Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7385 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7385 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 2060/2024 r.g. proposto da:
NOME COGNOME e NOME COGNOME entrambi rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domiciliano in Palermo, alla INDIRIZZO
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ; RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore .
-intimate – avverso la sentenza, n. cron. 1088/2023, della CORTE DI APPELLO DI PALERMO, pubblicata il giorno 05/06/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 14/03/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 3205 del 2016, il Tribunale di Palermo revocò il decreto ingiuntivo n. 1649/2013 e condannò NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali fideiussori di Mediterranea s.r.l., in solido tra loro, al pagamento della minor somma di € 141.616,20, oltre interessi legali dal giorno della domanda, in favore di Credito Siciliano s.p.a., statuendo altresì sulle spese di lite.
Il gravame promosso avverso tale decisione da RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, nella qualità di procuratrice speciale di Credito Siciliano s.p.a., fu respinto dall’adita Corte di appello di Palermo con sentenza del 5 giugno 2023, n. 1088, pronunciata nel contraddittorio con NOME COGNOME e NOME COGNOME e con l’intervento di RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria dei crediti pro soluto di Credito Siciliano s.p.a., per il tramite della menzionata procuratrice RAGIONE_SOCIALE s.p.a. Nel corso del giudizio, inoltre, si costituì pure RAGIONE_SOCIALE, quale incorporante per fusione di RAGIONE_SOCIALE e poi incorporato in RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte affrontò la questione della dedotta abusività di talune clausole della fidejussione, sollevata solo in sede di precisazione delle conclusioni dagli appellati, che, costituendosi, avevano chiesto, invece, respingersi il gravame, ritenendolo infondato. Rimarcato che la corrispondente eccezione di nullità si fondava sulla asserita riproposizione, nei contratti di garanzia, di uno schema negoziale predisposto dall’Associazione Bancaria Italiana valutato dalla Banca d’Italia contrario all’art. 2 della legge n. 287/1990, e considerato che detta nullità sarebbe stata rilevabile, anche d’ufficio, in ogni grado del processo (benché alla duplice condizione della rilevabilità della questione sulla ‘ base di dati fattuali ‘ e del ‘ rispetto del contradittorio ‘), senza incontrare il limite decadenziale della novità ex art. 345 cod. proc. civ., la ritenne tuttavia ‘ generica e priva di idonei elementi di prova ‘.
Per la cassazione di questa sentenza hanno promosso ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME affidandosi a tre motivi. Nessuno dei destinatari della notificazione di tale ricorso ha svolto difese in questa sede.
3.1. È stata formulata, da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022. A fronte di essa, parte ricorrente ha domandato la decisione della causa, altresì depositando memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va rilevato, innanzitutto, che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« Il primo motivo di ricorso, rubricato ‘ Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art 161 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. ‘ , ascrive alla corte distrettuale di avere inserito come parte ‘ RAGIONE_SOCIALE che non ha alcun titolo a comparire e continuare a coltivare l’azione con la costituzione in giudizio del Credit Agricole Italia s.p.a. ‘ .
La doglianza è palesemente infondata posto che dalla sentenza impugnata non risulta alcun provvedimento di avvenuta estromissione dal giudizio di RAGIONE_SOCIALE successivamente all’avvenuta costituzione in giudizio di Credit Agricole Italia s.p.a.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
II) ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 345 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per violazione, falsa ed errata interpretazione delle indicate norme legislative, omesso esame di fatti decisivi per la dec isione della controversia in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. ‘ . Si contesta alla corte territoriale di aver disatteso l’eccezione di nullità parziale della fideiussione prestata dagli odierni ricorrenti, pur avendola considerata ammissibile, ritenendo, erroneamente, che ne fosse mancata un’adeguata allegazione documentale;
III) ‘Violazione e mancata applicazione dell’art . 41 Cost, dell’art. 1322 c.c. con il combinato disposto dell’art. 2, comma 3, della legge n. 287/1990
e violazione delle garanzie a tutela della libera concorrenza e del soggetto più debole qualificato cittadino e consumatore in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ed omesso esame di fatti decisivi per la decisione della controversia in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ‘ . Si censura nuovamente il mancato accoglimento dell’eccezione di nullità delle fideiussioni prestate dagli odierni ricorrenti. Richiamate le argomentazioni rinvenibili in Cass., SU, n. 41944 del 2021, si assume che la corte di appello, ‘ ritenendo erroneamente la mancata allegazione istruttoria e documentale, ha quindi disatteso la verifica essenziale delle violazioni del disposto costituzionale ex art. 41, dell’art. 2 comma 3, della legge 287/1990, in combinato disposto con il successivo art. 3 e la evidente violazione delle garanzia a tutela della libera concorrenza e del soggetto più debole qualificato cittadino e consumatore ‘ .
Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, si rivelano complessivamente insuscettibili di accoglimento.
Invero, pure volendosi sottacere il rilievo che entrambe prospettano genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando ), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per Cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure (cfr., ex plurimis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878, 27505 e 4528 del 2023; Cass. nn. 35832 e 6866 del 2022; Cass. n. 33348 del 2018; Cass. nn. 19761, 19040, 13336 e 6690 del 2016; Cass. n. 5964 del 2015; Cass. nn. 26018 e 22404 del 2014), appaiono assolutamente dirimenti, per negarne la fondatezza, le argomentazioni desumibili da Cass. n. 19401 del 2024 (riguardante, in parte qua , questione assolutamente analoga a quella posta dalle censure in esame).
In particolare, va ricordato, innanzitutto, che le Sezioni Unite di questa Corte si sono occupate ampiamente del problema della rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali (sentenza 12 dicembre 2014, n. 26242, i cui princìpi
sono stati peraltro successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass. n. 19251 del 2018, Cass. n. 26495 del 2019, Cass. n. 20170 del 2022 e Cass. n. 28377 del 2022). In quella sentenza è stato affermato, tra l’altro, che, nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa in primo grado di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo. Questo principio, però, deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile e la relativa tempistica, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di rimettersi in pista -per così dire -quando i fatti costitutivi del lamentato vizio negoziale da esaminare ex officio avrebbero potuto e dovuto essere tempestivamente allegati, onde consentire al giudice la necessaria valutazione in diritto. Qualora i fatti costitutivi della dedotta nullità negoziale non risultino già allegati in toto dalla parte che la invoca successivamente, difatti, non è consentito al giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, procedere d’ufficio a tali accertamenti, la rilevabilità officiosa della nullità essendo circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20713 del 2023 e Cass. nn. 2607, 5038, 5478 e 10712 del 2024). Nel caso in esame, l’accertamento sulla fondatezza, o meno, dell’eccezione di nullità di cui qui si discute (riguardante, come si ricorderà, la nullità delle fideiussioni prestate NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione allo specifico profilo della violazione della normativa antitrust alla stregua di quanto sancito nel provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005 e da Cass. n. 29810 del 2017) che, quando proposta, per la prima volta, in appello, come accaduto nella specie, era evidentemente ammissibile, in quanto eccezione in senso lato, anche al di là dei limiti e delle preclusioni processuali ormai maturate -poggia su circostanze fattuali (riguardanti, tra l’al tro: il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità; la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento in precedenza richiamato; la concreta riferibilità di quanto sancito in que st’ultimo, frutto di accertamenti che avevano riguardato un intervallo temporale ricompreso tra il 2002 ed il 2005, a contratti di fideiussione
stipulato, solo successivamente ad esso, nell’aprile 2011, come si evince, sostanzialmente, dalla pagina 4 della sentenza impugnata; la circostanza che i medesimi ricorrenti certamente non avrebbero sottoscritto quelle fideiussioni in assenza delle clausol e contestate, ricordandosi, a quest’ultimo proposito, che: i] giusta Cass., SU, n. 41994 del 2021, ‘ I contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti ‘ ; ii] come sancito da Cass. n. 18794 del 2023, ‘ Il concetto di nullità parziale, di cui all’art. 1419, comma 1, c.c., esprime il generale favore dell’ordinamento per la conservazione, ove possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale, ed il carattere eccezionale dell’estensione all’intero contratto della nullità che ne colpisce una parte o una clausola; conseguentemente, spetta a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto ‘ ) che gli odierni ricorrenti avrebbero dovuto ritualmente introdurre e chiedere di provare indicandone i mezzi istruttori da utilizzarsi a tale scopo, già in primo grado. Alteris verbis, NOME e NOME COGNOME avrebbero dovuto tempestivamente allegare, già innanzi al tribunale (ma di tanto non vi adeguata indicazione nella doglianza in esame, ricavandosene, anzi, il contrario), i fatti costitutivi funzionali a fondare la nullità da loro poi invocata in appello o la legittimità di una successiva rilevazione officiosa della stessa. La quaestio nullitatis come da loro sollevata in appello, pur astrattamente proponibile al di là delle preclusioni ormai maturatesi, avrebbe, sì, obbligato il giudice a rilevarne l’eventuale fondatezza, o meno (con conseguente applicazione del disposto
dell’art. 101, comma 2, cod. proc. civ.), ma sempre che, ed a condizione che, i fatti costitutivi del vizio denunciato fossero stati già tempestivamente allegati e dimostrati, onde legittimare una decisione fondata su quegli stessi fatti e soltanto su quelli, non essendo più consentito al giudice di appello alcun accertamento fattuale se non in violazione del principio del contraddittorio.
A tanto deve aggiungersi che, nella specie, il giudizio di appello ha investito una decisione di prime cure pubblicata in data 16 giugno 2016 e che, pertanto, trova applicazione l’attuale versione dell’art. 345 cod. proc. civ., come modificata dall’art. 54, del d.l. n. 83 del 2012, -convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 -avendo questa Corte già stabilito che la modifica, in senso restrittivo rispetto alla produzione documentale in appello, di cui all’art. 345, comma 3, cod. proc. civ. , operata dal citato d.l. trova applicazione -mancando una disciplina transitoria e dovendosi ricorrere al principio tempus regit actum -solo se la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge n. 134/2012, di conversione del d.l. n. 83/2012, e cioè dal giorno 11 settembre 2012 (cfr. Cass. n. 6590 del 2017 e Cass. n. 21606 del 2021, entrambe ribadite, in motivazione, dalle più recenti Cass. n. 29506 del 2023 e Cass. n. 16289 del 2024).
Questa Corte ha chiarito, altresì, che la formulazione dell’art. 345, comma 3, cod. proc. civ. applicabile al caso in esame -a mente della quale ‘Non sono ammessi i nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile’ pone un divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza la “indispensabilità” degli stessi, e ferma restando per la parte la possibilità di dimostrare di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (cfr. Cass. n. 26522 del 2017, anch’essa ribadita, in motivazione, dalle menzionate, più recenti, Cass. n. 29506 del 2023 e Cass. n. 16289 del 2024).
Nell’odierna vicenda, quindi, sicuramente non sarebbe stata possibile la produzione, solo in appello, del menzionato provvedimento della Banca
d’Italia n. 55 del 2005 a corredo della ivi sollevata, per la prima volta, eccezione di nullità delle fideiussioni de quibus sottoscritte su schemi ABI, nemmeno essendo stato in quella sede, o nell’odierno ricorso, argomentato circa la impossibilità, non imputabile agli appellati/ricorrenti, di produrla in precedenza.
Né la produzione predetta si sarebbe potuta eventualmente considerare legittima unicamente valorizzando il fatto che l’eccezione di nullità della fideiussione suddetta era stata sollevata solo in appello, come, peraltro, sarebbe stato pienamente possibile, trattandosi di eccezione in senso lato. Così opinando, infatti, oltre a sovrapporsi non correttamente il profilo della proponibilità dell’eccezione con quello dell’ammissibilità della produzione documentale, si verrebbe ad ammettere detta produzione in modo del tutto svincolato dalla verifica della impossibilità per la parte di operarla tempestivamente nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile, in tal modo facendo ricorso, in sostanza, -latamente ed immotivatamente -ad un criterio di indispensabilità che, invece, non assume più rilievo nella vigente disciplina dell’ammissibilità di nuovi mezzi istruttori in appello.
Va osservato, infine, che, come recentemente opinato da Cass. n. 16289 del 2024 (cfr. pag. 13-14 della motivazione), ‘ Al citato provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005, , reso da quest’ultima in qualità di Autorità Antitrust, nemmeno può attribuirsi natura e forza di legge o comunque carattere normativo, consistendo, invece, esso in un mero provvedimento amministrativo di carattere sanzionatorio; sicché, nella specie, da un lato, la sua produzione non poteva che soggiacere ai noti principi di tema di onere probatorio, dall’altro, la corte di appello non avrebbe potuto tenerne conto solo perché consultabile on line o comunque richiamato in alcune pronunce di questa Corte, non essendo, al riguardo, certamente invocabile il principio iura novit curia. Come la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito (cfr. Cass. n. 1742 del 1976; Cass. n. 6933 del 1999; Cass. n. 34158 del 2019), infatti, tale principio, là dove eleva a dovere del giudice la ricerca del ‘diritto’, si riferisce alle vere e proprie fonti di diritto oggettivo, cioè a quei
precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità, dovendosi escludere dall’ambito della sua operatività sia i precetti aventi carattere normativo, ma non giuridico (come le regole della morale o del costume), sia quelli aventi carattere giuridico, ma non normativo (come gli atti di autonomia privata, o gli atti amministrativi), sia quelli aventi forza normativa puramente interna (come gli statuti degli enti ed i regolamenti interni). A tale secondo ambito di fonti, sottratte all’operatività del detto principio, va certamente ricondotto il provvedimento in discorso ‘ .
