Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30827 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30827 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3010/2024 R.G. proposto da: COGNOME NOME, nella qualità di procuratore di COGNOME NOME, rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME , unitamente all’avvocato COGNOME NOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME;
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME;
– controricorrente e ricorrente incidentale -e nei confronti di
NOME, in proprio e nella qualità di procuratore di COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME, unitamente all’avvocato COGNOME NOME;
– controricorrente su ricorso incidentale –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI REGGIO CALABRIA n. 868/2023, depositata il 24/11/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. NOME NOME, in proprio e nella qualità di procuratore di NOME COGNOME, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Locri NOME AVV_NOTAIO perché venisse dichiarata, tra l’altro, la nullità (ed in via subordinata l’annullabilità) dell’atto pubblico di divisione stipulato tra la propria madre NOME COGNOME ed il convenuto, fratello di questa, in data 28.07.1993, in quanto contrario a norme imperative ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. e, più specificatamente, all’art. 40 della legge n. 47/1985, che prevede la nullità degli atti inter vivos aventi ad oggetto opere edilizie abusive per la mancata menzione delle concessioni e del condono, e per la falsa dichiarazione di costruzione dell’immobile prima del 1967.
Chiedeva, conseguentemente, l’attore la condanna del convenuto al pagamento del risarcimento danni in via equitativa dell’importo di €. 100.000,00 in suo favore, in proprio e nella qualità di procuratore della propria madre.
Si costituiva NOME COGNOME, rilevando, preliminarmente, la carenza di legittimazione dell’attore ; proponeva, in via subordinata, domanda riconvenzionale di acquisto per usucapione di tutti i beni attribuitigli con l’atto di divisione impugnato, in virtù della scrittura privata di divisione del 31.05.1975, nonché dei fabbricati realizzati sul
terreno rimasto in comune. Chiedeva, altresì, la condanna dell’attrice alla restituzione del conguaglio ad essa versato, in virtù del menzionato atto, per l ‘importo di € . 23.240,56, con interessi e maggior danno ex art. 1224, comma 2, cod. civ., dal 28.07.1993 sino al soddisfo.
Interveniva nel giudizio NOME COGNOME (figlio del convenuto) per chiedere la nullità dell’atto di citazione per mancata integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, litisconsorte necessario e, in ogni caso, la nullità di tutti gli atti del giudizio compiuti in sua assenza.
1.1. Con sentenza n. 597/2017, il Tribunale di Locri rigettava la domanda di parte attrice, con condanna al pagamento delle spese di lite in favore del convenuto e dell’interventore.
NOME COGNOME chiedeva la riforma dell’impugnata sentenza innanzi alla Corte d’Appello di Reggio Calabria. Sottolineava come erroneamente il Tribunale avesse omesso di accertare la falsità delle dichiarazioni relative ai titoli abilitativi del diritto di costruire, derivante dalla assenza di conformità tra l’immobile oggetto dell’atto impugnato e quanto riportato negli atti concessori richiamati, sull’erroneo presupposto che, trattandosi di domanda nuova, ne andava dichiarata l’inammissibilità.
Si costituivano NOME COGNOME e NOME COGNOME, quest’ultimo proponendo appello incidentale condizionato.
2.1. Con sentenza n. 868/2023, il giudice di seconde cure rilevava la mancanza di legittimazione attiva dell’appellante in proprio, non avendo egli provato di essere titolare della posizione giuridica soggettiva che lo rende parte; riteneva ammissibile l’odierna impugnazione limitatamente alle domande dell’attore proposte nella qualità di procuratore della propria madre NOME COGNOME; rigettava il gravame, con condanna dell’appellante alla rifusione delle spese di lite in favore di NOME e NOME COGNOME.
Per quanto ancora di interesse, in particolare in merito all’asserita inammissibilità della domanda di nullità dell’atto di divisione del 1993 per la difformità totale degli edifici realizzati rispetto ai progetti, sosteneva la Corte:
-alla luce di quanto previsto dalla disciplina dettata dall’art. 46 d .P.R. n. 380/2001, che ha sostituito l’art. 17 della legge n. 47 del 1985, e dall’art. 40 della legge n. 47 del 1985, la nullità dell’atto di divisione oggetto di causa poteva essere sanata con un atto di conferma ad opera di anche uno solo dei contraenti, come di fatto avvenuto con l’atto notarile del 15.04.2010, intervenuto a rettifica del precedente atto di divisione del 28.07.1993: atto di rettifica che, pertanto, deve ritenersi valido;
con sentenza n. 8230 del 2019, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno chiarito che, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato, purché tale difformità non dia luogo alla creazione di una unità immobiliare autonoma, ossia di un volume edilizio indipendente da quelli regolarmente as sentiti. Quindi: è valido solo l’atto in cui sia citato un titolo abilitativo realmente esistente; ne consegue la sua nullità -pur in presenza di dichiarazione dei relativi estremi del suddetto titolo -ove invece il titolo non esista. Poiché, nel caso in esame, non è dato ravvisare un’unità immobiliare autonoma, rilevato che la riferibilità del titolo alla costruzione non viene meno in ipotesi di variazione volumetrica pure rilevata dal CTU, deve escludersi la nullità dell’atto di divisione del 1993, così come sanato dall’atto di rettifica -conferma del 2010.
Per la cassazione della sentenza d’appello propone ricorso NOME COGNOME sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato NOME COGNOME, contrastato da NOME COGNOME con controricorso.
In prossimità dell’adunanza tutte le parti hanno presentato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. RICORSO PRINCIPALE
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e/o falsa applicazione (art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. ) dell’art. 1418, comma 3, cod. civ., in relazione a quanto previsto dagli artt. 17 (abrogato e sostituito dall’art. 46 d.P.R. 380/2001) e 40 della legge 28 febbraio 1985, con specifico riferimento all’atto pubblico di divisione del 28 luglio 1993, ed al successivo atto pubblico, di conferma, del 15 aprile 2010. Osserva il ricorrente che l’atto pubblico di divisione del 28.07.1993 conteneva due falsità dichiarative che lo inficiavano di nullità insanabile ai sensi dell’art. 40 legge n. 47 del 1985. Più precisamente, si trattava: i. dell’affermazione per cui l’acquisto della proprietà del terreno dei germani NOME COGNOME e NOME COGNOME era, in realtà, avvenuto per effetto della sentenza n. 250/1984 del Tribunale di Locri, non già per acquisto del terreno avvenuto prima del 1963; ii. della (mendace) dichiarazione di avvenuta realizzazione del fabbricato di cui è causa sul menzionato terreno in epoca anteriore al 1° settembre 1967 e che da allora non erano intervenute modifiche. Precisa, ancora, il ricorso che le Sezioni Unite di questa Corte (n. 8230 del 2019), diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, hanno sancito che «il dettato normativo indica, quindi, che il titolo deve realmente esistere e, quale corollario a valle, che
l’informazione che lo riguarda, oggetto della dichiarazione, deve essere veritiera» (cfr. p. 22 SS.UU.), precisando, infine, sul punto, che «la dichiarazione mendace va assimilata alla mancanza di dichiarazione, e che l’indicazione degli estremi dei titoli abilitativi in seno agli atti dispositivi previsti dalla norma non ne costituisce un requisito meramente formale» (cfr. p. 23 SS.UU.). Da tanto il ricorrente trae la conclusione che l’art. 40, comma 3, della legge n. 47 del 1985 subordina la convalida degli atti nulli alla circostanza che la dichiarazione di inizio lavori ante ‘DATA_NASCITA sia veritiera: il che implica che , in caso di dichiarazione mendace o erronea, l’atto è nullo, e la nullità non è sanabile mediante conferma, come del resto sostiene anche una recente pronuncia di questa Corte (Sez. 2, 22.06.2023 n. 17881).
1.1. Il motivo non può trovare accoglimento.
1.2. Occorre premettere che le doglianze sollevate nel presente motivo di ricorso non rappresentano ius novorum , come invece eccepito – ai fini della dichiarazione di inammissibilità del gravame – nei controricorsi di NOME e NOME COGNOME (rispettivamente a p. 13, 3° capoverso; p. 9, 1° capoverso), in quanto già nel primo grado di giudizio il ricorrente avev a sostenuto la nullità dell’atto di divisione del 28.07.1993 intercorso tra i germani COGNOME per la falsa dichiarazione di costruzione dell’immo bile ante 1967 (come risulta dalle difese di NOME COGNOME in appello, riportate in sentenza: p. 5, 1° capoverso).
In ogni caso, quelle invocate nel primo mezzo di gravame sono tesi interpretative della normativa invocata, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte.
1.3. Tuttavia, le suddette tesi devono essere disattese per le ragioni che seguono.
Va precisato che il caso in esame è disciplinato dagli artt. 17, commi 1 e 4, nonché 40, commi 2 e 3, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, vigente ratione temporis , dato che l’asserita nullità riguarda l’atto notarile di divisione del 28.07.1993 e l’atto notarile di rettifica del 10.01.2000; norme che così recitano:
Art. 17 c. 1: «Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l’entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria rilasciata ai sensi dell’articolo 13. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù».
Analogamente ha disposto l’art. 40, comma 2: «Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’articolo 31 ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione di cui al sesto comma dell’articolo 35. Per le opere iniziate anteriormente al 1° settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal
proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l’opera risulti iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967. Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all’atto medesimo».
Entrambe tali disposizioni hanno previsto (artt. 17, comma 4, e 40, comma 3) la possibilità della «conferma» delle comminate nullità, nei casi in cui la mancata indicazione della concessione edilizia, ovvero la mancanza di dichiarazione o il mancato deposito di documenti, non fossero dipesi dall’inesistenza, al tempo della stipula, della concessione, o della domanda di concessione in sanatoria, o, ancora dal fatto che la costruzione sia stata iniziata dopo il 2 settembre 1967: in tali casi, il legislatore ha previsto la possibilità della conferma degli atti, anche da una sola delle parti, mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, contenente la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda di concessione in sanatoria (Sez. U, Sentenza n. 8230 del 22/03/2019, Rv. 653283 – 01, p. 8 punto 3.2.).
Art. 17, comma 4: «Se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza della concessione al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa: forma del precedente, che contenga la menzione omessa».
Art. 40, comma 3: «Se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi, non sia dipesa dall’insussistenza della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1 settembre 1967, essi possono
essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda indicate al comma precedente».
In sintesi: le due norme hanno rimodulato la sanzione di nullità al duplice scopo di reprimere il fenomeno dell’abusivismo e di sanare il pregresso, ipotizzando due situazioni diverse, tra loro alternative: da un lato, la mancata menzione di un titolo abilitativo della costruzione, pur nella sua reale sussistenza ; dall’altro , l’assenza di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che l’opera era stata iniziata prima del 2 settembre 1967. Tanto si rileva sia dalla formulazione letterale delle norme (in particolare, l’art. 40, comma 2, dedica alla dichiarazione di realizzazione dell’opera ante 1967 un inciso del tutto separato rispetto alle dichiarazioni inerenti il titolo abilitativo dell’immobile); sia dalle espressioni utilizzate , come interpretate dal massimo consesso di questa Corte, ove si evidenzia l’ impiego della congiunzione avversativa «ovvero» nell’elenco delle dichiarazioni mancanti, quali possibile causa di nullità oppure di convalida.
1.3.1. Con la più volte invocata sentenza n. 8230 del 2019, le Sezioni Unite di questa Corte, intervenendo nel dirimere un contrasto in seno alla medesima sezione seconda, riguardante l’interpretazione della sanzione di nullità prevista dagli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985 e dell’art. 46 del TU n. 380 del 2001 (entrato in vigore il 30.6.2003) relativo alla natura formale (in quanto derivante dalla mera assenza nel contratto delle dichiarazioni del venditore) o sostanziale (in quanto riferita alla difformità tra bene venduto e progetto assentito) della comminata nullità, si è espressa con i seguenti principi di diritto:
«La nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art 1418 cod. civ., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità «testuale», con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile».
«In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato» (p. 26, punto 7.5).
Come rilevato nella sentenza impugnata (p. 13, righi 23-25) con riguardo alle nozioni di realità e riferibilità del titolo abilitativo dell’immobile: « l’ambito della sanzione di nullità non può estendersi all’ipotesi in cui sia stato menzionato in atto il titolo abilitativo edilizio, ma la costruzione sia difforme rispetto a quanto autorizzato». Ciò significa: che la nullità testuale, ex art. 1418, comma 3, cod. civ., non è una nullità puramente «formale», poiché essa sanziona anche il caso in cui l’atto sia formalmente regolare (contenendo l’indicazione degli estremi richiesti), ma sia commercializzato un edificio privo nella realtà di titolo abilitativo; situazione che ricorre allorquando la difformità edilizia dia luogo alla creazione di una unità immobiliare autonoma, ossia di un volume edilizio indipendente da quelli regolarmente assentiti, mentre deve escludersi allorquando si sia in presenza di difformità costruttive (totali o parziali) come di variazioni essenziali.
1.3.2. Quanto alla citata ordinanza Sez. 2, n. 17881 del 2023: la decisione rispondeva alla doglianza con la quale le ricorrenti nel caso di specie sostenevano la nullità del trasferimento di diritti reali su immobili per atto di donazione non in regola con la normativa urbanistica, e affermavano che dalla documentazione allegata risultava che le opere e le modifiche apportate all’interno e al prospetto dell’immobile oggetto di donazione erano tutte successive al 1° settembre 1967.
La decisione menzionata in ricorso si è limitata a ribadire il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite n. 8230/2019 (confermato anche in una più recente pronuncia: Sez. 2, del 17.10.2022 n. 30425 Rv. 66599101), a mente del quale la nullità prevista dall’art. 40, comma 2, l. n. 47 del 1985, che ha natura testuale e non virtuale, ricorre soltanto nel caso in cui manchi nell’atto traslativo la dichiarazione del proprietario o di altro a vente titolo, nella forma sostitutiva dell’atto notorio, che l’opera è iniziata prima di tale data; che tale dichiarazione, ove esistente, non risulti riferibile all’immobile oggetto dell’atto traslativo ovvero che quanto dichiarato non corrisponda alla realtà, applicandosi anche a tale dichiarazione (di preesistenza dell’immobile al 1967) il principio enunciato dalle stesse Sezioni Unite i virtù del quale in presenza nell’atto traslativo della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato (Sez. 2, n. 30425 del 2022, cit.); e che nella fattispecie era pacifico che tale dichiarazione richiesta dall’art. 40, comma 2, fosse stata inserita nell’atto di donazione.
1.4. Tornando al caso che ci occupa, dalla lettura delle disposizioni applicabili come sopra richiamate, alla luce dei riportati principi di questa Corte deriva che:
è del tutto irrilevante -ai fini della nullità dell’atto di divisione e dell’atto di rettifica – la data di acquisto del terreno sul quale sarebbe stato realizzato il fabbricato di cui è causa, perché è del tutto irrilevante la denunciata «dichiarazione mendace» degli allora convenuti. Tanto perché la veridicità delle dichiarazioni va riferita alle affermazioni -alternative tra loro -riguardanti la licenza e la concessione in sanatoria (che la legge introduceva), la domanda di concessione corredata dalla prova del versamento delle prime due rate dell’oblazione o la dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che l’opera era stata iniziata prima del 2 settembre 1967. A prescindere, quindi, dal fatto che il terreno in questione fosse pervenuto nella proprietà dei germani COGNOME prima del 1963 per successione ereditaria (come sostenuto in particolare nella memoria di NOME COGNOME, p. 6), ovvero nel 1984 per effetto della sentenza del Tribunale di Locri in diverso giudizio (come sostenuto dal ricorrente: p. 9, 2° capoverso), la veridicità di tali affermazioni non rileva ai fini della contestata nullità di entrambi gli atti notarili.
b) Come già anticipato supra , l’intento del legislatore del 1985, la lettera delle norme e l’interpretazione data da questa stessa Corte, militano nel senso dell’alternatività delle situazioni che possono condurre alla nullità (ovvero alla convalida) dell’atto tra vivi avente per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali.
Ne deriva che non ha pregio la doglianza contenuta nel presente motivo di ricorso, che contesta alla Corte territoriale di non aver dato la giusta rilevanza alla mendace dichiarazione resa dai germani
COGNOME nell’atto di divisione del 28.07.1993, di avvenuta realizzazione del fabbricato sul terreno in epoca anteriore al 1° settembre 1967, in quanto superata dalla successiva produzione dei titoli abilitativi dell’immobile de qua , reali e riferibili alla costruzione. Del resto, quel che rileva, ai fini della corretta applicazione delle norme contro l’abusivismo edilizio , non è sanzionare con il rimedio civile della nullità una dichiarazione mendace, bensì contrastare l’abusivismo edilizio proteggendo al contempo l’affidamento dell’acquirente, senza cioè sacrificare il traffico economico.
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 1226 cod. civ. in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Si chiede, in accoglimento del primo motivo, che la sentenza impugnata venga annullata perché possa essere adeguatamente valutata e riconosciuta l’entità del danno derivato dalla condotta di NOME COGNOME, oggetto della richiesta risarcitoria formulata da NOME COGNOME nella sua qualità di procuratore generale della madre e sorella di NOME COGNOME.
2.1. Avendo il Collegio rigettato il primo motivo di ricorso, il secondo si dichiara assorbito.
Con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. In via del tutto subordinata, si deduce l’erroneità dell’impugnata sentenza di appello sul capo delle spese giudiziali, nella parte in cui non ha riconosciuto la possibilità della compensazione delle spese a fronte del mutamento giurisprudenziale intervenuto con sentenza n. 8230 del 22 marzo 2019 delle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione, in stridente contrasto con la pronuncia della Corte Costituzionale n. 77 del 2018, che ha notoriamente ampliato l’ambito di applicazione della compensazione delle spese
processuali, espressamente valorizzando in quest’ottica il mutamento giurisprudenziale.
3.1. Il motivo è infondato.
A seguito della modifica dell’art. 92, cod. proc. civ. di cui alla legge 10 novembre 2014, n. 162, al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, il potere di compensazione è stato limitato dal legislatore a tassative e specifiche ipotesi; il che porta ad affermare, in difformità rispetto al passato, che il giudice non abbia più una discrezionalità al riguardo ma che sia tenuto a dare rigorosa applicazione del precetto normativo, essendo, quindi, preclusa la possibilità di compensare le spese di lite al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate nell’art. 92 cod. proc. civ.
Né risulta incidere su tale conclusione la sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 92 del codice di rito ad opera della Consulta con la sentenza n. 77 del 2018, la quale ne ha ravvisato la contrarietà ai principi della Costituzione nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni. In tal modo risulta di fatto ripristinata la vecchia formulazione dell’art. 92 cod. proc. civ. nella versione anteriore alla novella del 2014, in relazione alla quale può osservarsi che, rispetto alla ancora più risalente formulazione dell’art. 92 cod. proc. civ., il testo della norma è più rigoroso e consente la compensazione solo in presenza di soccombenza o nel concorso di «altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione» (per tutte: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18345 del 04/07/2024, Rv. 671770 01): espressamente escluse dalla Corte territoriale (v. sentenza p. 16, righi 34-35).
II. RICORSO INCIDENTALE CONDIZIONATO
Nella denegata ipotesi in cui ritenesse la nullità della divisione del 27.7.1993, NOME COGNOME chiede l’accoglimento di tutte le richieste già avanzate nel primo grado di giudizio e riproposte con appello incidentale, ossia:
che si dichiari l’acquisto della proprietà esclusiva di tutto quanto gli era stato attribuito in virtù della scrittura privata di divisione del 31.05.1975 dall’atto di divisione del 28.07.1993, e, per i piccoli fabbricati realizzati su terreno rimasto in comunione con NOME COGNOME dopo quella scrittura, per usucapione, in ragione di possesso esclusivo ultraventennale;
condannare il ricorrente, nella qualità di procuratore generale e rappresentante della madre NOME COGNOME, alla restituzione del conguaglio conseguito nella misura di £ 45.000.000 (€. 23.240,56), con interessi e maggior danno ex art. 1224 cod. civ., dal 28.07.1993 al soddisfo;
in gradato subordine, ove non giudicasse efficace tra le parti la scrittura privata 21.5.1975, dichiararsi l’acquisito in proprietà a NOME COGNOME, per usucapione, di tutto quanto dedotto nel punto i. che precede e si condanni NOME COGNOME anche al rimborso del conguaglio di £ 7.500.000 (€. 3.873,43), che ha conseguito e quietanzato in virtù della detta scrittura privata, con interessi e maggior danno ex art. 1224 cod. civ., a far tempo dal 21.5.1975 al soddisfo.
4.1. Avendo il Collegio rigettato il ricorso principale, il ricorso incidentale condizionato si dichiara assorbito.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €. 8.5 00,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%, in favore di ciascun controricorrente, con distrazione delle spese dovute a NOME COGNOME a favore dell’AVV_NOTAIO, dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 1° ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME