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Nullità clausole bancarie: l’onere della prova

Una società ha citato in giudizio la propria banca per far dichiarare la nullità di alcune clausole (anatocismo, “usi su piazza”) presenti nel contratto di conto corrente del 1982. La banca si è difesa sostenendo l’esistenza di un contratto successivo, senza però produrlo in giudizio. La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, ha stabilito che l’onere di provare l’esistenza del nuovo contratto spettava alla banca. Di conseguenza, ha dichiarato la nullità delle clausole bancarie contestate per indeterminatezza e violazione del divieto di anatocismo, ordinando il ricalcolo del saldo.

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Pubblicato il 13 aprile 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Nullità Clausole Bancarie: a chi spetta l’Onere della Prova?

Una recente sentenza della Corte d’Appello di Cagliari offre importanti chiarimenti in materia di contenzioso bancario, soffermandosi in particolare sulla nullità clausole bancarie e sulla corretta ripartizione dell’onere della prova tra cliente e istituto di credito. La decisione ribalta un verdetto di primo grado, affermando un principio cruciale: se la banca eccepisce l’esistenza di un contratto diverso da quello prodotto dal cliente, spetta a lei fornirne la prova. In mancanza, si deve fare riferimento al documento agli atti, con tutte le conseguenze del caso.

I Fatti di Causa: la controversia sul contratto originario

Una società, titolare di un conto corrente aperto nel 1982, conveniva in giudizio la propria banca per accertare la nullità di diverse clausole contenute nel contratto originario. In particolare, venivano contestate la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (anatocismo), quella che determinava il tasso d’interesse tramite un generico rinvio agli “usi su piazza” e la previsione di commissioni e spese non determinate.

In primo grado, il Tribunale dichiarava la domanda inammissibile per difetto di interesse. La decisione si fondava sull’eccezione della banca, la quale sosteneva che il rapporto non fosse regolato dal contratto del 30.11.1982 prodotto dalla società, bensì da un successivo accordo del 21.12.1982. L’esistenza di questo secondo contratto, mai prodotto in giudizio dalla banca, veniva desunta da una nota del 2015, qualificata dal giudice come confessione stragiudiziale del cliente. Di conseguenza, il Tribunale riteneva che la società non avesse assolto al proprio onere di provare il fondamento della sua pretesa, basata su un contratto ritenuto non più in vigore.

La Decisione della Corte d’Appello: ribaltato l’onere probatorio sulla nullità clausole bancarie

La Corte d’Appello ha completamente riformato la sentenza di primo grado, accogliendo le doglianze della società appellante. Il fulcro della decisione risiede nella corretta applicazione dell’art. 2697 c.c. sull’onere della prova.

I giudici hanno chiarito che, una volta che il cliente ha provato il fatto costitutivo della sua domanda (producendo il contratto del 1982), spetta alla banca, che eccepisce un fatto modificativo o estintivo (l’esistenza di un contratto successivo), dimostrare la fondatezza della propria eccezione. La banca, non avendo mai depositato il presunto contratto del 21.12.1982, non ha assolto a tale onere.

Inoltre, la Corte ha escluso che la nota del 2015 potesse avere valore di confessione, in quanto mancavano i requisiti soggettivi e oggettivi: non vi era la consapevolezza di ammettere un fatto a sé sfavorevole e la dichiarazione, inserita in un modulo predisposto dalla banca stessa, era funzionale a un altro scopo (la ricontrattazione delle condizioni) e non a definire la data esatta del contratto originario.

Le Motivazioni: Analisi della nullità delle clausole

Stabilito che il rapporto era regolato dal contratto prodotto in atti, la Corte ha esaminato nel merito le singole clausole contestate, dichiarandone la nullità.

* Capitalizzazione degli interessi (Anatocismo): La clausola che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito è stata dichiarata nulla per violazione dell’art. 1283 c.c. La Corte ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui tale pratica è illegittima e non può essere sanata da usi bancari.
* Interessi “Usi su Piazza”: Anche la clausola che determinava il tasso di interesse tramite il rinvio agli “usi su piazza” è stata ritenuta nulla per indeterminatezza dell’oggetto (violazione dell’art. 1346 c.c.). Un simile rinvio, per la sua genericità, non consente di individuare un parametro certo e oggettivo, lasciando di fatto la determinazione del tasso alla mera discrezionalità della banca.
* Spese e Commissioni Indeterminate: Analogamente, è stata dichiarata la nullità della clausola che prevedeva l’addebito di spese e commissioni non meglio specificate, sempre per indeterminatezza dell’oggetto.

Conclusioni: Implicazioni pratiche della sentenza

La sentenza riafferma principi fondamentali a tutela del correntista. In primo luogo, consolida la regola secondo cui l’onere della prova di un contratto modificativo spetta alla parte che lo allega, in questo caso la banca. Un cliente non può essere penalizzato per la mancata produzione di un documento che non è in suo possesso e la cui esistenza è solo asserita dalla controparte. In secondo luogo, la pronuncia conferma la giurisprudenza costante sulla nullità clausole bancarie relative ad anatocismo e tassi “usi su piazza”, pratiche che alterano l’equilibrio contrattuale a svantaggio del cliente. La conseguenza diretta è che, una volta accertata la nullità, il saldo del conto corrente deve essere ricalcolato dall’inizio del rapporto fino alla stipula di un eventuale valido accordo successivo, espungendo tutte le poste illegittimamente addebitate (interessi anatocistici, interessi ultralegali, commissioni non pattuite) e applicando, ove necessario, i tassi sostitutivi previsti dalla legge.

Su chi ricade l’onere della prova se la banca sostiene che il contratto prodotto dal cliente è stato sostituito da uno successivo?
L’onere della prova ricade sulla banca. Secondo la sentenza, se il cliente produce il contratto che fonda la sua pretesa, spetta alla banca che eccepisce un fatto modificativo, come la stipula di un contratto successivo, fornire la prova documentale di tale accordo. In sua assenza, si fa riferimento al contratto prodotto dal cliente.

Una clausola che rinvia agli “usi su piazza” per determinare i tassi d’interesse è valida?
No, la Corte d’Appello ha confermato che tale clausola è nulla per indeterminatezza dell’oggetto. Un rinvio generico agli “usi su piazza” non permette di stabilire in modo univoco e certo il tasso applicato, violando così l’art. 1346 del codice civile.

Qual è la conseguenza della dichiarazione di nullità delle clausole di anatocismo e di determinazione del tasso?
La conseguenza è che il saldo del conto corrente riportato dalla banca è da considerarsi erroneo. Il rapporto dare/avere tra le parti deve essere interamente ricalcolato dall’inizio, depurando il conto di tutte le poste addebitate in base alle clausole nulle (come la capitalizzazione degli interessi e gli interessi ultralegali) e applicando i parametri sostitutivi previsti dalla legge, come il tasso legale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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