Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10635 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 10635 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
SENTENZA
sul ricorso 6116-2019 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME giusta procura in calce al ricorso; COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce ai controricorsi;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5529/2018 della CORTE D’APPELLO DI MILANO, depositata l’11/12/2018;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso di NOME COGNOME;
Lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso di NOME COGNOME e l’accoglimento del terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME;
udito l’avvocato NOME COGNOME per delega dell’avvocato COGNOME e l’avvocato NOME COGNOME per delega dell’avvocato COGNOME
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
Con atto di citazione notificato in data 28 febbraio 2013, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente padre e figlio, hanno convenuto, innanzi al Tribunale di Milano, NOME COGNOME chiedendo la revoca per ingratitudine della donazione indiretta fatta in favore di quest’ultima della quota del 50% della casa coniugale sita in Milano –INDIRIZZO di proprietà del marito NOME COGNOME per la restante parte.
Si costituiva in giudizio la convenuta, eccependo la nullità della citazione per indeterminatezza del petitum e causa petendi , e la decadenza dell’azione ex art. 802 c.c. nonché la natura di obbligazione naturale di tutte le attribuzioni patrimoniali effettuate dal marito, e richiedeva la sospensione del giudizio per la pregiudizialità di quello di separazione personale proposto da entrambi i coniugi.
Il Tribunale adito, dopo aver provveduto alla riunione del giudizio con altro, introdotto il 2 ottobre 2015, avente ad oggetto la medesima domanda ed un’altra di nullità (ovvero, in subordine, di revocazione per per ingratitudine) della donazione della somma di € 14.929,29 asseritamente effettuata da NOME COGNOME in favore della nuora NOME COGNOME, ha, con sentenza n. 6937/2017, rigettato le pretese degli attori, condannandoli al pagamento in solido delle spese di lite liquidate in € 8.875,00 oltre accessori. In particolare, il giudice di prime cure, ritenuta la carenza di interesse del padre NOME COGNOME per aver agito nell’interesse del figlio in entrambi i procedimenti, nel confermare la nullità della citazione introduttiva -già dichiarata con ordinanza istruttoria del 14 ottobre 2013 -dichiarava la decadenza ex art. 802 c.p.c. della domanda di revocazione quanto all’attività di sottrazione delle somme da parte della convenuta dal conto corrente cointestato ai coniugi, e respinta la domanda per la ritenuta assenza di animus donandi quanto alla cointestazione dell’appartamento in ragione del vincolo coniugale che avrebbe giustificato l’arricchimento conseguito con la gestione del conto cointestato, potenzialmente destinato al sostentamento della famiglia.
Avverso tale decisione, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto appello innanzi alla Corte d’Appello di Milano, deducendo l’illegittimità della declaratoria di nullità della citazione introduttiva, della conseguente pronuncia di parziale decadenza dell’azione, nonché l’errore di giudizio sulla ritenuta assenza di animus donandi in capo al padre ed al figlio.
La convenuta ha resistito al gravame, evidenziandone l’infondatezza domandandone il rigetto, e proponendo appello incidentale condizionato, per l’ipotesi di riconoscimento della donazione e di sua revocazione, finalizzato ad ottenere la restituzione della somma di € 28.500,00, asseritamente impegnata per l’acquisto del bene nonché la restituzione del 50% della somma mutuata dala banca in occasione dell’acquisto.
La Corte territoriale, con sentenza n. 5529 dell’11 dicembre 2018, nel respingere l’appello, ha confermato, con motivazione parzialmente difforme, la sentenza di primo grado, ritenendo la decadenza dell’azione promossa ai sensi dell’art. 802 c.p.c. e condannando gli appellanti alla refusione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno disgiuntamente proposto ricorso, principale e successivo, basati rispettivamente su sei ed otto motivi.
NOME COGNOME resiste con due distinti controricorsi.
Tutte le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza.
Il primo motivo del ricorso di COGNOME COGNOME denuncia la nullità del processo, degli atti, dell’attività avversaria e della sentenza per la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 6 CEDU, 111 Cost., 42 quater R.D. n. 12/1941, 2 L. n. 57/2016, 5
D. Lgs. n. 116/2017, nonché degli artt. 156, 158 e 159 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. quale conseguenza del fatto che la convenuta si sarebbe difesa in proprio in giudizio in qualità di avvocato, pur essendo un magistrato onorario del Tribunale di Milano, ed avrebbe altresì avuto come difensore un magistrato onorario, l’Avv. NOME COGNOME COGNOME esercente funzioni giurisdizionali presso il medesimo Tribunale di Milano.
A parere del ricorrente, la normativa sulla magistratura onoraria non solo non riguarderebbe esclusivamente gli avvocati e di riflesso la loro deontologia, ma avrebbe diretta attinenza all’ordinamento giudiziario e alla magistratura, strettamente correlata ai principi dell’equo processo e dell’imparzialità del giudice.
Lo svolgimento di attività difensiva da parte dei due magistrati onorari avrebbe, quindi, determinato la nullità della sentenza di primo grado e di quella di appello.
