Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26532 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26532 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23362/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE SANPAOLO RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
RAGIONE_SOCIALE
-Intimato –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 1088/2019 depositata il 09/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- Il Tribunale di Grosseto, pronunciando sulla domanda della sig. NOME COGNOME volta a rideterminare i corretti rapporti dare/avere tra le parti espungendo dal saldo le somme dovute per i titoli nulli indicati, l’aveva condannata al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE (procuratrice della RAGIONE_SOCIALE) della somma di 84.575,95 euro a titolo di saldo del residuo dovuto in virtù di un contratto di mutuo ordinario con garanzia ipotecaria stipulato in data 21.2.1995, eliminando dal saldo contestato solo gli interessi usurari.
2.- La Corte territoriale ha parzialmente riformato detta sentenza su gravame della sig. COGNOME, cui ha resistito RAGIONE_SOCIALE, ritenendo, per quanto qui ancora interessa:
che il Tribunale avesse errato nell’aver omesso ogni pronuncia sulla domanda di nullità del contratto di mutuo in quanto proposta per la prima volta nella comparsa conclusionale, poiché, come la nullità di un contratto può sempre essere rilevata d’ufficio dal giudice, anche la relativa eccezione non soffre preclusioni, laddove, tuttavia, la nullità emerga ex actis dai documenti prodotti e dai fatti allegati dalle parti entro i termini delle preclusioni assertive ed istruttorie, scaduti i quali deve ritenersi definito una volta per tutte il thema decidendum e probandum; ha, tuttavia, ritenuto infondata l’eccezione sotto entrambi i profili dedotti in conclusionale di primo grado, rilevando: (i) che la signora COGNOME, convenendo in giudizio la banca perché fossero rideterminati i rapporti dare/avere tra le parti, dava per scontata logicamente l’esecuzione del contratto e l’erogazione della somma, fatti che, quindi la banca non aveva l’onere di dimostrare essendo pacifici in causa, oltre che riscontrati
dall’art. 1 del contratto di mutuo recante la quietanza della mutuataria; (ii) che la nullità del contratto, per sviamento dalla sua causa tipica (da finanziamento a garanzia) fondata sull’art. 2 del contratto di mutuo con cui la somma erogata veniva costituita in pegno a favore della banca a parziale garanzia dell’adempimento delle obbligazioni di restituzione, la quale in tesi dell’appellante -avrebbe dimostrato che il mutuo era finalizzato ad estinguere un precedente debito del cliente verso la banca in sé non bastava a tal fine (atteso che il pegno sulla somma erogata regolava il periodo transitorio tra l’erogazione della somma e l’iscrizione di ipoteca concessa volontariamente dalla parte mutuataria) né l’appellante aveva allegato alcun fatto né prodotto alcun documento a sostegno di siffatta allegazione nei termini delle preclusioni assertive e probatorie, che, quindi, doveva considerarsi nuova ed inammissibile;
b) quanto al secondo motivo di gravame relativo alla ricostruzione del corretto rapporto dare/avere tra le parti che: (i) dal momento che il tasso applicato dalla banca era in origine indeterminato ed indeterminabile, il giudice di prime cure avrebbe dovuto sostituirlo con quello previsto dall’articolo 117 comma 7 lett. a) T.U.B., nel testo vigente tra il 1995 e il 2005 (cioè tra l’anno di stipula del mutuo e l’anno in cui era prevista l’estinzione del debito), secondo una delle ipotesi che il CTU aveva correttamente formulato, e determinare il tasso sostitutivo degli interessi convenzionali in base al tasso nominale minimo dei BOT emessi nei 12 mesi precedenti la stipula del mutuo (pari 8,013%); ha, invece, respinto tanto la pretesa dell’appellante di individuare il periodo di dodici mesi antecedenti la conclusione del contratto a partire, anziché dalla stipulazione, dalla data di scadenza del mutuo, cioè da quella prevista nel piano di ammortamento per il pagamento dell’ultima rata, che -secondo l’appellante sarebbe il momento in cui « il mutuo giunge a conclusione »; quanto la pretesa di veder applicata la novella che nel 2010 ha modificato il predetto art. 117
