Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1116 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1116 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 2875/2019 r.g. proposto da:
Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui uffici domicilia ex lege, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv . NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica
certificata indicato, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
– controricorrente-
E
NOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’Avv . NOME COGNOME giusta procura speciale, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘Avv. NOME COGNOME .
– controricorrenti-
E
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’Avv . NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO press o lo studio dell’Avv. F. COGNOME
– controricorrenti-
E
COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’Avv . NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. F. COGNOME
– controricorrenti-
Di Bari NOMECOGNOME NOME, Lotito NOME, NOME
NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME Nicola
-intimati- avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 1109/2018 depositata in data 21/6/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/1/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con atto di citazione del 14/4/2000 l’AGEA (prima AIMA Azienda di Stato per gli Interventi nel Mercato Agricolo -) – Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura – conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Bari NOME COGNOME (poi deceduto, cui sono succeduti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (poi deceduto, cui sono succeduti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
In particolare, l’AGEA deduceva che la procura della Repubblica presso il tribunale di Trani in data 24/12/1994 aveva esercitato l’azione penale nei confronti dei convenuti sopraindicati, con richiesta di rinvio a giudizio «per i reati di cui di seguito».
Chiariva l’attrice che «i 16 prefati soggetti sono stati imputati, per quanto qui interessi, del reato di truffa aggravata e continuata nei confronti della P.A. deducente, in concorso fra loro e con terzi perché, con artifizi consistiti nella emissione ed utilizzazione di fatture di acquisto e vendita di olio d’oliva e di contenitori per l’imbottigliamento del prodotto, fatture tutte relative ad operazioni commerciali inesistenti, inducevano in errore la P.A. che corrispondeva alla s.p.a. RAGIONE_SOCIALE contributi comunitari per il confezionamento, in realtà mai avvenuto, di ingenti quantità di olio».
Aggiungeva che i contributi comunitari «sono risultati pari nell’anno 1988 a lire 3.777.914.912, nell’anno 1989 a lire 5.128.448.305, nell’anno 1990 L. 7.382.556.658, nell’anno 1991 a lire 11.267.338.956, nell’anno 1992 a lire 4.442.669.886, nell’anno 1993 a lire 354.017.774».
L’AGEA deduceva anche che, in particolare, NOME COGNOME, socio ed amministratore della RAGIONE_SOCIALE nonché della RAGIONE_SOCIALE; NOME NOME e NOME NOME, amministratori della RAGIONE_SOCIALE nonché della s.RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE «consentivano alla s.p.a. RAGIONE_SOCIALE di conseguire gli aiuti comunitari di che trattasi mediante la emissione di fatture per operazioni inesistenti, relative ad acquisti di olio di oliva e di contenitori per il confezionamento del prodotto, fatture che venivano tutte utilizzate dalla predetta RAGIONE_SOCIALE».
Le medesime contestazioni venivano articolate anche nei confronti degli altri convenuti.
Chiariva l’AGEA che «Il GUP presso il tribunale di Trani, all’esito dell’udienza preliminare del 19/4/1995, applicava ai predetti imputati, su richiesta dei medesimi, ai sensi degli articoli 444 e segg. c.p.p., con la sentenza n. 188/95, la pena di giustizia».
Era dunque interesse della P.A. quello di «conseguire la condanna di essi a risarcire l’amministrazione dei danni da quest’ultima subiti a seguito della condotta criminosa contestata ai prefati, condotta che, intrecciatasi e concorrente con quella dei rappresentanti della sRAGIONE_SOCIALE ha consentito a detta società di conseguire lecitamente gli aiuti comunitari di cui si è detto».
A dimostrazione della responsabilità dei convenuti si indicavano le «stesse ammissioni confessorie rese al giudice penale da molti dei prevenuti ed in parte sugli accertamenti condotti dalla competente polizia giudiziaria i cui risultati formeranno oggetto di prova e di richiesta di prova nel presente giudizio».
Inoltre, si aggiungeva che «data la complessità della fattispecie, l’ammontare del danno de quo di proporzioni certamente ingenti, potrà essere quantificato solo all’esito di una meticolosa attività istruttoria che dovrà essere svolta nel presente giudizio».
Si costituivano nel giudizio di prime cure NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (poi deceduto), eccependo la nullità della citazione.
Il tribunale di Bari, con ordinanza del 27/6/2014, dichiarava la nullità della citazione, ai sensi dell’art. 164, quinto comma, c.p.c., assegnava all’attrice il termine perentorio del 3/11/2014 per l’integrazione del contenuto della domanda proposta, rinviando la causa all’udienza del 12/1/2015.
L’attrice non provvedeva all’integrazione dell’atto di citazione, pur riservandosi di impugnare il provvedimento di integrazione emesso dal giudice.
All’udienza del 12/1/2015 i convenuti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME eccepivano il mancato rispetto del termine perentorio assegnato ai sensi dell’art. 164, quinto comma, c.p.c..
5.1. Il tribunale autorizzava, poi, l’attrice con ordinanza del 14/2/2005 ad acquisire la documentazione presso la cancelleria penale.
Il tribunale di Bari, con sentenza n. 2845/2015, depositata il 23/6/2015, dichiarava la nullità della domanda.
In particolare, il tribunale reputava condivisibili le considerazioni svolte dei convenuti in ordine alla nullità della citazione, «derivante dall’assoluta incertezza dell’oggetto della domanda proposta (c.d. petitum immediato)».
Nell’atto introduttivo del giudizio l’AGEA si era riservata di quantificare il danno da risarcire al «nel corso del giudizio», ma tale quantificazione «veniva del tutto messa in corso di causa».
Tra l’altro, la generica richiesta di valutazione equitativa del danno era stata formulata tardivamente, solo nella comparsa conclusionale del 23/1/2015.
Evidenziava il tribunale che l’attrice aveva «l’onere di fornire la prova certa e concreta del danno, così da consentirne la liquidazione, oltre che la prova del nesso causale tra il danno ed i comportamenti addebitati alla controparte» (si citava Cass. n. 3794 del 2008).
L’attrice non aveva «fornito la prova né del danno né del nesso causale tra il danno ed i comportamenti attribuiti ai convenuti».
Quanto alle conseguenze in ordine alla mancata integrazione della domanda da parte dell’attrice, dopo il provvedimento del tribunale che aveva disposto l’integrazione ex art. 164, quinto comma, c.p.c., il tribunale reputava che non potesse dichiararsi l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 307, terzo comma, c.p.c., ma che comunque doveva essere dichiarata «la nullità della citazione perché, non avendo l’attrice ottemperato all’integrazione della domanda nel termine perentorio assegnato, permane il vizio della citazione inizialmente eccepito dei convenuti».
Avverso tale sentenza proponeva appello l’RAGIONE_SOCIALE con atto di citazione notificato il 12/10/2015, assumendo che la mancata integrazione della domanda, a seguito dell’espresso invito da parte del tribunale, «sarebbe processualmente priva di rilievo giuridico» (si ricava dal controricorso del Basile). Poteva solo persistere la nullità già determinatasi per mancanza dell’effetto sanante, «ma non potrebbe pronunciarsi la nullità dell’atto di citazione quando venga denunciato il fatto da cui trae origine la pretesa risarcitoria, per cui l’omessa quantificazione del danno non sarebbe un requisito necessario della domanda».
Sarebbe stata poi errata la motivazione della sentenza del tribunale nella parte in cui il giudice «non aveva attribuito rilevanza alla sentenza di patteggiamento cui avevano acceduto alcuni convenuti, nonché all’ulteriore documentazione prodotta in corso di causa».
Si doleva, poi, della condanna alle spese di lite.
Si costituivano nel giudizio di appello NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (eredi di NOME COGNOME), COGNOME NOME, NOME COGNOME tutti rappresentati dall’Avv. NOME COGNOME.
Si costituivano in giudizio anche NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME (eredi di NOME COGNOME), NOME COGNOME, NOME COGNOME tutti rappresentati dall’Avv. NOME COGNOME
Si costituiva in giudizio NOME COGNOME.
Restavano contumaci NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 1109/2018, del 21/6/2018 rigettava l’appello.
Invero, l’attrice aveva differito all’esito dell’attività istruttoria da compiersi la quantificazione del danno, ma, nel corso del giudizio, l’appellante «non ha fatto alcuna richiesta istruttoria in tal senso».
La Corte territoriale, pur richiamando l’orientamento giurisprudenziale di legittimità per cui, ai fini di una corretta interpretazione della domanda, il giudice di primo grado è tenuto a interpretare le conclusioni contenute nell’atto di citazione, tenendo conto della volontà della parte quale emergente non solo dalla formulazione letterale delle conclusioni assunte nella citazione, ma anche dall’intero complesso dell’atto che le contiene, dovendo tenersi conto anche della condotta processuale delle parti, nonché delle precisazioni e specificazioni intervenuta in corso di causa, ma, aggiungeva che «nel caso di specie, tuttavia, la domanda, così come formulata faceva emergere ab origine una assoluta incertezza sulla quantificazione del danno e sulla qualificazione stessa di tale danno».
Tale incertezza era rimasta per tutta la durata del giudizio, condizionando, da una parte, l’esercizio del pieno diritto di difesa dei convenuti e, dall’altra, la possibilità del giudice di provvederne alla individuazione e quantificazione».
