Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21642 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21642 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 6794/2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’amministratore, Sig. NOME COGNOME, in proprio e in qualità di capogruppo mandataria del raggruppamento temporaneo costituito con l’RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, ed elettivamente domiciliata in Roma, nel suo studio, INDIRIZZO, giusta procura speciale alle liti su foglio separato unito ricorso
–RAGIONE_SOCIALE –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
COGNOME e dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale in calce al controricorso, e dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale in calce alla memoria di costituzione in aggiunta alla difensore già costituito in data 29 settembre 2023, i quali chiedono di ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-controRAGIONE_SOCIALE –
avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, n. 432/2021, depositata in data 21 dicembre 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4/6/2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
RAGIONE_SOCIALE stipulava in data 8/8/84 con l’associazione temporanea, rappresentata dalla mandataria RAGIONE_SOCIALE, la realizzazione della strada tangenziale – 2º lotto – dell’agglomerato RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, per un corrispettivo di lire 14.293.355.000.
Il contenzioso originava dalle frequenti sospensioni e riprese dei RAGIONE_SOCIALE disposte dal RAGIONE_SOCIALE, tanto che tutti i verbali di sospensione venivano sottoscritti dall’RAGIONE_SOCIALE con riserva.
Inoltre, in ragione delle quattro perizie di variante disposte dal RAGIONE_SOCIALE l’importo contrattuale subiva un incremento fino all’importo di lire 27.021.258.370.
RAGIONE_SOCIALE, con la delibera dell’11 dicembre 1996, disponeva la rescissione del contratto di appalto ai sensi dell’art. 340 della legge n. 2248 del 1865 e dell’art. 26 del regio decreto n. 350 del 1895.
Con atto di citazione dell’11 aprile 1997 la società conveniva in giudizio il RAGIONE_SOCIALE chiedendo: a) la declaratoria di disapplicazione della delibera di rescissione del contratto dell’11
dicembre 1996; b) la risoluzione del contratto per inadempimento del RAGIONE_SOCIALE; c) la condanna al risarcimento del danno per il mancato utile del 10% sui RAGIONE_SOCIALE residui non eseguiti; d) la condanna al pagamento dell’importo di lire 4.390.657.907 a titolo di saldo RAGIONE_SOCIALE maggiorato degli interessi speciali moratori; e) la condanna al risarcimento dei danni per i titoli esposti nelle riserve per l’importo di lire 35.416.425.192 oltre all’importo di lire italiane 7.097.000.000 con riferimento al periodo della sospensione definita al provvedimento di rescissione ed ancora l’importo di lire 500.000.000 per la mancata esecuzione delle pavimentazioni fortemente remunerative per l’RAGIONE_SOCIALE.
2.1. Si costituiva in giudizio il RAGIONE_SOCIALE chiedendo in via riconvenzionale l’accertamento della piena legittimità della deliberazione di rescissione del contratto, oltre che la condanna di parte attrice al risarcimento dei danni conseguenti a inadempimento.
Con sentenza non definitiva n. 281 del 2006 del 4 ottobre 2006 il tribunale di Tempio Pausania rigettava la domanda di nullità del contratto per pretesa violazione della disciplina urbanisticoedilizia e, in particolare, «per carenza di concessione edilizia».
Con la separata ordinanza, il tribunale disponeva CTU. Il credito dell’RAGIONE_SOCIALE, a seguito dell’espletamento istruttorio, ammontava a lire 1.511.689.712, oltre all’importo di lire 2.993.700.364 a titolo di oneri accessori. Inoltre, le riserve venivano accertate per l’importo di lire 4.183.039.321.
Con la sentenza definitiva n. 85 del 2017 dell’8 febbraio 2017 si rigettava l’eccezione di nullità del contratto per violazione della disciplina paesaggistica, in «difetto di nullaosta paesistico ambientale», «riportando la medesima motivazione utilizzata nella precedente sentenza per la conformità urbanistica». Veniva
disapplicato il provvedimento di rescissione del contratto di appalto, con condanna del RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno.
Avverso le sentenze definitiva e non definitiva veniva proposto appello dal RAGIONE_SOCIALE per le seguenti ragioni: a) nullità del contratto per violazione di norme imperative (sia urbanistico – edilizie sia per vincolo paesaggistico); b) infondatezza della domanda di merito dell’attrice; c) fondatezza della domanda riconvenzionale del RAGIONE_SOCIALE.
5.1. La società appaltatrice presentava appello incidentale in ordine all’accoglimento solo parziale della domanda risarcitoria.
La Corte di cassazione, con sentenza n. 565/2015, pubblicata il 15 gennaio 2015, in relazione al diverso giudizio pendente tra le stesse parti in materia di revisione dei prezzi, accoglieva i primi due motivi del ricorso (restando assorbito il terzo) presentato dal RAGIONE_SOCIALE, soffermandosi su due aspetti essenziali della controversia.
6.1. Precisava – la Corte – che non era contestato che «l’opera era stata approvata dalla RAGIONE_SOCIALE, ed attribuita in concessione al RAGIONE_SOCIALE».
Pertanto, secondo giurisprudenza consolidata «(tra le altre, Cons. RAGIONE_SOCIALE 11/3/1980 n. 299; 2/5/1990 n. 1111), è parificata, ai sensi dell’art. 138 d.P.R. n. 218 del 1978, la disciplina delle opere approvata dalla RAGIONE_SOCIALE a quella propria dei RAGIONE_SOCIALE dello RAGIONE_SOCIALE, ricadenti nella competenza del Ministero dei Lavori Pubblici: non occorre concessione comunale alcuna, rimanendo l’accertamento della compatibilità delle opere con le prescrizioni degli strumenti urbanistici territoriali, affidato al prAVV_NOTAIO Ministero (ed eventualmente, dopo il trasferimento di funzioni dal Ministero agli Enti Locali, alla RAGIONE_SOCIALE)».
Ciò che più rileva, e che questa Corte chiariva, sotto questo primo profilo, è che «era comunque, all’evidenza, necessario un iniziale provvedimento relativo alla predetta compatibilità, emesso all’esito della procedura di intesa di cui all’art. 81 d.P.R. n. 616 del 1977 ovvero dell’art. 56 del d.P.R. n. 348 del 1979 delle opere da eseguirsi nella RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE».
Risultava circostanza non contestata quella per cui «tale provvedimento non è stato prodotto».
Con il corollario per cui «l’inesistenza di esso renderebbe sicuramente nullo il contratto per contrasto con norme imperative», non assumendo rilevanza «quanto affermato dal giudice a quo circa una successiva concessione comunale, dopo il trasferimento della titolarità in capo al RAGIONE_SOCIALE, relativa peraltro ad una variante dell’opera».
6.2. Il secondo aspetto della controversia atteneva alla mancanza del nulla-osta paesaggistico.
Questa Corte, nella sentenza n. 565 del 2015, ha sottolineato che «è altresì pacifica la mancanza di documentazione relativa alla conformità dell’opera alla disciplina di tutela del paesaggio, ai sensi della legge n. 1497 del 1939», chiarendo che «l’inserimento nei piani regolatori, come indicato dalla sentenza impugnata, non rileva certo ai fini dell’accertamento di detta conformità».
Con la precisazione che «è lo stesso giudice a quo a precisare che, almeno per un tratto, l’opera è sicuramente sottoposta al prAVV_NOTAIO vincolo», per cui «la mancanza di tale accertamento, costituirebbe ulteriore profilo di nullità».
Questa Corte, poi, rilevava che, «essendo emersa una grave carenza nell’istruttoria espletata», il giudice del rinvio avrebbe dovuto «effettuare opportuni accertamenti».
7. La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE, dichiarava la nullità del contratto di appalto pubblico, rigettando le domande proposte dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Rigettava «per il resto l’appello principale e l’appello incidentale».
In particolare, la Corte territoriale, per quel che ancora qui rileva, con riguardo alla eccezione di nullità del contratto per difetto di concessione edilizia, sollevata dal RAGIONE_SOCIALE in prime cure, all’udienza di precisazione delle conclusioni, evidenziava che, a fronte dell’allegazione del RAGIONE_SOCIALE, «l’RAGIONE_SOCIALE appaltatrice non contestava la mancanza di concessione edilizia, sostenendo al contrario la non essenzialità della stessa trattandosi di opera di interesse statale».
Per il giudice d’appello, peraltro, era assente il provvedimento di compatibilità emesso d’intesa con la RAGIONE_SOCIALE sensi dell’art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977 ovvero dell’art. 56 del d.P.R. n. 348 del 1979.
Emergeva, poi, «direttamente dagli atti l’eccepita nullità del contratto per difetto dell’autorizzazione paesistica, con efficacia dirimente sulla questione della validità del rapporto negoziale».
Dagli atti, infatti, era emerso, da un lato, la presenza di un vincolo paesaggistico sul fondo oggetto dell’opera pubblica e, dall’altro, la mancanza del necessario nullaosta della soprintendenza.
Per il CTU, «anche nell’ipotesi dell’esistenza della prescritta concessione edilizia (non trovata in atti), i RAGIONE_SOCIALE non potevano iniziare prima del rilascio del nullaosta paesaggistico».
Del resto – aggiungeva la Corte d’appello – «sulla medesima questione, come rilevato da parte RAGIONE_SOCIALE, si è già pronunciata nel senso suddetto la Corte di cassazione in una controversia avente per oggetto un contratto di appalto stipulato dal RAGIONE_SOCIALE per la costruzione di un altro lotto della medesima opera pubblica oggetto
del presente giudizio, la circonvallazione di RAGIONE_SOCIALE (Cass. n. 13969/2011)».
Inoltre – prosegue la Corte territoriale – «nel connesso giudizio pendente davanti a questa Corte in sede di rinvio tra le medesime parti ed iscritto al n. NUMERO_DOCUMENTO, avente per oggetto le pretese azionate dall’RAGIONE_SOCIALE appaltatrice per oneri previsionali relativi al contratto di appalto di cui si discute in questo procedimento», la Corte di cassazione ha precisato che «la mancanza di accertamento della conformità paesaggistica dell’opera ai sensi della legge n. 1497/1939 ‘costituirebbe ulteriore profilo di nullità’ del contratto, tenuto in particolare conto che ‘l’inserimento nei piani regolatori non rileva di certo ai fini dell’accertamento della suddetta conformità’ (vedi Cass. n. 565/2015)».
Pertanto, veniva dichiarata la nullità del contratto di appalto pubblico stipulato tra le parti «per mancanza di autorizzazione paesaggistica dell’opera».
