Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32839 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32839 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
R.G.N. 15889/2021
C.C. 4/12/2024
COMPRAVENDITA
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 15889/2021) proposto da: COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale rilasciata su separato foglio materialmente allegato al ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO;
–
ricorrenti –
COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi, giusta procura speciale rilasciata su separato foglio materialmente allegato al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e con indicazione di domicilio digitale all’indirizzo PECEMAIL
– controricorrenti – avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 113/2021 (pubblicata il 15 gennaio 2021);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le memorie depositate da entrambe le parti.
RITENUTO IN FATTO
Con atto di citazione del 2004, COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Nola, COGNOME NOME e COGNOME NOME chiedendo che venissero dichiarate autentiche le firme da questi ultimi apposte alla scrittura privata tra le stesse parti conclusa nel 1993 (con cui i citati convenuti avevano trasferimento ad essi attori, per il prezzo di 175 milioni di lire, la proprietà di un locale terraneo sito in Somma Vesuviana, INDIRIZZO, non ancora censito), con richiesta di autorizzare il competente Conservatore dei RR.II a trascrivere l’emananda sentenza, oltre che il Direttore dell’UTE di Napoli ad eseguire le relative volture.
Si costituivano in giudizio i suddetti convenuti, eccependo il difetto di legittimazione passiva della COGNOME NOME e deducendo che la scrittura privata oggetto della controversia si sarebbe dovuta considerare nulla per illiceità della causa ai sensi dell’art. 1418 c.c. in relazione all’art. 1343 c.c., in quanto avente ad oggetto un immobile costruito senza la prescritta concessione e, quindi, incommerciabile ai sensi della legge n. 47/1985. Chiedevano, perciò, il rigetto della domanda, asserendo che, in ogni caso, gli attori non potevano pretendere l’adempimento degli obblighi di cui alla citata scrittura privata, il cui contenuto si sarebbe dovuto ricondurre ad un contratto preliminare di compravendita, piuttosto che ad un contratto definitivo.
Con sentenza n. 3032/2012, l’adito Tribunale di Nola accoglieva integralmente la domanda degli attori.
Decidendo sull’appello interposto dai convenuti soccombenti e nella costituzione di entrambi gli appellati, la Corte di appello
di Napoli, con sentenza n. 113/2021, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava la domanda formulata da COGNOME NOME e NOME, revocava l’ordine di trascrizione della pronuncia di primo grado e condannava gli appellati alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte partenopea dopo aver premesso una ricostruzione normativa sulle disposizioni di interesse della legge n. 47/1985 -ravvisava la fondatezza delle doglianze mosse dagli appellanti con riguardo all’assoluta incertezza in ordine alla riferibilità del titolo edilizio richiamato nell’atto introduttivo di citazione ed indicato nella inerente certificazione comunale relativa al fabbricato oggetto di causa. La Corte territoriale giungeva a tale conclusione in base alle risultanze desumibili dai documenti prodotti in giudizio e degli esiti dell’espletata c.t.u., dai quali non poteva ritenersi ‘con accettabile grado di probabilità’ che la irreperibile licenza edilizia n. 151/1966 si riferisse proprio all’immobile in questione, deponendo in senso contrario, oltre alle palesi incongruenze evidenziate dall’ausiliario giudiziale, una serie di altri elementi convergenti, quali: – la presenza sul suolo in cui insisteva il fabbricato in discorso di diversi corpi di fabbrica costituiti da vari appartamenti e locali, originariamente nella disponibilità del COGNOME, tutti con accesso da INDIRIZZO Castello, civico INDIRIZZO; – la mancata menzione del fabbricato in contestazione sia nella dichiarazione di successione del padre di COGNOME NOME, che nell’atto di divisione; -l’accertamento contenuto nella perizia di stima redatta nell’ambito del procedimento di espropriazione immobiliare promosso ai danni del citato COGNOME, in base al quale l’immobile oggetto della scrittura privata era risultato abusivo, siccome edificato in difetto di concessione edilizia.
Alla stregua di tutti tali riscontri, la Corte di appello rilevava la fondatezza dell’eccezione di nullità del contratto di cui alla menzionata scrittura privata per illiceità dell’oggetto, non potendo trovare neanche applicazione -nel caso di specie -i principi stabiliti con la sentenza della Corte di cassazione a Sezioni unite n. 8230/2019, in virtù dei quali l’atto di trasferimento di diritti reali relativi ad edifici pur abusivi è valido (a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo abilitativo) in presenza di una dichiarazione reale e riferibile all’immobile, presupposto -quest’ultimo non sussistente, per quanto detto, nella situazione oggetto di causa.
Avverso la citata sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, gli appellati soccombenti COGNOME NOME e COGNOME NOME
Hanno resistito con controricorso gli intimati COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione degli artt. 1418, 1491 e 2697 c.c., nonché degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., oltre che degli artt. 17 e 40 della legge n. 47/1985, per aver la sentenza impugnata, ‘in spregio del principio di vicinanza della prova’, addossato ai compratori, e non ai venditori, il dubbio circa la riferibilità della licenza edilizia all’immobile compravenduto.
