Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7486 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 7486 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso 15364-2024 proposto da:
REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso il SERVIZIO STRUTTURA TECNICA DELEGAZIONE ROMANA DELLA REGIONE PUGLIA, rappresentata e difesa dall’avvocato NOMECOGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 653/2024 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 17/05/2024 R.G.N. 1068/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbimento degli altri;
Oggetto
DIRIGENTE PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N. 15364/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 21/01/2025
PU
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udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 17 maggio 2024, la Corte d’Appello di Bari confermava la decisione resa dal Tribunale di Bari e accoglieva la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della Regione Puglia, di cui la COGNOME era stata dipendente con rapporto a tempo indeterminato consensualmente risolto rivestendo Ella la qualifica dirigenziale, domanda avente ad oggetto l’accertamento della non debenza della somma di euro 424.069,96 che la Regione Puglia, con missiva del 31.1.2019, aveva chiesto in restituzione alla Monaco a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 4888/2013 da cui era derivato il ripristino dell’inquadramento giuridico nell’ex VIII qualifica funzionale in luogo della qualifica dirigenziale con rideterminazione delle somme retributive spettanti.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto decisiva, ai fini della risoluzione della controversia in questione, la definizione in favore della Monaco della controversia pregiudiziale vertente tra questa e la Regione Puglia ave nte ad oggetto l’accertamento del diritto della Monaco al riconoscimento definitivo della qualifica dirigenziale di I livello, essendo tra i dipendenti chiamati alla sottoscrizione dei contratti individuali di risoluzione consensuale dei rapporti di lavoro previsti dall’art. 28, legge Regione Puglia n. 7/200, ovvero di un atto legislativo regionale intervenuto in corso di rapporto di lavoro e in esito alla controversia intrapresa dagli interessati innanzi al giudice amministrativo relativamente alla legittimità del concorso interno per inquadramento nella qualifica superiore, norma che richiamava la qualifica dirigenziale rivestita dagli interessati all’atto della cessazione del rapporto e che qualificava espressamente quei contratti di risoluzione come ‘non soggetti a revoca’, determinando così una novazione
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oggettiva dei rapporti di lavoro, con conseguente diritto dei dipendenti alla conservazione del trattamento giuridico ed economico proprio della I^ qualifica dirigenziale, dovendosi a questa stregua escludere la legittimità della ripetizione dell’indebito, risultando inconsistente l’argomento per cui i dipendenti erano consapevoli dell’esistenza dell’impugnazione della sentenza del TAR Puglia n. 7399/2001 e dal canto suo la Regione, con la sottoscrizione degli accordi, non aveva inteso prestare acquiescenza rispetto alla definitività degli interessati nella qualifica dirigenziale.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Visioni, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la Regione Puglia;
Il Procuratore Generale ha presentato requisitoria scritta concludendo per l’accoglimento del primo motivo di ricorso e l’assorbimento dei restanti.
La controricorrente ha poi presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, ed in particolare del primo motivo, sollevata dalla controricorrente.
Il ricorso è correttamente articolato, con riferimento alla ratio decidendi della sentenza impugnata, in conformità ai principi enunciati da questa Corte secondo cui il giudizio di cassazione è un rimedio a critica vincolata (v., Cass, n. 4905 del 2020, n. 6519 del 2019), e nel rispetto dei criteri di sufficienza e specificità. In particolare, va osservato che il primo motivo di ricorso è prospettato indicando le norme di legge di cui si deduce la violazione, che sono prese in esame e poste in relazione alla decisione di appello (cfr., Cass., S.U., n. 23745 del 2020). Occorre, inoltre considerare che l’esistenza di un giudicato, anche esterno, non costituisce oggetto di eccezione in senso tecnico, ma è rilevabile in ogni stato e
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grado del giudizio anche d’ufficio, senza che in ciò sia riscontrabile alcuna violazione dei principi del giusto processo (cfr., Cass., n. 12159 del 2011; Cass., n. 15627 del 2016). Con il primo motivo, la Regione ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 35, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 165/2001, imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente ritenuto la validità dei contratti di risoluzione dei rapporti pur a fronte dell’intervenuto annullamento, da parte della sentenza n. 4888/2013, della procedura concorsuale all’esito della quale gli originari ricorrenti erano stati inquadrati nella I^ qualifica dirigenziale, ciò determinando la nullità dei contratti sottoscritti in esito alla stessa, secondo quanto prevede la norma invocata, non ostando neppure l’eventuale acquiescenza della Regione rispetto alla pretesa di veder riconosciuta la qualifica da dirigente a che tale effetto del giudicato si realizzasse con conseguente travolgimento dell’attribuzione della superiore qualifica
Con il secondo motivo, la Regione ricorrente denuncia a carico della Corte territoriale l’errata valutazione ed interpretazione dei contratti di risoluzione consensuale, assumendo che la volontà di definire una situazione giuridica non può in alcun modo essere considerata implicita all’atto di risoluzione in parola, in quanto per poter avere sostanza giuridica ed esplicare i propri effetti la volontà deve essere manifesta, ossia oltre ogni ragionevole dubbio.
Con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c., la Regione ricorrente, imputa alla Corte territoriale di aver dato rilievo alla determinazione n. 452/2002 che disponeva l’inquadramento nella I^ qualifica dirigenziale dei dipendenti interessati al solo fine di dare esecuzione alle sentenze del TAR Puglia e pertanto solo formalmente mentre questi neppure di fatto avevano svolto le mansioni dirigenziali e lo stesso
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trattamento economico corrispondente a quelle mansioni era stato riconosciuto a prescindere dallo svolgimento di quelle mansioni in relazione alla data, l’1.1.1992, in cui risultava maturato il diritto alla nomina per vincita del concorso.
Il primo motivo si rivela meritevole di accoglimento, alla luce dell’unanime giurisprudenza di legittimità che, in applicazione del precetto legislativo sopra richiamato, ha avuto modo di ribadire in plurime occasioni (v., da ult. Cass., n. 30922 del 2019) che ‘la procedura concorsuale costituisce l’atto presupposto del contratto individuale del quale condiziona la validità, sicchè sia l’assenza, sia l’illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dall’art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001 e, rientrando nell’ambito di applicazione di portata generale del successivo art. 36, comportano la nullità del contratto individuale’ (v. anche Cass., n. 1307 del 2022).
Per altro verso (Cass., n. 4057 del 2021) si è sancito che ‘l’Amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento di verifica dei requisiti di ammissione al concorso del candidato prima dell’immissione in ruolo del medesimo; tuttavia, l’accertamento successivo della mancanza dei predetti requisiti può eventualmente rilevare, se sussistono í presupposti dell’azione di danno, a fini risarcitori, ove il candidato abbia fatto affidamento sul comportamento dell’amministrazione, ma non può impedire a quest’ultima, tenuta al rispetto della legalità, di recedere dal rapporto affetto da nullità – facendo così valere l’assenza di un vincolo contrattuale – per violazione delle disposizioni imperative riguardanti l’assunzione, poste a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione deve essere costantemente orientata l’azione amministrativa’.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 4888 del 2013 era, allora, vincolante e la Corte territoriale avrebbe dovuto conformarsi al suo decisum . Ciò, anche considerando che
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costituisce oggetto di giudicato la situazione di fatto che si pone come antecedente logico necessario della pronuncia resa sulla domanda dell’attore o sull’eccezione del convenuto; l’autorità del giudicato copre il fatto accertato anche in relazione ad ogni altro effetto giuridico che da esso ne derivi nell’ambito del rapporto obbligatorio tra le stesse parti (Cass. n. 28415 del 2017).
Nella specie, con la sentenza n. 4888 del 2013 il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza del TAR Puglia n. 7399 del 2001, ha rigettato le domande con cui i dipendenti della Regione Puglia avevano impugnato il provvedimento della Commissione Governativa di controllo emesso in data 10.5.1990, che aveva disposto l’annullamento in data 12.4.1990 di riapertura dei termini per la partecipazione al concorso bandito dalla Regione Puglia con DPGR n. 314 del 7.7.1982 per il passaggio dal VI al VII livello, ex art. 95 legge regionale n. 18/1974; il de cuius aveva partecipato al concorso ed era risultato vincitore in base al provvedimento di riapertura dei termini.
Il Consiglio di Stato ha evidenziato la natura transitoria della previsione contenuta nell’art. 95 della legge regionale Puglia n. 18/1974 (successivamente abrogato dall’art. 5 della legge regionale n. 28/2000); ha inoltre precisato che il concorso interno per il passaggio al VII livello funzionale era riservato al personale regionale immesso in ruolo già al VI livello in occasione del primo inquadramento, a nulla rilevando i successivi passaggi di livello eventualmente conseguiti, quand’anche disposti ex l ege e con efficacia retroattiva, come avvenuto nella Regione Puglia.
Ha poi rilevato che secondo il bando erano legittimati a partecipare al suddetto concorso esclusivamente i dipendenti della Regione Puglia inquadrati nel ruolo regionale nel VI livello f. e f. alla data del 14.4.1980, in possesso alla stessa data di un’anz ianità complessiva di 5 anni di cui almeno 3
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prestati presso la Regione Puglia, ed ha pertanto ritenuto legittimo l’annullamento, da parte della Commissione di controllo, della deliberazione n. 1903 del 12.4.1990, con cui la Giunta Regionale aveva riaperto per la terza volta i termini per la partecipazione al concorso.
La Corte territoriale, inoltre, ha totalmente ignorato la giurisprudenza di legittimità, per la quale, in tema di pubblico impiego privatizzato, l’annullamento di un concorso pubblico in autotutela, ai sensi dell’art. 21 -novies della legge n. 241 del 1990, per vizi di legittimità riscontrati dalla P.A. rispetto agli atti della selezione, determina la nullità originaria, rilevabile d’ufficio, sebbene accertata successivamente, del contratto di lavoro stipulato in esito alla conclusione del concorso stesso; nel giudizio instaurato dal lavoratore per la tutela del diritto soggettivo alla prosecuzione del rapporto conseguente a tale contratto il giudice ordinario ha il potere di disapplicare il provvedimento di annullamento solo se, ed in quanto, si ravvisino rispetto ad esso i vizi di legittimità propri degli atti amministrativi (Cass., n. 1307 del 2022).
Infatti, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, l’Amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento di verifica dei requisiti di ammissione al concorso del candidato prima dell’immissione in ruolo del medesimo. L’accertamento successivo della mancanza dei predetti requisiti può eventualmente rilevare, se sussistono í presupposti dell’azione di danno, a fini risarcitori, ove il candidato abbia fatto affidamento sul comportamento dell’amministrazione, ma non può impedire a quest’ultima, tenuta al rispetto della legalità, di recedere dal rapporto affetto da nullità facendo così valere l’assenza di un vincolo contrattuale – per violazione delle disposizioni imperative riguardanti l’assunzione, poste a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione deve essere costantemente orientata l’azione amministrativa (Cass., n. 4057 del 2021).
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Ne consegue che, in tema di costituzione del rapporto di lavoro, la nullità della procedura concorsuale per violazione di norme imperative costituisce causa di nullità dei contratti di lavoro sottoscritti in esito ad essa, indipendentemente dalla circostanza che i lavoratori abbiano dato causa al vizio o non ne abbiano avuto consapevolezza (Cass., n. 20416 2019), atteso che, in questo caso, si verificano una violazione della norma inderogabile dettata dall’art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001, attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97, comma 4, Cost. e, quindi, in applicazione del disposto, di portata generale, del successivo art. 36, una nullità del contratto individuale. (Cass., n. 30992 del 2019). Pertanto, la Regione Puglia era tenuta, in esecuzione del giudicato amministrativo intervenuto, ad annullare l’inquadramento del controricorrente quale dirigente e a recuperare ciò che era stato da lui indebitamente percepito. Neppure giustifica la decisione di appello l’accordo di risoluzione consensuale già menzionato in quanto l’art. 28, comma 1, della legge Regione Puglia n. 7 del 2002 prescrive che ‘Al fine di accelerare il processo di riorganizzazione dell’Amministrazione regionale, anche a seguito del trasferimento di funzioni e compiti in attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59 e della legge 15 maggio 1997, n. 127, in deroga a quanto previsto dall’articolo 17 del Contratto collettivo nazionale di lavoro (C.C.N.L.) del l’Autonoma area della dirigenza del comparto regioni e Autonomie locali sottoscritto il 23 dicembre 1999, ai dirigenti titolari di rapporto di impiego a tempo indeterminato che, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, pre sentino all’Ente proposta per la risoluzione del rapporto di lavoro sarà erogata, subordinatamente all’accettazione della proposta medesima da parte dell’Ente, una indennità supplementare pari a otto mensilità della retribuzione lorda spettante alla data della predetta
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risoluzione, per ogni anno derivante dalla differenza fra 65 anni e l’età anagrafica individuale, espressa in anni, posseduta alla data di cessazione del rapporto di lavoro, calcolati per un massimo di sei anni’, ma ciò non esclude, però, che l’Amministraz ione, come ha fatto, una volta accertato giudizialmente in via definitiva che il presupposto di detto accordo non sussisteva (la qualifica dirigenziale), avesse il dovere di agire per ripristinare la legalità, atteso che la fattispecie prevista dalla legge regionale non si era perfezionata.
Infatti, nell’impiego pubblico contrattualizzato, il riconoscimento al lavoratore di un trattamento economico maggiore di quello previsto dalla contrattazione collettiva risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la P.A., anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata mediante la ripetizione delle somme corrisposte senza titolo (Cass., n. 13479 del 2018), essendo d’altronde, gli atti di risoluzione consensuale, essendo espressione di volontà negoziale, sono tenuti al rispetto della vigente normativa e il mancato rispetto dei requisiti previsti dalla legislazione regionale citata li ha resi nulli per violazione di legge.
A maggior ragione deve giungersi a questa conclusione qualora si voglia valorizzare la sopravvenienza della sentenza del Consiglio di Stato n. 4888 del 2013 e una natura transattiva dell’intesa finalizzata all’erogazione dell’incentivo, dal momento che l’i ntervenuta intesa negoziale, invero, non era stata resa nota al giudice amministrativo, con l’effetto che il venire meno della qualifica dirigenziale era avvenuto a prescindere da detto accordo, rendendolo, pertanto, del tutto irrilevante.
Tale intesa, in realtà, avrebbe dovuto essere presa eventualmente in considerazione dal giudice amministrativo, ma, non essendo questo avvenuto, essa non poteva
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prevalere sulla decisione del Consiglio di Stato, che aveva accertato, in via definitiva, la mancanza di legittimazione del controricorrente a partecipare alla procedura de qua.
Per quel che concerne la transazione, poi, la giurisprudenza tradizionale, ha chiarito che, nel caso in cui essa intervenga tra le parti di un giudizio, senza tuttavia che alcuna di esse ne deduca il sopravvenire ed il giudizio sia, quindi, definito con sentenza non impugnata e passata in giudicato, la situazione accertata dalla sentenza diviene intangibile e preclude ogni possibilità di rimettere in discussione questa situazione in un successivo giudizio e di apprezzare e rilevare il contenuto dell’accordo transattivo (Cass., Sez. 2, n. 2155 del 14 febbraio 2012; Cass., Sez. L, n. 20723 del 3 ottobre 2007; Cass., Sez. 1, n. 3026 del 15 febbraio 2005).
Le considerazioni svolte rendono evidente l’irrilevanza della mancanza di una riserva di efficacia dell’atto di risoluzione consensuale all’esito del contenzioso amministrativo, e dell’esclusione della revocabilità del medesimo accordo, che concerneva palesemente, stante il riferimento agli artt. 1334 e 1335, c.c., il semplice incontro delle volontà, ma non potevano sanare vizi genetici dell’intesa, chiarendo, altresì, come da detta intesa non potessero trarsi conseguenze quanto all’eventuale acquiescenza d ella Regione Puglia alla definitività degli inquadramenti dei dipendenti interessati.
Infine, non conforme a diritto è l’affermazione della Corte territoriale secondo cui la citata normativa regionale e il successivo accordo di risoluzione consensuale rappresentavano ‘sopravvenienze giuridiche e fattuali idonee ad impedire l’esecuzione del giudicato’, quantomeno perché si trattava di eventi anteriori alla formazione dello stesso, comunque non idonei a rendere impossibile la concreta attuazione del comando del giudice amministrativo.
Per le ragioni esposte, la risoluzione consensuale non poteva incidere sulla successiva sentenza del Consiglio di Stato, in
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quanto la sua esistenza non era stata prospettata al giudice amministrativo. Allo stesso modo, la legge regionale non poteva avere valore, in assenza dei suoi presupposti di applicazione.
La riconosciuta nullità della procedura concorsuale travolge comunque la stipula dei contratti, senza che l’effetto possa essere vanificato dall’incontro della volontà delle parti contraenti espressesi in senso difforme. Si tratta infatti di materia che non è disponibile dalle parti contrattuali: deve infatti ribadirsi quello che è principio cardine della materia, per cui la pubblica amministrazione è sempre e comunque tenuta al rispetto della legalità, e in virtù di ciò è obbligata a recedere dal rapporto affetto da nullità per violazione delle disposizioni imperative riguardanti l’assunzione, che sono poste a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione deve essere costantemente orientata l’azione amministrativa (v. Cass., n. 4057 del 2021, cit.).
Il primo motivo va dunque accolto, con conseguente assorbimento del secondo e del terzo motivo e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione, che pronuncerà in conformità disponendo altresì per l’attribuzio ne delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese, alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 gennaio