Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26441 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26441 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso N. 10687/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del procuratore speciale NOME COGNOME , rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1316/2021 emessa dal la Corte d’appello di Brescia, depositata in data 19.10.2021;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 10.7.2025 dal AVV_NOTAIO relatore AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 19.11.2014, RAGIONE_SOCIALE, gestore di un esercizio commerciale denominato ‘Kasanova’ posto all’interno del centro commerciale ‘Le Due Torri’ in Stezzano, convenne in giudizio la RAGIONE_SOCIALE dinanzi al Tribunale di Bergamo; espose che la convenuta, a sua volta gestore di una attività di parrucchiere sotto le insegne ‘NOME‘, posta al piano superiore rispetto al proprio esercizio, era responsabile dei gravi danni subiti dalla propria attività, in data 4.11.2011, allorché si verificò una copiosa infiltrazione di acqua proveniente dal soffitto e, dunque, dal locale nella disponibilità della convenuta stessa; che i danni ammontavano ad € 46.216,60, come da perizia allegata. Chiese quindi la condanna della convenuta, quale custode della porzione immobiliare ove veniva gestita la sua attività, ai sensi dell’art. 2051 c.c., e comunque ai sensi dell’art. 2043 c.c., al risarcimento dei danni come sopra quantificati, oltre accessori e spese. La RAGIONE_SOCIALE si costituì negando ogni responsabilità e deducendo che l’evento non le era imputabile, in quanto s’era verosimilmente verificato a causa di una occlusione avvenuta in un innesto di tubazione posto nell’intercapedine inaccessibile sotto il pavimento e quindi in zona non soggetta alla propria custodia; che comunque difettava il presupposto del
fatto colposo per la pure invocata responsabilità aquiliana. Chiese, comunque, di essere autorizzata a chiamare in causa la propria RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, onde essere da questa eventualmente manlevata in caso di eventuale condanna in favore dell’attrice . Autorizzata la chiamata, la RAGIONE_SOCIALE si costituì, eccependo l’inoperatività della polizza e chiedendo rigettarsi comunque tutte le domande.
Istruita la causa mediante CTU, l’adito Tribunale, con sentenza del 31.5.2018, dopo aver invocato il criterio della ragione più liquida, affermò senz’altro la responsabilità della convenuta in relazione all’art. 2043 c.c., giacché era emerso dall’istruttoria che le infiltrazioni erano state cagionate dal non corretto smaltimento dei capelli della propria clientela da parte della convenuta stessa, il che aveva creato l’occlusione nelle tubazioni, da cui era poi appunto scaturito l’evento dannoso. Pertanto, c ondannò la convenuta al risarcimento dei danni, quantificati in € 23.676,76 oltre accessori, rigettando nel resto (compresa la domanda di manleva, stante la non operatività della polizza) e regolando le spese secondo soccombenza.
RAGIONE_SOCIALE propose quindi gravame e la Corte d’appello di Brescia, nella resistenza di RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, con sentenza del 19.10.2021 lo rigettò, regolando le spese. Osservò il giudice d’appello che l’evento dannoso era imputabile all’appellante, secondo il criterio del ‘più probabile che non’, a causa del tappo creato dallo smaltimento dei capelli della clientela e dalla negligente manutenzione degli scarichi, appunto
imputabile alla stessa; ribadì, poi, la non operatività della polizza per i danni, posto che restava escluso dal rischio assicurato l’allagamento dovuto a negligenza del contraente, come nella specie.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, sulla scorta di quattro motivi, cui resistono con distinti controricorsi RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE Fissata l’odierna adunanza camerale, tutte le parti hanno depositato rispettive memorie illustrative. Il Collegio ha riservato il deposito della ordinanza entro sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo si denuncia ‘ ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 4 cpc, nullità della sentenza di 1° grado nella parte che ha accolto la domanda della RAGIONE_SOCIALE di risarcimento danni ex art. 2043 cc e della sentenza di 2° grado che rigettando il primo motivo d’appello della RAGIONE_SOCIALE sul punto ha confermato detto accoglimento, e del procedimento, per violazione dell’art. 164 co 4 cpc in combinato disposto con l’art. 163 n. 4 cpc e con l’art. 2043 cc, per non aver il Giudice di merito rilevato che l’atto introduttivo è privo dell’esposi zione di comportamenti illeciti ex art. 2043 cc che costituiscano le ragioni della domanda, ed è perciò nullo ‘.