(introducendo in alternativa, se più favorevole per il cliente, il dies a quo «dello svolgimento dell’operazione») dal momento che nel 2010 il mutuo era scaduto da 5 anni e già pendeva la causa di merito, e che, in ogni caso, per «momento di svolgimento dell’operazione» non poteva certo intendersi la data di scadenza dell’ultima rata di mutuo, quanto piuttosto quello di effettiva erogazione del mutuo, che nella fattispecie, peraltro, coincideva con quella della stipula del contratto; (ii) ha ritenuto infondata la doglianza attinente al tasso soglia di usura, poiché dalla CTU era chiaro che il tasso applicato era stato ridotto al tasso soglia medio vigente nei due trimestri di riferimento; (iii) quanto agli interessi di mora, ha affermato che, poiché il contratto di mutuo prevedeva interessi di mora allo stesso tasso di quelli convenzionali, il vizio di questi – non determinati né determinabili -valeva anche per i primi, e, escluso che con riguardo ai ritardi nell’esecuzione del contratto potesse farsi ricorso al tasso sostitutivo di cui all’articolo 117 comma 7 T.U.B., ha fatto applicazione dell’interesse di mora nella misura legale a partire dalla scadenza dell’ultima rata, ex art. 1219 comma 2 n. 3 c.c. (cd. mora ex re ), e rideterminato il saldo debitorio in euro 29.885,11, oltre interesse legali di mora dal 1.7.2005 al saldo;
c) che era infondata la censura della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva respinto le domande di condanna della banca al risarcimento dei danni per aver illegittimamente segnalato la sig. COGNOME alla centrale rischi della Banca d’Italia, poiché la banca aveva giusti motivi per iscrivere l’odierna appellante in centrale rischi come mutuataria insolvente: infatti aveva cessato ogni pagamento a partire dal 30.9.2003, allorché persisteva un debito verso la banca ammontante a oltre 5.000,00 euro anche nell’ipotesi rideterminativa accolta (favorevole alla mutuataria) che vedeva eliminati del tutto gli interessi di mora nell’esecuzione del contratto.
3.- Avverso detta sentenza NOME COGNOME ha presentato ricorso affidandolo a otto motivi di cassazione. Ha resistito, con controricorso RAGIONE_SOCIALE. La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.-Preliminarmente vanno respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 comma 1 n. 6 e 360 bis comma 1 c.p.c. in quanto infondate con riguardo al ricorso nel suo complesso, dovendo semmai essere declinate e valutate con riguardo ai singoli motivi.
2.- Con il primo motivo – rubricato: « Sulla questione di nullità del contratto di mutuo e sulle conseguenti domande di restituzione delle somme versate. Violazione dell’art. 101 c.p.c. conseguente nullità della sentenza in relazione all’art.360, comma 1 n.4 c.p.c. » – la ricorrente denuncia l’erroneità della sentenza gravata in quanto la Corte territoriale, rilevata -a suo dire – la nullità del contratto, non avrebbe consentito, come sarebbe stato suo obbligo ex art. 101 c.p.c. trattandosi di questione «mista», di fatto e di diritto, lo sviluppo del contraddittorio, concedendo i termini per le memorie grazie alle quali la ricorrente avrebbe potuto dimostrare che la banca non aveva mai realmente erogato la somma alla mutuataria e che detta somma era, in realtà, stata utilizzata per garantire altro precedente rapporto debitorio, tramite la produzione della documentazione comprovante l’altro credito e l’utilizzazione della somma al predetto scopo.
2.1- Il mezzo è infondato poiché: (a) la Corte di merito, nella specie, non ha rilevato d’ufficio la nullità quale questione nuova che le parti non avevano prospettato, bensì ha giudicato della questione in quanto oggetto di una domanda formulata in sede conclusionale e ritenuta -diversamente dal Tribunale – ammissibile in quanto relativa ad una questione in astratto rilevabile d’ufficio; (b) la Corte di merito non doveva né poteva rimettere le parti in termini per
allegazioni o richieste istruttorie nuove, come pretende la ricorrente onde realizzare il contraddittorio sul punto, avendo del resto ben chiarito in motivazione -in conformità ai principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 26242/2014 -che, se l’eccezione di nullità non soffre i limiti temporali delle preclusioni assertive ed istruttorie -come erroneamente ritenuto dal giudice di primo grado – tuttavia detta nullità deve emergere ex actis dai documenti prodotti e dai fatti allegati dalle parti entro i termini delle preclusioni assertive ed istruttorie, scaduti i quali deve ritenersi definito una volta per tutte sia il thema decidendum che il probandum.
3.- Con il secondo motivo – rubricato: « Sempre sulla questione di nullità del mutuo. Violazione degli artt. 2697 c.c. 117 I e III TUB, 1418, 1425 e 1346 c.c., 2725, 2726 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. In ogni caso omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. » – la ricorrente deduce che gli argomenti utilizzati dalla Corte territoriale per ritenere accertato il fatto contestato della effettiva erogazione della somma mutuata -ovvero la dichiarazione di quietanza della mutuataria e le «presunzioni» ricavate dal fatto che la stessa domanda introduttiva del giudizio formulata dalla mutuataria sarebbe incompatibile con la asserita mancata consegna della somma – sarebbero inidonei, in quanto detta erogazione doveva essere dimostrata per iscritto dalla banca con la produzione della documentazione comprovante il relativo versamento sul conto corrente collegato al mutuo; peraltro, non avendo adeguatamente valutato ed esaminato la questione della necessità di prova in forma scritta dedotta nell’atto di appello, sarebbe incorsa nel vizio di cui all’articolo 360 comma 1 n. 5 c.p.c.
4.- Con il terzo motivo – rubricato « Sempre sulla questione di nullità del mutuo. Violazione dell’articolo 2734 c.c. in relazione agli art. 2730 e 2735 c.c.; violazione degli art. 2726 e 2729 comma II c.c.; violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.c.;
violazione degli art. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n.4 c.p.c. Motivazione illogica e contraddittoria» la ricorrente deduce che la Corte di merito avrebbe accertato il fatto contestato della consegna della somma stabilendo «d’ufficio» che la prova di detta consegna si traeva dalla quietanza di cui all’art.1 del contratto e dalla stessa difesa della parte attrice che sarebbe valsa a confermare la restituzione della somma percetta a titolo di mutuo, senza che la banca avesse mai allegato dette circostanze a comprova del fatto contestato; con ciò la Corte d’Appello avrebbe violato gli art. 115 e 116 -fondando la propria decisione su allegazioni e prove non offerte dalle parti ma valorizzate d’ufficio nonché le norme sulla confessione, dal momento che il contenuto confessorio della quietanza sarebbe smentito da altre dichiarazioni contenute nel contratto di mutuo che dimostrerebbero che la somma non era effettivamente disponibile ma vincolata in un pegno.
5.- I due motivi possono essere esaminati insieme in quanto evidentemente connessi e tesi a contestare le ragioni di rigetto della prospettata nullità del mutuo per mancata prova dell’effettiva erogazione della somma mutuata.
Tutte le ragioni di cassazione prospettate sono inammissibili mirando, in realtà, a mettere in discussione il merito della decisone impugnata circa la infondatezza della ragione di nullità prospettata, ovvero la ricognizione delle risultanze probatorie e la loro interpretazione e valorizzazione a proposito della dedotta omessa erogazione della somma mutuata.
5.2- La Corte territoriale ha respinto la deduzione di nullità del contratto per mancata erogazione della somma sulla base di una doppia argomentazione, una di merito ed una di rito: a) da un lato, ha ritenuto che la clausola del contratto di mutuo con cui la somma erogata veniva costituita in pegno a favore della banca, non bastava agli effetti della dedotta nullità per sviamento dalla sua causa tipica (da finanziamento a garanzia) atteso che il pegno sulla somma
erogata regolava il periodo transitorio tra l’erogazione della somma e l’iscrizione di ipoteca concessa volontariamente dalla parte mutuataria, perciò la somma era stata erogata effettivamente sulla base del titolo poi fondante la pretesa restitutoria; b) dall’altro, ha osservato che l’appellante non aveva allegato alcun fatto né prodotto alcun documento a sostegno della deduzione della nullità del contratto nei termini predetti prima che maturassero le preclusioni assertive e probatorie, pertanto detta deduzione doveva considerarsi nuova ed inammissibile.
Ora la decisione in rito sulla questione è assorbente, con la conseguenza che quella nel merito (fondata sulla ricognizione delle risultanze di prova) è una affermazione resa mancando ormai il giudice di potestas iudicandi, che priva la parte dell’interesse ad impugnarla (v. Sez. Un. 3840/07), giacché un’ argomentazione c.d. ad abundantiam non sorregge la ratio decidendi , che è altra, ed è noto che è inammissibile il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione siffatta, che non ha spiegato alcuna influenza sul dispositivo della decisione, poiché essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione per difetto di interesse ( e multis , cfr. Cass., sez. I, 10-04-2018, n. 8755; Cass., sez. lav., 22-11-2010, n. 23635)
5.3- Solo per completezza si potrebbe aggiungere in risposta agli argomenti della ricorrente: a) che è noto che il giudice può trarre il proprio convincimento dalle risultanze di causa a prescindere dal fatto che queste siano acquisite per effetto dell’iniziativa della parte in teoria onerata della prova nella fattispecie (Cass. n. 9863/2023; conforme a Cass. Sez. Un.n. 4835/2023); b) sono principi consolidati quelli per cui in sede di legittimità, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata (ex multis, Cass. 20.4.2020, n. 7919; Cass. 19.8.2020, n. 17313; Cass. 24.1.2020, n. 1634; Cass.
23.10.2018, n. 26769) e per cui la violazione degli art. 115 e 116 c.p.c. può essere invocata in sede di legittimità solo ove si alleghi, rispettivamente, che il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, o che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato secondo il suo « prudente apprezzamento » a fronte di prova legale, a abbia attribuito a duna prova valore diverso da quello che le attribuisce il legislatore: e, nel caso in esame, nulla di tutto ciò si rinviene nella censura, la quale altro non fa che rimettere in discussione il governo del materiale probatorio operato dal giudice di merito (per tutte Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867); c) la dedotta violazione delle norme in materia di presunzioni o di quelle in materia di confessione, costituisce, in effetti, una censura al convincimento raggiunto dal giudice nel merito a proposito dell’avvenuta erogazione della somma mutuata, che peraltro non è ricorso a presunzioni, bensì alla prova scritta risultante dalla quietanza e alla allegazione in fatto fornita dalla stessa parte appellante in primo grado circa il pagamento indebito delle rate di mutuo.
5.4- In definitiva la ricorrente da un lato, non si avvede che la nullità dedotta sotto il profilo della mancata erogazione della somma è stata ritenuta nuova ed inammissibile e non vi muove alcuna censura; dall’altro non avvedendosi che l’inammissibilità assorbe la ratio decidendi in punto, aggredisce in assenza di interesse la valutazione compiuta nel merito con argomenti che, in modo inammissibile, prefigurano in questa sede di illegittimità un terzo grado di giudizio di merito.
6.- Il quarto motivo di ricorso è rubricato « Sull’accertamento dei rapporti di dare ed avere tra le parti. Violazione degli artt. 112 c.c. 117 IV e VI comma e 117 lett. a) e b) T.U.B. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; nonché violazione dell’art.1326 c.c. dell’art. 12 delle
disposizioni sulla legge in generale, in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c.».
Reputa la ricorrente che in caso di mutuo a tasso variabile il contratto sia a formazione progressiva, onde il momento della sua «conclusione» non coinciderebbe con la sua stipulazione ma sarebbe riferibile alla scadenza dell’ultima rata, oppure alla scadenza di ogni singola rata. Perciò il CTU e la Corte d’appello e il CTU avrebbero errato nell’interpretazione del T.U.B. e nell’applicazione del tasso sostitutivo, giacché per epoca di conclusione del contratto doveva «singolarmente quella di maturazione di ogni singola rata»; con la conseguenza che il tasso variabile convenuto tra le parti, ove nullo, deve essere sostituito non con un tasso riferito all’originaria stipulazione del mutuo ma, via via, ad ogni singola rata con il tasso BOT favorevole ai cliente stabilito nei 12 mesi precedenti la maturazione della rata stessa. Sostiene inoltre -per quanto si comprende -che la Corte d’appello dovesse procedere ad imputare al capitale le somme che il cliente aveva diritto di ripetere per illegittima applicazione di interessi, con conseguente nuova riformulazione del piano di ammortamento.
6.1Il motivo è infondato nella parte in cui deduce che erroneamente il tasso sostitutivo di cui all’art. 117 comma 7 lett. a) TUB è stato individuato alla data di conclusione del contratto, anziché all’epoca riferibile all’ultima rata o ogni singola rata, giacché – come affermato dalla stessa ricorrente – la norma applicabile ratione temporis è nel senso che il tasso sostitutivo è quello dei 12 mesi precedenti «la conclusione del contratto», espressione legislativa inequivoca, di cui invoca una non meglio precisata interpretazione «estensiva».
Per il resto il motivo è inammissibile perché la ricorrente propone una critica al ragionamento decisorio nel merito, che reputa erroneo, non per erronea interpretazione della norma applicata, bensì per la concreta applicazione che la Corte di merito ne ha fatto, dovendo
ribadirsi che il giudizio di merito del giudice non può essere contestato per violazione di legge sotto il profilo della non corretta ricognizione della fattispecie concreta, bensì della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicando detto vizio necessariamente un problema interpretativo della stessa, « viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394), fermo il fatto che, il novellato art. 360, primo comma n. 4 e 5 c.p.c., ha ridotto al «minimo costituzionale» il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).
7.- Il quinto motivo- in stretta connessione con il precedente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. in quanto, la Corte d’appello non avrebbe motivato sul fatto oggetto di specifica contestazione – che il CTU non aveva proceduto alla corretta imputazione delle somme illegittimamente pagate dal cliente a capitale e non aveva quindi riformulato il piano di ammortamento procedendo al relativo ricalcolo, essendosi limitata a recepire le conclusioni del CTU.
7.1 Il motivo è inammissibile, poiché la ricorrente invoca impropriamente il vizio di omesso esame di un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti, con riguardo, in effetti, non ad un «fatto storico» bensì ad una censura asseritamente mossa nell’atto d’appello sull’operato del CTU (l’omessa riformulazione -in tesi necessaria del piano di ammortamento per effetto dell’imputazione a capitale delle somme indebitamente versate a titolo di interessi), che, oltre a riguardare il merito della decisione -ovvero la valutazione in concreto riservata al giudice di merito di un mezzo
istruttorio qual è l’indagine tecnica – si traduce in una censura alla completezza della motivazione offerta in punto dalla Corte territoriale, inammissibile stanti i già richiamati stretti limiti in cui il vizio motivazionale può essere sindacato in sede di legittimità. A detta ragione di inammissibilità, del resto, si aggiunge quella per cui, a fronte di due pronunce di merito conformi nel rigetto della domanda sul punto il ricorrente aveva l’onere intendendo invocare il motivo di illegittimità di cui all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. precluso dallo stesso art. 360 comma 4 c.p.c. quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado « per le stesse ragioni inerenti ai medesimi fatti poste a base della decisione impugnat a» – di allegare prima di tutto la ammissibilità del motivo sotto il profilo della non conformità del decisum nei due gradi, essendo noto che la ratio della norma predetta va individuata nell’esigenza di evitare la proliferazione di ricorsi per cassazione volti alla rivisitazione della ricostruzione dei fatti, qualora la doppia giurisdizione di merito li abbia valutati in senso conforme (v. Cass. n. 7724/2022 per cui «Ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice» e Cass. n. 32019/2024 che afferma il principio di diritto per cui «La preclusione, già prevista dall’art. 348 ter comma 5° c.p.c. ed attualmente prevista dall’art. 360 comma 4° c.p.c., opera soltanto nel caso in cui la sentenza di primo grado e quella di secondo grado siano state delibate nel merito, ma non opera quando (come per l’appunto si verifica nel caso di specie) la
sentenza del giudice di secondo grado, pur confermando quella di primo grado, sia argomentata su ragioni di natura processuale (quali, ad esempio, la ritenuta aspecificità dei motivi di appello), in quanto tale circostanza impedisce di per sé quell’attività di comparazione, sottesa da entrambe le suddette disposizioni, diretta a verificare la identità delle ‘stesse ragioni’ di fatto, contenute nelle due decisioni di merito»).
8.- Il sesto motivo denuncia la violazione degli artt. 1219 comma 2 n. 3 c.c. 1182 comma 2 c.c., 1224 comma 1 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. in quanto la Corte d’appello avrebbe errato nell’applicare la mora ex re nella fattispecie, poiché non si trattava di prestazione da eseguirsi al domicilio del creditore e neppure di una prestazione certa, liquida ed esigibile, dato che la somma dovuta è stata stabilita dalla Corte di merito a seguito di numerosi accertamenti svolti dal CTU in primo grado.
8.1- Il motivo è infondato. Agli effetti della mora ex re , la liquidità dell’obbligazione ricorre non solo quando il titolo ne determini l’ammontare ma anche quando indichi i criteri per determinarlo senza lasciare nessun margine di valutazione, a nulla rilevando le eventuali contestazioni riferite all’ an e al quantum (v. Cass. 39028/2021; Cass. 7722/2019, conformi a Cass. Sez. Un.17989/2016). Nella specie, l’importo è liquido avuto riguardo alla predeterminazione dei criteri di liquidazione.
9.- Il settimo motivo denuncia la violazione degli artt. 112 c.p.c 342,345, 346 c.p.c. nonché dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. in quanto la Corte avrebbe pronunciato ultra petita, violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, dal momento che la banca in primo grado non aveva chiesto l’applicazione degli interessi di mora ex art. 1219 comma 2 n. 3 c.c. ma solo gli interessi di mora convenzionali; la banca, inoltre, non aveva proposto alcuna impugnazione in proposito contro la sentenza di primo grado, sicché, stante il perimetro della controversia, la
questione non avrebbe dovuto essere presa in esame in quanto ormai coperta dal giudicato.
9.1 -Il motivo è infondato: anzitutto la sentenza di primo grado aveva fatto propria -tra le quattro offerte dal CTU su indicazione del giudice istruttore – la ricostruzione dei rapporti dare avere tra le parti che teneva conto degli interessi corrispettivi e moratori applicati dalla banca, ridotti entro i limiti del tasso soglia ove necessario (onde non v’era ragione che la banca formulasse un motivo d’appello in punto interessi di mora); a fronte di detta pronuncia la Corte di merito ha parzialmente accolto l’appello della cliente relativo alla indeterminatezza e indeterminabilità -e quindi nullità – del tasso di interesse convenzionale, e, reputando erronea la decisione del giudice di prime cure, ha scelto tra le ipotesi ricostruttive formulate dal CTU quella in cui il tasso di interesse indeterminabile era stato sostituito ai sensi dell’art. 117 comma 7 lett. a) T.U.B., ipotesi ricostruttiva che -tuttavia -escludeva in toto il computo degli interessi di mora e che perciò era oggetto sul punto di contestazione da parte della banca; perciò nel fare propria questa ipotesi ricostruttiva ha ritenuto che detta esclusione fosse condivisibile solo quanto agli interessi di mora fino alla scadenza dell’ultima rata del mutuo, ma non quanto al periodo successivo e sino al saldo e li ha computati (nella misura legale e non in quella convenzionalmente pattuita come aveva ritenuto il Tribunale) giacché, scaduto il termine del 30 giugno 2005 contrattualmente pattuito, doveva trovare applicazione l’art. 1219 comma 2 n. 3 c.c. ( cd. mora ex re ), onde da detta data erano dovuti sulla somma capitale gli interessi al tasso legale ai sensi dell’articolo 1224 comma 1 c.c., con conseguente rideterminazione del saldo debitorio in euro 29.885,11 oltre interesse di mora sulla quota capitale a far data dal 1.7.2005 al saldo.
Quindi la decisione è stata frutto dell’impugnazione della sentenza del Tribunale che aveva riconosciuto la legittimità degli interessi
moratori e della resistenza sul punto della banca, e la Corte territoriale ha effettuato come le competeva una diversa qualificazione dei fatti accertati e della mora applicabile su richiesta di parte (la banca), senza che tutto ciò possa costituire violazione dell’art. 112 c.p.c..
11.- L’ottavo motivo denuncia la violazione della normativa di riferimento circa le modalità di segnalazione alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE presso la Banca d’Italia, ovvero degli artt. 51,53,67 e 107 T.U.B. nonché delle istruzioni adottate dalla Banca d’Italia nel novembre 2001 e nel giugno 2004 e successivi aggiornamenti, con particolare riferimento alla delibera adottata dal RAGIONE_SOCIALE del 16 maggio 1962, che ha istituito il servizio per la centralizzazione dei rischi bancari; nonché degli artt. 53, 144 e 145 del T.U.B. nonché della delibera adottata dallo stesso RAGIONE_SOCIALE in data 29.3.94; inoltre denuncia denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c.
Reputa, in sintesi, la ricorrente che la sentenza sia errata per avere ritenuto che il semplice mancato pagamento di una rata del mutuo integrasse gli estremi per la segnalazione effettuata, in quanto detta segnalazione implicherebbe, invece, una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito, tantomeno quando questo ritardo sia frutto del rifiuto del cliente di adempiere all’obbligazione in quanto contestata.
12.1- Il motivo è inammissibile perché la ricorrente contesta nel merito la decisione della Corte d’appello che sul punto ha motivato il proprio ragionamento decisorio ritenendo, da un lato, che sussistesse una conclamata situazione di inadempimento, senza che fosse in discussione la considerazione dell’andamento di altri rapporti obbligatori, neppure dedotti; dall’altro, ha escluso che la
mera contestazione come formulata della debenza della somma fosse ragione sufficiente ad impedire la segnalazione alla RAGIONE_SOCIALE della debitrice, con un ragionamento che la ricorrente neppure spiega perché sarebbe censurabile alla luce della molteplici fonti regolatorie richiamate -a prescindere dal fatto che tutte quelle indicate assurgano a presupposto della violazione di legge -svolgendo una censura che degrada evidentemente al merito della valutazione riservata al giudice ove invoca il presupposto della «non manifesta infondatezza» della contestazione. Infine, è del tutto inammissibile la censura della decisone sul punto ex art. 360 n. 5 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 comma 4 c.p.c. trattandosi di decisone c.d. doppia conforme.
13.- Il ricorso in definitiva va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la parte ricorrente NOME COGNOME al pagamento delle spese in favore di RAGIONE_SOCIALE, liquidate nell’importo di euro 4.700,00, cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile del 30.09.2025
Il Presidente NOME COGNOME