Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13745 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13745 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2350/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappres. e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
FINO 2 RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., e per essa, RAGIONE_SOCIALE quale mandataria- giusta procura del 20 luglio 2017 per notar Varsallona di Milano rep. n. 60850, racc. n. 11358rappresentata e difesa dall’ avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli, n. 4894/2023 pubblicata il 20/11/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6.05.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con atto di citazione, notificato in data 30.3.2011, la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Nola, la Unicredit spa, deducendo che: aveva stipulato in data 4.4.2006 con la Banca di Roma, poi Unicredit, filiale di Sant’Antonio Abate, d ue contratti aventi ad oggetto aperture di credito per l’importo ciascuno di € 500.000,00 (finanziamenti n. NUMERO_DOCUMENTO e n. NUMERO_DOCUMENTO); in data 4.1.2008 aveva stipulato con il Corporate della Banca di Roma, filiale di Nola, un finanziamento chirografario per l’importo di € 1.0 00.000,00 (n. 921001566364); in data 20.09.2006 aveva chiesto a tale COGNOME, proprio debitore, di stipulare a garanzia dell’esatt o adempimento delle obbligazioni contratte da essa attrice con la banca convenuta un contratto di costituzione di pegno-titoli; in data 27.04.2009 la Unicredit aveva rappresentato ad essa attrice che, a causa della riorganizzazione del Gruppo Unicredit, sarebbero stati revocati i contratti di finanziamento n. 921001566364 e n. 921001336952, nonché il contratto di affidamento bancario esistente sul conto corrente n. 5000031794, acceso nel novembre 2003, e, nel contempo, invitandola a corrispondere la somma di € 1.222.757,00 entr o e non oltre cinque giorni; in data 4.6.2009 la banca convenuta aveva escusso la garanzia concessa dal COGNOME all’attrice per un valore complessivo di € 500.000,00 ed arbitrariamente surrogando nella propria posizione il garante; inoltre, aveva venduto dei titoli depositati dalla GM in conto custodia; attraverso tali operazioni e senza trasparenza, la banca aveva estinto parzialmente le aperture di credito in precedenza concesse; con nota del 7.3.2011 la Unicredit aveva risolto il contratto di finanziamento n. 921001566364 e contestualmente recedendo dal
contratto di conto corrente n. 5000031794, chiedendo il pagamento d ella somma di € 269.353,28.
L’attrice lamentava altresì che la banca convenuta: aveva addebitato sui c/c indicati tassi in misura ultralegale ed accreditato tassi di interesse creditori in misura inferiore a quelli legali; aveva applicato un tasso di interesse superiore al tasso soglia di cui alla legge 108/1996; aveva proceduto alla illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, in violazione del divieto di anatocismo; aveva illegittimamente addebitato somme di danaro a titolo di commissione di massimo scoperto no n giustificata dall’utilizzo del fido concesso; aveva provveduto all’antergazione e/o postergazione dei c.d. giorni di valuta in modo arbitrario.
Pertanto, l’attrice chiedeva di: accertare e dichiarare l’ ille gittimità della revoca dei contratti di finanziamento n. NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA nonché del contratto di affidamento bancario esistente sul conto corrente n. 500031794 operata dalla Banca convenuta per tutti i motivi esposti, e di condannare la convenuta banca al risarcimento dei danni conseguenti, patrimoniali e non patrimoniali, nella misura non inferiore ad €. 250.000,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria; ottenere la restituzione delle somme indebitamente addebitate e/o riscosse .
Nel corso del giudizio di primo grado, era pronunciata in data 24.1.2013, depositata in data 30.1.2013 ordinanza, ex art. 186 ter c.p.c., provvisoriamente esecutiva, con cui era ingiunto all’attrice di pagare in favore di Unicredit spa la somma di € 220.746,30, oltre interessi dal 14.9.2011 al saldo, a titolo di capitale residuo del contratto di finanziamento n. 921001566364.
Interveniva nel giudizio di primo grado RAGIONE_SOCIALE nella qualità di cessionaria pro-soluto del credito vantato da Unicredit spaRAGIONE_SOCIALE e, per essa, la procuratrice RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza n. 1024/2019, pubblicata il 8.5.2019, il Tribunale rigettava le domande proposte dalla società attrice, accoglieva la domanda riconvenzionale di Unicredit e, per l’effetto, confermava la precedente ordinanza ex art. 186 te r c.p.c. emessa in data 30.01.2013 dichiarandola definitivamente esecutiva, osservando che: era infondata la domand a dell’attrice, qualificata di accertamento negativo del credito , perché la società attrice non aveva assolto all’onere della prova a suo carico, consistente nella produzione (oltre che degli estratti conti) del contratto di conto corrente ordinario n. 5000031794, le cui clausole essa attrice assumeva inficiate da invalidità; era infondata l’ulteriore domanda di risarcimento danni dell’attrice per presunta illegittima revoca dei contratti di finanziamento e dell’apertura di credito collegata al conto corrente n. 5000031794; era fondata la domanda riconvenzionale della banca convenuta, in quanto essa aveva prodotto il contratto di finanziamento n. NUMERO_DOCUMENTO, che risultava valido in tutti i suoi elementi; precisava, altresì, che, poiché la società attrice, che ne aveva l’onere avendo eccepito l’usurarietà degli interessi, non aveva depositato in giudizio i decreti ministeriali di rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi- i quali erano atti meramente amministrativi per cui non era applicabile i l principio ‘iura novit curia’ -era inammiss ibile l’analisi compiuta dal ctu relativa ai tassi convenuti al fine di verificare l’eventuale superamento del tasso soglia .
Con sentenza del 20.11.2023, la Corte territoriale rigettava l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, osservando che: la società attrice in primo grado, appellante, non aveva mai dedotto nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado che il contratto di conto
corrente n. NUMERO_DOCUMENTO era stato stipulato in forma orale o per fatti concludenti o che, pur essendo stato concluso per iscritto, una copia non era stata mai ad essa consegnata, e, quindi, che detto contratto di conto corrente era nullo per difetto di forma scritta o per omessa consegna di una copia al correntista, né aveva spiegato allegazioni che presupponessero o lasciassero intendere la mancata conclusione del contratto di conto corrente in forma scritta o l’omessa consegna di una copia in suo favore, ma aveva allegato solo che la banca aveva applicato ed addebitato sul conto corrente tassi in misura ultralegale, con illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, in violazione del divieto di anatocismo, un tasso di interesse superiore al tasso soglia di cui alla legge 108/96, illegittimamente addebitando somme di danaro a titolo di commissione di massimo scoperto non giustificata dall’utilizzo del fido concesso, e accreditando tassi in interessi creditori in misura inferiore a quelli legali; il conto corrente bancario era stato acceso nel novembre 2003 e da tale anno la correntista aveva sempre operato con la dovuta correttezza e diligenza; di contro, la banca convenuta aveva allegato la conclusione in forma scritta del contratto di conto corrente, mentre la società attrice nulla aveva contestato nelle memorie ex art. 183, comma 6, n. 1, che, anzi, non erano state depositate; solo nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. la correntista aveva dedotto per la prima volta la mancanza di forma scritta, ex art. 117 TUB, del contratto di conto corrente, allegazioni inammissibili, perché tardive, in quanto effettuate oltre la scadenza delle preclusioni istruttorie, maturate con la decorrenza dei termini di cui all’art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c.; t anto non violava il principio secondo cui le nullità negoziali sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo, in quanto le nullità negoziali possono essere, sì, sempre rilevate d’ufficio in ogni stato e grado, ma
a condizione che i relativi fatti costitutivi siano allegati ritualmente (e quindi nei termini delle preclusioni assertive) dalle parti o emergano ‘ex actis’ da documenti ritualmente (e quindi nei termini delle preclusioni istruttorie) acquisiti; ne derivava che la banca non aveva l’onere di provare la conclusione del contratto in forma scritta, mediante il deposito del contratto, o la consegna di copia al correntista; non era dunque rilevante che il primo giudice avesse emesso nei confronti della banca l’ ordine di esibizione, ex art. 210 c.p.c., del contratto di conto corrente e che tale ordine fosse rimasto inottemperato ; l’appellante non ha mo sso alcuna contestazione circa la motivazione del recesso (mancato pagamento di due rate del finanziamento); quanto al mancato rispetto del termine di quindici giorni di cui all’art. 1845 c.c., l’argomentazione che il predetto termine di cinque giorni era stato espressamente previsto nelle condizioni contrattuali, non era stato contestato dall’appellante, che non ha opposto, invero, nessuna argomentazione di motivato dissenso; il motivo di appello sulla questione della illegittimità della revoca degli affidamento da parte della banca era inammissibile perché si risolveva in mere allegazioni difensive, senza confrontarsi con i passaggi argomentativi della sentenza impugnata con i quali il giudice di primo grado aveva ritenuto in fondata la domanda dell’ appellante di risarcimento danni per revoca illegittima degli affidamenti; sebbene i decreti ministeriali pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, con i quali viene effettuata la rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi, indispensabili alla concreta individuazione dei tassi soglia di riferimento, in virtù del rinvio operato dall’art. 2 l. n. 108 del 1996, fossero atti amministrativi di carattere generale ed astratto, e quindi normativo , l’eccezione di usurarietà dei tassi di interessi previsti nel contratto di finanziamento n. 1566364 concluso in data 4.1.2008 era
infondata, perché generica; nel caso di specie, sia per gli interessi corrispettivi che per quelli moratori non era stato superato il tassosoglia; il fatto che la correntista non aveva assolto all’onere probatorio di depositare il contratto di conto corrente precludeva ogni ricalcolo del rapporto di conto corrente, con assorbimento di ogni questione sul presunto addebito illegittimo di somme in forza di clausole non previste; peraltro, il contratto di conto corrente, come allegato dalla stessa attrice in primo grado, risaliva al novembre 2003 e, quindi, era stato stipulato in epoca successiva alla delibera CIRC 9.2.2000 che, all’art. 3, comma 2, prescrive va la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori, onde il deposito del contratto da parte della correntista era necessario al fine di verificare se in esso fosse prevista, effettivamente, una diversa periodicità di capitalizzazione degli interessi debitori e credito, circostanza negata dalla banca.
La RAGIONE_SOCIALE ricorre in cassazione, avverso la suddetta sentenza, con sette motivi, illustrati da memoria depositata dalla curatela fallimentare a seguito del sopravvenuto fallimento della società ricorrente.
La RAGIONE_SOCIALE e, per essa, la mandataria RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697 c.c., 11, comma 7, TUB, per aver la Corte di Appello ritenuto che l’eccezione di nullità proposta dalla parte attrice nel processo di primo grado, con il deposito delle memorie 183 cpc II termine, non era stata tempestivamente formulata ai fini dell’accertamento dell’esistenza o meno di un rapporto valido ed efficace tra le parti, adducendo che laddove il correntista non fosse in possesso del contratto di conto corrente – avendone fatto richiesta alla
Banca, anche attraverso un ordine di esibizione cui la Banca non ha dato seguito, come nella fattispeciel’onere della prova circa la dimostrazion e dell’esistenza del contratto gravava sulla banca.
Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 166 e 167 c.p.c., 2697 c.c., oltre che degli artt. 210 e 345 c.p.c., in quanto, una volta eccepita la nullità dei rapporti in essere con la Banca, la RAGIONE_SOCIALE non aveva alcun onere di contestare il mancato pagamento delle rate invocate dalla banca nella lettera di recesso ad nutum dagli affidamenti bancari.
Al riguardo, la ricorrente lamenta che: la Banca avrebbe dovuto dimostrare che il presunto mancato pagamento delle rate rappresentava un comportamento inaffidabile della Gm RAGIONE_SOCIALE così grave da non consentire una definizione bonaria della questione e comunque da giustificare l’immediato rece sso dai rapporti in essere, mentre era stato documentato che non vi era stato alcun inadempimento della correntista e che le somme reclamate dalla Banca, quale debito scaduto, fossero direttamente conseguenti alla condotta illegittima posta in es sere da quest’ultima; la Banca aveva dapprima revocato ad nutum e senza giusta causa gli affidamenti concessi ed i finanziamenti in essere richiedendo il pagamento di oltre un milione di euro alla propria cliente, in violazione delle norme dettate in tema di buona fede e lealtà.
Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2967 cpc, 1855 c.c., 342 c.p.c., per l’errata statuizione sull’inammissibilità del motivo di appello relativo all’illegittima revoca degli affidamenti e del recesso operato dalla banca.
Al riguardo, la ricorrente assume che la mancanza dei contratti non poteva far sorgere alcun diritto di credito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e che la revoca degli affidamenti era avvenuta, per stessa
ammissione della Banca, per ‘riorganizzazione aziendale della Unicredit’ e solo successivamente a tale revoca la Banca aveva escusso la garanzia pignoratizia sul presupposto che la Gm non avesse corrisposto delle rate di finanziamento.
Il quarto motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c. c. e dell’ar t. 342 cpc, in relazione agli artt. 1284 e 1815 c.c., con riferimento anche alla indebita e/o illegittima applicazione del tasso di interesse comportante l’azzeramento di tutti gli interessi, capitalizzazione trimestrale, usura e commissione di massimo scoperto, nonché violazione dell’art. 115 cpc, in quanto la RAGIONE_SOCIALE nel corso del giudizio di primo grado, con la memoria 183 II termine cpc, aveva allegato una perizia econometrica che con dovizia di particolari aveva evidenziato le illegittimità emerse dalla verifica della documentazione in possesso della GM Corporation (sempre in considerazione del fatto che la Banca non aveva mai consegnato la documentazione, né ottemperato all’ordine di esibizione ex art 210 c.p.c.).
Il quinto motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c. c. e dell’art. 3 42 cpc, in relazione agli artt. 1284 e 1815 c.c., e alla L. n. 108 del 1996, con riferimento anche alla indebita e/o illegittima applicazione del tasso di interesse comportante l’azzeramento di tutti gli interessi, capitalizzazione trimestrale, usura e commissione di massimo scoperto, nonché violazione dell’art. 115 cpc, per non aver la Corte d’appello considerato, ai fini del superamento del tasso-soglia usurario, l’illegittimità della sommatoria del calcolo degli interessi usurari a quelli corrispettivi.
Il sesto motivo denunzia violazione e falsa applicazi one dell’art. 2967 c. c. e degli artt. 342 e 115 cpc, per aver la Corte territoriale affermato che il mancato deposito del contratto da parte della correntista, che ne
era onerata, e il rigetto della domanda di ripetizione d’indebito relativa al rapporto di conto corrente toglieva ogni rilevanza alla questione del se il rapporto di conto corrente dovesse essere ricostruito dal ctu partendo dal saldo zero o dal saldo negativo indicato nel primo estratto conto disponibile
Il settimo motivo denunzia violazione degli artt. 119 e 210 c.p.c., con riferimento anche all’ordine di esibizione dei documenti mancanti, criticando la sentenza impugnata nella parte in cui ha posto a carico del correntista l’onere di allegazione del contratto di conto corrente, per il quale era stata eccepita l’inesistenza e nullità, in ordine al motivo d’appello concernente l’applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, in violazione del divieto di anatocismo ex artt. 1293 c.c. e 1418, comma 2, c.c.
Assorbente, rispetto alla eccezione di difetto parziale di legittimazione passiva, è la manifesta infondatezza del ricorso.
Il primo motivo è infondato.
La RAGIONE_SOCIALE non ha dedotto nell’atto introduttivo del giudizio che il contratto di conto corrente n. 5000031794 era stato stipulato in forma orale o per fatti concludenti, né l’Istituto di C redito ha dedotto diversamente.
La Corte d’Appello ha inoltre precisato che a seguito di quanto evidenziato dalla banca sulla conclusione del contratto in forma scritta, la ricorrente nulla ha eccepito con le memorie 183, comma 6 n. 1, c.p.c. aggiungendo che solo tardivamente era stata sollevata la questione della mancanza di forma scritta ex art. 117 TUB.
Né è invocabile la mancata rilevabilità d’ufficio della nullità contrattuale: la rilevabilità d’ufficio della nullità di un contratto prevista dall’art. 1421 c.c. presuppone l’allegazione tempestiva del relativo fatto costitutivo. Nella specie, non è criticabile l’argomentazione della
Corte di merito sulla non rilevabilità d’ufficio delle dedotte nullità in quanto relative a documenti non acquisiti nei termini di legge.
Il secondo e terzo motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono inammissibili, una volta che permanga la ratio decidendi di tardiva allegazione della carenza di forma scritta.
Inoltre, non è stata impugnata la ratio decidendi di derogabilità del termine di cui all’art. 18 45, comma 3, cc, deroga che la Corte ha accertato essere avvenuta.
E’ appena il caso di aggiungere che il riferimento alla buona fede, e alla diversa motivazione del recesso, sono fatti nuovi, non discussi dai giudici di merito.
Il quarto motivo è inammissibile. Non risulta specificatamente impugnata l’affermazione di genericità dell’allegazione in domanda. Fermo tale accertamento del giudice del merito, tardiva è l’allegazione del fatto costitutivo solo con la memoria di cui al secondo termine dell’art. 183 cpc.
Il quinto motivo è del pari inammissibile, in quanto la Corte d’appello , fermo il rilievo sulla genericità dell’eccezione relativa al tasso usurario che la banca avrebbe applicato, ha, peraltro correttamente, ai fini della verifica del superamento del tasso-soglia usurario, escluso la cumulabilità delle due forme di interessi solo quale ratio decidendi ulteriore e ad abundantiam .
Ora, una volta che resti ferma la ratio decidendi sulla genericità della causa petendi sulla questione dell’usura, ogni ulteriore affermazione è fuori della potestas iudicandi (Cass. Sez. U., n. 3840/07: qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la
parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata ).
Il sesto e settimo motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono inammissibili data la ratio decidendi in termini di tardività dell’allegazione della carenza di forma scritta , motivo portante della decisione che resta fermo all’esito dell’esame del ricorso .
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 8.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 6 maggio 2025.