marito della signora COGNOME – apposita delega affinché questi operasse anche in nome e per conto loro sul mercato mobiliare: circostanza da ritenersi pacifica perché menzionata nella memoria istruttoria della banca in relazione all’esplicito riconoscimento in tal senso contenuto nella prima memoria ex art. 183 c.p.c. di controparte;
c) perciò sottolineava l’evidente erroneità dell’assunto contenuto nella sentenza non definitiva di primo grado – su cui si fondava la gran parte della declaratoria di nullità delle operazioni di investimento – secondo cui la banca non avrebbe contestato la mancata stipulazione dei contratti quadro dedotta in citazione dagli attori, risultando ex actis esattamente il contrario sol che si esaminasse la comparsa di costituzione (pagine 3 e 12 e soprattutto pagina 21), ove la banca aveva precisato che i NOME COGNOME a COGNOME avevano sottoscritto non uno, ma molteplici contratti di negoziazione, rilasciando contestualmente anche le informazioni relative al loro profilo di rischio, e risultando che NOME COGNOME ne aveva sottoscritti quattro e gli altri due attori altri tre ciascuno; pertanto, accogliendo lo specifico motivo d’appello, riformava la prima sentenza non definitiva nella parte in cui aveva dichiarato la nullità delle operazioni finanziarie di investimento per violazione delle disposizioni di cui gli articoli 23 del T.U.F. e 30 del suo regolamento di attuazione;
d) riformava anche la seconda sentenza non definitiva – secondo cui la banca, omettendo il deposito della prima memoria ex articolo 183 c.p.c. era incorsa in decadenze processuali avendo specificato le domande riconvenzionali solo nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c. -osservando che la banca, nel costituirsi tempestivamente
in giudizio, aveva opposto alle pretese attore non soltanto la circostanza rivelatasi, poi, veritiera dell’avvenuta sottoscrizione di svariati contratti-quadro, ma, altresì, sollevato l’exceptio doli generalis , osservando che negli anni gli attori – esperti ed abituali investitori -avevano tratto cospicuo profitto in termini di plusvalenze e dividendi incassati, con ciò intendendo paralizzare ove ritenuta fondata dal giudice – l’azione di nullità «selettiva» per violazione dell’articolo 23 del T.U.F., e chiesto nelle conclusioni in via subordinata – per il caso di mancato accoglimento della tesi principale circa la validità delle contestate operazioni di investimento – la condanna dei signori COGNOME alla restituzione di tutti i titoli compravenduti, delle cedole e di tutte le somme percepite a titolo di utili, plusvalenza, dividendi da tutte le operazioni effettuate per tramite della BNA o della BAV, con ciò chiaramente intendendo tutte le operazioni poste in essere degli attori nel corso di oltre un decennio e non solo quelle contemplate nella selettiva azione di nullità dagli stessi proposta; conclusioni, queste, che nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c. erano state esattamente ribadite e non mutate, precisate o specificate, essendo solo state dettagliate le singole operazioni di vendita dei titoli acquistati e di incasso dei dividendi per l’importo di 8.558.486,77 €; aggiungeva che come affermato da Sez. Un. n.28314/2019 l’eccezione di buona fede spiegata dall’intermediario per paralizzare in tutto o in parte l’azione selettiva di nullità proposta dall’investitore, non era configurabile come eccezione in senso stretto, soggetta a preclusioni processuali, « non agendo la stessa sui fatti costitutivi dell’azione di nullità dalla quale scaturiscono gli effetti restitutori, ma sulle modalità di esercizio dei poteri endocontrattuali delle parti » che devono essere, appunto, improntati a reciproca correttezza e buona fede ex art. 1375 c.c.; perciò siffatta eccezione doveva essere oggetto solo di specifica
allegazione, il che, nella specie, era abbondantemente avvenuto con la comparsa di costituzione e risposta;
e) infine, con riguardo alla sentenza definitiva di condanna – su cui si erano concentrati i motivi d’appello principale della banca, ma anche quello incidentale degli investitori volto a eliminare dal quantum restitutorio quanto detratto dal giudice di primo grado a titolo di ricavo per la cessione dei titoli oggetto degli investimenti contestati -fermo quanto deciso circa la infondata contestazione della nullità degli investimenti contestati, e considerate solo le operazioni finanziarie di acquisto dei titoli avvenuti dopo il 12.6.1999 (soglia della eccepita prescrizione), osservava che erroneamente il CTU si era limitato a computare agli effetti dello scomputo della pretesa somma le cessioni dei titoli acquistati prima della sottoscrizione dei contratti-quadro (ovvero per NOME COGNOME quelle dal 24.11.99 al 23.12.2002 e per NOME COGNOME quelle dal 16.6.99 al 15.4.2003) perché avrebbe dovuto – in logica risposta al quesito posto dalla Corte d ‘appello stessa – tenere conto anche delle cessioni di titoli avvenute nella vigenza di detti contratti-quadro anche se riferiti a titoli acquistati in precedenza; ma soprattutto che neppure gli importi così ulteriormente ridotti potevano essere riconosciuti in favore dei tre attori per plurime ragioni: (i) doveva trovare pieno accoglimento l’eccezione di violazione del principio di buona fede proposta dalla banca sin dalla sua costituzione in giudizio, con la conseguenza che nella specie l’effetto impeditivo della domanda restitutoria era integrale stante i vantaggi conseguiti; (ii) in ogni caso la nullità in questione, quale nullità di protezione posta esclusivamente a tutela dell’investitore, era suscettibile di essere sanata per effetto di comportamenti degli investitori che chiaramente rivelino una volontà abdicativa del rimedio invalidatorio, quali ripetuti e sistematici acquisti e cessioni di titoli attraverso l’intermediario, con ricavo di benefici tramite l’incasso delle cedole e delle plusvalenze
realizzate: ovvero esattamente il comportamento concludente, ripetuto ed univoco tenuto dagli appellati nel caso di specie; (iii) infine andava, comunque, considerato che lo stretto gruppo familiare dei signori COGNOMECOGNOME aveva sempre agito all’unisono per oltre 10 anni sotto l’egida del capostipite NOME COGNOME che – quantomeno sin dal 1998 – aveva sottoscritto apposito contratto quadro con la BNA munito di delega ad operare in borsa anche in nome per conto della moglie e del figlio, titolari del conto cointestato su cui erano state effettuate tutte le operazioni di cessione dei titoli e periodicamente incassati i dividendi;
le spese di lite e di CTU di entrambi i gradi di giudizio dovevano essere poste a carico degli appellati soccombenti stante la riforma pressoché totale delle tre sentenze impugnate, nonché la rilevata loro carenza di buona fede contrattuale e processuale, considerato il comportamento processualmente disinvolto con cui avevano dichiarato falsamente di non aver sottoscritto alcun contratto; il difensore antistatario che aveva ricevuto il pagamento delle spese per il primo grado di giudizio per effetto della condanna, poi riformata, era tenuto in proprio a restituire quanto percepito dalla banca.
4.- Avverso detta sentenza hanno presentato ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME quest’ultimo anche quale erede unitamente a NOME COGNOME e NOME COGNOME di NOME COGNOME, affidandolo a cinque motivi di cassazione. Ha resistito, con controricorso Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla resistente (che con la memoria ha rinunciato all’ulteriore eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso) per cui l’impugnazione di controparte sarebbe nulla in
quanto l’atto digitale notificato a mezzo pec sarebbe stato sottoscritto digitalmente dal solo Prof. Avv. NOME COGNOME e non anche dall’altro difensore Prof. Avv. NOME COGNOME ancorché il primo difensore versasse in conflitto di interessi con le parti avendo promosso una propria censura in ordine alla condanna disposta dalla Corte di appello alla restituzione dei compensi di primo grado liquidati in suo favore. Invero il paventato conflitto d’interessi non sussiste, essendosi il Prof. Avv. NOME NOME, limitato a censurare, in proprio, la condanna pronunciata nei suoi confronti alla restituzione delle spese legali di primo grado incassate in qualità di difensore distrattario, sotto il profilo del vizio di ultrapetizione, e ciò perché l’appello proposto dalla banca non conteneva nessuna domanda di restituzione rivolta nei suoi confronti, ma soltanto una domanda di restituzione rivolta nei confronti delle «parti»; sicché l’accoglimento del profilo di censura così argomentato non avrebbe comportato nessuno «svantaggio» per le parti assistite, presupposto del paventato «conflitto di interessi», come chiarito da questa Corte: « nel caso in cui tra due o più parti sussista una situazione di conflitto di interessi e la costituzione in giudizio sia avvenuta a mezzo dello stesso procuratore, detta situazione, ove eccepita dalla controparte e non immediatamente sanata, non comporta la nullità dell’intero ricorso, ma solo di quei motivi che contengono censure svolte in maniera tale che il loro accoglimento comporterebbe un vantaggio per uno degli impugnanti a danno dell’altro » (Cass. n. 24839/2022); il che conduce ad affermare anche che l’eventuale conflitto di interessi che qui non si ravvisa per quanto detto – comporterebbe non la nullità del ricorso, bensì l’inammissibilità del solo motivo che attiene alla censurata pronuncia di restituzione.
Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 1423 e 1375 c.c. e degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione all’articolo 360
comma 1 n. 3 c.p.c., e si articola, in effetti, in due profili di cassazione anche se tra loro connessi.
2.1- I ricorrenti censurano la sentenza impugnata per non aver accolto la domanda restitutoria dei signori COGNOME e COGNOME con riguardo a quelle operazioni di investimento eseguite dopo il 12.6.99 ma prima della sottoscrizione di un qualsivoglia contrattoquadro tra i medesimi e la banca intermediaria, avendo la Corte d’appello rigettato la domanda restitutoria in questione sulla base della ritenuta convalida per facta concludentia delle operazioni stesse e, comunque, sulla fondatezza dell’eccezione di buona fede opposta dalla banca, laddove, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la convalida di siffatte operazioni non è ammissibile come parimenti è inammissibile l’eccezione di buona fede della banca quando un contratto-quadro manchi del tutto.
2.1.1Il motivo è inammissibile poiché con riferimento ai contratti quadro intercorsi con i vari investitori, la Corte di merito, dopo averne ricostruito la scansione temporale, ha respinto la domanda degli investitori affermando -come poco sopra detto che « va considerato che lo stretto gruppo familiare COGNOME COGNOME ha sempre agito all’unisono per oltre 10 anni sotto l’egida del capostipite COGNOME NOMECOGNOME il quale, quantomeno dal 1998, aveva sottoscritto un apposito contratto quadro con la BNA, munito di deleghe ad operare in borsa anche in nome e per conto della moglie e del figlio »; quindi ha rilevato che v’era un contratto -quadro anche per dette operazioni, stanti le deleghe conferite dagli altri ricorrenti al signor NOME COGNOME che aveva firmato ab initio il dovuto contratto-quadro in qualità di rappresentate anche dei suoi familiari.
Ne deriva che il motivo è inammissibile nella misura in cui non considera detto specifico presupposto della ratio decidendi relativa alla ritenuta fondatezza dell’eccezione di violazione della buona fede opposta dalla banca con riguardo alla dedotta «nullità
selettiva». Invero sono inammissibili gli ulteriori profili di censura, contenuti solo nella memoria ex art. 378 c.p.c., attinenti alla validità e alla efficacia della procura in questione ricevuta dal sig. NOME COGNOMEaspetto, peraltro, che non risulta neppure oggetto del contraddittorio di merito atteso che il giudice di secondo grado aveva ritenuto il fatto della sussistenza di detta procura incontestato, senza riferire di contestazioni circa validità o efficacia della stessa), pacifico essendo il fatto che con le memorie le parti possono solo meglio illustrare ragioni di cassazione già dedotte e non introdurne di nuove.
2.2- Sotto altro profilo i sig.ri COGNOMECOGNOME senza contestare che il sig. COGNOME possedesse i poteri di rappresentanza dei suoi familiari all’atto della sottoscrizione del contratto quadro del 1998, censurano la decisione gravata sotto il profilo dell’accertamento compiuto dalla Corte d’Appello a proposito della datazione della sottoscrizione; e lo fanno deducendo l’erronea applicazione delle norme che regolano la prova per presunzioni, per concludere che erroneamente appunto -la Corte territoriale avrebbe ritenuto detto contratto quadro (privo di data) di data certa anteriore al 1998, perché gli elementi intrinseci ed estrinseci valutati (vale a dire l’indicazione all’interno del contratto della normativa allora vigente e la sottoscrizione del contratto con la BNA successivamente estinta perché incorporata dalla BAV) non sarebbero stati sufficienti poiché non univoci, ben potendo, a loro avviso, la banca aver sottoposto al signor COGNOME un «vecchio modulo» contenente ancora l’indicazione dei vecchi riferimenti normativi ed intestato alla diversa banca, poi incorporata.
2.2.1 -Anche detto profilo di censura è inammissibile. La censura di insufficienza degli elementi di fatto utilizzati dalla Corte d’appello per attribuire una data certa al contratto, attengono al merito della valutazione del giudice, sicché doveva essere semmai discussa nel giudizio di secondo grado, ma, certo, non in sede di
legittimità, ove, a proposito del sindacato sulla prova presuntiva da parte del giudice del merito, è consolidato il principio secondo cui la denuncia per cassazione di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. può prospettarsi unicamente quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni «non» gravi, precise e concordanti, ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza; non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (cfr. Cass. n.9054/2022; Cass. n. 18611/2021; Cass. n. 19485/2017).
-Il secondo motivo di ricorso censura, ai sensi dell’articolo 360 comma 1 n. 3 e 4 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto comportanti anche la nullità della sentenza, ovvero degli artt. 1418 e 1421 c.c., 30 della delibera Consob n. 11522/1998, 23 d. lgs. n. 58/1998 (TUF), 24 commi 1 e 2 Cost., 112 c.p.c. per omessa pronuncia. Anche detto motivo è in realtà articolato in diverse censure.
3.1- Con riguardo alla prima articolazione del motivo, i ricorrenti censurano la sentenza perché la Corte d’appello ha ritenuto validi gli otto contratti-quadro prodotti della banca nonostante da questi emergessero due profili di nullità che, seppur diversi dal profilo di nullità dedotto dagli attori con l’atto introduttivo, la Corte d’appello avrebbe dovuto rilevare d’ufficio. Il primo di detti profili di nullità riguarda la carenza dei requisiti minimi prescritti dall’art. 30 della detta delibera Consob nel contenuto di detti contratti, carenza che sarebbe stata agevolmente evincibile dalla lettura degli stessi, e che, comunque, era stata dedotta nel primo atto difensivo utile, ovvero nella memoria 183 comma VI n.3 c.p.c. depositata dai
ricorrenti successivamente alla produzione in giudizio dei contrattiquadro da parte della banca con la memoria 183 comma VI n. 2 c.p.c., e, poi, riproposto nelle loro difese nel giudizio di appello.
3.2. -Il secondo profilo di nullità che la Corte avrebbe omesso di rilevare d’ufficio riguarda il fatto che cinque degli otto contrattiquadro in questione recano la sola sottoscrizione dell’investitore e non quella dell’intermediario, profilo dedotto dai ricorrenti sempre nella memoria di trattazione n. 3 del giudizio di primo grado. Osservano in proposito i ricorrenti che, sino alla costituzione di entrambe le parti nel giudizio di appello, si trattava di un profilo di nullità che avrebbe potuto essere rilevato ex officio dal giudice sulla base della consolidata giurisprudenza della Corte, che si era ripetutamente pronunciata nel senso della nullità del contrattoquadro sottoscritto soltanto dall’investitore, mentre applicando il diverso principio statuito dalla sentenza delle Sezioni Unite successivamente intervenute a sanare il contrasto in materia, la Corte di appello avrebbe violato il legittimo affidamento riposto dal signori COGNOME nel precedente consolidato orientamento di legittimità.
Pertanto affermano che il predetto principio di diritto potrebbe trovare applicazione soltanto alle cause instaurate successivamente al deposito della citata sentenza delle Sezioni Unite.
4.- Ciò premesso si osserva quanto segue.
Quanto alla rilevabilità d’ufficio dei due profili di nullità dedotti con riguardo alla violazione del TUF e della delibera Consob e alla omessa pronuncia sul punto, il motivo è infondato; la Corte territoriale infatti – dopo aver ritenuto tutti detti contratti validi in applicazione del principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite circa la sufficienza a tal fine della sottoscrizione del solo investitore (v. pagg. 79) ed idonei a coprire l’intero intervallo di tempo in cui erano state compiute le operazioni contestate di cui gli odierni ricorrenti deducevano la nullità (in forza del contratto concluso nel
1998 dal sig. NOME COGNOME -ha chiaramente preso posizione sul punto accogliendo l’exceptio doli generalis proposta dalla banca sin dalla sua costituzione in giudizio e coltivata in tutti gli atti difensivi, compreso l’atto d’appello, e respingendo, quindi, la domanda di nullità proposta per l’assorbente motivo che la stessa doveva ritenersi inammissibile essendo stata formulata in modo «selettivo», ovvero con riguardo a quelle sole operazioni di investimento compiute in esecuzione di detti contratti che si erano risolte in perdita, violando, così, il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto: invero, quali esperti ed abituali investitori/speculatori dediti alla compravendita di titoli azionari, da cui negli anni avevano, comunque, tratto cospicuo profitto in termini di plusvalenze e dividendi incassati, pretendevano di selezionare solo alcune delle numerosissime operazioni compiute in circa un decennio nel corso del consolidato rapporto di intermediazione finanziaria; e ciò la Corte d’appello ha ritenuto in applicazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 28314/2019 da poco intervenuta sul punto, per cui « ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno alla luce della complessiva esecuzione degli ordini conseguiti alla conclusione del contratto quadro ».
b) Quanto alla seconda articolazione del motivo con cui i ricorrenti si dolgono che la Corte d’appello avrebbe violato il legittimo affidamento riposto dai signori COGNOMEScarcia nel precedente consolidato orientamento di legittimità circa l’invalidità dei contratti-quadro sottoscritti dal solo investitore, si osserva che il motivo – che invoca espressamente il prospective overruling – è infondato.
Giova ribadire in proposito ed in via generale che:
secondo la giurisprudenza delle Sezìonì Unite, il prospective overruling è finalizzato a porre la parte al riparo dagli effetti processuali pregiudizievoli (nullità, decadenze, preclusioni, inammissibilità) di mutamenti imprevedibili della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, sterilizzandoli, così consentendosi all’atto compiuto con modalità ed in forme ossequiose dell’orientamento giurisprudenziale successivamente ripudiato, ma dominante al momento del compimento dell’atto, di produrre ugualmente i suoi effetti (così Cass. Sez. Un. n. 4135/2019);
ii) l’affidamento qualificato in un consolidato indirizzo interpretativo di norme processuali, come tale meritevole di tutela con il prospective overruling , è riconoscibile solo in presenza di stabili approdi interpretativi della Cassazione, eventualmente a Sezioni Unite, i quali soltanto assumono il valore di communis opinio tra gli operatori del diritto, se connotati dai caratteri di costanza e ripetizione; e presuppone che il successivo indirizzo di segno contrario a quello precedentemente fissato fosse dotato del carattere dell’imprevedibilità (per aver agito in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso); non è, quindi, ritenuto meritevole di tutela l’affidamento della parte se, al momento del compimento dell’attività, sussisteva un contrasto giurisprudenziale sulla portata della regola processuale (v. Cass. n. 22834/2020, Cass. n. 22309/2016; Cass. Sez. Un. n. 17402/12, solo per citarne alcune);
iii) ne consegue che due sono i requisiti che consentono di invocare un’ipotesi di cosiddetto “overruling”, ovvero di radicale mutamento di un consolidato orientamento ad opera del giudice della nomofilachia, al quale si debba negare efficacia retroattiva, in modo da non travolgere gli atti processuali già compiuti alla luce della soluzione poi ribaltata: (a) si deve trattare di intervento delle Sezioni Unite volto a comporre un contrasto di opposti indirizzi di
giurisprudenza, tale da non giustificare l’affidamento della parte impugnante (in tal senso si è già espressa chiaramente questa Corte, osservando che « La pronuncia delle Sezioni Unite che, componendo il contrasto sull’interpretazione di una norma processuale, opti per la conferma dell’orientamento prevalente, in applicazione del quale derivi, in danno di una parte, una decadenza o una preclusione che sarebbe invece esclusa alla stregua dell’orientamento minoritario, non configura un’ipotesi di overruling avente il carattere di imprevedibilità e, di conseguenza, non costituisce presupposto per la rimessione in termini della parte che sia incorsa nella preclusione o nella decadenza » (Cass. n. 13522/2017); (b) si deve trattare di intervento in tema di norme processuali: « Il “prospective overruling” garantisce alla parte il diritto di azione e di difesa, neutralizzando i mutamenti imprevedibili della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, imponendo di ritenere produttivo di effetti l’atto di parte posto in essere con modalità e forme ossequiose dell’orientamento dominante al momento del compimento dell’atto stesso, ma poi ripudiato: non è invocabile, quindi, per il caso di mutamenti giurisprudenziali che riguardano norme sostanziali, perché in detta ipotesi non è precluso alla parte il diritto di azione ed al giudice il potere di dirimere la controversia » (Cass. n. 18290/2024, Cass. 14 gennaio 2021, n. 552).
Ebbene nella specie, benchè con la Sentenza n. 898/2018 le Sezioni Unite abbiano premesso che « la questione che qui specificamente interessa è stata correttamente portata all’attenzione delle sezioni unite come di massima di particolare importanza ex art. 374, comma 2, cod. proc. civ., e non per dirimere un contrasto tra le sezioni semplici o all’interno della stessa sezione », l’oggetto dell’intervento nomofilattico , di cui si chiede affermarsi l’irretroattività, è la questione che riguarda l’invalidità dei contratti -quadro sottoscritti dal solo investitore
dunque una questione «sostanziale» per la quale non è invocabile il prospective overruling .
5.- Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 183 comma VI c.p.c., art. 115 c.p.c. art. 1375 c.c., art. 1 comma 1 lett. M undecies ed M duodecies TUF, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e 4 c.p.c. anche in funzione della nullità della sentenza. Il motivo, in realtà, si articola in plurime e distinte ragioni di gravame
5.1- Sotto un primo profilo secondo i ricorrenti la sentenza gravata avrebbe erroneamente ritenuto fondata l’eccezione di buona fede in quanto la banca avrebbe introdotto in giudizio i conteggi relativi alla percezione di dividendi e al prezzo delle operazioni di disinvestimento, solo con la memoria 183 comma VI n. 2 c.p.c., precisando, quindi, tardivamente gli elementi costitutivi della propria eccezione di buona fede.
Il motivo è inammissibile perché non si confronta con le ragioni effettive della decisone, che, riformando la seconda sentenza non definitiva di secondo grado in punto di tardività della precisazione della riconvenzionale della banca per omesso deposito della prima memoria ex articolo 183 c.p.c., ha osservato che la banca aveva tempestivamente opposto alle pretese attoree non soltanto la circostanza – rivelatasi poi veritiera – dell’avvenuta sottoscrizione di svariati contratti quadro, ma anche l’exceptio doli generalis , deducendo che negli anni gli attori – esperti ed abituali investitori avevano tratto cospicuo profitto in termini di plusvalenze e dividendi incassati, onde paralizzare l’azione di nullità «selettiva» con riguardo a tutte le operazioni poste in essere degli attori nel corso di oltre un decennio e non solo quelle contemplate nella selettiva azione di nullità dagli stessi proposta; e che detta eccezione, nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c. non era stata « in alcun modo mutata, precisata o specificata » tardivamente, bensì solo corredata della prova delle singole operazioni di vendita
dei titoli acquistati e di incasso dei dividendi e del loro risultato complessivo pari all’importo di 8.558.486,77 €.
5.2- Sotto il profilo della dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., i ricorrenti si dolgono del fatto che, pur avendo contestato i conteggi allegati dalla banca in quanto inattendibili e inidonei a fornire la dimostrazione di una gestione «utile» del portafoglio titoli, erroneamente la sentenza affermerebbe che questi conteggi sarebbero rimasti incontestati. I ricorrenti nella nota che accompagna l’illustrazione del motivo riportano il passaggio della memoria ex articolo 183 n.3 c.p.c. in cui avrebbero contestato i calcoli allegati dalla banca e che la Corte d’appello afferma, invece, non erano stati «specificamente contestati».
Ebbene in detto passaggio, oltre a censurare la tardività della elencazione delle operazioni, è affermato « che quelli indicati da controparte sono dei dati aggregati dai quali non si può desumere affatto se si riferiscono o meno agli acquisti per i quali gli attori hanno agito o ad altre operazioni, ne discende che controparte non ha assolto all’onere di contestazione specifica desumibile dall’articolo 115 c.p.c. Pertanto, mentre le operazioni di acquisto non sono in alcun modo contestate da controparte quest’ultima servendosi di una mera elencazione di operazioni di vendita e corresponsioni di dividendi non ha alcun modo offerto elementi utili e tali da riferire le vendite e i dividendi alle singole operazioni di acquisto invece specificamente indicate dagli attori ».
Osserva il Collegio che quella indicata non è una contestazione dei «conteggi» operati dalla banca, né è dato comprendere dall’estrapolazione di queste affermazioni a cosa si riferissero i ricorrenti, che discorrono di un onere di contestazione specifica della banca non assolto senza sia dato capire come e perché le competesse. D’altronde l’unica contestazione che pare evincersi da queste argomentazioni riguarda il fatto che la banca avesse offerto la possibilità di riferire vendite e dividendi percepiti alle singole
operazioni di acquisto, ovvero, di operare una correlazione precisa tra disinvestimenti e i prodromici investimenti; la quale, a sua volta, non si comprende perché e a quale fine fosse sollevata.
Pertanto il motivo, prima che infondato, risulta difettare dei requisiti di autosufficienza e specificità, poiché la sua stessa illustrazione non consente di valutarne in effetti la fondatezza; inoltre va ribadito che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti allegati dalla controparte (Cass. n. 3680/2019); sicché l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d i una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass. n. 27490/2019), che – come è noto – è oggi denunciabile in sede di legittimità solo ove l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, ovvero nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014): vizio che in tal caso non è sollevato.
5.3 -Sotto ulteriore profilo i ricorrenti hanno sostenuto che l’exceptio doli è stata accolta dalla Corte d’appello «in chiave soggettiva» sulla base di una inconcludente contrapposizione tra «investitori speculatori» e «piccoli risparmiatori», incorrendo, comunque, nella violazione dell’art. 1 comma 1 lett. M) TUF predetta, che individua due sole tipologie di investitori privati professionali: i clienti «professionali di diritto» e i clienti «professionali su richiesta», ossia coloro i quali, pur non rientrando nella prima categoria, possono essere trattati «su richiesta» come
investitori professionali. I signori COGNOME e COGNOME secondo i ricorrenti, non rientravano in nessuna di queste categorie e la Corte li avrebbe sostanzialmente equiparati a quelli professionali sulla mera circostanza che avevano intrattenuto un lungo rapporto di intermediazione finanziaria. Inoltre la Corte di merito avrebbe fatto falsa applicazione dell’eccezione di buona fede, mediante una valutazione della gestione del portafoglio titoli riferita, non all’utilità dei singoli investitori, ma il nucleo familiare COGNOME-Scarcia nel suo complesso.
Anche sotto detto profilo il motivo in esame è inammissibile, poiché la Corte d’appello non fonda l’accoglimento delle exceptio doli sollevata dalla banca sulla qualifica di «risparmiatori professionali» dei ricorrenti o, comunque, su una valutazione del loro profilo in quanto equipollente a detta qualifica, bensì poggia su tutt’altra ratio decidendi e cioè sul fatto che l’investitore, qualunque sia il suo profilo, non è ammesso a far valere la nullità delle operazioni di investimento selezionando a tal fine solo quelle risoltesi in perdita laddove il complesso delle operazioni che costituiscono l’esecuzione del contratto d’investimento abbia prodotto plusvalenze.
Nello specifico, inoltre, la Corte d’appello ha ritenuto che gli odierni ricorrenti « per oltre 10 anni si sono dedicati in maniera massiva alla compravendita di titoli azionari avvalendosi come intermediari prima della BNA e poi della BAV (senza che fossero da parte loro mai avanzate contestazioni prima della missiva ricevuta dalla banca il 12 giugno 2009) realizzando secondo i calcoli prospettati dalla banca nella memoria ex articolo 183 c.p.c. del 1.2.2010 e non specificamente contestati da alcuno) ricavi per complessivi euro 8.558.846,77 di cui 8.261.454,23 per operazioni di disinvestimento ed euro 297.032,54 per cedole incassate; nel corso dell’intero rapporto, sempre come gruppo familiare avrebbero conseguito plusvalenze per complessivi euro 1.440.187,83 €, di cui
euro 208.282,40 su titoli intestati a COGNOME NOME; euro 121.943,55 su titoli di dragone NOME e ben euro 1.109.961,88 per COGNOME NOME, con la precisazione che madre e figlio agivano sul conto corrente cointestato numero CODICE_FISCALE e, quindi, andrebbero congiuntamente considerati », ed ha aggiunto « che sebbene i calcoli andrebbero verificati a mezzo di un’ulteriore supplemento di CTU », l’approfondimento istruttorio appariva inutilmente defatigante poiché detti i calcoli « non sono stati specificamente contestati dagli appellati nella memoria di replica ».
Perciò, anche la censura che attiene alla mancata individuazione del risultato utile dei contratti per investitore singolo risulta infondata, poiché il passo riportato dimostra il contrario.
Con il quarto motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia poiché la Corte non si sarebbe pronunciata sulla domanda di risarcimento del danno per violazione degli obblighi informativi ex articolo 21 TUF 28 e 29 della delibera Consob n. 15522/1998, formulata in via subordinata con l’atto introduttivo del giudizio e riformulata anche in secondo grado.
Il motivo è infondato poiché ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311;
Cass. 20 settembre 2013, n. 21612; Cass. 11 settembre 2015, n. 17956).
Ciò precisato è evidente che nel caso di specie la Corte d’appello, una volta escluso che le operazioni contestate potessero essere dichiarate nulle ed avendo accertato che gli attori avevano guadagnato in termini di plusvalenze e non perso dal ventennale rapporto complessivo di investimento, era logicamente incompatibile discutere di un «danno» dalle medesime prodotto per mancata informazione da parte dell’intermediario, con la conseguenza che detta domanda deve ritenersi non ignorata bensì implicitamente rigettata.
Il quinto motivo, denuncia, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e 4 c.p.c.:
la violazione o la falsa applicazione delle norme di diritto dell’art. 92 c.p.c. perché, pur essendo basata su due decisioni delle Sezioni Unite intervenute nel corso del giudizio di appello, la sentenza non ha previsto nemmeno in parte la compensazione delle spese di lite, come prevede la norma;
dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’appello condannato l’avvocato antistatario in proprio a restituire l’importo percepito a seguito della sentenza di primo grado benché la banca, nelle sue conclusioni, avesse appellato la sentenza solo per ottenere la condanna delle parti alla restituzione di questa somma; sicché, così decidendo, avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo sostituito la domanda formulata dalla banca verso la controparte considerandola come rivolta verso il difensore, privo di detta qualità processuale.
7.1- Il motivo nella prospettazione sub a) è inammissibile in quanto non si confronta con una delle distinte ratio decidendi che sorregge la decisione in punto spese che si fonda, non sulla soccombenza in sé, ma sul « comportamento processualmente disinvolto » con cui i ricorrenti avevano dichiarato falsamente di non
aver sottoscritto alcun contratto; onde va data continuità al principio consolidato per cui per cui quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi , ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile non solo che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, ma anche che tali censure risultino tutte fondate (v. per tutte Cass. n. 10815/2019).
7.2- Infondato è, invece, il motivo nella prospettazione sub b) poiché come statuito da questa Corte « nel caso di riforma od annullamento della sentenza costituente titolo esecutivo di condanna al pagamento delle spese e degli onorari in favore del difensore della parte già vittoriosa, il quale abbia reso la dichiarazione di cui all’articolo 93 c.p.c., tenuto alla restituzione delle somme pagate a detto titolo è lo stesso difensore distrattario, il quale, come titolare di un autonomo rapporto instauratosi direttamente con la parte già soccombente, è l’unico legittimato passivo rispetto all’azione di ripetizione di indebito oggettivo proposto da tale parte, in favore della quale la restituzione di dette somme può essere disposta, oltre che in un giudizio autonomamente instaurato a tal fine, anche dal giudice dell’impugnazione o, in caso di Cassazione, dal giudice di rinvio, ai sensi dell’articolo 389 c.p.c. » (Cass. n. 27476/2018, in motivazione).
8.- Pertanto il ricorso va respinto. Quanto alle spese, che seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, si osserva che, ai sensi dell’art. 97 c.p.c., i ricorrenti soccombenti – i sig.ri COGNOME da un lato, e il difensore Prof. Avv. NOME COGNOME dall’altro – hanno diverso interesse nella causa, sicché vanno condannati in proporzione a detto diverso interesse. Ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna i ricorrenti, NOME COGNOME e NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in solido fra loro, al pagamento delle spese di lite in favore di parte controricorrente liquidate nell’importo di euro 26.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge; condanna il Prof. Avv. NOME COGNOME al pagamento delle spese di lite in favore di parte controricorrente liquidate nell’importo di euro 7200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione