Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5095 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5095 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4700/2020 R.G. proposto da
COGNOME NOME e COGNOME NOME , domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentati e dife si dall’AVV_NOTAIO, giusta procura a margine del ricorso;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE liquidazione, in persona del l.r.p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresenta e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
Oggetto:
RAGIONE_SOCIALE bilancio impugnazione delibera approvazione
AC – 20/02/2024
avverso la sentenza della Corte di appello di Catania, prima sezione civile, n. 1540/2019 del 26 giugno 2019; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20 febbraio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME e NOME COGNOME, soci della RAGIONE_SOCIALE a far data dalla sua costituzione sino a detenere quote pari al 25% del capitale sociale, hanno proposto ricorso in cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Catania che, pronunciando in sede di rinvio da questa Corte, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, ha respinto la domanda di nullità derivata delle deliberazioni assembleari della società (poi messa in liquidazione), prese in data 19 marzo 2002 e 9 ottobre 2003, successive alle deliberazioni di approvazione dei bilanci relativi agli esercizi sociali degli anni 2000 e 2001 assunte rispettivamente in data 11 giugno 2001 e 18 marzo 2002.
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha resistito con controricorso.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva: ha osservato che: a) questa Corte regolatrice, con la sentenza n. 2190 del 4 febbraio 2016 resa nel corso del giudizio, ha parzialmente accolto il ricorso per cassazione della società avverso la sua prima sentenza di appello, con la seguente motivazione: ‘ le plurime doglianze avanzate dalla ricorrente intendono sostanzialmente censurare la pronuncia per la nullità derivata di tutte le delibere successive di approvazione dei bilanci, delle quali la Corte d’appello indica “segnatamente” la deliberazione di aumento e di riduzione del capitale del 9/10/2003,” in quanto funzionalmente subordinata ai
bilanci approvati e successivamente dichiarati nulli. E’ sufficiente al riguardo rilevare che il giudice d’appello, al quale era stata devoluta la questione relativa alla pronuncia di nullità delle delibere successive, sulla base del mero richiamo al principio della nullità derivata, è incorso nel palese vizio di motivazione, per non avere indicato né le delibere colpite dalla nullità derivata, né sotto quali profili i vizi dei bilanci 2000 e 2001 avessero influito sul contenuto delle successive ulteriori delibere né, specificamente con riguardo alla delibera di ricostituzione del capitale dell’ottobre 2003, per non avere chiarito se ed in quale misura la situazione patrimoniale in base alla quale è stata assunta detta deliberazione avesse risentito dei bilanci ritenuti nulli. ‘ ; b) alla luce del principio di diritto da applicare in fase di rinvio e sulla scorta della disposta consulenza tecnica di ufficio, doveva escludersi che i vizi dei bilanci 2000 e 2001, segnatamente riconducibili alla mancata iscrizione all’attivo della voce ‘Crediti v/ soci per aumento di capitale ‘ e della relativa contropartita al passivo ‘Fondo c/ aumento di capitale’, poi iscritte nel successivo bilancio 2002, avessero determinato alcuna impropria rappresentazione della reale entità del patrimonio netto della società, rilevante al momento dell’assunzione della deliberazione di aumento di capitale datata 19 marzo 2002; c) né alcun vizio poteva rinvenirsi per effetto della declaratoria di nullità dei bilanci 2000 e 2001 nemmeno nella successiva deliberazione del 9 ottobre 2003 di riduzione e contestuale aumento di capitale, siccome la situazione patrimoniale aggiornata al 30 settembre 2003, sulla cui base la predetta deliberazione è stata assunta, come oppure il bilancio chiuso al 31 dicembre 2002, recavano puntualmente le voci ‘Crediti v/ soci per aumento di capitale ‘ e della relativa contropartita al passivo ‘Fondo c/ aumento
di capitale’, così da far venire meno a tale data alcuna omessa appostazione.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso lamenta:
Primo motivo: «1) Violazione degli artt. 2423, 2423-bis e 2424 del codice civile, in relazione all’art. 360, n. 3 del cod. proc. civ.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per avere deciso sulla base dell’acritica accettazione delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, omettendo di rilevare che, per effetto del giudicato interno formatosi sull ‘ accertata nullità dei bilanci sociali relativi agli esercizi 2000 e 2001, la normativa applicabile, ivi compreso il principio contabile OIC 28, prescrive che, a fronte di un aumento di capitale, anche futuro. occorre iscrivere al passivo una riserva di importo equivalente; di talché, essendo stato tale adempimento omesso al momento dell’ assunzione della deliberazione di aumento di capitale del 2002, la consistenza contabile rappresentata non poteva ritenersi reale e veritiera, non dando conto dell ‘ esistenza della riserva che avrebbe dovuto essere iscritta, e ciò del tutto a prescindere dall’ esistenza o meno di versamenti eseguiti dai soci in conto aumento di capitale.
Secondo motivo: «2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2496, 2447, 1421 e 2379 (nel testo vigente ratione temporis ) del cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3 del cod. proc. civ.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per non avere rilevato che la deliberazione impugnata di aumento di capitale del 19 marzo 2002 era stata assunta sulla base di una rappresentazione patrimoniale (risultante dal bilancio chiuso al 31 dicembre 2001) del tutto inveritiera e scorretta, tanto da
determinarne la nullità per essere presente una difformità di importo nel patrimonio netto della società a quella data, rilevante ai fini della sussistenza di una falsa rappresentazione ai soci della reale consistenza del relativo importo, che non avrebbe indotto a ricapitalizzare la società, non sussistendone a quel punto i presupposti obbligatori legali.
I primi due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, non possono trovare accoglimento.
Osserva questa Corte che la decisione resa dalla Corte territoriale è corretta nella sua conclusione, anche se va emendata in diritto. Non è corretto, in diritto, affermare, come ha fatto il giudice di secondo grado, che non sarebbe stata necessaria l’iscrizione delle voci inerenti al debito sociale da ricapitalizzazione, posto che anche un’eventuale riserva a copertura del debito della società per l’aumento di capitale avrebbe necessitato di una nuova manifestazione di volontà dei soci. E tanto perché – in astratto l’impugnazione della deliberazione assembleare, fondata sulla deduzione della violazione del principio di veridicità del bilancio e/o della situazione patrimoniale aggiornata al momento della decisione dei soci, prescinde del tutto dalla sussistenza di un danno subito dai soci per effetto della deliberazione medesima, ma si sostanzia nella sola e sufficiente dimostrazione dell’esistenza dell’attualità della causa dell’invalidità dedotta al momento della decisione da parte del giudice.
Ne consegue che altrettanto incongrue, ai fini del decidere, appaiono le considerazioni espresse nella sentenza impugnata e afferenti alla non esecuzione delle deliberazioni di aumento di capitale oggetto di impugnazione. La circostanza che la c.t.u. abbia dimostrato che, a fronte del credito della società verso i soci per il
deliberato aumento di capitale, nessun versamento era stato concretamente eseguito per effetto della delibera del marzo 2002, come si evinceva anche dalla nota integrativa al bilancio chiuso al 31 dicembre 2002, non giustifica in iure la conclusione della Corte territoriale secondo cui l’omessa iscrizione della riserva in conto aumento capitale non aveva effettivamente determinato alcuna falsa o scorretta rappresentazione della reale situazione patrimoniale della società al momento dell’ad ozione della deliberazione impugnata , posto che l’ assenza di conferimenti dei soci non avrebbe ‘ concretizzato ‘ il debito della società a tale scopo, e l’eventuale esistenza di un’ast ratta appostazione a riserva sarebbe stato quindi ininfluente.
In realtà , la ragione dell’infondatezza delle due censure in esame risiede nella circostanza che ciò che il giudice di secondo grado ha accertato, e che giustifica la correttezza della conclusione assunta, è che la deliberazione di aumento di capitale del 2002 non aveva esplicitato alcun effetto ed era stata ‘corretta’, nelle sue conseguenze pregiudizievoli, dalla situazione patrimoniale allegata al bilancio approvato per l’esercizio 2002, nonché dalla successiva deliberazione del 2003, parimenti oggetto di impugnazione, ove le appostazioni contabili inizialmente omesse erano state puntualmente inserite.
In tale contesto, richiamato il principio per cui l’invalidità delle deliberazioni assembleari non può mai essere pronunciata ove l’effetto della stessa sia cessato al momento della pronuncia del giudice per effetto di successive deliberazioni assunte dalla società medesima, occorre dare atto della sostanziale correttezza della reiezione dell’impugnativa propost a nel presente giudizio, laddove la superiore ricostruzione in fatto, insindacabile in questa sede,
illustra l’avvenuto effetto sanante e sostitutivo, rispetto ai vizi dell’originaria deli beraz ione del 2002, dell’approvazione del bilancio al 31 dicembre 2002 e della situazione patrimoniale aggiornata al momento della deliberazione di aumento di capitale del 2003.
Terzo motivo: «3) Violazione degli artt. 2423, 2423-bis, 2424 e 2447 del c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 del cod. proc. civ.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata anche in relazione all ‘ affer mata validità dell’ulteriore deliberazione impugnata (9 ottobre 2003), di ulteriore riduzione e ricostituzione del capitale, per le stesse ragioni esplicitate nei primi due motivi di ricorso, segnatamente riconducibili alla sussistenza di riserva che, se correttamente appostata nello stato patrimoniale, avrebbe escluso la necessità di provvedere all’immediata ricapitalizzazione della società.
Il motivo non può trovare accoglimento per le medesime ragioni illustrate a commento dei primi due motivi di ricorso, dovendo aggiungersi che la legittimità della deliberazione del 9 ottobre 2003 si basa sull’ ulteriore accertamento della c.t.u., che ha rilevato come il vizio formale di omessa iscrizione a bilancio delle voci inerenti al deliberato aumento di capitale non fosse più presente alla predetta data, risultando le relative voci in contestazione inserite nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2002.
Quarto motivo: «4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1421, 1422, 2379, nel testo previgente, e 2447 c.c. nonché dell’art. 394 del c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 del cod. proc. civ.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per avere ritenuto nuova, e quindi inammissibile in fase di rinvio, la denuncia di nullità fondata sull’esistenza di riserve nel bilancio 2002 idonee
ad assorbire le perdite e a non far intaccare il capitale, giacché la nullità delle deliberazioni delle società di capitali è rilevabile d’ufficio, anche per ragioni non dedotte dalla parte impugnate, con il solo limite del giudicato interno, nella specie non formatosi.
Il motivo non è fondato. E’ ben vero – come i ricorrenti ribadiscono anche in memoria – che anche la nullità delle deliberazioni assembleari delle società è rilevabile d’ufficio dal giudice; ed è altrettanto vero che tale potere è esercitabile con il limite della verifica dell’ insussistenza sul punto di alcun giudicato interno; sennonché, vi è un altro requisito che il giudicante deve rispettare per potere utilizzare il potere officioso: che i fatti dedotti in causa, sulla cui base è rilevata officiosamente la nullità, siano gli stessi che le parti hanno ritualmente dedotto in lite. E tale condizione è insussistente nel caso di specie, posto che gli stessi ricorrenti non allegano, né dimostrano nel ricorso che la deduzione di esistenza di riserve nel bilancio 2002, sufficienti a coprire le perdite e quindi a non far ritenere sussistenti i presupposti per la validità della deliberazione di ricapitalizzazioni per perdite, fosse contenuta ne ll’ atto introduttivo del giudizio o fosse stata comunque ritualmente introdotta in lite prima del formarsi delle relative preclusioni processuali, finendo quindi per non contrastare efficacemente la declaratoria di inammissibilità contenuta nella sentenza in questa sede impugnata.
Il ricorso va quindi complessivamente respinto.
La soccombenza regola le spese di fase, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna COGNOME NOME e COGNOME NOME a rifondere alla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione le spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
A i sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 febbraio