1.2 Con il secondo motivo si lamenta ‘ ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 4 cpc, nullità della sentenza della Corte d’Appello sotto il profilo anche della violazione dell’art. 112 cpc, per aver la Corte d’Appello omesso di specificamente pronunciarsi sulla eccezione-domanda di nullità ex art. 164 co 4 cpc svolta dall’appellante, nonché dell’art. 132 co 2 n. 4 cpc e
art. 111 co 6 Costituzione per aver la Corte d’Appello comunque omesso di esporre specifiche motivazioni in proposito ‘.
1.3 Con il terzo motivo, in subordine, si denuncia ‘ ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 4 cpc, violazione dell’artt. 115 cpc e dell’art. 2697 cod. civ., per aver la Corte d’Appello posto a base del rigetto del 2^ motivo d’appello, quello dedotto sub 1B in citazione d’appello, una ipotetica condotta asseritamente negligente della RAGIONE_SOCIALE in assenza in proposito da parte della attrice sia di deduzioni di fatti illeciti colposi e di nessi di causa con il danno, sia di proposte di prova di sorta ‘ .
1.4 Si denuncia infine con il quarto motivo ‘ Ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione per mancata e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 1362 cod. civ., nonché, in subordine, del medesimo art. 1362 cod. civ. in combinato disposto con gli artt. 1363, 1364, 1365, 1366, 1368, 1369, 1370 e 1371 cod. civ in punto della sentenza della Corte d’Appello di rigetto del motivo d’appello sub 2 relativo al rigetto della domanda di manleva svolta dall’esponente nei confronti della propria RAGIONE_SOCIALE ‘.
2.1 Preliminarmente, vanno disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate da RAGIONE_SOCIALE.
Infatti, come meglio si vedrà infra , i motivi proposti dalla ricorrente non mirano ad una rivisitazione delle valutazioni di merito operate dalla Corte d’appello, bensì a mettere in evidenza specifici errores in procedendo (o anche in iudicando de iure procedendo , specie il terzo) in cui – secondo la ricorrente stessa – sarebbe incorsa la Corte bresciana.
Vero e proprio fuor d’opera, poi, si rivela l’eccezione proposta ai sensi dell’art. 348 -ter , commi 4 e 5, c.p.c. (disciplina applicabile ratione temporis ), per pretesa doppia conforme in facto , posto che la limitazione alla proponibilità del ricorso per cassazione, in tali casi, attiene esclusivamente al motivo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (nel testo novellato nel 2012), tuttavia non proposto dalla ricorrente.
3.1 Ciò posto, il primo motivo è fondato.
Va anzitutto rilevato, al riguardo, che – poiché viene in rilievo un preteso error in procedendo , di cui vengono forniti adeguati riferimenti anche in ricorso – questa Corte è pienamente legittimata ‘ all’esame degli atti del giudizio, in quanto l’oggetto di scrutinio attiene al modo in cui il processo si è svolto, ossia ai fatti processuali che quel vizio possono aver provocato ‘ (così, ex multis , Cass. n. 16028/2023).
Ciò posto, d alla lettura dell’atto introduttivo emerge che la RAGIONE_SOCIALE invocò principaliter la responsabilità risarcitoria della convenuta in forza della sua posizione di custode ex art. 2051 c.c., deducendo a sostegno il fatto che le infiltrazioni di acqua provenivano dai locali dalla stessa detenuti, elemento sufficiente – secondo la danneggiata – ad integrare gli elementi previsti dalla citata norma, ossia: a ) l’effettivo potere fisico sulla res ; b ) la diretta correlazione, sul piano causale, tra la res e il danno.
In via subordinata, poi, l’originaria attrice dedusse (p. 3) che ‘ In ogni caso, anche qualora l’AVV_NOTAIO.mo Giudice adito non ritenesse sussistere i presupposti per l’applicazione, nella fattispecie de qua, della
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responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., non potrebbe certamente escludersi una responsabilità ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2043 c.c. ‘, invocando a sostegno una massima di giurisprudenza (non ne vengono indicati gli estremi, ma parrebbe trattarsi della risalente Cass. n. 3134/1982).
Con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., poi, la società attrice, in replica alle eccezioni della convenuta (che, sul punto, aveva evidenziato il difetto del presupposto del fatto colposo), dedusse che la citazione era ‘ sufficientemente articolata e precisa ‘, non potendo controparte ‘ pretendere che sia RAGIONE_SOCIALE a riferire chi sia l’autore di tale episodio o di individuare l’elemento soggettivo del fatto illecito. L’attrice si limita a descrivere un fatto che ha avuto origine presso la convenuta e che la ha provocato conseguenze dannose. Il nesso di causalità è pacifico! Così come è pacifico che la custodia era in capo alla RAGIONE_SOCIALE che aveva un effettivo e non occasionale potere fisico sulla cosa ‘.
Dopo aver istruito la causa, il Tribunale – contrariamente a quanto, evidentemente in modo improprio, dedotto dalla stessa ricorrente in questa sede di legittimità – non rigettò affatto la domanda ex art. 2051 c.c., ma decise la causa stessa secondo il criterio della ragione più liquida, accogliendo la (subordinata) domanda ex art. 2043 c.c. in base alle risultanze della CTU, da cui era emerso che la causa delle infiltrazioni consisteva in una occlusione verificatasi nelle tubazioni, a cagione del non
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corretto smaltimento dei capelli della propria clientela, da parte della convenuta.
Infatti, il Tribunale, quanto alla domanda ex art. 2051 c.c., si limitò a prospettare la problematicità della soluzione, al lume della giurisprudenza sul tema , posto che i locali da cui proveniva l’infiltrazione erano condotti in locazione dalla pretesa custode, donde la eventuale necessità di distinguere tra responsabilità del locatore e del conduttore. Proprio per tale ragione, dunque, il Tribunale affermò ‘ … al di là della disputa relativa alla applicabilità del disposto dell’art. 2051 c.c. al conduttor e di un immobile … nella fattispecie de qua appare certa la responsabilità ex art. 2043 c.c. della RAGIONE_SOCIALE …’, così accogliendo la domanda fondata sulla responsabilità aquiliana, ritenendone sussistenti tutti i relativi elementi: a parte il chiaro nesso di causalità, si valorizzò lo ‘ smaltimento non corretto dei capelli, tale da determinare l’occlusione della tubazione di scarico nel lavabo dell’antibagno ‘ (così la sentenza di primo grado, pp. 4-5) , dunque un fatto colposo senz’altro imputabile alla c onvenuta.
La Corte d’appello bresciana, nel confutare il primo motivo di gravame della RAGIONE_SOCIALE (con cui si era lamentato che ‘ RAGIONE_SOCIALE non aveva dedotto alcun preciso fatto colposo, commissivo od omissivo del suo personale che potesse configurare un illecito, con conseguente nullità della domanda e a seguire di tutti gli atti successivi compresa la sentenza ‘ – così la sentenza impugnata, p. 7), lo dichiarò infondato, giacché ‘ RAGIONE_SOCIALE ha in citazione indicato espressamente il fatto materiale (le copiose infiltrazioni d’acqua provenienti dal negozio RAGIONE_SOCIALE) che ha dato
origine ai danni lamentati, le norme di diritto (artt. 2051 c.c. e 2043 c.c.) poste alternativamente a fondamento della domanda di risarcimento, oltre che il quantum della pretesa risarcitoria ‘ (p. 8).
3.2 Anticipando sin d’ora un tema che verrà utile all’esito della delibazione dei motivi di ricorso, va anzitutto rilevato che ‘ Il giudicato non si forma, nemmeno implicitamente, sugli aspetti del rapporto che non hanno costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice di merito come accade quando la decisione sia stata adottata alla stregua del principio della ‘ ragione più liquida ‘ ‘ (così, ex multis , Cass. n. 32650/2021).
Può senz’altro escludersi, dunque, che sulla domanda ex art. 2051 c.c. si sia formato il giudicato, perché essa non venne decisa dal primo giudice (che, appunto, la considerò sostanzialmente assorbita, proprio per l’adozione del criterio della ragione più liquida) e RAGIONE_SOCIALE, la ripropose ai sensi dell’art. 346 c.p.c., stando a quanto emerge dalla sua comparsa di costituzione e risposta in appello del 13.3.2019 (ove si leggono chiari riferimenti ad essa, essendosi in ogni caso invocata la responsabilità di NOME quale custode dell’immobile: si vedano in particolare le pp. 7-8 della comparsa).
Di tale specifica domanda – parimenti non delibata dalla Corte territoriale – dovrà dunque eventualmente occuparsi il giudice del rinvio (v. per tutte Cass. n. 15893/2023), come meglio si dirà tra breve.
3.3 Ciò chiarito, giova qui a tal punto evidenziare che il processo civile dinanzi al tribunale, nel rito ‘ordinario’ applicabile ratione temporis
(dunque antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 149/2022, posto che l’atto di citazione è stato notificato il 19.11.2014), è governato dal meccanismo di preclusione e risulta costituito da tre fasi: una prima, c.d. introduttiva, che si definisce nell’udienza di trattazione o, qualora vi sia richiesta per il deposito di memorie, entro i termini di cui all’art. 183, comma 6, nn. 1 e 2, c.p.c., in cui le parti devono (al più tardi) rispettivamente allegare i fatti a sostegno delle proprie domande ed eccezioni e idonei a confutare quelle avversarie, nonché (con la seconda memoria) eventualmente proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni avversarie; una seconda, c.d. istruttoria, in cui (al più tardi e sempre che sia stata formulata la richiesta per il deposito di memorie) esse devono chiedere di provare (ove necessario), offrendo i relativi mezzi, i fatti già tempestivamente allegati, ciò che può avvenire anche nei termini di cui all’art. 183, comma 6, nn. 2 e 3, c.p.c., rispettivamente, per la prova diretta e contraria (detta fase, ove siano state offerte prove c.d. costituende, può concludersi con la relativa assunzione, all’udienza ex art. 184 c.p.c., qualora il giudice abbia ammesso le relative istanze); una terza, infine, c.d. decisoria, in cui il tribunale, introitata la causa a sentenza, emette la statuizione, secondo le specifiche previsioni di cui agli artt. 275 ss. c.p.c.
Con specifico riferimento all’ambito istruttorio, in particolare, va pure evidenziato che per prova diretta deve intendersi quella con cui la parte, assolvendo l’ onus probandi sulla stessa gravante, tenta di dimostrare i fatti primari costitutivi (o, per il convenuto, impeditivi, modificativi o
estintivi) della pretesa, mentre per prova contraria deve intendersi quella tesa a dimostrare a) o fatti che hanno un contenuto specularmente opposto a quello dedotto dalla controparte (c.d. prova contraria diretta), ovvero b) fatti che sono logicamente incompatibili con la verità dei fatti allegati dalla controparte (c.d. prova contraria indiretta).
3.4 Ebbene, non può seriamente dubitarsi che, in relazione ad una domanda proposta ai sensi dell’art. 2043 c.c., almeno la sussistenza di un fatto colposo (commissivo o omissivo che sia) imputabile al convenuto debba essere allegata da chi agisce per il risarcimento del relativo danno, perché tanto rientra nel paradigma della responsabilità aquiliana (si veda, in particolare, Cass. n. 10577/2018: ‘ La domanda introduttiva di un giudizio relativo ad un diritto cd. eterodeterminato (nella specie diritto al risarcimento del danno da responsabilità medica) richiede – ai fini dell’individuazione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti ragione della domanda ai sensi dell’art. 163, comma 3, n. 4, c.p.c. – l’espressa indicazione di quelli, tra i fatti storici oggetto della pregressa narrazione, sui quali è fondata la “causa petendi”, non essendo sufficiente la mera attività narrativa senza alcuna esplicitazione in merito all’essere quei fatti “ragione della domanda ”) .
Nella specie, è indiscutibile che RAGIONE_SOCIALE si sia sottratta a tale onere, nulla avendo specificato in citazione – con conseguente sua nullità ex art. 164, comma 4, c.p.c., per difetto di editio actionis – e in ogni caso (al più tardi e a tutto concedere) entro il termine di preclusione di cui alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., benché a tanto pure
sollecitata dalla chiara eccezione sollevata, sul punto, da COGNOME, che nella comparsa di risposta aveva appunto evidenziato il difetto del presupposto del fatto colposo, neppure allegato.
Quanto precede è dimostrato dal tenore letterale delle difese di RAGIONE_SOCIALE nella citata memoria assertiva, ove si è affermato che RAGIONE_SOCIALE non può ‘ pretendere che sia RAGIONE_SOCIALE a riferire chi sia l’autore di tale episodio o di individuare l’elemento soggettivo del fatto illecito ‘: tuttavia, è evidente che non rileva certo a ‘chi’, tra i dipendenti di RAGIONE_SOCIALE – o comunque tra le persone alla stessa collegate e del cui operato essa debba a vario titolo rispondere – il fatto sia imputabile (come mostra di aver inteso l’originaria attrice) , posta la regola di responsabilità ex art. 2049 c.c. comunque applicabile, ma – al contrario di quanto dalla stessa società opinato rileva invece e senz’altro l’individuazione dell’elemento oggettivo, da individuarsi nella specifica condotta colposa o dolosa della danneggiante (e non solo nel danno conseguenza, come manifestatosi), ma pure dell’elemento soggettivo del fatto illecito imputabile alla convenuta, ossia la colpa e il modo (da indicare adeguatamente) in cui essa s’è estrinsecata in facto , onde anche consentire alla stessa convenuta di correlativamente difendersi.
Infatti, il fatto in questione non può essere individuato nel ‘ fatto materiale (le copiose infiltrazioni d’acqua provenienti dal negozio RAGIONE_SOCIALE) che ha dato origine ai danni lamentati ‘, come ritenuto dal giudice d’appello: le infiltrazioni costituiscono l’evento dannoso da cui sono poi derivate le conseguenze pregiudizievoli in capo all’attrice , ma presuppongono –
nell’ottica della responsabilità aquiliana – la sussistenza di un fatto colposo o doloso riferibile al preteso danneggiante. Insomma, le infiltrazioni possono costituire l’effetto del fatto colposo del convenuto, non certo in sé ‘il fatto colposo’ o doloso, generatore del danno. Se così fosse davvero, la Corte d’appello non avrebbe avuto alcuna necessità di affermare – come invece ha dovuto fare – che le infiltrazioni derivavano da un non corretto smaltimento dei capelli (e dunque della negligenza), da parte della RAGIONE_SOCIALE, nei tubi di scarico, onde così individuare la responsabilità di questa. Tale fatto, in realtà, non è stato mai chiaramente allegato da RAGIONE_SOCIALE né nell’atto introduttivo, né comunque nei termini di preclusione assertivi: non è stato infatti allegato né un fatto specifico, né tampoco genericamente individuato (non essendosi finanche dedotte, ad es., la mera negligenza, l’ omessa manutenzione, la noncuranza, ecc.), come pure sarebbe stato possibile fare, posta la collocazione non accessibile del luogo fisico in cui l’oc clusione si verificò, come accertato dal giudice del merito. Neppure in tale forma generica, dunque, RAGIONE_SOCIALE allegò mai, in modo chiaro ed inequivoco, la sussistenza di un fatto colposo in capo a NOME.
Il vero è che l’originaria attrice, nel giudizio di primo grado, si mosse sempre lungo il crinale della responsabilità da custodia ex art. 2051 c.c., limitandosi ad invocare la presunzione di colpa di NOME al lume di datata giurisprudenza: è ormai consolidato, invece, il principio per cui la responsabilità del custode è di natura oggettiva (Cass., Sez. Un., n. 20943/2022) e quello per cui l’onere della prova grava sul preteso
danneggiato quanto al danno subito e al nesso di causalità tra la res e il danno stesso, mentre grava sul custode quanto al caso fortuito, quale fatto idoneo ad escludere la propria responsabilità (si veda, ex multis , Cass. n. 8634/2024).
3.5 È ben vero che il fatto specifico rilevato dai giudici di merito (il non corretto smaltimento dei capelli nei tubi di scarico) quale fatto colposo imputabile a COGNOME emerse solo nel corso della fase istruttoria, durante l’espletamento della CTU , dunque a preclusioni ampiamente maturate.
Ma, fermo restando che – come giustamente evidenziato dalla ricorrente -l’originaria attrice ben avrebbe potuto attivarsi anche prima del giudizio onde appurare le effettive cause del sinistro, mediante richiesta di accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c., e ferma la rilevata n ullità dell’atto di citazione per difetto di editio actionis , occorre rilevare che, anche a non considerare detta nullità, RAGIONE_SOCIALE rimase comunque colpevolmente inerte: essa neppure chiese di essere rimessa in termini ai sensi dell’art. 153, comma 2, c.p.c., onde eventualmente precisare la domanda in parola, nei limiti di quanto consentito dall’art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c.
Tanto, in ipotesi, l’attrice avrebbe avuto l’onere di fare al lume delle sopravvenienze processuali, ossia la successiva conoscenza (senza colpa da parte sua) della effettiva causa delle lamentate infiltrazioni, essendo ben noto il ‘ principio secondo cui il thema decidendum non è più modificabile dopo la chiusura dell’udienza di trattazione o dopo la scadenza dei termini concessi dal giudice ai sensi dell’art. 183 cod. proc.
civ .’ (così, Cass. n. 1380/2024, in motivazione, ed ivi richiami). E del resto, è poi assolutamente consolidata, sul piano generale, l’affermazione per cui ‘ La rimessione in termini, regolata dall’art. 153, comma 2, c.p.c., presuppone che l’evento addotto per integrare una causa non imputabile abbia carattere di impedimento assoluto, il cui accertamento compete al giudice del merito ed è incensurabile per cassazione, se non nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ‘ (così la recente Cass., Sez. Un., n. 6431/2025, a conferma di consolidato orientamento).
Ma tanto – ribadita l ‘indubbia nullità dell’atto di citazione in ordine alla causa petendi dell’alternativa domanda ai sensi dell’art. 2043 c.c. , come s’è detto più volte – non è comunque avvenuto, RAGIONE_SOCIALE essendo rimasta del tutto inerte, in proposito.
3.6 In tali condizioni, dunque, la Corte d’appello avrebbe dovuto prendere atto del deficit assertivo sulla domanda ex art. 2043 c.c. e pronunciare di conseguenza (con la declaratoria della sua inammissibilità), stante la nullità della sentenza di primo grado, quale conseguenza della mancata sanatoria della nullità dell’atto introduttivo (Cass. n. 2755/2018), neppure essendo stata precisata la domanda entro i termini di cui all’art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c. , per poi procedere alla delibazione della domanda ex art. 2051 c.c., riproposta dall’appellata ai sensi dell’art. 346 c.p.c. ; la Corte bresciana ha invece errato, ritenendo che le lamentate carenze non fossero sussistenti e che tutti gli elementi costitutivi della stessa domanda risarcitoria aquiliana fossero stati ritualmente allegati da RAGIONE_SOCIALE (peraltro, neppure essendosi
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avveduta che il Tribunale non aveva in realtà esaminato la domanda ex art. 2051 c.c., sostanzialmente reputandola assorbita).
4.1 Il secondo motivo è infondato.
Come evincibile da quanto ampiamente fin qui esposto, la Corte d’appello ha specificamente pronunciato sulle eccezioni sollevate da NOME in ordine alla nullità dell’atto introduttivo, quanto alla domanda ex art. 2043 c.c., benché in modo erroneo in iure, avendo affermato essere sussistenti tutti gli elementi costitutivi della domanda ex art. 2043 c.c. e dunque negando, implicitamente, che l’atto introduttivo fosse nullo ai sensi dell’art. 164, comma 4, c.p.c.
Non possono dunque configurarsi, in proposito, né l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., né il prospettato difetto di motivazione.
5.1 Il terzo motivo è fondato per quanto di ragione.
Com’è noto, il giudice deve decidere iuxta alligata et probata partium .
Per quanto già visto, il giudice di merito ha deciso sulla base di fatti mai ritualmente allegati dall’attrice, donde la nullità della sentenza anche per tale ragione.
6.1 Il quarto motivo, concernente il rigetto della domanda di manleva nei confronti dell’assicuratore , resta conseguentemente assorbito, posto che la responsabilità dell’assicurata deve ritenersi tuttora sub iudice , per effetto di quanto fin qui valutato.
7.1 In definitiva, il primo e il terzo motivo sono accolti, il secondo è rigettato, mentre il quarto è assorbito. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa
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composizione, che si atterrà ai superiori principi, eventualmente procedendo a delibare la domanda ex art. 2051 c.c., su cui non vi è stata alcuna pronuncia per essere stata ritenuta assorbita dal primo giudice (impregiudicata ogni altra questione in rito e sul merito; non potendo, in difetto di qualunque disamina del giudice del merito, prenderne in esame alcun aspetto), provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo, rigetta il secondo e dichiara assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 10.7.2025 e, in esito a riconvocazione, in data 29.9.2025.
Il Presidente NOME COGNOME