Resta qui solo da dire che: i) un’autonoma questione di malgoverno del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si pone esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 15032 e 10794 del 2024; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 11963 del 2022; Cass. nn. 17313 e 1634 del 2020; Cass. nn. 26769 e 13395 del 2018; Cass. n. 26366 del 2017; Cass nn. 19064 e 2395 del 2006), da rapportarsi -in ipotesi – al testo novellato di cui alla citata norma, introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 5 giugno 2023; ii) i ricorrenti incorrono nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale (tale essendo l’art. 115 cod. proc. civ. richiamato nella rubrica del motivo in esame) dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, -come chiarito, ancora recentemente da Cass. n. 5375 del 2024 (cfr. in motivazione, dove si richiamano, in senso analogo, Cass. nn. 35782, 16303, 11299 e 28385 del 2023. Nello stesso senso vedasi anche la più recente Cass. n. 11069 del 2024) -un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 115 cod. proc . civ. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il
giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge (cfr. Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che ‘ è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. ‘ ); iii) la nullità lamentata nel terzo motivo postula accertamenti fattuali preclusi in questa sede, né possibili alla corte distrettuale giusta quanto si è ampiamente riferito circa gli oneri di allegazioni necessari per consentire il rilievo ufficioso, in appello, di una pretesa nullità non esaminata in primo grado ».
Il Collegio reputa affatto esaustive e condivisibili tali argomentazioni, che, pertanto, ribadisce interamente, facendole proprie, altresì rimarcando che gli assunti rinvenibili nella memoria ex art. 380bis .1, comma 1, cod. proc. civ., del 4 marzo 2025 del difensore dei ricorrenti, laddove insistono nel ritenere legittima l’eccezione di nullità della fideiussione sollevata in grado di appello dai Semilia, nemmeno si confrontano adeguatamente con esse, nella misura in cui queste ultime non hanno negato la proponibilità, in sede di gravame, della menzionata eccezione, ma ne hanno sottolineato, nella specie, la carenza di tempestiva allegazione e prova dei suoi fatti costitutivi.
2.1. A tanto deve soltanto aggiungersi che nessun seguito può avere la richiesta di rimessione alle Sezioni Unite dell’odierno procedimento, invocata nella memoria suddetta, sul presupposto di asseriti orientamenti non univoci espressi dalla giurisprudenza di legittimità dopo le pronunce rese da Cass., SU, n. 41994 del 2021 e Cass. n. 9479 del 2023. In proposito, infatti, è sufficiente sottolineare, quanto al perimetro applicativo dei principi dettati dalla indicata pronuncia delle Sezioni Unite, che: a ) giusta Cass. n. 21841 del 2024, « La natura anticoncorrenziale pronunciata dalla Banca d’Italia, di clausole del modello ABI del contratto di fideiussione ” omnibus “, per contrasto con gli artt. 2, comma 2, lett. a), della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, determina l’invalidità e la possibile espunzione delle corrispondenti clausole inerenti a quel solo modello di contratto, in quanto la natura
anticoncorrenziale di quelle sanzionate è stata valutata rispetto ai possibili effetti derivanti dalla loro estensione ad una serie indefinita e futura di rapporti, tale da addossare sul fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca; tale giudizio sfavorevole e la conseguente invalidità non si estendono perciò anche alle fideiussioni ordinarie, oggetto di specifica pattuizione tra banca e cliente » ( cfr . in senso conforme, in motivazione, anche la più recente Cass. n. 3284 del 2025); b ) come recentemente chiarito da Cass. n. 30383 del 2024 ( cfr . in motivazione) , « i contratti di fideiussione ‘a valle’ dell’intesa sanzionata dall’allora Autorità Garante, con il menzionato provvedimento n. 55 del 2005, sono stati ritenuti parzialmente nulli, nel quadro di applicazione dell’articolo 1419 c.c., dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite , salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti: salvo che, in altri termini, non risulti che senza le tre clausole i contraenti non avrebbero concluso il contratto di fideiussione. Ma, a tal riguardo, è sufficiente evidenziare che, come è del resto intuitivo, spetta ‘a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contra tto’ (Cass. n. 18794 del 2023). . Passando alla questione della rilevazione officiosa della nullità parziale del contratto ‘a valle’ dell’intesa anticoncorrenziale, nullità che, nell’ottica della pronuncia delle Sezioni Unite, si produce di default , è agevole osservare che essa rilevazione richiede che risultino dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione, e cioè: i) l’esistenza del provvedimento della Banca d’Italia; ii) la natura della fideiussione, giacché il provvediment o della Banca d’Italia è riferito solo ed esclusivamente alle fideiussioni omnibus, non a quelle prestate per un affare particolare, fideiussioni omnibus le quali vengono specificamente prese in considerazione per la loro attitudine, evidenziata dall’Assoc iazione Bancaria Italiana, quale strumento di tutela macroprudenziale del sistema bancario, sicché l’accertamento effettuato dall’allora Autorità Garante è stato limitato a
tale tipologia di fideiussione, e solo rispetto ad essa può possedere l’efficacia probatoria privilegiata che l’ordinamento gli riconosce; iii) l’epoca di stipulazione della fideiussione, che deve essere stata stipulata entro l’ambito temporale al quale pu ò essere riferito l’accertamento della Banca d’Italia, evidente essendo che detto accertamento, operato nel 2005, non può affatto consentire di reputare esistente, e cioè persistente, in epoca successiva il pregresso accordo anticoncorrenziale, di guisa che, in caso di compresenza delle tre clausole successivamente al 2005, l’interessato ben può dedurre e comprovare che l’intesa anticoncorrenziale c’è, ma non certo in base al provvedimento precedente, bensì offrendone altra e specifica prova; iv) il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità e la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento in precedenza richiamato, esatta corrispondenza da riguardare, beninteso, in termini di compresenza, giacché, nella prospettiva seguita dal provvedimento n. 55, è la compresenza delle clausole ad essere lesiva della concorrenza; v) la concreta ricaduta della nullità delle clausole contrattuali sulla sussistenza, in tutto o in parte, del debito gravante sul fideiussore, sempre che tale ricaduta possa ancora essere invocata ». Ebbene, nella specie, è decisivo rilevare che i ricorrenti, pur assumendo che le clausole delle fideiussioni omnibus , da loro sottoscritte nel l’aprile 2011, fossero corrispondenti allo schema ABI ritenuto contrario alla cd. legge antitrust dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005, tuttavia non hanno allegato, ancor prima che dimostrato, che, alla data suddetta, ancora persisteva una intesa anticoncorrenziale come quella sanzionata dalla Banca d’Italia per il periodo 20002 -2005 e che le loro fideiussioni omnibus fossero effetto proprio di detta persistenza. In altri termini, l’accertamento della Banca d’Italia, effettuato nel 2005, non può affatto consentire di rep utare esistente, e cioè persistente, in epoca successiva il pregresso accordo anticoncorrenziale, sicché sarebbe stato onere degli odierni ricorrenti dedurre e comprovare che l’intesa anticoncorrenziale predetta ancora ci fosse nel l’aprile 2011, ma non certo in base al menzionato provvedimento precedente della Banca d’Italia, bensì offrendone altra e specifica prova.
Conclusione, questa, assolutamente coerente con la riportata pronuncia di questa Corte n. 30383 del 2024, né le odierne argomentazioni dei ricorrenti offrono elementi realmente significativi per rimeditarla.
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME deve essere respinto, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità atteso che nessuno dei destinatari della notificazione di tale ricorso ha svolto difese.
3.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, a norma dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ., malgrado l’essere rimaste solo intimate tutte le controparti ( cfr . Cass. n. 27947 del 2023; Cass. n. 5243 del 2024)
Vale rammentare, in proposito, che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi (del terzo e) del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. nn. 11346 e 16191 del 2024).
Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘tenuta’, pur nella sua sinteticità, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni per discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), NOME COGNOME e NOME COGNOME vanno condannati, in solido tra loro, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
3.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n.
15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei menzionati ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Condanna questi ultimi, in solido tra loro, al pagamento della somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile