Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24279 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24279 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13495/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente –
e
NOMECOGNOME NOME in proprio e quale tutrice di NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME;
avverso la sentenza n. 154/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 18/02/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
La Corte osserva:
NOME COGNOME e NOME COGNOME adirono il Tribunale di Cagliari, sez. distaccata di Sanluri, chiedendo la risoluzione del contratto di compravendita avente ad oggetto un fabbricato per civile abitazione sito in Villasor, acquistato da NOME COGNOME con condanna della venditrice alla restituzione del prezzo e al risarcimento dei danni.
La convenuta si costituì replicando di non essere inadempiente e chiese di essere autorizzata a chiamare in causa il direttore dei lavori, NOME COGNOME al fine di essere manlevata dalle eventuali conseguenze negative del giudizio. Questi, nel costituirsi, contestò ogni addebito, affermando che l’immobile era stato realizzato conformemente al progetto approvato.
Deceduto l’attore COGNOME si costituirono i suoi eredi.
In seguito il Giudice, rilevata la nullità dell’atto di vendita, per come anche prospettato dalla difesa degli attori, rimise la causa sul ruolo, invitando le parti a prendere posizione e a trattare la questione.
Il Tribunale accolse la domanda attorea nei seguenti termini: ‘accertata e dichiarata la nullità dell’atto di vendita (…) per l’effetto dichiara tenuta e condanna la convenuta alla corresponsione in favore di parte attrice della somma di euro 152.100, somma già rivalutata all’attualità oltre interessi di mora
dalla presente decisione al saldo; dichiara tenuto e condanna il terzo chiamato a manlevare la convenuta delle somme che costei andrà ad erogare agli attori in ottemperanza alle statuizioni di cui alla presente sentenza (…) ‘ .
Il terzo chiamato in causa propose appello.
La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cagliari, rigettò la domanda di garanzia nei confronti di NOME COGNOME
2.1. Per quel che ancora qui rileva, va ricordato che la Corte locale ha riassunto ed esaminato le censure d’appello mosse sia dal direttore dei lavori che dalla venditrice, la quale, a sua volta, aveva proposto appello incidentale, condividendo i primi tre motivi dell’appello principale.
L’appellante principale, con il primo motivo, aveva lamentato che il Tribunale aveva tardivamente rilevato d’ufficio la nullità del contratto.
La Corte locale, disattese la doglianza, in quanto: ‘l’assunto, condiviso anche dall’appellante incidentale, è palesemente infondato, essendosi il tribunale attenuto ai chiari dettami dell’art. 101 comma 2 c.p.c. introdotto dalla L. 69/2009 (che non pone preclusioni circa il momento -fase o grado- del rilievo del vizio), rimettendo la causa sul ruolo, invitando le parti a trattare specificatamente la questione della nullità -peraltro prospettata anche dalla difesa degli attori -, assegnando loro il termine di gg. 10 prima dell’udienza per note sulla (sola) questione rilevata, così come previsto dalla norma, ponendole, dunque nelle condizioni di valutare quanto prospettato, e di assumere le conseguenti determinazioni’.
La Corte d’Appello disattese, inoltre, l’ulteriore censura mossa sempre dal terzo chiamato COGNOME con il secondo motivo d’appello,
di ultra petizione della sentenza impugnata. Osservò, in particolare, che con le note autorizzate al fine di sollecitare il dibattito sulla questione dell’eventuale nullità, gli appellati eredi COGNOME avevano chiesto espressamente che venisse accertata l’inadempienza contrattuale, con ciò evidenziando ‘in maniera chiara, seppur non trasfusa formalmente nel corpo delle conclusioni, di avere ampliato in detti termini le conclusioni’.
Il Giudice ritenne infondato anche il terzo motivo d’appello, con il quale l’appellante aveva ritenuto non applicabile nel caso di specie, neanche ‘per relationem’ con l’art. 40 L. 47/1985, la nullità formale disposta dall’art. 46 del c.d. T.U. sull’Edilizia (D.P.R. 380/2001), in quanto: ‘la declaratoria di nullità dell’atto di vendita era conseguente e necessitata, avendo, il contratto, ad oggetto un immobile sia formalmente che sostanzialmente non conforme alle prescrizioni urbanistiche (alla stregua dei principi richiamati nella parte espositiva), tanto da essere raggiunta da ordine di demolizione (limitatamente alle opere in variante non autorizzate) da parte del Comune di Villasor con provvedimento del 20 febbraio 2008’.
Infine, la Corte d’appello di Cagliari accolse il quarto motivo d’appello proposto da NOME e, in riforma della sentenza di primo grado, rigettò la domanda di garanzia nei suoi confronti non sussistendo ‘in definitiva nesso di causalità fra l’operato del direttore dei lavori e la nullità del contratto di compravendita, in quanto stipulato dalla COGNOME senza menzionare la concessione in variante richiesta e nella piena consapevolezza che questa non era stata ancora eseguita’.
NOME COGNOME ricorre avverso la statuizione d’appello sulla base di cinque motivi, ulteriormente illustrati da memoria. NOME resiste con controricorso.
Eccepisce il controricorrente l’inammissibilità del ricorso per la mancanza di una completa esposizione dei fatti.
L’eccezione va disattesa.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte che la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso in funzione della comprensione dei motivi stessi, situazione questa del tutto coincidente con la mancanza di esposizione (Cass. n. 16628/2009, n. 19255/2010, fra le tante).
Tuttavia, nel caso in esame, pur dovendosi stigmatizzare la modalità espositiva adottata dalla ricorrente, il ricorso, si pone al limite dell’ammissibilità, ma resta scrutinabile. Non si constata riproduzione (per copia-incolla) di una pluralità di atti processuali, ma solo di una parte della sentenza d’appello, alla cui lettura la Corte avrebbe dovuto comunque procedere, peraltro soddisfacente quanto alla narrazione della vicenda.
Con il primo e il correlato secondo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per ‘error in procedendo’ in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. e violazione e/o falsa applicazione degli artt. 101 comma II c.p.c. e 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., assumendo essere stato leso il proprio diritto di difesa, per non esserle stato permesso di estendere la propria domanda di manleva nei confronti del terzo chiamato in relazione alla ritenuta nullità; nonché per non essere
stato rilevato che la parte attrice non aveva, dopo il rilievo officioso della nullità, concluso in conformità.
Il complesso censorio non è fondato.
Il Tribunale aveva concesso i termini per dedurre con l’ordinanza emessa ex art. 101, co. 2, cod. proc. civ., in ogni caso la parte ben avrebbe potuto chiedere ulteriore termine o concludere all’udienza successiva.
Peraltro, nessun concreto ‘vulnus’ si registra, poiché il giudice ha esaminato la domanda di manleva anche in relazione alla dichiarata nullità.
Quanto poi al secondo profilo, correttamente la Corte di merito ha sottolineato (pag. 9) che gli eredi COGNOME, con le note autorizzate depositate per l’udienza del 14/7/2017 << avevano puntualmente argomentato sul punto , chiedendo espressamente che, accertata l'inadempienza contrattuale della parte convenuta, 'sia che dalla stessa derivi la risoluzione del contratto di compravendita del 21.02.2006, sia che lo stesso contratto sia dichiarato nullo ex officio, la convenuta COGNOME NOME dovrà restituire agli attori le somme ricevute a tiolo di prezzo', con ciò evidenziando, in maniera chiara, seppure non trasfusa formalmente nel corpo delle conclusioni, di avere ampliato in detti termini le proprie conclusioni. Peraltro, la parte attrice aveva sostenuto, già con la memoria ex art. 183 cod. proc. civ., che la non conformità alla concessione edilizia costituiva <>.
Non può condividersi il ragionamento della ricorrente, la quale addebita alla decisione impugnata di avere attribuito ai Faedda domanda diversa da quella di risoluzione, valorizzando un mero <>.
Senza necessità di oltre intrattenersi sul contenuto degli atti difensivi sopra riportati (contenuto, peraltro, univoco, con il quale la parte rivendica il diritto alla restituzione del prezzo ponendo, in alternativa, il presupposto dell’inadempimento o della nullità del contratto), il Collegio condivide e intende dare continuità al principio di diritto, secondo il quale la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando”, in base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di “error facti”, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Sez. 3, n. 11103, 10/6/2020, Rv. 658078).
Evenienze tutte che qui non ricorrono. Quanto sub a), non si riscontra vizio che implichi una nullità processuale; quanto sub b), non si riscontra alcun vizio del ragionamento logico decisorio; quanto sub c), i fatti allegati sono stati correttamente qualificati.
Non può che convenirsi con la conclusione per la quale l’individuazione e l’interpretazione del contenuto della domanda
sono attività riservate al giudice di merito, sindacabili, come vizio di nullità processuale ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., solo qualora l’inesatta rilevazione del contenuto della domanda determini un vizio attinente all’individuazione del petitum, sotto il profilo della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (Cass. n. 30770/2023). Come si è detto, qui il contenuto del ‘petitum’ risulta perfettamente conseguente all’individuazione della domanda.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 46 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico dell’Edilizia), in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., assumendo non sussistere nullità testuale, poiché nell’atto era stato indicato il titolo abilitativo.
7.1. Il motivo merita rigetto.
La sentenza d’appello ha accertato che nell’atto di compravendita, avuto riguardo all’art. 46 d.p.r. n. 380/2001, l’immobile era stato indicato essere stato edificato rispettando il permesso di costruire n. 3080/2005, conformemente al progetto approvato. Per contro risultava essere stato omesso alcun riferimento alla richiesta del 12/10/2015 di rilascio di concessione in sanatoria per i lavori di variante in corso d’opera, che prevedevano l’arretramento della porzione del primo piano confinante con altrui proprietà, né la venditrice mai aveva provveduto al ritiro dell’anzidetta concessione. Inoltre, il 14/3/2006, la Pillitu, nonostante avesse già alienato l’immobile, aveva presentato un’ulteriore istanza di rilascio di concessione edilizia in sanatoria, a riguardo di modifiche interne. La non conformità edilizia aveva trovato conferma nell’ordinanza di demolizione del 14/7/2006, per il mancato rilascio della concessione in sanatoria per le varianti.
Da ciò indubbiamente si ricava che l’atto di compravendita risultava affetto da nullità formale, a cagione dell’omessa menzione di tutti i titoli edilizi riguardanti l’immobile venduto; nonché da nullità sostanziale, stante che all’atto dell’alienazione l’immobile presentava difformità rispetto all’originaria concessione.
Con il quarto motivo, sotto altro e diverso profilo, la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di contraddittorio tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.
Questi i profili del complesso censorio:
-la Corte di merito aveva errato nel ritenere insanabili le difformità edilizie presenti nell’immobile, contrariamente a quanto emerso in sede di accertamento tecnico preventivo svolto nel 2007 su istanza degli stessi attori, che aveva concluso per la sanabilità delle stesse;
-la sentenza di secondo grado aveva omesso totalmente di valutare le risultanze dell’accertamento tecnico preventivo, pervenendo a confermare la declaratoria di nullità dell’atto di compravendita anche da un punto di vista ‘sostanziale’, sull’infondato assunto che l’immobile fosse affetto da difformità insanabili.
8.1. Il motivo è infondato.
Per un verso la doglianza insta per un riesame del vaglio di merito in questa sede precluso.
Debbono richiamarsi i consolidati principi a riguardo dei limiti alla denuncia di violazione degli artt. 115 e 116.
Sul punto è bastevole riprendere quanto affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 20867 del 30/09/2020.
In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037 -02).
In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. n. 659037 -01).
Di poi, come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente;
apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate, avendo la Corte di merito, come si è visto, steso ordito motivazionale pienamente comprensibile e tale da permettere di cogliere le ragioni della decisione.
Il vizio contemplato dal n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. deve riguardare fatti storici o documenti e non già ‘argomenti’ adottati dalla motivazione.
Infine, inconoscibili, ancora una volta, in questa sede le prospettate ragioni che l’esponente crede di trarre dai rilievi della consulenza o dalla spiegazione che adduce quale fondamento dell’ordine di demolizione o dall’asserita sanabilità delle difformità, non è dubbio che l’irregolarità sussisteva e che nell’atto non fossero stati dichiarati tutti gli atti concernenti la storia urbanisticoedilizia dell’immobile.
Infine, la nullità formale, derivante dalla mancata o incompleta dichiarazione nell’atto dei titoli abilitativi edilizi avrebbe dovuto essere impedito con il distinto atto di conferma, regolato dall’art. 40 della l. n. 47/1985, il quale prevede che ‘ Se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi, non sia dipesa dall’insussistenza della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1 settembre 1967, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la
menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda indicate al comma precedente ‘.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di contraddittorio tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., assumendo che la Corte d’Appello aveva erroneamente rigettato la domanda di manleva nei confronti del direttore dei lavori, pur avendo accertato e dichiarato la nullità dell’atto di vendita sull’assunto che l’immobile compravenduto fosse difforme rispetto al progetto ed al titolo abilitativo.
9.1. Il motivo non supera il vaglio d’ammissibilità
La Corte d’appello spiega puntualmente la mancanza del nesso di causalità alle pagg. 14 e 15, <>.
Impertinente il richiamo alla responsabilità del progettista e del direttore dei lavori, la riportata ‘ratio decidendi’ non risulta essere stata attinta dal motivo.
10. Rigettato il ricorso nel suo complesso, il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, del giorno 19 febbraio 2025
La Presidente (NOME COGNOME)