Si critica la sentenza impugnata sotto un duplice profilo:
anzitutto, lamentando la mancata comprensione di come da una CTU che ‘… ha, quindi, concluso che l’irreperibilità della licenza non consente di confermare o smentire che la stessa
avesse ad oggetto l’immobile oggetto della scrittura privata intervenuta tra le parti ‘ (così la sentenza di appello a pag. 10), la Corte di appello abbia potuto desumere che era più probabile che la licenza non si riferisse, piuttosto che si riferisse, al terraneo oggetto della vendita;
di seguito, prospettando che il dubbio circa detta riferibilità avrebbe dovuto ridondare a carico dei venditori e non degli acquirenti.
Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono -con riguardo all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (sul piano del travisamento della prova) -l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione agli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., nonché agli artt. 115, 116, 191 e segg. c.p.c. e agli artt. 17 e 40 della legge n. 47/1985.
Con questa doglianza si censura, ancora una volta, la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che, nel dubbio pur scaturente dalla CTU, il titolo evocato dagli acquirenti e certificato dal Comune non si riferisse, ‘con ragionevole maggiore probabilità’, all’immobile compravenduto, non tenendosi, però, conto che, in nessun punto, la legge n. 47/1985 prescrive la coincidenza fra il venditore e colui che richiede il titolo edilizio, essendo esigibile la sola conformità urbanistica oggettiva, ovvero che un titolo esista e si riferisca all’immobile venduto, di là da chi ne risulti intestatario.
Si aggiunge, altresì, che, nella fattispecie, né la scrittura, né la certificazione menzionano i dati catastati, perché la descrizione dell’immobile compravenduto riposa esclusivamente sull’indicazione di INDIRIZZO, con la conseguenza che l’ipotetica non corrispondenza fra INDIRIZZO e il mappale 14d del foglio 22 non varrebbe comunque ad escludere che la licenza n. 151/66 si riferisse al fabbricato dei Capasso, che né
le parti, né il Comune identificarono con riguardo ai riferimenti catastali.
Il primo motivo non è fondato e va rigettato.
Come già evidenziato, la relativa doglianza è basata sull’assunta violazione del principio della vicinanza della prova e sul correlato obbligo incombente sulle parti in relazione alla concreta domanda dedotta in giudizio.
Senonché, deve osservarsi che, nel caso in esame, la questione -peraltro eccepita dagli appellanti già in primo grado e reiterata in appello (v. pagg. 6 e 8 della sentenza impugnata) -riguardava una ipotesi di nullità da ricondursi alla previsione di cui all’art. 1418, comma 3, c.c., in relazione all’art. 1343 c.c., trattandosi di una compravendita con oggetto accertato come illecito, siccome riferibile ad un immobile abusivo, essendo -in base ad un’adeguata valutazione di merito, insindacabile nella presente sede di legittimità – rimasta incerta la riferibilità del titolo edilizio richiamato nell’atto di citazione ed indicato nella prodotta certificazione comunale al fabbricato oggetto di trasferimento immobiliare concluso con la scrittura privata, donde l’inapplicabilità del principio statuito dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 8230/2019 (sulle cc.dd. ‘nullità testuali’), trattandosi, invero, di nullità assoggettabile al rilievo d’ufficio, ai sensi della norma generale di cui all’art. 1421 c.c.
Ciò è proprio quanto avvenuto nella fattispecie (anche sulla scorta di specifica censura degli appellanti), in cui la Corte di appello -ponendo riferimento a plurimi esiti istruttori (come indicati esaustivamente nello svolgimento in fatto su riportato) –
ha ritenuto che l’atto di trasferimento concluso con la scrittura privata intercorsa tra le parti nel 1993 non potesse qualificarsi valido in assenza di una dichiarazione reale ed
effettivamente riferibile all’immobile, pur potendosi prescindere -come statuito dalle Sezioni con la citata sentenza n. 8230/2019 – dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo abilitativo.
In particolare, con la menzionata sentenza, le Sezioni unite hanno chiarito che la nullità urbanistica costituisce una specifica declinazione del comma 3 dell’art. 1418 c.c., da definirsi come testuale in quanto volta a colpire gli atti in essa menzionati, ed è insuscettibile, in quanto tale, di applicazione estensiva o analogica, ma soggetta a stretta interpretazione.
Tuttavia -si è decisivamente ritenuto nella pronuncia in esame – è necessario che il titolo menzionato nell’atto non soltanto debba realmente esistere, così come veridica deve essere la dichiarazione dell’alienante, ma debba altresì riferirsi all’immobile oggetto dell’atto, non soltanto perché, diversamente, verrebbe svuotata di significato la previsione della conferma di cui agli artt. 46, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001, e 17, comma 4, e 40, comma 3, della l. n. 47 del 1985 (possibile soltanto in caso di omessa menzione non dipesa da insussistenza del titolo) e la stessa finalità perseguita dal legislatore di limitare le transazioni relative a immobili abusivi, ma anche perché verrebbe altrimenti vanificata la valenza essenzialmente informativa nei confronti della parte acquirente propria della dichiarazione, richiedente la concreta riferibilità del titolo all’immobile oggetto dell’atto.
Infatti, in virtù dell’interesse generale sotteso alla previsione della sanzione civilistica, confermato dall’avere la legge accomunato l’assenza del titolo alla totale difformità del bene ai fini delle sanzioni amministrative e penali (rispettivamente, artt. 7 e 20, contenuti nel Capo 1^, a sua volta richiamato dall’art. 40, comma 1, della legge n. 47/1985), la licenza o la concessione edilizia (ovvero la documentazione alternativa,
rappresentata dalla concessione in sanatoria) devono effettivamente sussistere e tale accertamento deve avvenire non in astratto, ma in relazione alla concreta opera, sicché si devono considerare attratti nella comminatoria di nullità i negozi riguardanti gli immobili costruiti sia in maniera così diversa dalla previsione contenuta nella licenza o nella concessione da non potere essere ricondotti ad essa, sia quelli – ed è proprio il caso verificatosi nella fattispecie cui inerisce la causa a cui si riferisce il ricorso in esame -il cui titolo indicato nell’atto non sia accertato come riferibile al bene oggetto del contratto, essendo, invero, indispensabile ottenere, in proposito, un riscontro che deve essere certo ed univoco.
Il secondo motivo si profila inammissibile o, comunque, infondato.
Infatti, va rilevato che -dietro l’apparente proposizione di un vizio ricondotto al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (quale omesso esame di fatti decisivi) e di asserite violazioni di legge (come prima indicate) -la doglianza mira, in effetti, a sollecitare surrettiziamente una rivalutazione del complessivo assetto probatorio (deducendo un asserito travisamento della prova), le cui risultanze sono state sufficientemente apprezzate dalla Corte di merito, la quale è giunta alla decisione qui impugnata di considerare non raggiunta la prova della riferibilità della licenza n. 151/66 all’immobile oggetto della scrittura di compravendita conclusa tra le parti, aderendo alle conclusioni del CTU anche con il conforto di ulteriori elementi (come in precedenza evidenziati e riportati alle pagg. 10-13 della motivazione), a seguito di un compiuto percorso logicogiuridico-argomentativo supportante la soluzione raggiunta, senza che con il motivo in questione risultino dedotti fatti decisivi che avrebbero determinato il raggiungimento di una conclusione diversa.
Nello svolgimento della censura, i ricorrenti -oltre ad assumere essi stessi che la legge n. 47/1985 esigerebbe la sola conformità urbanistica oggettiva, e cioè che il titolo esista e si riferisca all’immobile venduto (di là da chi ne risulti intestatario) -deducono (v. pag. 23 del ricorso) che né la scrittura, né la certificazione menzionano i dati catastali, appunto perché la descrizione dell’immobile compravenduto riposa esclusivamente sull’indicazione di via e civico, aggiungendosi che ‘ne discende che l’ipotetica non corrispondenza fra INDIRIZZO e il mappale 14d del foglio 22 non varrebbe comunque ad escludere la che la licenza n. 151/1966 si riferisca al fabbricato dei Capasso, che né le parti, né il Comune identificarono con riguardo ai riferimenti catastali’.
Ciò rende evidente che gli stessi ricorrenti riconoscono l’obiettiva incertezza della riferibilità della citata licenza all’immobile oggetto della compravendita.
In ogni caso, tale incertezza e, quindi, l’univoca riferibilità della suddetta licenza all’immobile oggetto di controversia è stata, come già posto in risalto, rilevata con adeguata motivazione dalla Corte di appello in base alle risultanze desumibili dai documenti prodotti in giudizio e degli esiti dell’espletata c.t.u., dai quali non era stato possibile evincere con certezza che l’irreperibile licenza edilizia n. 151/1966 concernesse proprio l’immobile in questione, deponendo in senso contrario, oltre alle palesi incongruenze evidenziate dall’ausiliario giudiziale, una serie di altri elementi convergenti, come: – la presenza sul suolo in cui insisteva il fabbricato in discorso di diversi corpi di fabbrica costituiti da vari appartamenti e locali, originariamente nella disponibilità del Capasso, tutti con accesso da INDIRIZZO, INDIRIZZO; – la mancata menzione del fabbricato in contestazione
sia nella dichiarazione di successione del padre di COGNOME NOME, che nell’atto di divisione; -l’accertamento contenuto nella perizia di stima redatta nell’ambito del procedimento di espropriazione immobiliare promosso ai danni del citato COGNOME, in base al quale l’immobile oggetto della scrittura privata era risultato abusivo, siccome edificato in difetto di concessione edilizia.
Sul piano generale, è appena il caso di ricordare che, in tema di giudizio civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. E’, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune risultanze istruttorie rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (v., tra le tante, Cass. n. 21187/2019 e Cass. n. 10927/2024).
In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, fra loro al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo, con distrazione in favore del difensore dei controricorrenti per dichiarato anticipo.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge, con distrazione in favore del difensore dei controricorrenti, avv. NOME COGNOME
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione