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Nullità atto di citazione: quando è indispensabile

Un’attività commerciale cita in giudizio quella del piano superiore per danni da infiltrazioni d’acqua. La Corte di Cassazione ha stabilito la nullità atto di citazione perché la parte attrice, agendo per responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., aveva omesso di allegare lo specifico fatto colposo (la condotta negligente) che avrebbe causato il danno, limitandosi a descrivere l’evento dannoso. Questo vizio, non sanato, ha comportato la cassazione della sentenza.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Nullità dell’Atto di Citazione: L’Obbligo di Specificare la Condotta Colposa

Intraprendere un’azione legale per il risarcimento dei danni richiede precisione e chiarezza fin dal primo atto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale del diritto processuale civile: la nullità atto di citazione che non specifichi in modo adeguato i fatti costitutivi della domanda, soprattutto quando si invoca la responsabilità per fatto illecito ex art. 2043 c.c. Questo caso, nato da un’infiltrazione d’acqua tra due esercizi commerciali, offre un’importante lezione sulla differenza tra allegare il danno e allegare la condotta che lo ha causato.

I fatti del caso: un’infiltrazione d’acqua tra due negozi

La vicenda ha origine quando un negozio di articoli per la casa, situato al piano terra di un centro commerciale, subisce ingenti danni a causa di una copiosa infiltrazione d’acqua proveniente dal soffitto. Le perdite originano dal locale del piano superiore, adibito a salone di parrucchiere. Il gestore del negozio danneggiato decide quindi di citare in giudizio il salone, chiedendo un risarcimento di oltre 46.000 euro.

L’azione legale viene fondata principalmente sulla responsabilità da cose in custodia (art. 2051 c.c.) e, in subordine, sulla responsabilità generica per fatto illecito (art. 2043 c.c.).

Il percorso giudiziario e la questione della nullità atto di citazione

Il salone di parrucchiere si difende negando ogni responsabilità e sostenendo che la causa dell’infiltrazione fosse un’occlusione in una tubatura inaccessibile, non soggetta al suo controllo. Il Tribunale, tuttavia, accoglie la domanda del negozio danneggiato.

La decisione di primo grado e il principio della “ragione più liquida”

Il giudice di primo grado, avvalendosi di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), accerta che l’occlusione è stata causata da un accumulo di capelli, derivante dal non corretto smaltimento da parte del salone. Invece di decidere sulla base della più complessa domanda ex art. 2051 c.c., il Tribunale applica il principio della “ragione più liquida” e condanna il salone sulla base dell’art. 2043 c.c., ravvisando una chiara condotta colposa.

L’appello e la conferma della condanna

Il salone impugna la sentenza, lamentando un vizio fondamentale: la controparte, nell’atto di citazione, non aveva mai allegato una specifica condotta colposa (come il negligente smaltimento dei capelli), ma si era limitata a descrivere il danno e la sua provenienza. Secondo la difesa, ciò rendeva la domanda ex art. 2043 c.c. nulla. La Corte d’Appello, però, rigetta il gravame, ritenendo sufficiente l’indicazione del fatto materiale (l’infiltrazione) e delle norme di diritto invocate.

La nullità dell’atto di citazione secondo la Cassazione

La questione approda in Corte di Cassazione, che ribalta le decisioni dei giudici di merito. Gli Ermellini accolgono il motivo di ricorso relativo alla nullità atto di citazione, fornendo chiarimenti cruciali.

La Corte distingue nettamente tra l’evento dannoso (l’infiltrazione) e il fatto illecito che lo ha generato. Mentre per la responsabilità da custodia ex art. 2051 c.c. è sufficiente provare il nesso causale tra la cosa (il locale e i suoi impianti) e il danno, per agire ai sensi dell’art. 2043 c.c. è indispensabile che l’attore alleghi e provi una specifica condotta colposa o dolosa del presunto responsabile.

Nel caso di specie, il negozio danneggiato si era limitato a denunciare l’infiltrazione, senza mai indicare, né nell’atto introduttivo né nelle memorie successive, quale comportamento negligente del salone l’avesse causata. Il fatto che la causa specifica (l’accumulo di capelli) sia emersa solo durante la CTU non sana il vizio originario dell’atto di citazione.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che l’attore ha l’onere di definire la causa petendi (i fatti a fondamento della domanda) in modo completo. Per una domanda ex art. 2043 c.c., la causa petendi non è il danno in sé, ma la condotta illecita che lo ha provocato. L’infiltrazione è l’effetto, non la causa colposa. L’attore avrebbe dovuto allegare, almeno in termini generici (es. negligenza, omessa manutenzione), la condotta imputabile al convenuto.

L’inerzia della parte attrice, che non ha mai chiesto di precisare o modificare la domanda dopo la scoperta della causa emersa in CTU, si è rivelata fatale. I giudici di merito, condannando il salone sulla base di un fatto mai ritualmente allegato, hanno violato il principio processuale che impone di decidere iuxta alligata et probata partium (sulla base di quanto allegato e provato dalle parti). Di conseguenza, l’atto di citazione, per la parte relativa alla domanda ex art. 2043 c.c., era nullo e la nullità non è stata sanata.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza d’appello e ha rinviato la causa a una diversa sezione della stessa Corte. Il nuovo giudice non potrà più considerare la domanda basata sull’art. 2043 c.c., poiché fondata su un atto nullo. Dovrà invece esaminare l’originaria domanda principale, quella basata sull’art. 2051 c.c. (responsabilità da cose in custodia), che i primi giudici avevano “assorbito” con il principio della ragione più liquida. La vicenda, dunque, non è conclusa, ma dovrà essere nuovamente giudicata su una base giuridica completamente diversa, dimostrando come un errore procedurale iniziale possa condizionare l’intero esito di una causa.

Per presentare una valida domanda di risarcimento per fatto illecito (art. 2043 c.c.), è sufficiente descrivere il danno subito?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’attore deve necessariamente allegare, fin dall’atto di citazione, la specifica condotta colposa o dolosa che imputa al convenuto. Descrivere solo l’evento dannoso (es. l’infiltrazione) non integra la causa petendi richiesta dalla norma, con conseguente nullità dell’atto.

Se la causa esatta del danno emerge solo durante il processo, ad esempio da una perizia, questo sana il vizio iniziale dell’atto di citazione?
No, la scoperta successiva non sana automaticamente la nullità. La parte attrice, una volta venuta a conoscenza del fatto specifico (nel caso, il non corretto smaltimento dei capelli), avrebbe dovuto attivarsi per precisare o modificare la propria domanda nei termini e modi consentiti dal codice di procedura civile, ad esempio chiedendo di essere rimessa in termini. L’inerzia processuale non permette di superare il difetto originario.

Cosa accade alla domanda principale (ex art. 2051 c.c.) se il giudice decide la causa sulla base di quella subordinata (ex art. 2043 c.c.) e questa viene poi annullata in Cassazione?
Se la domanda subordinata viene annullata, la causa torna al giudice del rinvio, il quale dovrà esaminare la domanda principale che non era stata decisa in precedenza perché ‘assorbita’. Sulla domanda non decisa, infatti, non si forma il giudicato, e questa può e deve essere riproposta e decisa nel successivo grado di giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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