Venivano conseguentemente rigettate le domande proposte dall’appaltatrice per la declaratoria di illegittimità dell’atto di rescissione e per il conseguente risarcimento del danno.
Allo stesso modo, veniva respinto anche l’appello incidentale finalizzato ad ottenere il pagamento di somme ulteriori rispetto a quelle riconosciute in primo grado.
Era assorbita la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno proposto dal RAGIONE_SOCIALE.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE deduce la «nullità del contratto per violazione della normativa urbanisticoedilizia. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, numeri 3 e 4, c.p.c.».
In particolare, la Corte d’appello è pervenuta alla declaratoria di nullità del contratto, negando che il RAGIONE_SOCIALE sia onerato della prova sulla circostanza (la nullità del contratto), mentre il tribunale, nella sentenza non definitiva di prime cure, aveva rigettato l’eccezione «a fronte dell’assenza della prova da parte del RAGIONE_SOCIALE».
La Corte, dunque, ha ritenuto il RAGIONE_SOCIALE esente dall’onere della prova, «senza tuttavia notare che il RAGIONE_SOCIALE nell’atto di appello non ha proposto affatto impugnazione sul punto e che, quindi, sull’attribuzione dell’onere e sul difetto di prova si (era) formato il giudicato».
Il RAGIONE_SOCIALE si sarebbe limitato, infatti, ad impugnare la sentenza di prime cure esclusivamente in ordine alla circostanza che l’assenza di concessione edilizia «doveva essere ritenuta provata per mancata contestazione ai sensi dell’art. 115 c.p.c.».
La Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della formazione del giudicato «sulla diversa e preliminare circostanza che la prova sia a carico del RAGIONE_SOCIALE e che quest’ultimo ha mancato di offrirla in modo adeguato».
Con il secondo motivo di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In particolare, la Corte d’appello ha ritenuto che l’onere di dimostrare la mancanza di concessione edilizia incombesse su chi l’aveva eccepita se la controparte la contestava, concludendo nel senso che tale «dimostrazione inconferente nel caso di
specie, in cui l’RAGIONE_SOCIALE ammetteva la mancanza di concessione edilizia».
Tuttavia, per la RAGIONE_SOCIALE l’oggetto della prova dei fatti costitutivi dell’eccezione che incombe sul RAGIONE_SOCIALE «è la non conformità urbanistico-edilizia dell’opera» e non meramente «l’assenza di concessione edilizia», che costituisce «solo un elemento del fatto complesso su cui si basa la conformità urbanistica dell’opera».
Con il terzo motivo di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La motivazione della sentenza della Corte d’appello esprimerebbe un convincimento «improprio ed inidoneo».
Inizialmente, infatti, la Corte territoriale pare assumere a fondamento della decisione la violazione di entrambe le discipline, sia quella urbanistica che quella paesaggistica.
Successivamente, rileva che, anche a prescindere dalla conformazione urbanistica dell’opera, trattandosi di opera parificata a quelle statali, effettivamente non era necessaria la concessione comunale, ma solo il provvedimento di compatibilità emesso d’intesa con la RAGIONE_SOCIALE, che nella specie mancava.
Infine, reputava emergere direttamente dagli atti la nullità del contratto per difetto della violazione paesaggistica «con efficacia dirimente sulla questione della validità del rapporto negoziale».
Con il quarto motivo di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE si duole della «ulteriore violazione e falsa applicazione degli articoli 132 c.p.c., il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La Corte d’appello si sarebbe discostata radicalmente dalle conclusioni del CTU, il quale aveva ritenuto che le opere non erano soggette a concessione edilizia comunale in quanto eseguite dalle amministrazioni statali.
Pertanto, per la RAGIONE_SOCIALE la procedura di intesa RAGIONE_SOCIALE–RAGIONE_SOCIALE non risultava necessaria in base agli atti processuali, dai quali emergeva che la tangenziale faceva parte degli strumenti urbanistici di cui il territorio era dotato.
Il giudice avrebbe posto in essere «un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, omettendo completamente di considerare le risultanze istruttorie raccolte».
Con il quinto motivo di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE si duole della «violazione e falsa applicazione dell’art. 81 d.P.R. 616/1977 ovvero dell’art. 56 d.P.R. 348/1979, il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte reputa, in un passaggio che si può descrivere come ‘volante’, che la conformità urbanistico-edilizia non consta dall’acquisizione «del provvedimento di compatibilità ex art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977 e art. 56 del d.P.R. n. 348 del 1979 di cui peraltro non vi è traccia».
Per la RAGIONE_SOCIALE, dunque, «in relazione agli interventi statali la preventiva concessione edilizia da parte del Comune non è necessaria poiché è insita nelle opere di pertinenza con gli interessi statali».
Per giurisprudenza amministrativa, dunque, l’intesa tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977 e dell’art. 56 del d.P.R. n. 348 del 1979, «non è sempre necessaria ma eventuale ed è volta proprio alla costruzione di opere statali nelle sole ipotesi di difformità».
Sarebbe stato affermato in giurisprudenza che il recepimento dell’intesa RAGIONE_SOCIALE poteva «ritenersi adottato implicitamente attraverso l’approvazione dell’opera medesima».
Con il sesto motivo di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE deduce «l’omesso esame su fatto decisivo, il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Sarebbe stato trascurato il fatto storico decisivo costituito dalla circostanza per cui l’intera tangenziale di RAGIONE_SOCIALE «è prevista nel Piano Regolatore del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE del 1973 (decreto n. 109 del 13 luglio 1973) che era ricompreso nel piano di fabbricazione di RAGIONE_SOCIALE del 1975».
Non era necessaria allora l’intesa RAGIONE_SOCIALE in quanto «già sussisteva compatibilità con gli strumenti urbanistici adottati e l’opera pubblica non interveniva in difformità ad essi».
I motivi terzo e quarto di impugnazione, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, ma anche preliminarmente per evidente pregiudizialità rispetto agli altri, sono infondati.
7.1. In realtà, la motivazione della sentenza della Corte d’appello è presente, non solo graficamente, ma anche nell’enucleazione delle argomentazioni logico-giuridica che sorreggono la decisione adottata.
Non si ravvisa contraddizione nella motivazione della sentenza laddove si sofferma sulla carenza dei titoli urbanistici necessari per la costruzione dell’opera.
Infatti, la Corte territoriale evidenzia che l’opera non necessitava della concessione edilizia comunale, ma, trattandosi di opere dello RAGIONE_SOCIALE, era necessario un provvedimento preventivo di carattere bilaterale adottato nella forma dell’intesa RAGIONE_SOCIALE– RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre, aggiunge la carenza anche del nulla osta con riferimento al piano paesaggistico.
Spiega la Corte d’appello che «anche a prescindere dalla conformità urbanistica dell’opera – in quanto trattandosi di opera
parificata a quelle statali effettivamente non era necessaria la concessione comunale ma solo il provvedimento di compatibilità emesso d’intesa con la RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 81 d.P.R. n. 616/77 ovvero art. 56 d.P.R. n. 348/79 di cui peraltro non vi è traccia emerge invece direttamente dagli atti l’eccepita nullità del contratto per difetto dell’autorizzazione paesistica, con efficacia dirimente sulla questione della validità del rapporto negoziale».
Insomma, per la Corte d’appello mancavano entrambi i presupposti per la realizzazione dell’opera: sia quello urbanistico (atto di Intesa RAGIONE_SOCIALE– RAGIONE_SOCIALE); sia quello paesaggistico (nullaosta paesaggistico).
Non si ravvisa, perciò, alcuna contraddittorietà della motivazione della sentenza della Corte d’appello.
7.2. Quando la Corte d’appello afferma che, trattandosi di opera parificata quelle statali, era necessario «il provvedimento di compatibilità emesso d’intesa con la RAGIONE_SOCIALE», non v’è dubbio che si sia in presenza di una precisa e definitiva presa di posizione sul punto, che non può essere giudicata come affermazione resa «in modo superficiale ed equivoco», come intende la RAGIONE_SOCIALE.
La Corte territoriale, dunque, non si è discostata radicalmente dalle conclusioni della consulenza disposta nel primo grado di giudizio, anche perché nella frase riportata il CTU si limita ad affermare che non era necessaria la concessione edilizia comunale, ma non che non fosse necessario il preliminare atto di intesa RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, trattandosi di opera assimilabile a quelle statali.
La stessa RAGIONE_SOCIALE assume erroneamente che l’intesa RAGIONE_SOCIALE non risultava necessaria in quanto «la tangenziale fa parte degli strumenti urbanistici di cui il territorio è dotato», rendendo lo strumento di raccordo RAGIONE_SOCIALE–RAGIONE_SOCIALE «del tutto superfluo».
Il motivo è peraltro inammissibile laddove censura un «cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, omettendo completamente di considerare le risultanze istruttorie raccolte».
Infatti, con tale censura si resta nell’alveo di una motivazione esistente e si chiede una mera rivalutazione delle risultanze di causa già congruamente effettuata dal giudice di merito, non consentita peraltro in questa sede.
Il primo motivo di impugnazione è infondato.
8.1. Non si è formato il giudicato interno in ordine alla regola di riparto dell’onere della prova, così come definita dal tribunale in prime cure.
Per la RAGIONE_SOCIALE, infatti, il tribunale, nella sentenza non definitiva di primo grado, aveva rigettato l’eccezione di nullità del contratto sollevata dal RAGIONE_SOCIALE, «a fronte della assenza della prova da parte del RAGIONE_SOCIALE».
Quest’ultimo, però, nell’atto di appello – secondo la ricostruzione della RAGIONE_SOCIALE – non ha in alcun modo impugnato tale capo della decisione, che aveva attribuito l’onere della prova a carico del RAGIONE_SOCIALE, limitandosi a chiedere l’applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c..
8.2. In realtà, proprio dal passo dell’atto di citazione in appello del RAGIONE_SOCIALE, trascritto dalla RAGIONE_SOCIALE nel motivo di impugnazione per cassazione, risulta che il RAGIONE_SOCIALE ha espressamente rivolto il gravame avverso la decisione del giudice di prime cure che aveva attribuito in capo ad esso l’onere della prova della nullità del contratto.
Ed infatti, il RAGIONE_SOCIALE ha affermato che «il Giudice di prime cure ha quindi ignorato il principio processuale secondo cui, a fronte di un’allegazione di una delle parti, l’altra parte ha l’onere di
contestare il fatto allegato nella prima difesa utile. La mancata contestazione specifica di circostanza di fatto produce infatti l’effetto previsto dall’art. 115 c.p.c., laddove sancisce espressamente che il giudice ponga a fondamento della decisione i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita».
In sede di appello, quindi, si è impugnata l’affermazione del tribunale obiettando che la circostanza non doveva essere provata perché la mancanza dei provvedimenti costituiva un fatto non contestato.
È infondato il secondo motivo di ricorso.
9.1. Per la Corte d’appello l’onere della prova incombeva sul RAGIONE_SOCIALE, ma, nel caso di specie, avendo l’RAGIONE_SOCIALE non contestato l’assenza di licenza edilizia, l’onere della prova andrebbe nuovamente regolato in base all’art. 2697 c.c.
In realtà, però, la prova dei fatti costitutivi dell’eccezione di nullità del contratto incombeva sul RAGIONE_SOCIALE e consisteva nella «non conformità urbanistico-edilizia dell’opera», senza potersi ridurre «all’assenza di concessione edilizia».
9.2. Tuttavia, la Corte d’appello, sul punto, ha affermato che l’onere della prova dei fatti costitutivi dell’eccezione di nullità del contratto e, quindi, della mancanza di concessione edilizia, ricadeva su chi eccepiva tale nullità, esclusivamente nel caso in cui la controparte muovesse contestazioni al riguardo, mentre tale dimostrazione è «inconferente nel caso di specie, in cui l’RAGIONE_SOCIALE ammetteva la mancanza di concessione edilizia».
Pertanto, non v’è stata alcuna violazione della regola di riparto dell’onere probatorio.
Tanto più, ha aggiunto la Corte d’appello, che, trattandosi di opera parificata a quelle statali, occorreva l’atto di intesa tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
I motivi quinto e sesto, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono anch’essi infondati.
In primo luogo, va chiarito che, dopo la decisione di questa Corte n. 565 del 2015, con riferimento alla normativa urbanistica applicabile, non può essere in alcun modo contestato quanto ormai già affermato, che costituisce giudicato esterno, trattandosi dello stesso contratto concluso tra le medesime parti.
7.1. L’art. 81 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (attuazione della delega di cui all’art. uno della legge 22 luglio 1975, n. 382) stabilisce, al comma 2, che «per le opere da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale l’accertamento della conformità alle prescrizioni delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi, salvo che per le opere destinate alla difesa militare, è fatto dallo RAGIONE_SOCIALE, d’intesa con la RAGIONE_SOCIALE interessata».
Allo stesso modo, l’art. 56 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la RAGIONE_SOCIALE in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n. 382 e al decreto del presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616) dispone che «per le opere da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale l’accertamento della conformità alle prescrizioni delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi salvo che per le opere destinate alla difesa militare, è fatto dallo RAGIONE_SOCIALE, d’intesa con la RAGIONE_SOCIALE».
7.2. Il combinato disposto delle disposizioni suindicate – a cui può aggiungersi anche l’art. 138 del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 è stato fatto oggetto di specifica interpretazione da parte di questa Corte con la sentenza n. 565 del 2015, che, dunque, sotto tale aspetto, e fonte di un giudicato esterno.
Sotto il profilo urbanistico, infatti, questa Corte, con la decisione sopra richiamata, ha reputato indispensabile un provvedimento preventivo adottato d’intesa tra lo RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, ha ritenuto che «l’opera era stata approvata dalla RAGIONE_SOCIALE, ed attribuita in concessione al RAGIONE_SOCIALE». Per poi chiarire che «secondo giurisprudenza consolidata è parificata, ai sensi dell’art. 138 d.P.R. n. 218 del 1978 la disciplina delle opere approvata dalla RAGIONE_SOCIALE a quella propria dei RAGIONE_SOCIALE dello RAGIONE_SOCIALE, ricadenti nella competenza del RAGIONE_SOCIALE; non occorre concessione comunale alcuna, rimanendo l’accertamento della compatibilità delle opere con le prescrizioni degli strumenti urbanistici territoriali, affidato al prAVV_NOTAIO ministro (ed eventualmente, dopo il trasferimento di funzioni dal RAGIONE_SOCIALE agli enti locali, alla RAGIONE_SOCIALE)».
Ancor più chiaramente, questa Corte, nella motivazione della sentenza, che costituisce giudicato esterno, ha sottolineato che «ra comunque, all’evidenza, necessario un iniziale provvedimento relativo alla predetta compatibilità, emesso all’esito della procedura di Intesa di cui all’art. 81 d.P.R. n. 616 del 1977 ovvero dell’art. 56 del d.P.R. n. 348 del 1979 delle opere da eseguirsi nella RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE».
L’importanza di tale provvedimento preventivo, adottato d’intesa dallo RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE, viene successivamente rimarcato da questa Corte, osservando che, come sostenuto dal RAGIONE_SOCIALE, «tale provvedimento non è stato prodotto», sicché «l’inesistenza di esso renderebbe sicuramente nullo il contratto per contrasto con norme imperative» non avendo alcuna «rilevanza quanto affermato dal giudice a quo circa una successiva concessione comunale, dopo il trasferimento della titolarità in capo al RAGIONE_SOCIALE, relativa peraltro ad una variante dell’opera».
La Corte d’appello, nella sentenza impugnata in questa sede, si è inserita nel solco interpretativo di questa Corte, affermando in modo chiaro che, pur non essendo necessaria la concessione edilizia comunale, era indispensabile «il provvedimento di compatibilità emesso di intesa con la RAGIONE_SOCIALE».
Va solo chiarito, in aggiunta, che, in base al contratto di appalto, risulta pacificamente che era onere della società appaltatrice acquisire i documenti autorizzatori e concessori all’esecuzione delle opere, ai sensi dell’art. 102, comma 35, del capitolato speciale d’appalto.
Non si può sostenere, poi, che alla procedura di intesa RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, possa essere surrogarsi la circostanza che «l’intera tangenziale di RAGIONE_SOCIALE è prevista nel piano regolatore del nucleo di industrializzazione di RAGIONE_SOCIALE del 1973 (decreto n. 109 del 13 luglio 1973)».
Su tale aspetto, ormai, si è formato, come detto, il giudicato esterno. Risultava dunque assolutamente necessario un provvedimento preventivo adottato attraverso lo strumento dell’intesa RAGIONE_SOCIALE, invece del tutto assente.
Con il settimo motivo di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE deduce «nullità del contratto per violazione della normativa paesaggistica. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, numeri 3 e 4, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe violato sia l’art. 2909 c.c. sia l’art. 112 c.p.c., in quanto non avrebbe collegato le censure dell’atto di appello al contenuto della sentenza del tribunale.
La Corte territoriale non poteva pervenire alla riforma della sentenza di prime cure con una pronunzia di merito di contenuto istruttorio «senza tenere conto dell’assenza di impugnazione del
RAGIONE_SOCIALE in punto di difetto di allegazione e prova dell’eccepita non conformità paesaggistica».
La Corte avrebbe dunque realizzato «la sostituzione d’ufficio della prova con elementi sopravvenuti (ricerche della CTU percipiente del 2014) ovvero esogeni al giudizio (sentenza Corte suprema del 2015), tutti contrastanti con il concetto di disponibilità della prova contenuti nella decisione del tribunale».
Il tribunale di Tempio Pausania aveva ritenuto che, nel caso in cui la pretesa fatta valere in giudizio fosse ancorata all’assunta validità del contratto e la nullità di questo non risultasse dal suo stesso contenuto, bensì derivasse da circostanze ad esso estranee, allegate da una parte, «il giudice non poteva assumere iniziative dirette a reperire nell’inerzia della parte detti elementi».
Nell’atto d’appello il RAGIONE_SOCIALE, senza censurare in alcun modo il mancato assolvimento dell’onere della prova, si era limitato, con riferimento alla mancanza dell’autorizzazione paesaggistica, a rilevare che la circostanza era stata accertata è attestata dal CTU ed ammessa dalla stessa controparte. Aggiungendo che il tribunale non aveva tenuto conto della sentenza della suprema Corte che si era già espressa sulla rilevanza del nullaosta paesaggistico nell’ambito di altra controversia riguardante la costruzione della medesima opera pubblica.
11. Con l’ottavo motivo di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 132, 2º comma, n. 4, c.p.c., il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La motivazione della Corte d’appello sarebbe solo apparente, oltre che perplessa ed incomprensibile.
In un primo momento, la motivazione afferma che rispetto alla conformità paesaggistica risulta indifferente che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE abbia partecipato all’iter di approvazione urbanistica della
tangenziale, ma poi ritiene elemento essenziale determinante che non esista il nulla osta da parte della soprintendenza, come accertato dal CTU.
Poi trova conforto in una pronuncia che, seppure riguardante la tangenziale di RAGIONE_SOCIALE, si occupa di un altro contratto relativo ad un altro lotto.
Con il nono motivo di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE si duole della «violazione e falsa applicazione degli articoli 7 e 8 della legge 1497/1939, il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte territoriale avrebbe reputato sussistente la violazione della normativa paesaggistica sulla base della sola constatazione dell’assenza del nullaosta paesaggistico, ai sensi degli articoli 7 e 8 della legge 29 giugno 1939, n. 1497.
Per la Corte d’appello l’autorizzazione paesaggistica «si configura come atto autonomo e presupposto».
Pertanto, non solo dovrebbe prescindere da ogni valutazione di compatibilità urbanistico edilizia, ma dovrebbe anche preesistere al titolo.
L’area sarebbe stata sottoposta al vincolo ministeriale sin dal 1965, sicché ogni opera che su di essa si fosse dovuta realizzare avrebbe dovuto essere preventivamente valutata e assentita dalla Soprintendenza.
Per la RAGIONE_SOCIALE, invece, vi sarebbe stata una non corretta applicazione della norma, in quanto la disciplina di tutela paesaggistica non introduce un divieto di inedificabilità assoluta in zona vincolata, mentre la conformità paesaggistica dell’opera «non si riduce all’assenza dell’autorizzazione preventive ex art. 7».
In realtà, in materia di conformità paesaggistica «il divieto di rilascio di autorizzazioni paesaggistiche postume» si è realizzato solo
con l’introduzione del d.lgs. n. 42 del 2004 «e non prima». In precedenza, invece, per la giurisprudenza amministrativa (si cita Cons. stato, sez. VI, 9 ottobre 2000, n. 5373) si considerava la possibilità «di autorizzazioni postume a carattere sanante».
Dalle risultanze istruttorie, dunque, sarebbe stato possibile «apprezzare la conformità paesaggistica dell’opera in modo conforme a legge secondo la sua corretta interpretazione».
Con il decimo motivo di impugnazione la società appaltatrice deduce «l’omesso esame su fatto decisivo, il tutto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
La Corte territoriale ha affermato che l’autorizzazione paesaggistica prescinde da ogni valutazione di compatibilità urbanistica o edilizia, e quindi dalla considerazione che «il progetto in questione era del tutto conforme agli strumenti urbanistici adottati dalle autorità competenti ed in primo luogo fatti propri dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ».
Ma, in tal modo – a giudizio della RAGIONE_SOCIALE – avrebbe trascurato un fatto decisivo, consistente nel fatto che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, quale autorità titolare della gestione del vincolo, nel 1976, epoca in cui il vincolo era già presente, era intervenuta (decreto n. 96 del 2 aprile 1976) nella sequenza approvativa della programmazione amministrativa del territorio per la definizione del tracciato della tangenziale prima dell’approvazione del progetto dell’opera.
Inoltre, la RAGIONE_SOCIALE, nel 1986, in epoca successiva all’approvazione del progetto dell’opera e, anzi, nella fase di piena attuazione dell’appalto, era intervenuto nuovamente, con decreto del 24 aprile 1986, «nella sequenza approvativa della programmazione amministrativa del territorio sulla variante che introduceva lo svincolo».
L’ottavo motivo, che va trattato preliminarmente rispetto agli altri per evidenti ragioni logiche, è infondato.
La motivazione della sentenza della Corte d’appello è presente, non solo graficamente, ma anche nell’enunciazione delle argomentazioni logico giuridiche sottese alla decisione adottata.
La motivazione risulta completa ed ampiamente descrittiva della fattispecie esaminata, facendo riferimento non solo alle risultanze della CTU espletata in primo grado, ma anche tenendo conto della sentenza di questa Corte n. 13969 del 2011, che ha riguardato un altro lotto per la realizzazione della medesima opera pubblica oggetto del presente giudizio. Inoltre la Corte territoriale ha anche tenuto conto della sentenza di questa Corte n. 565 del 2015, che ha riguardato il medesimo contratto tra le stesse parti.
I motivi settimo, nono e decimo, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
15.1. Anzitutto, si rileva che deve essere applicato il principio di diritto di cui alla sentenza di questa Corte n. 565 del 2015, trattandosi di giudicato esterno tra le stesse parti.
16. In particolare, con la decisione sopra richiamata e, con particolare riferimento ai vincoli paesaggistici, questa Corte ha ritenuto che «è altresì pacifica la mancanza di documentazione relativa alla conformità dell’opera la disciplina di tutela del paesaggio, ai sensi della L. n. 1497 del 1939. L’inserimento nei piani regolatori, come indicato dalla sentenza impugnata, non rileva certo ai fini dell’accertamento di detta conformità. Ed è lo stesso giudice a quo a precisare che, almeno per un tratto, l’opera è sicuramente sottoposta al prAVV_NOTAIO vincolo. La mancanza di tale accertamento, costituirebbe ulteriore profilo di nullità».
Non può, dunque, ritenersi che l’assenza di una specifica autorizzazione preventiva rilasciata dalla Soprintendenza possa
essere surrogata da una sorta di autorizzazione paesaggistica «implicita», che deriverebbe dalla circostanza che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE «autorità preposta alla gestione del vincolo, ha partecipato agli atti di programmazione del territorio in cui la tangenziale è ricompresa sia in epoca precedente al progetto che in epoca successiva a provando negli esiti».
17. L’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze naturali) prevede che «i proprietari possessori o detentori, a qualsiasi titolo, dell’immobile, il quale sia stato oggetto di notificata dichiarazione o sia stato compreso nei pubblicati elenchi delle località non possono distruggerlo né introdurvi modificazioni che arrechino pregiudizio a quel suo esteriore aspetto che è protetto dalla presente legge. Essi pertanto debbono presentare i progetti dei RAGIONE_SOCIALE che vogliano intraprendere alla competente Regia Soprintendenza e astenersi dal mettervi mano sino a tanto che non ne abbiano ottenuto l’autorizzazione».
L’art. 8 della legge n. 1497 del 1939 stabilisce poi che «indipendentemente dall’inclusione nell’elenco delle località o dalla notificazione di cui all’art. 6, il ministro dell’educazione nazionale ha facoltà: a) di inibire che si eseguono senza preventiva autorizzazione RAGIONE_SOCIALE comunque capaci di recare pregiudizio all’attuale stato esteriore delle cose e delle località soggetta alla presente legge ».
17.1. Successivamente sono intervenuti i precetti contenuti negli articoli 9 e 42, comma 2, della Costituzione, tanto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 56 del 1968, ha rilevato che vi sono complessi di beni e di aree individuate direttamente dal legislatore in forza del loro «particolare interesse ambientale».
17.2. La tutela di questi valori è stata poi ribadita con più intensità dall’art. 1-quinquies della legge n. 431 del 1985 (c.d. Galasso) che, per i beni ambientali e culturali sottoposti a vincolo
paesaggistico, ha vietato, fino all’adozione da parte delle regioni dei piani paesistici, «ogni modificazione dell’assetto del territorio nonché ogni opera edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici».
17.3. Sono poi intervenuti d.lgs. n. 490 del 1999 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali), successivamente modificato e sostituito dal d.lgs. n. 42 del 2004.
L’art. 135 del d.lgs. n. 42 del 2004, in vigore dal 24 aprile 2008, stabilisce un procedimento di pianificazione congiunta da parte di RAGIONE_SOCIALE e regioni. Elaborazione dei piani paesaggistici, infatti, «avviene congiuntamente tra ministro delle regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’art. 143, comma uno, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo art. 143».
L’art. 145, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004 prevede, poi, la prevalenza del piano paesaggistico sugli strumenti urbanistici comunali («I comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale»).
18. A seguito dell’espletamento della CTU in prime cure, la Corte d’appello ha affermato che era necessaria l’autorizzazione preventiva.
In particolare, la Corte d’appello, condividendo le conclusioni del CTU, ha affermato che «emerge invece direttamente dagli atti l’eccepita nullità del contratto per difetto dell’autorizzazione paesistica, con efficacia dirimente sulla questione della validità del rapporto negoziale».
Ha chiarito la Corte territoriale che era erronea la statuizione del tribunale per cui tale autorizzazione sarebbe stata rilevante solo perché «il progetto in questione era del tutto conforme agli strumenti urbanistici adottati dalle autorità competenti, ed in primo luogo fatti propri dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE», in quanto «dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata in corso di causa emerso da un lato, la presenza di un vincolo paesaggistico sul fondo oggetto dell’opera pubblica e, dall’altro, la mancanza del necessario nullaosta della Soprintendenza».
Facendo proprie le parole del CTU, il giudice d’appello ha affermato che «nell’area interessata dalle opere appaltate per la realizzazione della tangenziale erano previsti, seppur per un tratto limitato, dei vincoli ‘imposti con D.M. 30/11/1965′, riscontrati anche dalla CTP dell’RAGIONE_SOCIALE appaltatrice, RAGIONE_SOCIALE. NOME e che non vi era alcun nullaosta della competente soprintendenza».
Il CTU, nella frase riportata dal giudice d’appello, ha chiarito che «il nullaosta paesaggistico si presenta con caratteri di assoluta autonomia rispetto al profilo concessorio dei titoli abilitativi riguardanti l’assetto del territorio Anche nell’ipotesi dell’esistenza della prescritta concessione edilizia (non trovata in atti), i RAGIONE_SOCIALE non potevano iniziare prima del rilascio del nullaosta paesaggistico, giusta quanto stabilito dal citato decreto impositivo dei vincoli paesaggistici».
19. Per questa Corte, dunque, con la sentenza n. 565 del 2015, sono stati accertati con efficacia di giudicato alcuni punti fermi: la precisazione che l’inserimento nei piani regolatori non rileva ai fini dell’accertamento della conformità paesaggistica; la pacifica mancanza di documentazione relativa alla conformità dell’opera in relazione alla disciplina di tutela del paesaggio, ai sensi della legge n. 1497 del 1939; la sanzione di nullità del contratto di appalto in
assenza di documentazione relativa alla conformità paesaggistica; il fatto che l’opera «è sicuramente sottoposta al prAVV_NOTAIO vincolo».
La necessità della sussistenza del nullaosta paesaggistico risulta, peraltro, anche dalla giurisprudenza di legittimità.
Si è ritenuto, infatti, che, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità, non può ritenersi l’inedificabilità del terreno che ne forma oggetto solo perché lo stesso è sottoposto al vincolo paesistico di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497 (come richiamata dall’art. 82, quinto comma, lett. a, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, aggiunto in sede di conversione del decreto – legge 27 giugno 1985, n. 312), occorrendo, invece, che risulti dai pertinenti documenti che l’inedificabilità sia stata concretamente imposta, in quanto l’esercizio dello “ius aedificandi” nelle zone soggette al vincolo suindicato non è escluso per il mero fatto della sottoposizione al medesimo, restando solo condizionato al nulla osta della competente sovrintendenza (Cass., se. 1, 12 dicembre 2001, n. 15704; anche Cass., sez. 1, 19 luglio 2002, n. 10542, con riferimento al vincolo di inedificabilità contenuto in un piano territoriale paesistico, che impone un vincolo conformativo; per la prevalenza delle prescrizioni del piano paesaggistico regionale sul PRG vedi Cass., sez. 5, 20 dicembre 2019, n. 34242).
Nei motivi di ricorso per cassazione, peraltro, non sono riportati neppure per stralcio i documenti ivi richiamati (decreto n. 96 del 2 aprile 1976 e decreto n. 370/V del 24 aprile 1986), con difetto di autosufficienza dei motivi.
Si conferma che l’intervento della RAGIONE_SOCIALE «nella sequenza approvativa della programmazione amministrativa del territorio sulla variante che introduceva lo svincolo» non può costituire quella documentazione per la quale la Corte di cassazione con la sentenza n. 565 del 2015 aveva invitato a verificare la sussistenza, a
prescindere da comportamenti sostanziali degli organi amministrativi preposti alla tutela del paesaggio.
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della società RAGIONE_SOCIALE e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la RAGIONE_SOCIALE a rimborsare in favore del controRAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 12.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e Cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della RAGIONE_SOCIALE dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 giugno 2024