Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2062 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2062 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15845-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 463/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI -SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 12/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; Lette le memorie delle parti;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
Il Tribunale di Nuoro con sentenza n. 398/2016 dichiarava l’autenticità delle sottoscrizioni apposte da COGNOME NOME e COGNOME NOME alla scrittura privata del 29/9/1993, qualificata come contratto di divisione, e per l’effetto accertava la titolarità esclusiva dei beni di cui alla scrittura, in conformità dell’accordo divisionale, rigettando la domanda riconvenzionale di usucapione proposta dal convenuto COGNOME NOME, nonché quella di divisione, atteso che le parti avevano già provveduto a dividere tra loro i beni comuni.
La Corte d’Appello di Cagliari sezione Distaccata di Sassari con la sentenza n. 463 del 12/10/2019 ha rigettato l’appello di COGNOME NOME, con la condanna alle spese del grado in favore dell’appellato.
In primo luogo, disattendeva il motivo di appello che atteneva alla violazione dell’art. 112 c.p.c., ritenendo che l’autenticità delle sottoscrizioni apposte alla scrittura privata oggetto di causa non era stata contestata, sicché l’appellante non aveva motivo di dolersi del fatto che il Tribunale aveva comunque affermato l’autenticità delle sottoscrizioni.
Quanto al motivo di appello che riproponeva la tesi della nullità della scrittura per la violazione dell’art. 458 c.c., la Corte distrettuale rilevava che i beni di cui alla scrittura erano pervenuti
alle parti per effetto di un atto di divisione di un terreno sul quale avevano poi edificato un’abitazione ed un garage.
COGNOME NOME a sua volta aveva ricevuto in donazione dai genitori un appartamento in Nuoro ed una quota di altro immobile in Firenze, sicché con la scrittura, tenuto conto delle altre donazioni ricevute, COGNOME NOME aveva rinunciato al diritto di comproprietà sull’abitazione realizzata sul terreno, accontentandosi della sola proprietà del garage. Il riferimento nell’atto alla tacitazione in tal modo ‘di ogni avere dai beni dal compendio familiare’ non consentiva di affermare che le parti avessero concluso un patto successorio dispositivo ovvero rinunciativo, in quanto le parti intendevano disporre dei beni di cui già erano titolari per effetto delle donazioni ricevute, essendo l’intento solo quello di perequare la differenza di valore tra le varie donazioni poste in essere Ciò trovava conferma nel fatto che le parti erano pienamente consapevoli della differenza di valore tra le varie donazioni ricevute, e che l’assegnazione dei beni era stata compiuta in maniera tale da impedire anche eventuali azioni di rescissione, ponendo in essere a ben vedere una transazione divisionale.
Era, infine, disatteso anche il motivo di appello che investiva la compensazione solo parziale delle spese di lite.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso COGNOME NOME sulla base di tre motivi.
COGNOME NOME resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il primo motivo di ricorso deduca la violazione o falsa applicazione dell’art. 17 della legge n. 47/1985, oggi art. 46 del
DPR n. 380/2001 (ovvero dell’art. 40 della legge n. 47/1985), nonché degli artt. 1418, 1421 c.c. e 112 c.p.c.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 46 citato, come interpretato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, anche gli atti di divisione immobiliare sono affetti da nullità in assenza degli estremi del permesso di costruire ovvero del permesso in sanatoria, e ciò anche se la divisione abbia ad oggetto immobili realizzati in data successiva al 1 settembre 1967, ma anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 47/1985. L’intervenuta qualificazione della scrittura privata del 23/9/1993 quale atto di divisone dei beni comuni tra i germani COGNOME, consente di affermare che la stessa sia affetta da nullità, atteso l’omesso riferimento agli estremi del provvedimento autorizzatorio della costruzione.
Peraltro, è consentito al giudice, anche di legittimità, il rilievo di ufficio della nullità negoziale, e ciò anche nel caso in cui nei gradi di merito la nullità sia stata invocata facendo riferimento ad una diversa fattispecie invalidante.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi il giudice di appello pronunciato sulla dedotta questione di nullità, rilevabile d’ufficio, e ciò in ragione del fatto che il tema della validità del contatto era ancora sub iudice , sebbene invocato in relazione ad altra causa di invalidità, per effetto dell’appello proposto dall’odierno ricorrente.
I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono fondati.
Il ricorrente ha fedelmente riprodotto in ricorso alle pagg. 1 e 2 il contenuto del contratto del 23/9/1993, qualificato dai giudici di merito come accordo divisionale, e dalla lettura dello stesso si evince che effettivamente le parti hanno inteso procedere allo
scioglimento della comunione dei diritti di proprietà vantati su alcuni beni immobili dalle stesse acquisiti, anche a seguito di attività edificatoria posta in essere su di un terreno acquistato per donazione, dandosi peraltro atto che, alla data della scrittura, era ancora in corso la costruzione del locale garage, del quale del pari si disponeva.
Rileva il Collegio che a seguito del recente arresto di questa Corte nella sua più autorevole composizione, è stato, da un lato, precisato che la nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile (Cass. S.U. n. 8230/2019), e, dall’altro, affermato che la detta causa di nullità si applica anche agli atti di divisione, finanche di provenienza ereditaria, e ciò senza che rilevi che l’abuso sia stato commesso in epoca anteriore alla data di entrata in vigore della legge n. 47/1985 (Cass. S.U. n. 25021/2019).
Alla luce di tali principi, ai quali il Collegio intende assicurare continuità, emerge con evidenza come la scrittura in esame, proprio in quanto ritenuta costituire una divisione di beni immobili già di proprietà dei condividenti (e quindi ne è stata esclusa anche la qualifica di divisione ereditaria), sia del tutto priva delle necessarie indicazioni concernenti la regolarità urbanistica del
bene, e che pertanto sia affetta dalla nullità testuale come sopra individuata.
Il riscontro della causa di nullità, peraltro, si ricava dalla mera lettura del contenuto del contratto, con la conseguenza che essendo sollecitata la risoluzione di una questione di diritto, non può predicarsene l’inammissibilità, atteso che il suo rilievo, sebbene sollecitato per la prima volta con i motivi di ricorso in esame, non richiede accertamenti in fatto e ben può essere operato dal giudice di legittimità.
Né è di ostacolo la circostanza che nei gradi di merito fosse stata richiesta la declaratoria di nullità dell’accordo in questione, ma per cause diverse da quelle ora dedotte, atteso che secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella sua più autorevole composizione (Cass. S.U. n. 26242/2014), il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella allegata dall’istante, essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicché è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio.
A tale principio ha mostrato poi di adeguarsi la successiva giurisprudenza di legittimità che in più occasioni ha ribadito che (Cass. n. 26495/2019) il giudice innanzi al quale sia proposta una domanda di nullità contrattuale deve rilevare d’ufficio l’esistenza di una causa di nullità diversa da quella prospettata, che sia desumibile dai fatti dedotti in giudizio ed abbia carattere assorbente, con l’unico limite di dovere instaurare il contraddittorio prima di statuire sul punto (Cass. n. 8914/2019; Cass. n. 16977/2017; Cass. n. 15408/2016; Cass. n. 12996/2016
che espressamente ammette il rilievo d’ufficio della nullità per la prima volta in sede di legittimità).
La giurisprudenza alla quale fa richiamo la difesa del controricorrente risale in prevalenza ad epoca anteriore all’intervento delle Sezioni Unite del 2014, e non tiene conto della valenza nomofilattica dei principi affermati in tale occasione, ed ai quali, come detto, si è conformata la successiva giurisprudenza.
Quanto poi all’argomento secondo cui i beni in realtà non sarebbero abusivi, in quanto realizzati per effetto di provvedimenti concessori legittimi, lo stesso non si confronta con il carattere formale della nullità di cui al citato art. 46 del DPR n. 380/2001, che peraltro prende in esame la possibilità che il bene oggetto del contratto invalido sia stato però costruito in virtù di un valido provvedimento autorizzatorio, contemplando però per tale ipotesi la possibilità di conferma, anche ad opera di una sola delle parti contraenti, mediante atto successivo munito della medesima forma prevista per l’atto da confermare, e che contenga la menzione omessa (art. 46 co. 4).
Né tale conclusione è suscettibile di essere rivalutata alla luce del fatto che il controricorrente ha depositato, evidentemente ai sensi dell’art. 372 c.p.c., la documentazione asseritamente attestante l’esistenza del titolo abilitativo della costruzione e l’atto di conferma di cui all’art. 46, co. 4, del D.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi all’evidenza di documenti insuscettibili di rientrare nella previsione di cui all’art. 372 c.p.c., il che ne rende impossibile la valutazione in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 5953/2005, che in tema di riconoscimento del diritto al compenso in favore di chi assume di avere svolto attività di mediatore, quanto all’iscrizione all’albo di cui alla legge n. 39/89, sia che
comporti la nullità del contratto di mediazione, sia che comporti solo la mancanza del diritto alla provvigione determina il rigetto della domanda, si è sostenuto che la relativa prova deve essere fornita innanzi al giudice di merito, restando preclusa la produzione in cassazione, ex art. 372 cod. proc. civ, di documenti comprovanti l’iscrizione).
Infatti, il deposito di documenti relativi a vicende successive al deposito del ricorso per cassazione non è consentito, indipendentemente dal rispetto delle forme previste dall’art. 372, secondo comma, cod. proc. civ., fatta eccezione per quei documenti che riguardano la nullità della sentenza e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso nonché dell’atto di rinuncia al ricorso (Cass. n. 9689/2002), nel cui ambito non rientra la dichiarazione di conferma prodotta dalla difesa del controricorrente.
Per effetto dell’accoglimento dei motivi in esame, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Cagliari, in diversa composizione.
L’accoglimento dei primi due motivi implica poi l’assorbimento del terzo motivo di ricorso con il quale si denuncia la violazione o falsa applicazione degli art. 458, 557, 1362, 1363, 1418 e 1421 c.c., nonché 115, 116 e 132 co. 2 n. 4 c.p.c., quanto al rigetto della richiesta di accertare la nullità della divisione per la violazione del divieto dei patti successori.
Il giudice del rinvio, come sopra designato, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
PQM
Accoglie i primi due motivi di ricorso, ed assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio
alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda