Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23495 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23495 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4771/2020 R.G. proposto
da
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente –
contro
COMUNE COGNOME , in persona del Sindaco pro tempore e domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI PALERMO n. 1285/ 2019 depositata il 20/06/2019.
Oggetto: Pubblica ammi-
nistrazione
–
Arbitrato
–
Nullità –
Compensi pro-
fessionali – Artt. 13, L.R.
Sicilia n. 44/1991 e 191,
D. Lgs. n. 267/2000 –
Violazione – Conseguenze
R.G.N. 4771/2020
Ud. 27/06/2025 CC
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 27/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME impugna la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 1285/2019 -depositata in data 20 giugno 2019 -la quale, su domanda del COMUNE DI TRABIA -e nella regolare costituzione dello stesso odierno ricorrente -ha accolto l’impugnazione ex art. 829 c.p.c. del lodo arbitrale depositato in data 16 febbraio 2015, dichiarando la nullità del lodo medesimo e, conseguentemente, respingendo la domanda che NOME COGNOME aveva formulato in sede arbitrale.
Oggetto del giudizio arbitrale, infatti, era la pretesa azionata dall’odierno ricorrente nei confronti del COMUNE DI TRABIA, avente ad oggetto la corresponsione del compenso per un incarico, conferito dallo stesso COMUNE, relativo alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva di lavori di ampliamento di un porto turistico.
La Corte d’appello di Palermo, adita dal COMUNE DI TRABIA, ha esaminato preliminarmente e ritenuto fondato il motivo di impugnazione col quale lo stesso odierno controricorrente deduceva la violazione degli artt. 13, L.R. Sicilia n. 44/1991 e 191, D. Lgs. n. 267/2000, in quanto l’incarico di progettazione era stato conferito in assenza di impegno di spesa e senza l’attestazione della copertura finanziaria.
La Corte d’appello, richiamato il carattere imperativo delle previsioni invocate dal COMUNE, ha escluso che i presupposti richiesti dallo art. 191, D. Lgs. n. 267/2000 potessero ravvisarsi nell’attestazione del responsabile del servizio finanziario del COMUNE, con la quale il ragioniere capo del COMUNE DI TRABIA aveva rilevato che l’incarico conferito a NOME COGNOME non gravava sul bilancio comunale, trovando co-
pertura finanziaria nel finanziamento concesso da altro Ente, risultando giustificata l’assenza di indicazione dello specifico capitolo di spesa del bilancio comunale sul quale imputare i costi della prestazione.
La Corte d’appello ha rilevato, tuttavia, che nello stesso parere del responsabile del servizio finanziario si precisava che in caso di revoca del finanziamento, le somme necessarie a coprire le spese per la prestazione dell’odierno ricorrente avrebbero dovuto essere reperite nel bilancio comunale, in tal modo ammettendosi che nel bilancio medesimo non era stata stanziata alcuna somma per detto incarico.
La Corte territoriale ha quindi escluso che la presenza di un finanziamento concesso da altro Ente valga a sopperire alla mancata registrazione dell’impegno contabile nel bilancio comunale ai fini della validità della delibera autorizzativa e del contratto stipulato dal COMUNE, osservando che la circostanza che la copertura finanziaria dell’incarico conferito sia assicurata dal finanziamento di altro Ente non soddisfa la rigida prescrizione imposta dalla procedura contabile prevista dall’art. 191 TUEL, in quanto l’Ente finanziatore rimane estraneo al contratto stipulato dal Comune, con conseguente azionabilità del credito del professionista direttamente nei confronti del Comune.
La Corte territoriale, quindi, ha concluso nel senso della nullità della delibera di Giunta di conferimento dell’incarico a NOME COGNOME e, conseguentemente, della nullità del lodo arbitrale per violazione dell’art. 829, secondo comma, c.p.c. -nella formulazione ratione temporis vigente -e pertanto, esaurita la fase rescindente e definendo il giudizio rescissorio, ha escluso la sussistenza di obbligazione alcuna del COMUNE DI TRABIA nei confronti di NOME COGNOME, affermando la nullità sia della delibera di conferimento dell’incarico sia -conseguentemente -dello stesso contratto concluso dal COMUNE con l’odierno ricorrente.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Palermo ricorre NOME COGNOME
Resiste con controricorso il COMUNE DI TRABIA.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 191 e 194, D. Lgs. n.267/2000; 13, L.R. Sicilia n. 44/1991 ‘e dei principii di diritto in materia di debiti fuori bilancio degli enti pubblici locali’ .
Il ricorrente deduce l’inadeguata ricostruzione dell’evoluzione del quadro normativo da parte della decisione impugnata, evidenziando, conseguentemente, che sarebbero erronee sia l’affermazione della necessaria nullità della delibera assunta senza copertura di bilancio sia l’affermazione della ‘frattura del rapporto di immedesimazione organica nella PA’ .
Invoca, in particolare, il disposto di cui all’art. 194, D. Lgs. n. 267/ 2000, argomentando nel senso del carattere non obbligatorio dell’assunzione della delibera, deducendo la sussistenza nel concreto dei presupposti richiesti dalla norma invocata.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ‘nella specie: l ‘accertata responsabilità esclusiva del Comune per la revoca del finanziamento dei lavori’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare sia che la revoca del finanziamento concesso dall’Ente terzo è da ascriversi a responsabilità dello stesso COMUNE DI TRABIA sia una serie di ulteriori circostanze che verrebbero ad evidenziare ulteriormente la responsabilità del Comune.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., deduce, testualmente, ‘violazione e falsa applicazione dell ‘art. 30, comma 8, del D. Lgs. 18/04/2016, n.50 (codice dei contratti pubblici), dell’art. 11, comma 4, legge 7/08/1990, n. 241, e dei principii di diritto in materia di responsabilità contrattuale. – Contestuale violazione degli articoli 1362, 1366, e 1371 del codice civile’ .
Dopo aver dedotto il carattere inderogabile sia dell’art. 30, D. Lgs. n. 50/2016 sia dell’art. 11, Legge n. 241/1990 -in quanto ‘tali disposizioni di legge riflettono dei principi fondamentali dell’ ordinamento’ -il ricorso argomenta che la decisione impugnata ‘ha trascurato completamente i principii inderogabili del diritto civile sulla responsabilità contrattuale dell’ obbligato’ e che ‘non ha considerato che nessuna delle norme pubblicistiche richiamate stabilisce una deroga al principio della responsabilità contrattuale del debitore negligente, né autorizza un contraente a ipotizzare deroghe in danno dell’ altro.’ .
Si censura ulteriormente l’interpretazione che la Corte territoriale avrebbe dato del parere reso dal responsabile del servizio finanziario del Comune, deducendo la violazione degli artt. 1362, 1366 e 1371.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., deduce, testualmente, ‘violazione e falsa applicazione dei principi di legge che regolano il judicium rescissorium, e decadenza del Comune dall’impugnazione della propria responsabilità per la revoca del finanziamento’ .
Si censura la decisione delle Corte territoriale nella parte in cui, ritenuto esaurito il giudizio rescissorio, ha esaminato il merito della pretesa azionata dal ricorrente.
Argomenta, in particolare, il ricorso che:
-‘il riesame del merito non può dirsi completato seriamente, se il giudice omette di esaminare insieme, sia il fatto decisivo del giudizio, ossia la responsabilità esclusiva del Comune nell’aver provocato la revoca del finanziamento regionale, sia il principio di diritto su cui si fonda la conseguente responsabilità del debitore inadempiente’ ;
-avendo la Corte deciso, sulla scorta del principio della ragione più liquida, esaminando solo il terzo motivo di appello dedotto dal COMUNE DI TRABIA ‘il secondo giudice si è negata la prospettiva del giudizio, trascurando gli altri motivi dello stesso appello avversario, e così lasciandosi sfuggire il fatto decisivo della causa’ ;
-il gravame del COMUNE DI TRABIA ‘non sollevava alcuna contestazione in ordine alle documentate conclusioni del Lodo in merito alla responsabilità esclusiva del Comune per la revoca del finanziamento’ , per cui il controricorrente ‘ora non può farlo, in questa, o altra sede, per la semplice ragione che è decaduto dall’ impugnazione’ .
-‘la Corte palermitana, anziché indagare sul rapporto di causa ed effetto che intercorre tra la responsabilità del Comune per la revoca del finanziamento, e il diniego di pagare il compenso al professionista, ha liquidato l’evento della revoca, come già osservato, in una sola riga, e tra parentesi: “(come è peraltro avvenuto – si veda sul punto l’all. 5 della produzione del Comune di Trabia)”, senza altro aggiungere’ .
I motivi di ricorso sono, nel loro complesso, privi di pregio.
2.1. Quanto al primo motivo, si deve rilevare che la decisione impugnata, nell’affermare la nullità della delibera di conferimento dell’incarico per assenza di un impegno di spesa, si è pienamente conformata al costante orientamento di questa Corte, per cui la delibera comunale di conferimento di incarico ad un professionista in assenza di copertura finanziaria è nulla, ai sensi dell’art. 191 del d.lgs. n. 267 del 2000, e l’invalidità sia di tale delibera sia del contratto concluso sulla base della stessa è rilevabile d’ufficio anche in appello, derivando dalla violazione di norme imperative (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15050 del 11/06/2018; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 22481 del 24/09/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 17358 del 27/06/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 33768 del 19/12/2019; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29828 del 27/10/2023).
Altrettanto correttamente la Corte territoriale ha negato che la declaratoria di nullità della delibera potesse essere preclusa dall’attestazione del responsabile del servizio finanziario dell’odierno controricorrente – con la quale il ragioniere capo aveva rilevato che l’incarico non gravava sul bilancio comunale, trovando copertura finanziaria nel finanziamento concesso da altro Ente – e che conseguentemente la presenza di un finanziamento concesso da tale Ente valesse a sopperire alla mancata registrazione dell’impegno contabile nel bilancio comunale ai fini della validità della delibera autorizzativa e del contratto.
Anche in questo caso, infatti, la Corte territoriale si è pienamente conformata all’insegnamento di questa Corte, a mente del quale il divieto, per i Comuni, in base all’art. 23, commi 3 e 4, del d.l. 2 marzo 1989 n. 66 – oggi sostituito dall’art. 191 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 – di effettuare qualsiasi spesa in assenza di impegno contabile registrato dal ragioniere (o, in sua mancanza, dal segretario) sul competente capitolo di bilancio di previsione, si applica anche se la spesa sia
interamente finanziata da altro ente pubblico, ferma restando la necessaria verifica della copertura della spesa nel bilancio del Comune che ne assume l’impegno (Cass. Sez. U, Sentenza n. 26657 del 18/12/ 2014; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8189 del 23/05/2003).
Come già osservato da questa Corte, infatti, il finanziamento ad opera di altro Ente non vale ad elidere il fatto che l’obbligazione di pagamento, sia pure condizionata, resta obbligazione propria del Comune conferente l’incarico; detta obbligazione, quindi, non può non trovare riscontro, come tale, nel bilancio dello stesso ente, a maggior ragione ove si consideri che l’ente finanziatore resta estraneo al contratto di opera professionale dedotto in causa; che il credito del professionista resta azionabile direttamente nei confronti del Comune conferente; che, infine, permane l’autonomia finanziaria di ciascun ente locale, con la conseguente necessità per ciascuno di essi, e specificamente per quello che ha assunto l’obbligazione contrattuale, di verificare le compatibilità e rispettare i vincoli di bilancio stabiliti dalla legge.
Da ciò deriva la necessità di distinguere il rapporto di finanziamento – che intercorre tra l’Ente finanziatore e il Comune che riceve il beneficio – dall’impegno di spesa richiesto dal contratto d’opera professionale – che è impegno proprio del Comune e non già dell’ente finanziatore con la conseguenza che tale impegno deve risultare necessariamente nel bilancio comunale.
Infine, questa Corte ha evidenziato che la richiesta di un finanziamento dell’opera da parte di altro ente pubblico non va confusa con l’obbligo imposto al Comune – in funzione di inderogabili esigenze di certezza, trasparenza e di corretta gestione della spesa pubblica – di indicare nella delibera autorizzativa del contratto, anzitutto, il compenso spettante al professionista, e quindi, l’impegno di spesa necessario onde provvedere al pagamento del corrispettivo già pattuito, e
che la registrazione dell’impegno contabile, portato a conoscenza del privato, va tenuta distinta dall’impegno di spesa, che esprime un concetto più ampio e generale e che esiste a carico dell’ente contraente, ancorché sospensivamente condizionato all’ottenimento del finanziamento.
Risulta, in tal modo, evidentemente smentita la tesi sviluppata da parte ricorrente in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c., nella quale si viene a sostenere che l’attestazione del responsabile finanziario varrebbe a far ritenere rispettato il vincolo dell’assunzione dell’impegno contabile: a rilevare, invero, è la circostanza che la presenza di un finanziamento di Ente terzo non valeva ad elidere il fatto che, costituendosi il rapporto tra il professionista ed il Comune odierno controricorrente, era nel bilancio di quest’ultimo che doveva risulta adeguatamente appostato l’impegno di spesa, restando il Comune unico debitore nei cui confronti il professionista avrebbe potuto azionare le proprie pretese.
Prive di pregio appaiono, poi, le deduzioni riferite al disposto di cui all’art. 194, D. Lgs. n. 267/2000, e ciò per una duplice ragione.
Da un lato, infatti, il profilo dedotto nel motivo di ricorso -come anche eccepito dal controricorrente – non risulta essere stato in alcun modo affrontato nella decisione impugnata, né parte ricorrente ha tempestivamente dedotto di averlo sollevato nei precedenti gradi di giudizio, individuando, in ossequio all’art. 366 c.p.c., l’atto o gli atti nei quali sarebbe avvenuta tale deduzione.
Deve, conseguentemente, trovare applicazione il principio, reiteratamente enunciato da questa Corte, per cui qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio
precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/ 2013).
Anche in questo caso devono essere disattese le argomentazioni del ricorrente in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c., sufficiente essendo rilevare che, a fronte della deduzione, da parte del COMUNE in sede di impugnazione, della violazione dell’art. 191, D. Lgs. n. 267/2000, sarebbe stato onere dell’odierno ricorrente dedurre in sede di impugnazione l’operatività della previsione -individuando e riproducendo nella presente sede di legittimità l’atto in cui ciò era avvenuto, in ossequio al canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. -ed impugnando poi innanzi a questa Corte la decisione della Corte territoriale per non essersi pronunciata su tale profilo.
Da un altro lato, le deduzioni del ricorrente -anche in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c. -vengono a prospettare una obbligatorietà dell’assunzione della delibera ex art. 194, D. Lgs. n. 267/2000 che invece è stata da questa Corte esclusa (proprio nel precedente invocato dal ricorrente in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c.), osservando che in tema di riconoscimento, da parte degli enti locali, dei debiti fuori bilancio derivanti dall’acquisizione di beni e servizi, ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 267 del 2000, non esiste un diritto soggettivo del privato al riconoscimento del debito assunto dalla P.A.,
atteso che detto riconoscimento consegue all’attivazione di un procedimento discrezionale, in cui è riservata all’ente la valutazione dell’utilità e dell’arricchimento ottenuti con l’acquisizione di beni e servizi, attraverso l’assunzione di un’obbligazione sprovvista di copertura contabile, pur essendo possibile per il privato agire ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a. per ottenere la declaratoria di illegittimità del silenzio dell’ente locale e l’ordine di provvedere esplicitamente in relazione al riconoscimento del debito fuori bilancio, facendo valere una situazione giuridica che si configura come posizione di diritto soggettivo – giacché correlata ad una pretesa di adempimento contrattuale – con conseguente giurisdizione del giudice ordinario (Cass. Sez. U, Sentenza n. 29178 del 21/12/2020, che, in motivazione, osserva: ‘ Il riconoscimento del debito fuori bilancio, ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), TUEL, consegue, effettivamente, all’attivazione di un procedimento discrezionale, riservando all’ente locale la valutazione dell’utilità e dell’arricchimento conseguiti con l’acquisizione, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza. È per questo vietato al giudice di sostituirsi all’amministrazione, in maniera da accertare immediatamente la lesione del diritto del privato ad ottenere il riconoscimento del debito assunto fuori bilancio. ‘ ).
Quel che rileva, in sostanza, è che non solo non risulta che l’Ente controricorrente abbia mai attivato il procedimento ex art. 194, D. Lgs. n. 267/2000 -postulando, in via meramente teorica, la piena sussistenza dei presupposti della previsione, inammissibilmente argomentata in fatto dal ricorrente nella presente sede di legittimità -ma anche non risulta che lo stesso ricorrente abbia mai assunto le iniziative per l’attivazione del suddetto procedimento, essendo la questione rimasta del tutto estranea all’ambito sia del giudizio arbitrale sia della successiva impugnazione innanzi la Corte d’appello.
2.2. Inammissibile e comunque infondato è il secondo mezzo.
In primo luogo, invero, lo stesso risulta affetto da irrimediabili carenze nel rispetto dell’art. 366 c.p.c.
Secondo i principi fissati da Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/ 04/2014 (e dalle successive Cass. Sez. 6-3, Sentenza n. 25216 del 27/ 11/2014; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9253 del 11/04/2017), l’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., deve essere riferita ad un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6), e 369, secondo comma, n. 4), c.p.c., il ricorrente deve indicare: 1) il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso; 2) il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente; 3) il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti; 4) la sua “decisività”.
Tornando al caso in esame, si osserva che il motivo di ricorso si sostanzia nel richiamo ad un mero inciso della motivazione impugnata -nel quale, peraltro, non si ravvisa l’affermazione della responsabilità dell’odierno controricorrente per la revoca del finanziamento -e ad una serie di documenti, senza che tuttavia il ricorrente venga a dedurre specificamente che il profilo era stato effettivamente sia dedotto sia fatto oggetto di discussione.
È solo a fronte della fondata contestazione operata in controricorso -nel quale è stata eccepita la novità della questione -che il ricorrente è venuto, in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c., ad aggiungere una serie di indicazioni più puntuali.
Ma tale integrazione, in quanto tale, è inammissibile, perché operata in una memoria -come quella ex art. 380bis .1 c.p.c. -che (come quella ex art. 378 c.p.c.) non ha la funzione di integrare i motivi del ricorso per cassazione, poiché assolve all’esclusiva funzione di chiarire ed illustrare i motivi di impugnazione che siano già stati ritualmente cioè in maniera completa, compiuta e definitiva – enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione, e non di dedurre nuove eccezioni – implicanti necessariamente accertamenti di fatto – o sollevare nuove questioni di dibattito (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8949 del 30/03/2023; Cass. Sez. L, Sentenza n. 21355 del 06/07/2022; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5503 del 26/02/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24007 del 12/10/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 26332 del 20/12/2016), violandosi, altrimenti, il diritto di difesa della controparte (Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 3471 del 22/02/2016).
In secondo luogo, anche alla luce delle considerazioni già illustrate in relazione al primo mezzo, si deve constatare che il motivo di ricorso non si confronta adeguatamente con la ratio della decisione, la quale ha -correttamente -richiamato l’ipotesi di revoca del finanziamento unicamente come profilo eventuale che valeva a rendere comunque necessario lo stanziamento a bilancio comunale, e non come elemento da cui poteva dipendere o meno la sussistenza della violazione dell’art. 191, D. Lgs. n. 267/2000 e la conseguente insorgenza del debito del COMUNE.
Quel che si vuol significare, in sostanza, è che -come correttamente chiarito dalla stessa decisione impugnata -il profilo del finanziamento da parte di un Ente diverso risultava nella specie irrilevante perché l’Ente finanziatore restava estraneo al rapporto tra l’odierno controricorrente -Ente finanziato -e l’altro contraente -odierno ri-
corrente -il quale in ogni caso avrebbe potuto agire unicamente contro il COMUNE, con conseguente vincolo per quest’ultimo di deliberare il conferimento dell’incarico in presenza di specifica copertura finanziaria.
La tesi del ricorrente sembra voler suggerire che la revoca del finanziamento dell’Ente terzo per fatto e colpa dell’odierno controricorrente sarebbe valsa a rendere irrilevante la precedente conclusione del contratto in assenza di impegno di spesa e di copertura finanziaria, con conseguente insorgenza in capo al controricorrente dell’obbligazione di corresponsione del compenso pur in presenza di un contratto nullo, perché concluso sulla base di una delibera nulla.
Per contro, va chiarito che l’ipotetica imputabilità all’odierno controricorrente della revoca del finanziamento non può in alcun modo valere ad escludere la nullità del contratto, potendo al più giustificare una diversa responsabilità del Comune nei confronti dell’altro contraente, fermo restando che tale (del tutto ipotetica) responsabilità: 1) non varrebbe a sanare in contratto nullo; 2) non risulterebbe riconducibile all’art. 1337 c.c., considerato che l’art. 191, D. Lgs. n. 267/2000 è previsione a caratura pubblicistica, di cui, conseguentemente, si presume la conoscenza da parte del professionista.
2.3. Il terzo motivo è infondato.
I generici richiami operati dal mezzo ai ‘principi di diritto in materia di responsabilità contrattuale’ si limitano a ll’apodittica affermazione per cui detti principi varrebbero a superare un vincolo che invece questa Corte -nei precedenti già richiamati -ha ritenuto inderogabile, e cioè la tutela dell’equilibrio di bilancio degli enti pubblici, equilibrio a garanzia del quale è, appunto, dettato l’art. 191, D. Lgs. n. 267/2000, norma dalla quale, come visto, è stata fatta costantemente discendere la nullità degli incarichi deliberati senza adeguato impegno di spesa.
Evidente, quindi, che del tutto vano risulta il richiamo alla vincolatività generale dei contratti, nel momento in cui il rapporto negoziale risulta invece affetto dall’insanabile vizio della nullità, con conseguente assenza di un valido vincolo, come del resto correttamente rilevato dalla decisione impugnata, la cui ratio decidendi risulta ancora una volta inadeguatamente impugnata.
Va, allora, ribadito che, in via di mera ipotesi, si sarebbe potuta, semmai, configurare una diversa responsabilità del Comune nei confronti dell’altro contraente, in ogni caso non riconducibile alla responsabilità precontrattuale, in quanto verrebbe comunque ad operare il limite derivante dall’art. 1338 c.c., non potendo l’odierno ricorrente dedurre di aver confidato incolpevolmente nella validità del contratto, atteso il carattere pubblicistico -e quindi presuntivamente conosciuto -della previsione di legge violata.
Considerazione, questa, che vale di per sé ad evidenziare l’assoluta infondatezza delle ulteriori deduzioni del ricorrente in tema di non corretta interpretazione del contratto, dal momento che a venire in rilievo nella presente sede è la radicale nullità di una delibera di conferimento dell’incarico e del correlato conferimento, tema rispetto al quale ogni questione interpretativa risulta evidentemente recessiva ed anzi del tutto non pertinente.
2.4. L’ultimo mezzo è da ritenersi inammissibile.
Si deve rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata deb-
bano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16700 del 05/08/ 2020; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U, Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Il motivo di ricorso in esame, invece, si limita ad un generico riferimento ai ‘principi di legge che regolano il iudicium rescissorium’ , ma non viene concretamente ad evidenziare alcun inadeguato governo delle previsioni di legge da parte della Corte territoriale, la quale, invece, ha correttamente fatto applicazione del principio della ragione più liquida -da questa Corte reiteratamente enunciato (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 363 del 09/01/2019; Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 30745 del 26/11/2019) -senza che peraltro tale applicazione sia adeguatamente censurata, limitandosi il ricorrente a dolersi di una presunta incompletezza della decisione impugnata, la quale ha invece correttamente definito il giudizio rescissorio sulla base della questione ritenuta di più agevole so-
luzione, ed anzi, a ben vedere, sulla base del profilo radicalmente risolutivo.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’Amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso, condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 26 giugno 2026.
Il Presidente NOME COGNOME