In particolare, «l’AGEA non ha indicato la tipologia di danno richiesto, la sua concreta imputabilità ai resistenti, né ha consentito la quantificazione dello stesso attraverso il contenuto dei propri scritti difensivi, poiché proprio in questi essa ha rimandato all’attività istruttoria da svolgersi».
L’AGEA – ad avviso della Corte d’appello -, una volta intervenuto l’ordine di integrazione dell’atto di citazione, «non poteva limitarsi a fare riserva di impugnazione avverso l’ordinanza con la quale si dichiarava la nullità della citazione, ma avrebbe potuto (e dovuto) integrare la citazione medesima entro il termine fissato dal giudice, al fine di non decadere dal relativo diritto».
Al contrario, l’appellante «non solo non ha provveduto all’integrazione predetta, ma all’udienza successiva, del 12/1/2015, non ha neppure chiarito la propria domanda, limitandosi a chiedere che la causa venisse decisa, con riserva di impugnazione dell’ordinanza».
Precisava la Corte di merito che «solo in sede di comparsa conclusionale, l’AGEA ha chiesto al tribunale la liquidazione equitativa del danno, ma correttamente il tribunale ha ritenuto tale richiesta tardiva e non condivisibile, mancando del tutto sia la prova del danno, sia quella del nesso causale tra danno e condotta dei convenuti». Per tale ragione «il giudice di primo grado non ha potuto fare altro che prendere atto della nullità della citazione, dichiarandole in sentenza».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’AGEA, con atto dell’11/1/2019.
Hanno Resistito con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME.
Restavano intimati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e/o falsa applicazione degli articoli 164, nn. 4 e 5, 163, comma 3, nn. 3 e 4, del c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In particolare, ad avviso della ricorrente, dalla lettura «piana» dell’atto di citazione emergerebbe, al contrario, «che la
quantificazione del danno, per essere ancorata ai contributi indebitamente erogati alla RAGIONE_SOCIALE negli esatti importi indicati, era facilmente determinabile e lungi dall’essere ‘assolutamente incerta’».
Il danno sarebbe stato ancorato «quantomeno al parametro della quantificazione dei contributi che i convenuti hanno consentito di indebitamente percepire da parte delle RAGIONE_SOCIALE», essendo stata indicata anche «la natura dell’azione risarcitoria perché fondata su fatto di reato e sulla sentenza di patteggiamento ex art. 444 .
Non potevano sussistere dubbi sulla natura extracontrattuale del danno, «poiché i convenuti non furono i percettori degli aiuti comunitari (incassati dall’oleificio al quale costoro simularono la vendita di olio di oliva) e risultano terzi rispetto al ‘contatto sociale’ tra l’allora RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE».
L’identificazione dell’oggetto della domanda doveva essere operata avendo riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nell’atto di citazione e dei documenti ad esso allegati; ai fini della declaratoria di nullità della citazione per omissione o assoluta incertezza del petitum era necessario che l’oggetto risultasse «assolutamente incerto».
Aggiungeva la ricorrente che la nullità della citazione per assoluta incertezza del petitum , inteso sia sotto il profilo formale del provvedimento giurisdizionale richiesto, e nell’aspetto sostanziale, come bene della vita, non ricorreva quando l’individuazione fosse possibile attraverso un esame complessivo dell’atto introduttivo del giudizio, non limitato alla parte di esso destinata a contenere le conclusioni, ma esteso anche alla parte espositiva (si cita Cass., n. 3911 del 2001).
Inoltre, precisava la ricorrente, i convenuti «si sono difesi nel merito, contestando la circostanza di aver emesso fatture false di vendita dell’olio di oliva».
Inoltre, la Corte d’appello avrebbe «fatto malgoverno dell’art. 164, comma 5, allorché ha tratto argomento per affermare la nullità della citazione dalla decadenza della integrazione della domanda non intervenuta nel termine perentorio fissato dal tribunale».
Tale decadenza poteva predicarsi solo qualora fosse stata «giusta e giuridicamente esistente la indeterminatezza assoluta della domanda. Ma qualora tale presupposto non sussista nessuna conseguenza pregiudizievole può derivare dalla errata percezione del giudice che, ritenendo del tutto indeterminata la domanda, assegna un termine perentorio per integrare ciò che è già sufficientemente integrato».
Inoltre – prosegue la ricorrente – «l’impugnazione della sentenza di primo grado, unita alla riserva di appello della ordinanza di integrazione, proprio in punto di nullità, e l’attuale ricorso per cassazione, non hanno consentito la decadenza di consolidarsi per l’effetto espansivo di cui al comma 2 dell’art. 336 c.p.c.».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «nullità della sentenza per motivazione apparente e manifestamente incongrua, in violazione degli articoli 111, sesto comma, Costituzione, 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., 118 disposizione di attuazione c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 o 4, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe motivato «in modo apparente e comunque contraddittorio ed incongruo in ordine alle circostanze idonee a sanare eventuali lacune dell’atto introduttivo e correlate alla costituzione dei convenuti che avevano dimostrato di aver ben compreso l’oggetto della finalità della domanda, tanto da difendersi
nel merito e chiedere il rigetto della domanda di condanna risarcimento dei danni».
Proprio dalla avvenuta costituzione in prime cure dei convenuti che si erano difesi nel merito, la Corte d’appello avrebbe dovuto trarre la conclusione logica e necessaria che essi avessero comunque inteso l’oggetto della ragione dell’avversa pretesa.
In modo contraddittorio, invece, la Corte territoriale, dopo aver evidenziato l’avvenuta costituzione dei convenuti, ha reputato sussistere l’incertezza assoluta sulla quantificazione del danno, sulla tipologia e sulla concreta imputabilità i convenuti.
In realtà la difesa dei convenuti si era dipanata anche nel merito.
Il secondo motivo di impugnazione, che va trattato preliminarmente per la sua pregiudizialità, è infondato.
3.1. La motivazione della sentenza della Corte d’appello è presente, non solo graficamente, ma anche nell’enucleazione precisa delle argomentazioni logiche e giuridiche sottese alla decisione.
Tra l’altro, l’avvenuta difesa nel merito, da parte solo di taluni dei 16 convenuti, non poteva in alcun modo comportare la sanatoria del vizio riscontrato dal tribunale di nullità della citazione, ex art. 163, numeri 3 e 4, c.p.c., in relazione all’art. 164, 5º comma, c.p.c..
4.1. Per questa Corte, infatti, in materia di nullità dell’atto di citazione, i vizi riguardanti la ” editio actionis ” sono rilevabili d’ufficio dal giudice e non sono sanati dalla costituzione in giudizio del convenuto, essendo questa inidonea a colmare le lacune della citazione stessa, che compromettono lo scopo di consentire non solo al convenuto di difendersi, ma anche al giudice di emettere una pronuncia di merito, sulla quale dovrà formarsi il giudicato sostanziale; ne consegue che non può farsi applicazione degli artt.156, comma 3, e 157 c.p.c., essendo la nullità in questione prevista in funzione di interessi che trascendono quelli del convenuto
(Cass., sez. 3, 19/3/2018, n. 6673; Cass., sez. 3, 23/8/2011, n. 17495; Cass., sez. 1, 18/12/2007, n. 26662).
Non si ravvisa, dunque, alcuna contraddittorietà della motivazione della sentenza della Corte d’appello che, da un lato, ha evidenziato che taluni dei 16 convenuti si erano costituiti nel giudizio di prime cure, e dall’altro, ha ritenuto che la costituzione degli stessi non poteva sanare il vizio della nullità dell’atto di citazione con riferimento alle lacune riscontrate dal tribunale nella editio actionis .
5. Il primo motivo è anch’esso infondato.
Sia il giudice di prime cure che la Corte d’appello, con adeguata e sufficiente motivazione, hanno riscontrato che l’atto di citazione introduttivo del giudizio da parte di RAGIONE_SOCIALE era inficiato da rilevanti lacune.
In particolare, il tribunale di Bari ha evidenziato che la quantificazione del danno «che era chiaramente differita al prosieguo del giudizio, veniva del tutto omessa in corso di causa, e ciò finanche in sede di precisazione delle conclusioni».
Inoltre, aggiungeva che «l’attrice non ha fornito la prova né del danno né del nesso causale tra il danno ed i comportamenti attribuite convenuti»; ciò determinando «l’impossibilità di ricostruire, in fatto e in diritto, gli esatti presupposti della pretesa fatta valere e l’impossibilità, per il giudicante, di verificare nel merito la fondatezza della domanda e, per i convenuti, di difendersi adeguatamente».
Il tribunale, in relazione alle conseguenze della mancata integrazione della domanda da parte dell’attrice, a seguito del termine perentorio concesso dal tribunale ai sensi dell’art. 164, quinto comma, c.p.c., per integrare la domanda mediante la notifica di idoneo atto di citazione, ha ritenuto che, pur non potendosi dichiarare l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 307, terzo comma, c.p.c., tuttavia doveva essere «dichiarata la nullità della
citazione perché, non avendo l’attrice ottemperato all’integrazione della domanda nel termine perentorio assegnato, permane il vizio della citazione inizialmente eccepito dei convenuti».
La Corte d’appello ha confermato la sentenza di prime cure, evidenziando la sussistenza delle lacune presenti nell’atto di citazione introduttivo del giudizio da parte di RAGIONE_SOCIALE, sia in quanto l’appellante «non ha provveduto all’integrazione predetta» e non ha neppure «chiarito la propria domanda», sia perché «solo in sede di comparsa conclusionale, la AGEA ha chiesto al tribunale la liquidazione equitativa del danno, ma correttamente il tribunale ha ritenuto tale richiesta tardiva e non condivisibile, mancando del tutto sia la prova del danno, sia quella del nesso causale tra danno condotta dei convenuti».
Ad avviso della Corte territoriale, dunque, AGEA «non ha indicato la tipologia di danno richiesto, la sua concreta imputabilità ai resistenti, né ha consentito la quantificazione dello stesso attraverso il contenuto dei propri scritti difensivi, poiché proprio in questi essa ha rimandato all’attività istruttoria da svolgersi», poi non espletata nel corso del giudizio.
Inoltre, per la Corte d’appello, RAGIONE_SOCIALE non poteva limitarsi a fare riserva di impugnazione avverso l’ordinanza con la quale era stata dichiarata la nullità della citazione, «ma avrebbe potuto (e dovuto) integrare la citazione medesima entro il termine fissato dal giudice, al fine di non decadere dal relativo diritto».
6. Nella specie, la nullità della citazione è stata accertata in sede di merito, sia con riferimento all’assoluta indeterminatezza del petitum , ex art. 163, primo comma, n. 3, c.p.c., sia in relazione alla causa petendi , ex art. 163, primo comma, n. 4, c.p.c..
Deve premettersi (Cass., sez. 1, 12/11/2003, n. 17023), sul punto, che la declaratoria di nullità della citazione – nullità che si
produce, ex art.164 comma 4 c.p.c., solo quando il ” petitum ” sia stato del tutto omesso o sia assolutamente incerto – postula una valutazione da compiersi caso per caso, nel rispetto di alcuni criteri di ordine generale, occorrendo, da un canto, tener conto che l’identificazione dell’oggetto della domanda va operata avendo riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nell’atto di citazione e dei documenti ad esso allegati (anche Cass., sez. 2, 29/1/2015, n. 1681), dall’altro, che l’oggetto deve risultare “assolutamente” incerto. In particolare, quest’ultimo elemento deve essere vagliato in coerenza con la ragione ispiratrice della norma che impone all’attore di specificare sin dall’atto introduttivo, a pena di nullità, l’oggetto della sua domanda, ragione che, principalmente, risiede nell’esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese (prima ancora che di offrire al giudice l’immediata contezza del ” thema decidendum “), con la conseguenza che non potrà prescindersi, nel valutare il grado di incertezza della domanda, dalla natura del relativo oggetto e dalla relazione in cui, con esso, si trovi eventualmente la controparte (se tale, cioè, da consentire, comunque, un’agevole individuazione di quanto l’attore richiede e delle ragioni per cui lo fa, o se, viceversa, tale da rendere effettivamente difficile, in difetto di maggiori specificazioni, l’approntamento di una precisa linea di difesa).
La nullità della citazione per omessa determinazione dell’oggetto della domanda postula la totale omissione o la assoluta incertezza del ” petitum “, inteso sotto il profilo formale del provvedimento giurisdizionale richiesto, e nell’aspetto sostanziale, come bene della vita di cui si domanda il riconoscimento. Detta ipotesi non ricorre quando l’individuazione del ” petitum ” così inteso sia comunque possibile attraverso un esame complessivo dell’atto introduttivo del giudizio, non limitato alla parte di esso destinata a contenere le
conclusioni, ma esteso anche alla parte espositiva, costituendo il relativo apprezzamento una valutazione di fatto riservata al giudice di merito, e non censurabile in sede di legittimità se congruamente e correttamente motivata (Cass., sez. L, 19/3/2001, n. 3911; Cass., sez. 2, 7/3/2006, n. 4828; Cass., sez. 1, 25/9/2014, n. 20294; con riferimento alla omessa esposizione dei fatti costituenti ragioni della domanda, ex art. 163, primo comma n. 4, c.p.c. cfr. Cass., sez. 3, 15/5/2013, n. 11751), senza che sia necessario il ricorso a formule sacramentali o solenni (Cass., sez. L, 9/7/2018, n. 17991; Cass., sez. 3, 28/8/2009, n. 18783).
Il comportamento della controparte assume rilievo, dovendosi accertare se, nonostante l’obiettiva incertezza, il convenuto sia in grado di comprendere agevolmente le richieste dell’attore o se, invece, in difetto di maggiori specificazioni, si trovi in difficoltà nel predisporre una linea difensiva (Cass., sez. 3, 21/11/2008, n. 27670).
6.1. Con la precisazione per cui trattandosi di un diritto eterodeterminato, l’attrice avrebbe dovuto indicare espressamente i fatti materiali che assumeva essere stati lesivi del proprio diritto (Cass., sez. 2, 29/1/2015, n. 1681; Cass., 12/10/2012, n. 17408).
6.2. Con l’ulteriore precisazione per cui la valutazione in ordine alle incertezze ed alle lacune presenti nell’atto di citazione ex art. 164 c.p.c. rimanda ad un giudizio di merito che, se opportunamente argomentato, risulta incensurabile in sede di legittimità (Cass., sez.L, 19/3/2001, n. 3911; Cass., 12/1/1996, n. 188). Trattasi, infatti, di un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito non contestabile in sede di legittimità se congruamente e correttamente motivato (Cass., sez. 2, 29/1/2015, n. 1681).
6.3. E’ pur vero che l’ordine di integrazione della domanda per ritenuta nullità della citazione, emesso in difetto dei presupposti per
la sua emanazione, è improduttivo di effetti (Cass. 22753/2021), ma l’inottemperanza all’ordine del GI non è la ratio decidendi , tale essendo l’incertezza dell’oggetto della domanda. Tale statuizione è impugnata richiamando l’indicazione in domanda dell’ammontare dei contributi ma, avendo l’attrice affermato che il danno era determinabile solo all’esito dell’istruttoria, non ha posto in domanda il fatto costitutivo dell’ammontare del contributo, o quanto meno ha reso assolutamente incerto il petitum , per un verso esponendo l’ammontare del contributo, per l’altro concludendo nel senso che solo dall’istruttoria poteva emergere l’ammontare del danno. Peraltro, quello che risulta indicato è solo l’ammontare complessivo dei contributi per anno, ma trattasi di un dato inconferente perché, in relazione alla molteplicità dei convenuti, doveva determinarsi il danno cagionato in relazione all’operazione inesistente di cui era stato autore ciascuno di essi.
Nella specie, tra l’altro, trattavasi dell’attribuzione di responsabilità ex art. 2055 c.c., nei confronti di soggetti diversi che, con azioni distinte, poste in essere anche in momenti differenti – e mai descritte in modo analitico né nell’atto di citazione di prime cure, né nel giudizio di appello e neppure nel ricorso per cassazione avrebbero provocato danni alla AGEA. Ciò a dimostrazione della sussistenza di effettive evidenti carenze nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado da parte dell’AGEA, all’epoca Aima.
La questione fattuale e giuridica era, dunque, ancora più complessa e delicata da scrutinare.
Invero, vanno fatte delle precisazioni giuridiche sul rapporto tra l’art. 2055 c.c. e l’art. 2043 c.c. Per questa Corte (Cass., 7/6/2006, n. 13272; poi Cass., sez. 3, 12 del 2010, n. 6041) l’art. 2043 c.c. fa sorgere l’obbligo del risarcimento dalla commissione di
un fatto doloso o colposo, mentre il successivo art. 2055 c.c. considera, ai fini della solidarietà nel risarcimento, il «fatto dannoso». La prima norma si riferisce all’azione del soggetto che cagiona l’evento, la seconda riguarda la posizione di quello che subisce il danno, ed in cui favore è stabilita la solidarietà.
L’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 c.c. per la responsabilità solidale tra gli autori dell’illecito deve essere intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato, sicché ricorre tale forma di responsabilità, volta a rafforzare la garanzie del danneggiato e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni od omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi (Cass., sez. 3, 13/5/2021, n. 12957), sempre che le singole azioni od omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel capo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse. Deve, infatti, escludersi, a norma dell’art. 41, secondo comma, c.p., l’imputabilità del fatto dannoso a taluno degli autori delle condotte illecite esclusivamente nel caso in cui a uno solo degli antecedenti causali debba essere riconosciuta efficienza determinante ed assorbente, tale da escludere il legame eziologico tra l’evento dannoso e gli altri fatti, relegati al rango di mere occasioni (Cass., 7/6/2006, n. 13272; Cass., 8/8/2007, n. 17397; Cass., 9/8/2007, n. 17475).
L’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 c.c. va intesa in senso relativo, in coerenza con la funzione propria di tale istituto di rafforzare la garanzia del danneggiato, sicché ricorre tale responsabilità pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o corpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo
di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione dell’intero danno (Cass., sez. 3, 25/9/2014, n. 20192; Cass., 24/9/2015, n. 18899; Cass., sez. 1, 21/6/2013, n. 15687; ciò accade anche nell’ipotesi in cui la pluralità delle distinte condotte dannose sia riferibile a soggetti giuridici diversi ed alcune siano sanzionate con la responsabilità civile -contrattuale o extracontrattuale – mentre altre, sebbene lecite, obblighino alle restituzioni, vedi Cass., sez. 1, 1/3/2024, n. 5519; anche con riferimento a più contratti diversi cfr. Cass., sez. L, 9/9/2021, n. 24405).
La norma di cui all’art. 2055 c.c., quindi, si coniuga con l’esigenza di tutela del danneggiato contro il rischio dell’insolvenza di uno dei danneggianti.
Il presupposto primario dell’applicazione dell’art. 2054 c.c. consiste nell’accertamento di un fatto unitario di danno e nella individuazione dei responsabili secondo i criteri della causalità di fatto. Il danno subito dalla vittima può essere considerato unitario solo a condizione che origini da un unico fatto dannoso. Il presupposto perché operi la solidarietà è che il fatto dannoso, inteso come evento di danno, sia imputabile a più persone. Occorre, quindi, che serie causali logicamente autonome abbiano tutte necessariamente contribuito a produrre l’evento.
Questa Corte, nelle prime pronunce sul tema (Cass. Civ., 3 aprile 1954, n. 1126), ha stabilito che il fatto può essere unitariamente considerato quando: a) le cause siano ricollegate fra loro nel dinamismo convergente di un’azione complessa; b) il processo causale si sviluppi attraverso il progressivo intervento dei fattori diversi, la cui convergenza risponda peraltro a un rapporto consequenziale e sia presente o prevedibile nella coscienza dei rispettivi autori.
Questa Corte ha, poi, ribadito che, in tema di causalità, le cause sopravvenute da sole sufficienti alla produzione dell’evento sono soltanto quelle del tutto autonome, indipendenti ed estranee alla condotta, tali da sfuggire al controllo ed alla prevedibilità dell’agente (Cass., 25 febbraio 2009, n. 21513).
Non è, dunque, richiesta un’unità di disegno tra gli autori dell’illecito e neppure la identità o la contestualità delle azioni o delle norme violate. Difatti, anche condotte autonome, poste in essere in tempi diversi, possono aver dato luogo ad un unico fatto dannoso, quando il loro risultato finale sia stato unitario. L’art. 2055 c.c. muove dal presupposto della efficienza causale delle singole condotte, ma il ragionamento muta se un fatto si inserisce quale causa sopravvenuta nelle serie causale spezzando il nesso eziologico tra l’evento e gli altri fatti oppure quando, esaurendo sin dall’origine e per forza propria la serie causale riveli la inesistenza, negli altri fatti, del valore di concausa e li releghi al rango di occasioni estranee. Si può dunque anche essere in presenza non di un unico evento di danno, ma di una pluralità di fatti dannosi da ricondurre separatamente ai propri autori , secondo le proprie regole di imputazione. Trattasi di un problema che va risolto caso per caso. Se le azioni potenzialmente dannose sono plurime ma distinte, ancorché contemporanee, non può essere affermata una responsabilità congiunta e solidale, poiché la responsabilità trattandosi di fatto illecito, deve di regola presumersi individuale.
Nel caso di fatto doloso del coautore, per effetto del dolo, può ritenersi che il soggetto avrebbe comunque commesso l’illecito, anche a prescindere dalla partecipazione di altri, la quale diventa eventuale ed occasionale.
Ove dunque il fatto illecito fonte di danno si articoli in una pluralità di azioni od omissioni posta in essere da più soggetti, il
giudice è tenuto a verificare, dandone conto in motivazione, se, alla luce dei criteri predetti, ricorra un unico fatto dannoso, ovvero non si tratti, anche in parte, di fatti autonomi e scindibili che abbiano, a loro volta, prodotto danni distinti, nei quali può essere chiamata a rispondere solo chi, con la sua azione od omissione, vi abbia concorso, in forza del principio per cui ognuno risponde del sole evento di danno rispetto al quale la propria condotta abbia operato come causa efficiente ponendosi quale suo antecedente causale necessari (Cass., sez. 6-2, 28/1/2021, n. 1842).
Proprio tale indagine doveva essere effettuata nel caso in esame, ma l’attrice non ha fornito alcun elemento idoneo a distinguere le singole condotte. Non si comprende neppure se gli aiuti finanziari siano stati determinati dal raggiungimento da parte della società che ha emesso le fatture di vendita dell’olio di qualche soglia comunitaria di fatturato.
8.1. Va anche precisato che la sentenza penale di patteggiamento, neppure trascritta nei suoi elementi essenziali, senza peraltro alcun riferimento al momento in cui la stessa sarebbe stata prodotta in giudizio (se con l’atto di citazione o successivamente attraverso l’ordine di esibizione), costituisce mero elemento indiziario, da valutarsi unitamente alle risultanze complessive degli accertamenti condotti dal giudice civile (Cass., sez. 2, 7/3/2022, n. 7363; Cass., sez. 3, 30/7/2018, n. 20170).
Quanto poi alla conseguenza della mancata integrazione della citazione disposta dal Giudice, risulta corretta l’affermazione della Corte d’appello per cui va dichiarata la nullità della citazione con sentenza.
Infatti, se l’attore omette di integrare la citazione, esclusa la possibilità di estinzione dal momento che l’art. 307, terzo comma, c.p.c. non reca l’ipotesi della mancata integrazione (Cass., sez. 6-2,
11/8/2021, n. 22735; Cass., n. 5161 del 2017; Cass., n. 17458 del 2013), il giudice deve – come chiarito dalla dottrina – con sentenza dichiarare la nullità della stessa, dal momento che il convenuto, costituendosi, ha reso attuale il proprio diritto alla decisione ed alla refusione delle spese.
Tale assunto trova conferma nelle pronunce di questa Corte per cui in tema di nullità della citazione per mancata indicazione del fatto costitutivo della pretesa, ove il giudice, nonostante l’eccezione del convenuto, ometta di ordinare l’integrazione o la rinnovazione della stessa, l’attore ha l’onere di invocare la fissazione del termine per sanare la nullità, poiché, in caso contrario, ove la nullità venga dedotta come motivo d’appello, il giudice del gravame non deve fissare alcun termine per la rinnovazione dell’atto nullo, ma deve definire il processo, accertando, con una pronuncia in rito, il vizio della citazione introduttiva (Cass., sez. 3, 15/6/2023, n. 17125; Cass., sez. 3, 12/10/2021, n. 17408; Cass., 17/1/2014, n. 896; Cass., sez. 3, 12/10/2012, n. 17408; Cass., Sez.U., n. 8077/2012; Cass., Sez.U., n. 4557/2009).
Del resto, a seguito della riforma del 2022, le conseguenze della mancata sanatoria delle nullità relative alla editio actionis vanno individuate, anche in relazione a quanto disposto dal nuovo art. 183quater, comma 1, c.p.c., relativamente ai presupposti per la pronuncia dell’ordinanza di rigetto della domanda.
Prevede, infatti, tale disposizione che «nelle controversie di competenza del tribunale che hanno ad oggetto diritti disponibili, il giudice, su istanza di parte, nel corso del giudizio di primo grado, all’esito dell’udienza di cui all’art. 183, può pronunciare ordinanza di rigetto della domanda quando questa è manifestamente infondata, ovvero se è omesso o risulta assolutamente incerto requisito di cui all’art. 163, terzo comma, n. 3, e la nullità non è stata sanata o se,
emesso l’ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda, persiste la mancanza dell’esposizione dei fatti di cui al n. 4, 3º comma del predetto art. 163». Tale disposizione, inserita dall’art. 3, comma 13, lettera d), del decreto legislativo n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del decreto legislativo n. 149 2022. Ai sensi dell’art. 7, comma 3, del decreto legislativo 31 ottobre 2024, n. 164, in deroga a quanto previsto dall’art. 35, comma 1, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai procedimenti già pendenti alla data del 28 febbraio 2023.
Quanto contenuto dell’art. 182quater c.p.c., dunque, può essere utilizzato anche quale ausilio interpretativo.
Né si può sostenere che il petitum , del tutto incerto nell’atto di citazione, possa stato integrato dalla costituzione del convenuto, dalle difese delle parti o dei documenti acquisiti successivamente nel corso del giudizio, a seguito di autorizzazione del tribunale, ex articoli 210 o 213 c.p.c., in quanto la completezza della domanda in relazione a tutti i suoi requisiti (segnatamente quelli della editio actionis ), deve evincersi sin dall’atto introduttivo del giudizio, non essendo possibile altra integrazione al di fuori di quella imposta dal giudice con il provvedimento di cui all’art. 164, quinto comma, c.p.c..
10. Le spese del giudizio di legittimità, in ossequio al principio della soccombenza, vanno poste a carico della ricorrente si liquidano come da dispositivo.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore di NOME COGNOME le spese del giudizio di legittimità, facendo delle stesse liquidazione in complessivi euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi,
rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME le spese del giudizio di legittimità, facendo delle stesse liquidazione in complessivi euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore di NOME COGNOME le spese del giudizio di legittimità, facendo delle stesse liquidazione in complessivi euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore di NOME COGNOME le spese del giudizio di legittimità, facendo delle stesse liquidazione in complessivi euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME le spese del giudizio di legittimità, facendo delle stesse liquidazione in complessivi euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9/1/2025
Il Presidente
NOME COGNOME