Il motivo è infondato, in quanto ritiene il Collegio che sia incensurabile l’affermazione del giudice di appello che ha ritenuto che, in assenza di una espressa previsione normativa che contempli l’attività svolta dal magistrato onorario quale difensore dinanzi alla stessa autorità giudiziaria presso cui svolga funzioni giurisdizionali, si è al cospetto di una situazione di incompatibilità che si riflette sulla potenziale rilevanza disciplinare della condotta, senza però anche inficiare la validità degli atti compiuti.
Appare pertinente il richiamo della Corte distrettuale al principio affermato da questa Corte secondo cui sulla validità dell’atto posto in essere dal difensore, iscritto all’albo e munito di procura, non incidono eventuali situazioni di incompatibilità con l’esercizio
della professione, quali quelle discendenti dalla qualità di pubblico dipendente, che, sanzionabili sul piano disciplinare, non privano della legittimazione all’esercizio della professione medesima, fino a che persista detta iscrizione (fattispecie relativa alla sottoscrizione dell’atto di appello da parte di un difensore, dipendente delle Ferrovie dello Stato -la cui immissione nell’Ufficio Affari Legali aveva mantenuto i suoi effetti pur dopo la trasformazione dell’Ente Ferrovie dello Stato in società per azioni -e successivamente iscritto, senza contestazioni, nell’albo speciale di un Consiglio dell’ordine degli Avvocati; Cass. S.U. n. 5035/2004; Cass. S.U. n. 3034/1988; Cass. n. 1754/1984; Cass. n. 29462/2017).
E’ pur vero che le norme ordinamentali vietano agli avvocati che ricoprano le mansioni di giudici onorari l’esercizio della professione dinanzi all’ufficio giudiziario nel quale svolgono le funzioni di giudice onorario, ma trattasi di incompatibilità assimilabile a quella alla quale fanno riferimento, con i debiti adattamenti, i precedenti richiamati, il che implica che, stante la pacifica iscrizione della controricorrente e del suo difensore all’albo e la loro abilitazione all’esercizio della professione forense, non può desumersi alcuna invalidità per l’avere gli stessi assunto la difesa in una causa pendente dinanzi al Tribunale di Milano, ove sono incardinati come giudici onorari, rilevando unicamente sul piano disciplinare, avendo in tale senso doverosamente il Tribunale disposto la trasmissione degli atti processuali al Presidente del Tribunale ai fini dell’attivazione del potere di vigilanza che gli compete (si veda anche Cass. S.U. n. 13456/2017, che in relazione alla condotta di un avvocato che
aveva patrocinato una causa dinanzi all’ufficio giudiziario ove svolgeva le funzioni di giudice onorario, ha riconosciuto anche il concorrente esercizio del potere disciplinare da parte degli organi di categoria).
Trattasi di considerazioni che appaiono dirimenti in ordine al profilo denunciato nel ricorso, potendosi in ogni caso sottolineare come il richiamo al dovere di imparzialità e terzietà del giudice non assume diretta rilevanza nella fattispecie, potendo infatti porsi solo in una futura controversia nella quale si potrebbe dubitare dell’effettivo possesso di tali requisiti in capo al giudice onorario che sia chiamato a decidere una controversia rispetto ad una parte che sia stata sua avversaria in un procedimento dal medesimo patrocinato.
Ma soccorrono in tale direzione gi istituti dell’astensione e della ricusazione che permettono alla parte di poter rimediare ed evitare che la decisione possa esser assunta da un iudex suspectus. Né risulta dedotto che nella fattispecie, anche in ragione dell’inserimento dei due legali nell’organico del Tribunale, vi sia stato un difetto di imparzialità o terzietà del giudice che ha deciso la controversia de qua, non avendo mai parte ricorrente proposto istanza di ricusazione.
Il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., in relazione alla violazione degli artt. 6 CEDU, 25, 101 e 111 Cost., nonché degli artt. 158, 273 e 274 c.p.c. per la sussistenza di un vizio di costituzione del giudice e l’usurpazione del giudice naturale. A parere del ricorrente in primo grado sia il Presidente di sezione, con il provvedimento di rimessione del secondo
giudizio al giudice del primo procedimento, sia quest’ultimo, designandosi quale giudicante per entrambi i giudizi, avrebbero dato luogo ad un vizio di costituzione del giudice, usurpazione del giudice naturale e non imparzialità del processo.
In particolare, dopo la notifica del secondo atto di citazione, il giudice designato aveva rimesso gli atti al Presidente del Tribunale che a sua volta aveva rimesso la seconda causa al giudice al quale era stato assegnato il giudizio scaturente dal primo atto di citazione.
Questi, però, non aveva immediatamente disposto la riunione delle due cause, nel mentre avrebbe invece dovuto immediatamente gli atti al giudice assegnatario della seconda causa, perpetrando in tal modo una violazione del principio del giudice naturale.
Invece, ha disposto che le cause viaggiassero per varie udienze in parallelo, procedendo alla loro riunione solo in un successivo momento, ponendo in essere un’attività che si connota come abnorme, risultando evidente la violazione dell’art. 25 Cost, quanto al principio di precostituzione del giudice naturale, e dei principi della CEDU.
Anche tale motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha sottolineato come tra le due cause vi fosse una solo parziale identità oggettiva, atteso che nel secondo giudizio, oltre ad allegarsi il compimento di ulteriori condotte successive idonee a legittimare la revocazione per ingratitudine della donazione dell’appartamento, il solo COGNOME NOME sosteneva che vi fosse stata anche un’altra donazione di somma
di denaro affetta da nullità o comunque suscettibile a sua volta di revocazione.
E’ stato quindi evidenziato che legittimamente il giudice, cui erano state assegnate, a seguito di provvedimento presidenziale ex art. 274 c.p.c. entrambe le cause, aveva inizialmente temporeggiato in ordine alla riunione, ma ciò al fine di permettere ad entrambe le cause di pervenire allo stesso stadio di avanzamento, onde prevenire il rischio che la riunione non potesse assicurare una loro trattazione unitaria, in ragione del diverso grado in cui versavano.
Occorre ribadire che la decisione sull’istanza di riunione di più cause, che si adegua al principio dell’economia dei giudizi, costituisce espressione del potere ordinatorio del giudice, che lo esercita quindi in maniera incensurabile, sicché resta inammissibile l’impugnazione anche avverso il provvedimento che abbia semplicemente omesso di pronunciare sull’invocata riunione di procedimenti distinti (cfr. ex multis Cass. n. 35134/2021; Cass. n. 28539/2021, sul presupposto che poiché si tratta di provvedimento che si fonda su valutazioni di mera opportunità, costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice e ha natura ordinatoria, essendo pertanto insuscettibile di impugnazione e insindacabile in sede di legittimità; Cass. n. 1310/1998).
Ne deriva che non può in alcun modo essere sindacata la decisione del giudice, cui erano stati rimessi entrambi i procedimenti, di non provvedere all’immediata riunione degli stessi, dovendosi altresì escludere che l’assegnazione da parte del presidente del tribunale assuma una portata vincolante in tale
direzione, come si ricava appunto dallo stesso dettato dell’art. 274 c.p.c., norma qui applicata, che dispone che al giudice assegnatario sia rimessa l’adozione dei provvedimenti più opportuni, ivi incluso quello di non procedere alla riunione ovvero di soprassedervi temporaneamente.
Deve perciò escludersi che la norma rechi in sé la regola secondo cui, una volta non provvedutosi alla riunione, i procedimenti debbano automaticamente ritornare agli originari assegnatari, prevalendo invece la diversa assegnazione disposta dal capo dell’ufficio, che radica nel giudice dinanzi al quale è stata disposta la riunione, l’attribuzione del potere di decidere entrambe.
Ma ancor più assorbente rispetto alla censura mossa dal ricorrente è la considerazione che all’interno dello stesso ufficio giudiziario non è di norma possibile invocare il principio del giudice naturale ove si dibatta solo dell’individuazione del giudice persona fisica.
E’ stato più volte affermato che l’inosservanza del principio della immutabilità del giudice istruttore, sancito dall’art. 174 cod. proc. civ., in difetto di una espressa sanzione di nullità, costituisce una mera irregolarità di carattere interno che non incide sulla validità degli atti e non è causa di nullità del giudizio o della sentenza (cfr. Cass. n. 7622/2010) e ciò in quanto (cfr. Cass. n. 12982/2022) la trattazione della causa da parte di un giudice diverso da quello individuato secondo le tabelle, determinata da esigenze di organizzazione interna al medesimo ufficio giudiziario, pur in mancanza di un formale provvedimento di sostituzione da parte del presidente del tribunale, costituisce una mera irregolarità di carattere interno che, in difetto di una espressa
sanzione di nullità, non incide sulla validità degli atti, né è causa di nullità del giudizio o della sentenza (conf. ex multis Cass. n. 26327/2007, secondo cui la sostituzione di giudici di pari funzioni, appartenenti al medesimo ufficio giudiziario, disposta al di fuori del procedimento di variazione tabellare, costituisce una mera irregolarità, e non incide sulla validità dei provvedimenti giudiziari adottati).
Il terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la violazione degli artt. 2909 e 2969 c.c., 324 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nonché la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto intempestiva l’azione promossa dagli attori, incorrendo nel vizio di ultrapetizione e violazione del giudicato interno che si era formato sul punto.
A parere del ricorrente la tempestività dell’azione e/o il rigetto dell’eccezione di decadenza sarebbero coperti dal giudicato interno e non potevano essere oggetto di ulteriore discussione.
Evidenzia che il Tribunale, sebbene fosse pervenuto al rigetto della domanda di revocazione della donazione della quota dell’appartamento, nell’esaminare l’eccezione di decadenza sollevata dalla convenuta, aveva ritenuto che la stessa fosse fondata unicamente in relazione alle asserite condotte distrattive delle somme versate sul conto corrente cointestato.
Viceversa, quanto al comportamento ingiurioso collegato alla relazione extraconiugale addebitata alla convenuta ed al suo comportamento successivo alla scoperta, la sentenza appellata aveva ritenuto che la condotta ingiuriosa, individuata anche nella
complessiva trama volta a recidere il legame affettivo tra il padre e le figlie, aveva assunto un grado di gravità solo nel momento in cui era stata effettivamente individuata dall’attore, il che coincideva con l’invio da parte del difensore del ricorrente di una lettera raccomandata riassuntiva dei fatti, spedita in data 28 gennaio 2013. Pertanto, secondo il giudice di primo grado, anche tenendo conto della rinnovazione della citazione originaria, avvenuta con la memoria integrativa del 10 gennaio 2014 (e pur considerando l’efficacia ex nunc della sanatoria), la domanda risultava proposta nel termine di decadenza di cui all’art. 802 c.c. Nel motivo di rammenta altresì che, avendo il Tribunale rigettato nel merito la domanda di revocazione, escludendo che l’intestazione della quota fosse ascrivibile ad un intento liberale del ricorrente, quanto alla decadenza si era fatto riferimento alla necessità di apprezzare le varie condotte in materia unitaria, il che non consentiva di ritenere intervenuta nemmeno pro parte la decadenza.
Con gli altri motivi di appello si era poi insistito sulla sussistenza dell’animus donandi e sul carattere ingiurioso della condotta della convenuta.
La Corte d’Appello, secondo la prospettazione del ricorrente, avrebbe riconosciuto l’esistenza di una donazione indiretta da parte del marito in favore della moglie, quanto alla quota del 50%, ed avrebbe altresì ravvisato la ricorrenza dei presupposti per la revocazione per ingratitudine nella condotta della convenuta, ma, inopinatamente, avrebbe dichiarato la decadenza anche in relazione alle condotte anteriori alla detta missiva, e ciò in quanto la piena coscienza della condotta antigiuridica della
moglie doveva essere collocata tra il settembre ed il dicembre del 2012, così che alla data della rinnovazione della citazione, avvenuta nel gennaio del 2014, era ormai decorso il termine decadenziale prescritto per legge.
Si sottolinea però che, avuto riguardo al contenuto della sentenza impugnata, e considerato il contenuto dei motivi di appello principale, la Corte d’Appello non poteva autonomamente procedere ad una rivalutazione del dies a quo del termine di decadenza, dovendo ritenersi vincolato a quanto affermato dal Tribunale (ed essendo chiamato a poter operare solo ad una rivalutazione in melius per gli appellanti principali), in assenza di un motivo di appello incidentale da parte della convenuta.
Inoltre, una volta riscontrata l’erronea declaratoria di decadenza, la domanda di revocazione deve essere accolta, avendo la Corte riconosciuto sia la ricorrenza della donazione indiretta sia l’antigiuridicità della condotta della controricorrente.
Il motivo è solo in parte fondato.
Come si ricava dalla lettura della sentenza del Tribunale, che risulta riportata in maniera quasi integrale nel motivo di impugnazione, effettivamente era stata ravvisata la decadenza solo in relazione alle condotte distrattive la cui cristallizzazione era fatta risalire al 23 dicembre del 2011.
Quanto alle successive condotte addebitate alla convenuta si era ritenuto che il dies a quo della decadenza coincidesse con quello della missiva del 28 gennaio 2023, il che rendeva anche in parte priva di rilevanza la questione concernente l’efficacia ex nunc della sanatoria dell’atto di citazione per i vizi dell’ editio actionis .
Con l’appello principale era stata attinta solo la parziale declaratoria di decadenza, ma effettivamente deve concordarsi con la difesa del ricorrente circa il fatto che il rigetto da parte del Tribunale dell’eccezione de qua , quanto ai fatti successivi alla condotta distrattiva, non fosse stata a sua volta oggetto di un motivo di appello incidentale. Rileva a tal fine la circostanza che l’appello incidentale, peraltro proposto in via condizionata, riguardava, per l’ipotesi in cui fosse stata accolta la domanda di revocazione, il riconoscimento del diritto alla restituzione della somma versata al fine di permettere l’acquisto dell’appartamento, nonché della metà della somma mutuata dalla banca, sempre in vista dell’acquisto del cespite.
Coglie nel segno la censura di parte ricorrente che, a fronte di un espresso rigetto (parziale) dell’eccezione di decadenza, ritiene che fosse necessaria la proposizione di un motivo di appello incidentale (condizionato), affinché la Corte d’appello, come poi avvenuto, provvedesse a riscontrare la decadenza anche in relazione a quelle condotte per le quali era stata esclusa l’intempestività della domanda.
Cass. S.U. n. 11799/2017 ha affermato il principio per cui, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai
sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest’ultimo l’esercizio ex art. 345, comma 2, c.p.c. (conformi da ultimo, Cass. n. 25876/2024; Cass. n. 9505/2024).
In assenza di appello incidentale da parte della Brusamolino, alla Corte d’Appello era quindi precluso il riesame della questione della decadenza anche in relazione a quelle condotte per le quali era stata esclusa dal Tribunale, né può sostenersi che le conclusioni della comparsa di risposta in appello, con le quali si chiedeva di dichiarare la decadenza per i motivi tutti espositi in atti valga come appello incidentale, potendo al più essere apprezzata alla stregua di una mera riproposizione delle difese ex art. 346 c.p.c., che, però per quanto detto, non appariva modalità idonea a rendere ancora attuale per il giudice di appello la possibilità di rivalutare la questione decisa dal Tribunale (e ciò anche tacere del fatto che, a fronte delle motivazioni della sentenza appellata, il mero richiamo alle difese esposte in atti, non appare evidentemente una modalità di formulazione dei motivi di appello rispettosa dei requisiti di specificità imposti dall’art. 342 c.p.c.).
Poiché, quindi, la Corte d’Appello non poteva ritornare sulla decadenza quanto ai fatti successivi al cristallizzarsi degli episodi
distrattivi, la sentenza gravata, in accoglimento del motivo deve essere cassata.
Non risulta però fondata la deduzione secondo cui la decisione di appello avrebbe anche accertato sia la ricorrenza della donazione indiretta sia la presenza degli elementi per la sua revocazione.
Quanto alla prima, il passaggio della sentenza d’appello di cui al terzo capoverso della pag. 11, appare compiuto al solo fine di individuare in quale astratta fattispecie sarebbe da ricondurre, ove provata, la vicenda dedotta in giudizio, ma deve altresì escludersi che vi sia stato un concreto accertamento circa il fatto che l’intestazione sia attribuibile ad un intento liberale del ricorrente, anche in considerazione del fatto che la decisione è stata evidentemente adottata sulla base della ragione più liquida, in ragione del carattere assorbente assegnato al riscontro della decadenza, che esimeva dal dover verificare anche l’effettiva ricorrenza della donazione indiretta.
Analogamente è a dirsi quanto alla seconda deduzione, in quanto il passaggio motivazionale di cui al secondo capoverso della pag. 10, lungi dal riprodurre quello che è il convincimento della Corte, riporta piuttosto la tesi difensiva del ricorrente e precisamente indica le condotte che a suo dire avrebbero configurato la grave ingiuria legittimante la revocazione della donazione.
Il quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111 Cost. e 132, co. 2, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., degli artt. 2 Cost., 163, 164 e 156 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 4, c.p.c., nonché l’omessa considerazione di fatti decisivi in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., per aver la Corte
territoriale rigettato la censura degli attori relativa all’illegittimità della declaratoria di nullità dell’atto di citazione con motivazione apparente e comunque manifestamente illogica e insanabilmente contraddittoria. In particolare, a parere del ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe confermato la declaratoria di nullità del primo atto di citazione, già dichiarata dal Tribunale, esclusivamente basandosi su un riconoscimento implicito degli attori dell’esistenza del vizio di nullità, trascurando tuttavia l’effettivo contenuto della citazione che invece risultava pienamente conforme al dettato dell’art. 163, nn. 3 e 4, c.p.c.
Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME analogamente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 163, co. 3, nn. 3 e 4, e 164, co. 4 e 5, c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver la Corte territoriale errato nel ritenere nulla per indeterminatezza della causa petendi e del petitum la citazione introduttiva del giudizio di primo grado.
In particolare, a parere del ricorrente, la Corte si sarebbe erroneamente limitata ad un mero confronto delle conclusioni assunte dagli attori nell’atto di citazione introduttivo con il quale venivano denunciate le gravi ingiurie verso i donanti -con quelle dagli stessi riformulate nella memoria integrativa ex art. 164 c.p.c., ritenendo di conseguenza che il dubbio o l’ambiguità in ordine al soggetto legittimato attivo -se il padre, il figlio oppure entrambi -desse luogo ad indeterminatezza della domanda introduttiva.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati.
Il Tribunale con l’ordinanza del 14 ottobre 2013, modificando il proprio precedente opinamento, ha ritenuto la nullità della citazione del 2013 ‘per indeterminatezza dei requisiti relativi alla causa petendi ed al petitum , facendo gli attori riferimento alla donazione di NOME COGNOME nei confronti della convenuta, poi chiedendo che venga dichiarata la revoca della donazione per grave ingiuria nei confronti dei donanti, in tal modo risultando la legittimazione attiva anche di NOME COGNOME.
In ottemperanza dell’ordine di integrazione della domanda, gli attori, sulla base dei medesimi fatti allegati, hanno chiarito che la grave ingiuria era da individuare nei confronti del solo marito della convenuta, occorrendo quindi revocare la donazione della quota indivisa effettuata da quest’ultimo.
La Corte d’Appello ha poi condiviso la valutazione espressa dal Tribunale, ma ha tratto dalla nullità e dall’efficacia ex nunc che la legge annette alla sua integrazione, l’effetto della decadenza della domanda di revocazione, con un esito che è stato già ravvisato erroneo alla luce della disamina del terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME.
Va al riguardo richiamato il principio espresso dalle Sezioni Unite secondo cui la nullità della citazione, ai sensi dell’art. 164, quarto comma, cod. proc. civ., può essere dichiarata soltanto allorché l’incertezza investa l’intero contenuto dell’atto, mentre, allorché sia possibile individuare uno o più domande sufficientemente identificate nei loro elementi essenziali, l’eventuale difetto di determinazione di altre domande, malamente formulate nel medesimo atto, comporta l’improponibilità solo di quelle, e non anche la nullità della citazione nella sua interezza, e che la
denuncia in sede di legittimità di un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, fa sì che il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi, quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.) (Cass. S.U. n. 8077/2012).
Rilevato che i motivi in esame appaiono satisfattivi dei requisiti formali necessari per consentire alla Corte di poter legittimamente accedere agli atti, ad avviso del Collegio, la conclusione dei giudici di merito in ordine alla nullità per vizi dell’ editio actionis dell’originario atto di citazione non può essere condivisa.
La stessa sentenza di questa Corte ha, poi, chiarito che la nullità della citazione si produce, a norma dell’art. 164 c.p.c., comma 4, solo quando il petitum sia stato del tutto omesso o sia assolutamente incerto, oppure quando manchi del tutto l’esposizione dei fatti costituenti la ragione della domanda, e che, nello scrutinare la conformità dell’atto al modello legale,
l’identificazione dell’oggetto della domanda va peraltro operata avendo riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nell’atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, producendosi la nullità solo quando, all’esito del predetto scrutinio, l’oggetto risulti “assolutamente” incerto.
Tale valutazione va condotta in coerenza con la ragione ispiratrice della norma, che impone all’attore di specificare sin dall’atto introduttivo, a pena di nullità, l’oggetto della sua domanda: ragione che risiede nell’esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese (prima ancora che di offrire al giudice l’immediata contezza del thema decidendum ). Ne consegue che non può prescindersi, nel valutare il grado d’incertezza della domanda, dalla natura del relativo oggetto e dalla relazione in cui, con esso, si trovi eventualmente la controparte: se tale, cioè, da consentire, comunque, un’agevole individuazione di quanto l’attore richiede e delle ragioni per cui lo fa, o se, viceversa, tale da rendere effettivamente difficile, in difetto di maggiori specificazioni, l’approntamento di una precisa linea di difesa (cfr. per il passato, Cass. n. 17023 del 2003 e n. 27670 del 2008 e, dopo l’intervento delle Sezioni Unite, Cass. n. 11751/2013, che ribadisce l’esigenza di garantire l’adeguato svolgimento del diritto di difesa da parte del convenuto).
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, la valutazione del contenuto dell’atto di citazione del 2013 non può in alcun modo avallare il giudizio di nullità espresso dai giudici di merito.
La norma di cui all’art. 164 c.p.c., quanto all’esposizione dei fatti, presuppone per la nullità la sua assoluta omissione, carenza che
non si ravvisa, avendo gli attori analiticamente riportato nelle prime pagine della citazione le varie vicende patrimoniali che avevano permesso di addivenire all’acquisto dell’immobile di INDIRIZZO
E’ stato ricordato come inizialmente NOME COGNOME fosse stato beneficiario di una donazione indiretta immobiliare da parte del padre, e che il bene così acquistato era stato poi rivenduto al fine di conseguire la provvista per permettere l’acquisto dell’appartamento per cui è causa, acquisto al quale aveva nuovamente contributo economicamente il padre. Alla pagina 3 si evidenzia come la donazione fosse avvenuta in favore della convenuta ad opera del solo coniuge e tale ricostruzione trova poi il conforto del primo punto delle conclusioni dello stesso atto, nel quale si riferisce di una donazione indiretta dal padre al figlio per l’intero e dal secondo alla moglie per la quota.
Né può sostenersi che l’oggetto, ovvero il petitum mediato, sia assolutamente incerto, per il fatto che sia stata chiesta la revocazione della donazione per ingiuria della quale sarebbero stati vittime entrambi gli attori, indicati come donanti.
Trattasi ragionevolmente di una cautela indotta dal fatto che le complesse vicende che avevano portato all’acquisto del secondo appartamento, ed alla cointestazione della quota in favore della convenuta, avrebbero potuto in ipotesi indurre a ritenere che, in relazione al contributo economico apportato dal padre in occasione dell’acquisto, la qualità di donante anche nei confronti della nuora fosse stata assunta da questi, e non anche dal figlio, ma ciò non determina una assoluta incertezza dell’oggetto dell a
domanda, che è chiaramente finalizzata a conseguire la revocazione della donazione della quota della metà.
Una volta rinvenuta l’esauriente esposizione dei fatti di causa, ed una volta eventualmente raggiunta la prova degli stessi, l’accoglimento della domanda a favore del solo marito ovvero anche del suocero costituisce l’esito di un apprezzamento di merito, essendo una diretta conseguenza dell’accertamento circa l’effettiva assunzione della qualità di donante in capo ad entrambi o ad uno solo degli attori.
Né può incidere sul tale conclusione la circostanza che gli attori abbiano inteso adempiere all’ordine di integrazione della domanda, essendo evidente che si tratta di condotta imposta proprio dall’adozione del provvedimento, la cui inottemperanza avrebbe esposto gli attori stessi alle gravi conseguenze scaturenti dall’inerzia (conseguenze che oggi l’art. 183 quater c.p.c. individua nel rigetto della domanda).
Deve, pertanto, escludersi che l’avvenuta integrazione della domanda, con la specificazione che la revocazione era richiesta dal solo COGNOME NOME, equivalga al riconoscimento implicito della nullità originaria dell’atto di citazione.
Né potrebbe rilevare l’argomento che nella citazione non sia stata richiesta da NOME COGNOME la restituzione in proprio favore del bene donato, e ciò in quanto le conclusioni della citazione del 2013, come accennato, sono nel senso che la richiesta di revocazione era avanzata da entrambi i donanti, e che, trattandosi di donazione indiretta, e non essendo il bene donato proveniente dal patrimonio del donante, la revocazione, al pari di quanto affermatosi in materia di collazione o riduzione di
donazioni indirette, non potrebbe portare al recupero del bene in natura (Cass. n. 11496/2010; Cass. n. 35461/2022), ma al riconoscimento di un diritto di credito di importo corrispondente al valore del bene indirettamente donato.
La sentenza impugnata si palesa, quindi, erronea quanto alla conferma della declaratoria di nullità dell’originario atto di citazione, e deve pertanto essere cassata anche in parte qua.
Il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 6 CEDU, 2, 3, 24 e 111 Cost., 11 preleggi, 164 c.p.c. e 802 c.c., in relazione agli artt. 360, co. 1, nn. 3 e 4, c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., per aver la Corte territoriale, nel confermare la decadenza dell’azione, violato i principi dell’equo processo e dell’affidamento incolpevole. Secondo il ricorrente, la Corte avrebbe dovuto fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 164, co. 5, c.p.c., essendo tale norma confliggente con i principi costituzionali di ragionevolezza, proporzionalità e difesa nella parte in cui, in caso di nullità della citazione, fa salve le decadenze maturate anteriormente alla rinnovazione o alla integrazione. Il termine annuale di decadenza, insuscettibile di atti interruttivi intermedi, sarebbe incompatibile, a parere del ricorrente, con i tempi della giustizia civile e di gestione del ruolo da parte del giudice.
Il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME analogamente, ed in subordine, denuncia la violazione e falsa interpretazione dell’art. 164, co. 5, c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. e in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. per avere la Corte
territoriale erroneamente pronunciato la decadenza con riferimento a termini scaduti successivamente all’atto di citazione dichiarato nullo. Secondo il ricorrente la Corte avrebbe dovuto fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 164, co. 5, c.p.c., essendo tale norma confliggente con i principi costituzionali di ragionevolezza, proporzionalità e difesa nella parte in cui, in caso di nullità della citazione, fa salve le decadenze maturate anteriormente alla rinnovazione o alla integrazione. Il termine annuale di decadenza, insuscettibile di atti interruttivi intermedi, sarebbe incompatibile, a parere del ricorrente, con i tempi della giustizia civile e di gestione del ruolo da parte del giudice.
I motivi da esaminare congiuntamente, attesa la sostanziale identità delle critiche che pongono, restano evidentemente assorbiti per effetto dell’accoglimento dei motivi di cui al punto che precede.
Il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 802 c.c., 99 e 100 c.p.c., anche con riferimento all’art. 105, co. 2, c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver la Corte territoriale erroneamente disconosciuto l’interesse ad agire e la legittimazione dell’odierno ricorrente principale.
In particolare, secondo il ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe errato nel non riconoscere in capo allo stesso un interesse ad agire, consistente nel riconoscimento giudiziario della sua donazione indiretta e nel disconoscere che l’interesse ad agire possa essere rappresentato anche da un interesse essenzialmente morale a conseguire l’effetto della restituzione in
capo al figlio dell’intera proprietà dell’immobile oggetto di donazione indiretta.
Il terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 802 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver la Corte territoriale erroneamente pronunciato la decadenza dall’azione di revocazione. In particolare, a parere del ricorrente, i fatti ingiuriosi dedotti a sostegno della domanda di revocazione non potrebbero essere scomposti in singoli episodi, isolatamente considerati, ma andrebbero valutati complessivamente in quanto espressione durevole del sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, in ciò manifestandosi la ingratitudine sulla quale si fonda tale domanda di revocazione. La Corte non avrebbe pertanto tenuto conto di tale continuità, intensità e durevolezza delle condotte ingiuriose nel valutare i tempi utili ad escludere la decadenza annuale dell’azione proposta.
Anche tali motivi restano evidentemente assorbiti una volta riscontrata la erroneità della declaratoria di nullità dell’atto di citazione del 2013 (essendo stata effettuata anche la valutazione di difetto di interesse prima dal Tribunale e poi dalla Corte d’Appello sulla base del contenuto dell’atto di integrazione a seguito del riscontro della nullità).
Il sesto motivo del ricorso di NOME COGNOME, che denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 802 c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per la violazione degli artt. 111 Cost.,132, co. 2, n. 4, e 112 c.p.c., nonché l’omessa
considerazione di fatti decisivi in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il termine decadenziale fosse iniziato a decorrere nel periodo tra settembre 2012 e dicembre 2012, quando gli attori avrebbero acquistato piena consapevolezza dell’ingratitudine della convenuta, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale il quale aveva fissato il termine al 28 gennaio 2013, data di invio alla convenuta dell’ultima raccomandata da parte del difensore dei ricorrenti, in cui venivano contestati ulteriori fatti ingiuriosi, resta assorbito per effetto dell’accoglimento del terzo motivo del medesimo ricorso.
Il settimo motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia nullità della sentenza per la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ai sensi dell’art. 112 c.p.c., degli artt. 111 Cost. e 132, co. 2, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., violazione degli artt. 99, 273 e 274 c.p.c., 801 e 2909 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. nonché l’omessa considerazione di fatti decisivi in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. per aver la Corte territoriale omesso di decidere sulla domanda di cui al secondo procedimento incardinato, dimenticando di statuire su tutte le successive condotte ingiuriose ivi denunciate unitamente ed in progressione rispetto a quelle stesse condotte che erano state oggetto del primo procedimento.
Il giudice di secondo grado, nel riunire le due cause postulando erroneamente la totale identità di cause, avrebbe inoltre omesso di fornire un’adeguata motivazione sul punto.
Il motivo è assorbito.
La sentenza di appello, seppur erroneamente, per quanto sopra detto, ha ravvisato la decadenza avuto riguardo unicamente ai fatti dedotti con il primo atto di citazione. Tuttavia, risulta del tutto omessa la disamina di quanto esposto con il secondo atto di citazione del 2 ottobre 2015, ove si richiamavano una serie di condotte, posteriori a quelle richiamate nel primo atto di citazione, le quali potrebbero essere valutate come costituire una progressione dell’atteggiamento ingiurioso in precedenza tenuto ovvero la manifestazione di un nuovo grave sentimento di avversione tale da giustificare ex se la revocazione della donazione.
Per effetto della disposta riunione, il giudice di rinvio sarà perciò chiamato a valutare, non solo l’effettiva ricorrenza di una donazione indiretta, come era sollecitato dai motivi di appello principale avanzati dagli attori soccombenti, ma altresì, laddove tale prima verifica si risolva in senso affermativo, la ricorrenza dei presupposti per la revocazione per ingratitudine, alla luce del complesso degli elementi fattuali allegati in entrambi gli atti di citazione.
Il quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132, co. 2, n. 4, c.p.c. con riferimento all’art. 782 c.c. ed in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per aver la Corte territoriale omesso di pronunciare sulla domanda introdotta con il secondo atto di citazione, domanda che aveva più specificamente ad oggetto la restituzione della somma di euro 14.929,29, versata tramite bonifico dal padre sul conto corrente cointestato al figlio ed alla nuora per nullità della donazione per vizio di forma e per
revocazione della stessa per ingratitudine, sempre limitatamente alla quota del 50%. Il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente applicato il termine decadenziale alla domanda di rimborso, trattandosi, invece, di una domanda non attinente soltanto a revocazione per ingratitudine bensì alla nullità di una ulteriore donazione per difetto di forma, per la quale non opera invece il termine decadenziale, ma il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione.
Il motivo è infondato in quanto la sentenza di appello è pervenuta al rigetto della domanda de qua sulla base di una duplice ratio .
Precisamente, se da un lato ha ritenuto che la maturata decadenza assorbisse anche la richiesta di revocazione della donazione del denaro, ha altresì specificato, con accertamento in fatto che non appare censurato dal motivo di ricorso, che in realtà dei versamenti de quibus unico beneficiario doveva intendersi il solo NOME COGNOME che si era servito delle somme bonificate per adempiere a propri debiti tributari, e che era in ogni caso carente la dimostrazione che i versamenti fossero stati effettuati con l’ animus di beneficiare anche la nuora.
L’omessa critica a tali valutazioni rende perciò inammissibile il mezzo di impugnazione.
L’ottavo motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la violazione e/o omessa applicazione degli artt. 769 e 801 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte territoriale assorbito la questione relativa all’esistenza della donazione indiretta nonché la verifica dei gravi comportamenti ingiuriosi costituenti ingratitudine secondo la medesima Corte. Secondo il ricorrente, il giudice di secondo grado, sebbene avesse
riconosciuto la sussistenza, nel caso di specie, della donazione indiretta dal marito alla moglie del 50% della casa coniugale nonché il fatto che il compendio probatorio documentale versato in primo grado attesterebbe l’ingratitudine della controricorrente, ha omesso di statuire sul punto.
Il sesto motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la violazione ed omessa applicazione degli artt. 769 e 801 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per le medesime ragioni indicato nell’omologo motivo del figlio.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro sostanziale sovrapponibilità, sono inammissibili.
Ed, infatti, una volta ribadito che deve escludersi che sia l’esistenza della donazione indiretta che la ricorrenza della grave ingiuria abbiano costituito degli accertamenti effettivamente compiuti dal giudice di appello, è evidente che gli stessi sono risultati assorbiti per effetto dell’erronea declaratoria di decadenza.
Trattandosi quindi di temi assorbiti nella sentenza d’appello, va richiamato il principio per cui nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale, con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l’accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente, l’esame delle ulteriori questioni oggetto di censura va rimesso al giudice di rinvio, salva l’eventuale ricorribilità per cassazione avverso la successiva
sentenza che abbia affrontato le suddette questioni precedentemente ritenute superate (Cass. n. 19442/2022; Cass. n. 28530/2022; Cass. n. 23558/2014).
Poiché le questioni il cui esame è sollecitato non potevano essere devolute a questa Corte, i motivi in esame sono inammissibili.
La sentenza è perciò cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Va infine disattesa la richiesta di cancellazione delle asserite espressioni offensive, come richiamate a pag. 21 della memoria della controricorrente, trattandosi a ben vedere di legittima espressione del diritto di difesa, consistendo nella narrazione di fatti funzionali alla tesi sostenuta, e senza che eccedano dai doveri di lealtà e probità.
PQM
La Corte accoglie il terzo ed il quanto motivo del ricorso di NOME COGNOME nonché il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME nei termini di cui in motivazione, rigetta i primi due motivi del ricorso di NOME COGNOME dichiara inammissibili l’ottavo motivo del ricorso di NOME COGNOME ed il quinto e sesto motivo del ricorso di NOME COGNOME ed assorbiti gli altri motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda