Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26223 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26223 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4856/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (EMAIL)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL)
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, da Brescia (EMAIL)
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1966/2020 depositata il 23/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Svolgimento del processo
Con ricorso per decreto ingiuntivo del 31 ottobre 2013, la RAGIONE_SOCIALE, società cooperativa, richiedeva al Tribunale di Milano il pagamento dell’importo di euro 90.511,82 nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, nonché nei confronti di NOME, NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE deducendo che la debitrice principale, RAGIONE_SOCIALE, aveva sottoscritto in data 4 settembre 2012 con l’istituto di credito un contratto d i affidamento per apertura di credito e anticipi sia su esportazioni sia in conto corrente e che gli altri opponenti avevano rilasciato fideiussioni.
Avverso tale decreto i debitori proponevano opposizione, con atto di citazione del 10 gennaio 2014, eccependo in via pregiudiziale il difetto di rappresentanza processuale e, nel merito, l’intervenuta prescrizione o comunque la decadenza della garanzia fideiussoria, l’estinzione della stessa, la compensazione tra le somme pretese e quelle illegittimamente addebitate sul conto.
Con comparsa di costituzione la banca creditrice insisteva per la provvisoria esecuzione, che non veniva concessa e per la condanna,
nel merito, degli opponenti, contestando in maniera specifica le pretese di controparte anche fini della compensazione.
Con sentenza del 4 gennaio 2019 il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione.
Avverso tale decisione proponevano appello i debitori, con atto dell’11 febbraio 2019, notificato il giorno successivo, ribadendo le medesime difese, oltre all’omessa specifica contestazione da parte dell’istituto di credito delle eccezioni e difese. All’u dienza del 3 luglio 2019, deducevano la nullità dei contratti di fideiussione per violazione della legge antitrust, perché redatti sulla base del testo corrispondente a quello indicato da ABI e da ritenersi nullo sulla base di quanto segnalato da RAGIONE_SOCIALE di Italia nel 2015.
Si costituiva in giudizio la parte appellata facendo presente che in Gazzetta Ufficiale era stata pubblicata la cessione in blocco dei crediti che facevano capo alla banca, in favore di RAGIONE_SOCIALE e contestando nel merito tutti i motivi di impugnazione.
Si costituiva poi la RAGIONE_SOCIALE, quale procuratore speciale della società RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei tutti i crediti della RAGIONE_SOCIALE P opolare dell’RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE.
Con sentenza del 23 luglio 2020 la Corte territoriale di Milano rigettava l’appello con condanna al pagamento delle spese.
La Corte rilevava, con riferimento al motivo di appello B1 relativo al preteso difetto di rappresentanza della banca per mancata allegazione della procura, che la stessa risultava, al contrario, regolarmente inserita dal difensore del ricorrente nell’atto del deposito telematico del ricorso per ingiunzione, nel fascicolo monitorio, richiamando altresì i principi espressi dalla Corte di cassazione con decisione n. 14475 del 2015 e successive, conformi pronunzie (Cass. 31 luglio 2019, n. 20584).
Ha ritenuto infondato il motivo oggetto del punto B2 riguardante l’interpretazione dell’articolo 1957 c.c. in termini di inderogabilità
atteso che tale principio non sarebbe stato mai affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
Nello stesso modo riteneva infondato il motivo sub 3 riguardante l’estinzione delle garanzie fideiussorie ai sensi dell’articolo 1956 c.c. La doglianza si fonderebbe su una interpretazione distorta dei dati fattuali correttamente evidenziati dal Tribunale il quale, oltre all’argomentazione logica dell’inverosimiglianza dell’ignoranza da parte dei parenti delle operazioni bancarie compiute, correttamente evidenziava la rilevanza del saldo negativo del conto corrente nell’anno 2012 (circa euro 169.000) rispet to a quella ancora più gravosa dell’anno 2008 (circa euro 879.000).
La Corte condivideva il rigetto delle domande proposte dagli opponenti e fondate sul disposto dell’articolo 1815 c.p.c. poiché correttamente Tribunale, sulla base delle risultanze della stessa consulenza di parte debitrice, aveva preso atto che i conti anticipi azionati in via monitoria non presentavano alcun TEG oltre soglia. Rispetto a tale argomentazione il motivo di appello riguarderebbe la mancata considerazione delle commissioni di massimo scoperto, peraltro conteggiate in termini differenti rispetto all’approdo raggiunto dalla Corte di cassazione sul punto. La Corte territoriale ribadiva che la questione giuridica non riguardava la possibilità di compensare un preteso credito derivante da altro rapporto, ma la prova stessa della sussistenza del controcredito. Tale prova non potrebbe fondarsi sulla pretesa non contestazione sensi dell’articolo 115 c.p.c., non ricorrendo alcuna contestazione non specifica di fatto ovvero assunzione di una posizione incompatibile con la affermazione di quei fatti. In secondo luogo, non sussisteva a monte la contraria allegazione, da parte degli opponenti, di specifiche e chiare circostanze di fatto.
Quanto alla nullità delle fideiussioni dedotta in sede di precisazione delle conclusioni in appello, la questione, effettivamente rilevabile anche d’ufficio, sarebbe infondata. Parte opponente avrebbe dovuto
precisare non solo il profilo della nullità, ma anche la conseguenza che quel vizio avrebbe prodotto sul diritto della parte ad una scelta effettiva tra una pluralità di prodotti concorrenti. In ogni caso, non sarebbe allegata la prova che una delle presunte clausole nulle avesse effettivamente trovato applicazione nella fattispecie producendo un danno e che le parti, conoscendone la nullità, non avrebbero concluso il contratto.
Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’amministratore, e NOME e NOME COGNOME, con ricorso datato 15 febbraio 2021, affidandosi a nove motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
L’altra intimata non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti insistono per il difetto di rappresentanza della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di primo grado, violazione o falsa applicazione dell’articolo 360, n. 3 c.p.c. e degli articoli 166 e 182 c.p.c.
L’istituto di credito si era costituito nel giudizio di primo grado con comparsa del 16 giugno 2014, in forza di procura rilasciata in calce al ricorso per decreto ingiuntivo.
Secondo i ricorrenti tale documento, come già dedotto in primo e secondo grado, non sarebbe stato rinvenuto ‘neppure agli atti del giudizio di opposizione ‘. Ed in effetti mancava il fascicolo d’ufficio del procedimento monitorio, come segnalato dal Tribunale di Milano che, nel rigettare l’istanza di concessione della provvisoria esecuzione, avrebbe rimarcato il mancato deposito del fascicolo monitorio. Tali fatti sono stati ritenuti infondati dal Tribunale e dalla Corte d’appello. In particolare, la Corte t erritoriale ha richiamato l’orientamento della Cassazione che nel 2019 ha affermato il principio secondo cui i documenti prodotti in allegato alla richiesta di decreto ingiuntivo,
siccome esposti al contraddittorio delle parti, ‘non possono essere qualificati come nuovi, nei successivi sviluppi del processo’. Tale principio sarebbe, però, inconferente perché riferito alla questione della tardività dei documenti posti a fondamento della pretesa creditoria e non alla procura alle liti, funzionale invece alla regolare costituzione in giudizio della parte. Infatti, la procura costituirebbe un documento avulso dal merito del giudizio e da valutare nell’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ai fini della costituzione regolare dell’opposto.
Il motivo è infondato.
Le doglianze sono ripetitive, per buona parte, delle argomentazioni già oggetto dei motivi di appello e pienamente prese in esame dalla corte territoriale.
L’unico profilo di novità riguarda la presunta non applicabilità dei principi affermati da questa Corte, secondo cui non ricorrerebbe l’ipotesi di tardività dei documenti prodotti in allegato alla richiesta di decreto ingiuntivo, poiché il fascicolo del procedimento monitorio rimanendo a disposizione della controparte fino alla scadenza del termine per proporre opposizione, non ingenera profili di novità dei relativi documenti originariamente inseriti.
Orbene i ricorrenti hanno assertivamente sostenuto di non condividere tale assunto.
Al contrario, la ratio posta a sostegno delle decisioni richiamate dalla Corte territoriale (Cass. n. 20584 del 2019 e n. 14475 del 2015) accomuna necessariamente tutti documenti inseriti nel fascicolo monitorio e tra questi la procura alle liti.
Peraltro, non viene più riproposta la questione che deve ritenersi ormai pacifica in fatto e cioè che la procura alle liti era regolarmente inserita dal difensore del ricorrente, all’atto del deposito telematico del ricorso per ingiunzione, nel fascicolo monitorio, unitamente ai documenti comprovanti le ragioni del credito.
Pertanto, la omessa notifica della procura, unitamente alla notifica del decreto ingiuntivo, non costituisce una ipotesi di nullità del decreto medesimo poiché tale ulteriore adempimento non è prescritto da alcuna disposizione, in quanto il fascicolo monitorio appartiene al fascicolo di ufficio già al momento del suo originario deposito con il ricorso introduttivo.
Con il secondo motivo si ribadisce la nullità dei contratti di fideiussione, rispettivamente del 2 novembre 2005, del 22 giugno 2007, del 21 maggio 2008 e del 29 agosto 2011, ai sensi degli articoli 1418 1419 c.c. e dell’articolo 2 della legge n. 287 del 1 990 e ai sensi del provvedimento della RAGIONE_SOCIALE d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005. Si lamenta la violazione dell’articolo 360, n. 3 Codice civile degli articoli 101 e 345 del codice di rito e dell’articolo 1421 c.c., nonché degli articoli di 41 e 111 della Costituzione. Come rilevato dalla Corte territoriale, all’udienza di precisazione delle conclusioni del 29 aprile 2020 gli odierni ricorrenti avevano eccepito la nullità dei contratti di fideiussione sopra citati perché formulati con testo corrispondente a qu ello indicato da RAGIONE_SOCIALE rispetto al quale RAGIONE_SOCIALE d’Italia ha ravvisato un’ipotesi di contrasto con l’articolo 2, comma 2, lett. e) della legge 287 del 1990.
Con il terzo motivo si insiste per la nullità dei già menzionati contratti di fideiussione per violazione dell’articolo 360, n. 3 del codice di rito ai sensi delle medesime disposizioni sopra citate. Rispetto all’argomentazione della Corte territoriale si fa presente che la verifica della presumibile volontà delle parti di non stipulare un contratto a quelle condizioni, avrebbe dovuto essere compiuta ipotizzando la nullità dell’atto e quindi, l’esistenza di un assetto economico di interessi non falsato dalla presenza di un accordo elusivo della concorrenza. In sostanza, lo stesso contesto monopolista non consentirebbe ai contraenti alcuna alternativa per cui non avrebbe avuto senso richiedere, come invece ha fatto la
Corte d’appello, un’indagine sulla presumibile volontà dei contraenti immaginata in un contesto di assenza di libertà di scelta.
In secondo luogo, osservano i ricorrenti, la stessa RAGIONE_SOCIALE d’Italia evidenzia che la mera ‘standardizzazione contrattuale non produce necessariamente eventi anticoncorrenziali. Essa può risultare compatibile con le regole di concorrenza a condizione che di schemi uniformi non ostacolino la possibilità di diversificazione del prodotto’. Nel caso di specie, al contrario, le clausole addossano al fideiussore le conseguenze negative dell’inosservanza di obblighi di diligenza che gravano sulla banca e quindi non risultano giustificabili prospettando un fatto lesivo della concorrenza, in quanto tale nullo.
I motivi sono inammissibili per una pluralità di ragioni.
In primo luogo, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza. È necessario specificare, in ossequio al principio di autosufficienza, la sede in cui gli atti stessi sono rinvenibili (fascicolo d’ufficio o di parte), provvedendo anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16900 del 19/08/2015, Rv. 636324).
Nel caso di specie, gli stessi ricorrenti prospettano questioni che impongono l’esame specifico del testo contrattuale. I ricorrenti richiedono alla Corte di cassazione di interpretare quelle clausole sulla base delle argomentazioni prospettate dai ricorrenti medesimi e non sulla base dei criteri ermeneutici adottati dalla Corte territoriale. Gli stessi ricorrenti fanno presente che ‘la semplice standardizzazione contrattuale non produce necessariamente effetti anticoncorrenziali’, richiamando l’opinione della RAGIONE_SOCIALE d’Italia ed evidenziando che la valutazione va fatta caso per caso sulla base
delle singole disposizioni contrattuale al fine di verificare se gli effetti previsti in contratto risultino funzionalmente giustificabili o giuridicamente (in)ammissibili quale fatto lesivo della concorrenza. Orbene, quel testo non è trascritto in alcun modo o, quanto meno, non sono riportati i passaggi essenziali contestati e questo a prescindere dal tipo di sindacato che si vuole richiedere a questa Corte di legittimità.
In secondo luogo, va ribadito che l’interpretazione di un atto negoziale è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'”iter” logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’ inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa. Orbene, anche sotto tale profilo i motivi sono del tutto carenti poiché non vi è alcun riferimento o alcuna argomentazione che riguardi le questioni sopra evidenziate e richieste a pena di inammissibilità dalla giurisprudenza costante di legittimità.
Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 1957 c.c, l’intervenuta prescrizione della garanzia fideiussoria concordate tra l’istituto di credito e i fideiussori con violazione l’articolo 360, n. 3 del codice di rito e degli articoli 1418, 1419, 1421 e 1957 c.c., nonché degli articoli 115 e 116 c.p.c. Deducono che la pretesa azionata dall’Istituto di credito è stata fatta valere quando il termine
previsto all’articolo 1957 c.c. era già decorso. Vengono poi ribaditi i profili di nullità conseguenti alla corrispondenza tra le clausole contenute nei regolamenti contrattuali delle fideiussioni e quelle presenti nello schema predisposto da RAGIONE_SOCIALE e censurato, a talune condizioni, da RAGIONE_SOCIALE d’Italia.
Il motivo è inammissibile perché non si confronta in alcun modo con le puntuali argomentazioni posta sostegno della decisione impugnata. La Corte d’appello ha infatti evidenziato che la censura presuppone la inderogabilità del termine, ma tale requisito ‘n on si desume affatto dal testo della norma e non è mai stato affermato dalla giurisprudenza’, richiamando correttamente l’orientamento costante della Corte di legittimità. Rispetto a tali considerazioni giuridiche i ricorrenti non hanno prospettato alcun profilo specifico di novità. A riguardo va aggiunto che il fideiussore può rinunziare alla tutela prevista all’articolo 1957 c.c., sia preventivamente, sia mediante comportamenti concludenti. Nel caso di specie, come pure osservato dalla Corte territoriale, il presupposto della previa escussione del debitore nel termine semestrale risulta escluso sulla scorta della clausola numero 6 delle fideiussioni in atti, che prevede proprio la deroga alla applicabilità della norma codicistica. Come correttamente evidenziato ed allegato dalla controricorrente, la clausola di quell’articolo 6 prevede che ‘i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escludere il debitore principale o il fideiussore medesimo o qualsiasi altro coobbligato garante, entro i termini previsti all’articolo 1957 c.c., che si intende derogato ‘.
Con il quinto motivo si deduce l’estinzione dell’efficacia delle garanzie fideiussoria concordate tra le parti e si lamenta la violazione dell’art. 360, n. 3 c.p.c. e dell’articolo 1956 c.c., nonché degli articoli 115 e 116 c.p.c.
I ricorrenti sostengono che la Corte territoriale avrebbe errato nella valutazione dei fatti di causa, escludendo la sussistenza di un deterioramento patrimoniale a carico della società e, comunque, che tale pregiudizio fosse conoscibile effettivamente. La Corte d’appello, secondo i ricorrenti, avrebbe escluso l’applicabilità della norma sulla base del semplice vincolo di parentela tra i fideiussori ed il debitore principale, ritenuto sufficiente ad escludere articolo 1956 cc.
Il motivo è inammissibile poiché si chiede alla Corte territoriale di rivalutare il materiale probatorio e si suggerisce alla stessa di interpretare, diversamente da come ha fatto, il tenore letterale delle clausole negoziali. Il tutto senza fare riferimento ai principi che riguardano la deduzione in sede di legittimità dei vizi ermeneutici ed il rinvio agli artt. 1362 c.c. e segg. e prospettando sostanzialmente un terzo grado di giudizio che, in quanto tale, riguardando l’interpretazione di fatti storici è del tutto precluso alla Corte di legittimità.
Peraltro, la doglianza è anche infondata poiché i ricorrenti riducono lo spessore argomentativo delle considerazioni espresse dalla Corte territoriale la quale non ha rigettato il corrispondente motivo di appello sulla base dei rapporti di parentela. Al contrario, ha supportato quella decisione con di una serie di considerazioni convergenti.
In primo luogo, ha evidenziato i rapporti di parentela e di affari che legano i fideiussori ed il debitore principale e che rendevano del tutto inverosimile l’ignoranza, da parte dei primi, delle operazioni bancarie compiute dal secondo. In secondo luogo, ha specificamente contestato la sussistenza della fattispecie prevista dall’articolo 115 c.p.c. non essendovi alcuna non contestazione sul punto. In particolare, ha escluso ciò, sia perché la deduzione dei debitori era generica e riguardo al profilo fattuale, priva di argomentazioni specifiche a sostegno del peggioramento delle condizioni patrimoniali
della società e senza alcuna indicazione riguardo alla conoscenza delle stesse da parte della banca.
La Corte ha evidenziato che, al momento della concessione delle aperture di credito, non vi erano elementi concreti che potessero evidenziare difficoltà economiche della società debitrice. Tanto che la Corte territoriale ha argomentato che le doglianze riproposte anche in atto di appello si fondavano su una visione surrettizia ed errata dell’argomentare del Tribunale.
Infatti, con riferimento all’andamento economico della società, la Corte territoriale ha ribadito quanto già evidenziato dal Tribunale e cioè che nell’anno 2012, epoca di concessione dell’affidamento contestato, il saldo passivo sul conto corrente era di euro 169.000, mentre in precedenza, nel 2008, il saldo era stato ben più penalizzante (euro 879.000 circa).
Con il sesto e settimo motivo di impugnazione lamentano l’omessa compensazione tra il postulato debito di RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’istituto di credito, oggetto del decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Milano e le somme di denaro dovute dalla medesima banca a RAGIONE_SOCIALE in conseguenza della applicazione illegittima di saggi di interesse e oneri ulteriori. Con ciò lamentando una violazione dell’articolo 360, n. 3 c.p.c. e degli articoli 1302 e 1949 c.c.
Sotto altro profilo deducono l’omessa compensazione tra i crediti sopra indicati, con violazione dell’articolo 2909 c.c. e degli articoli 115, 116 e 324 c.p.c. La Corte territoriale avrebbe errato nel dichiarare la carenza di prova in ordine all’effettivo versamento delle somme che si assumono non dovute.
I motivi sono inammissibili per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, perché sostanzialmente non si confrontano con la decisione impugnata. La Corte territoriale ha inteso chiarire che la questione decisiva riguardava non la possibilità giuridica di compensare crediti relativi a rapporti diversi tra le parti e di segno
opposto, ma la fondatezza stessa della pretesa fatta valere dagli opponenti, quale controcredito. La Corte territoriale ha aggiunto che le richieste istruttorie e, in particolare quella di consulenza contabile, erano già state rigettate dal Tribunale perché le pretese erano formulate in maniera del tutto generica e avanzate sulla base di calcoli effettuati sulla base di metodiche non in linea con i principi in materia di contratti bancari. In particolare, ha evidenziato che dallo stesso elaborato peritale di parte emergeva la mancata applicazione di tassi usurai o di interessi non pattuiti.
Sotto altro profilo la censura è inammissibile poiché si chiede a questa Corte di valutare il materiale probatorio e la rilevanza dei mezzi di prova rispetto ai documenti prodotti in sede di merito. Sotto tale profilo va ribadito che la Corte di legittimità non ha un sindacato riguardo al giudizio di carenza di prova su un punto decisivo della controversia, la quale costituisce proprio il passaggio centrale della motivazione della Corte territoriale.
Con l’ottavo motivo si deduce la omessa specifica contestazione, da parte dell’istituto di credito, delle eccezioni delle contestazioni relative alla illegittima applicazione di saggi di interesse a rapporti intercorsi tra la medesima banca e RAGIONE_SOCIALE e la conseguente violazione l’articolo 360, n. 3 c.p.c. e degli articoli 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c. I ricorrenti ritengono errata la decisione impugnata nella parte in cui non avrebbe acclarato la sussistenza di una non contestazione da parte dell’i stituto di credito, con riferimento alle eccezioni degli opponenti riguardanti l’applicazione di competenze e saggi di interesse indebiti. Gli odierni ricorrenti deducono di avere fornito la prova delle proprie doglianze producendo la consulenza di parte e richiedendo ai giudici di merito di disporre consulenza tecnica di ufficio.
Il motivo è inammissibile perché si chiede a questa Corte di legittimità di rivalutare il materiale probatorio, mentre tale attività costituisce prerogativa esclusiva del giudice di merito. Il motivo, in
sostanza, non contiene alcuna denuncia del paradigma dell’art. 2697 c.c. e di quello dell’art. 115 c.p.c., bensì lamenta soltanto una erronea valutazione di risultanze probatorie. La violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016). Peraltro, è lo stesso ricorrente ad evidenziare, richiamando la decisione di queste Sezioni Unite n. 19597 del 18 settembre 2020, che nell’ipotesi in cui il debitore intenda provare l’entità usuraria comunque non dovuta degli interessi ‘ha l’onere di dedur re il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del Tegm nel periodo considerato con gli altri elementi contenuti nel decreto
ministeriale’. Solo dopo avere correttamente espletato tale attività ‘è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui di diritto … la diversa misura degli interessi applicati o altro’. La Corte territoriale ha deci so proprio sulla base di tale principio, evidenziando la genericità dell’allegazione degli opponenti, peraltro presente anche nella formulazione del ricorso per cassazione. Inoltre, i ricorrenti non trascrivono in alcun modo le deduzioni formulate in grado di appello e, soprattutto, la posizione adottata dall’istituto di credito al fine di dimostrare l’esistenza di una non contestazione. Al contrario, come correttamente allegato nel controricorso, la banca ha trascritto le proprie controdeduzioni formulate in grado di appello che contengono una dettagliata e specifica contestazione della pretesa di controparte, adottando una posizione difensiva del tutto incompatibile con l’affermazione delle tesi sostenute anche in questa sede dai ricorrenti.
Con il nono motivo i ricorrenti lamentano il rigetto dell’istanza istruttoria finalizzata alla consulenza tecnica d’ufficio funzionale all’individuazione degli importi che sarebbero stati addebitati illegittimamente ad RAGIONE_SOCIALE da parte della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, così come evidenziato nella relazione di parte del 16 dicembre 2013. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità. Parte ricorrente ha omesso di trascrivere i passaggi salienti della consulenza di parte che attesterebbe l’applicazione di poste e interessi illegittimi. Inoltre, il motivo non si confronta in alcun modo con la argomentazione della Corte territoriale che ha evidenziato che la consulenza di parte è stata redatta utilizzando criteri e formule di calcolo errati, non in linea con la giurisprudenza di legittimità in materia. In ogni caso si tratta di valutazi oni che riguardano il profilo probatorio e dell’idoneità dei mezzi istruttori che non possono formare oggetto di sindacato in sede di legittimità.
Alla luce di quanto precede il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE, seguono la soccombenza.
Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore dell’altra intimata, non avendo la medesima svolto attività difensiva.
PTM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 6.200,00 , di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte