Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33814 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33814 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
1. La Corte di Appello di Roma ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME, dirigente della Regione Lazio, avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto le sue domande, volte ad ottenere l’accertamento della nullità delle determinazioni della Regione Lazio n. G15011 del 14.10.2014 e n. G15534 del 4.11.2014, l’accertamento del suo diritto ad essere inquadrato nei ruoli dirigenziali della Regione Lazio e nel l’incarico precedentemente ricoperto (o a ricevere altro incarico equivalente) e la condanna della Regione Lazio a reintegrarlo nel ruolo dirigenziale e al pagamento delle differenze retributive tra quanto percepito dopo il reinquadramento e quanto avrebbe percepito come dirigente, nonché al risarcimento del danno alla professionalità pari a tutte le retribuzioni per l’intero periodo di declassamento o in altra misura di giustizia.
2. Il COGNOME, vincitore di concorso come funzionario Amministrativo presso la Regione Lazio, nel 2005 aveva partecipato ad una procedura concorsuale bandita dalla XVI Comunità Montana Gronde dei Monti Ausoni per la copertura di un posto di dirigente amministrativo a tempo pieno e indeterminato e nella graduatoria finale si era collocato tra gli idonei; in data 20.10.2008 aveva chiesto di transitare nel ruolo delle aree naturali protette della Regione e dopo avere dato la sua disponibilità era stato successivamente assunto direttamente dalla XVI Comunità Montana con qualifica dirigenziale; nel frattempo la Regione Lazio aveva in attuazione de ll’intesa di cui all’art. 3, comma 61 legge n. 350/2003 , con atto n. 91 del 1.7.2008 aveva disposto che gli idonei in graduatoria venissero inquadrati nei ruoli dirigenziali.
Con decreto n. 11 prot. 38 del 30.6.2010 la XVI Comunità Montana, preso atto del nulla osta emesso dalla Direzione Ambiente, aveva decretato il
trasferimento del ricorrente alla Regione Lazio con il mantenimento del medesimo trattamento giuridico ed economico in godimento; il Sanino era stato dunque inserito nel ruolo dirigenziale regionale con determinazione n. 113 del 30.7.2010, stipulando il contratto di lavoro dirigenziale con la Regione Lazio ed aveva svolto incarichi dirigenziali rimanendo incardinato nei ruoli regionali della dirigenza.
Con decreto n. 30 del 16.9.2010 il Commissario della XVI Comunità Montana aveva decretato l’estinzione dell’ente; con nota del 2 7.10.2014 la Regione Lazio aveva notificato al Sanino la determinazione G15011 con cui aveva accertato la nullità assoluta ed insanabile della determinazione del Direttore Regionale Ambiente e Cooperazione tra i popoli n. 113 del 30.7.2010 che aveva disposto il suo inquadramento nella qualifica dirigenziale a tempo pieno e indeterminato del Ruolo Unico delle Aree Naturali Protette, in quanto adottati sulla base di una procedura concorsuale inficiata da nullità per violazione di norme imperative, mentre con determinazione G15534 del 4.11.2014 della Regione Lazio l’interessato era stato reinquadrato nella categoria giuridica D3 e nella posizione di sviluppo economico D4 possedute prima dell’inquadramento dirigenziale.
3. La Corte territoriale ha osservato che la determina che aveva dichiarato nulla la procedura concorsuale costituisce un atto privatistico di gestione del rapporto da parte del datore di lavoro, in quanto era intervenuta dopo l’approvazione della graduatoria ; in applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, ha inoltre ritenuto che la P.A. può legittimamente rifiutarsi di adempiere alle obbligazioni derivanti da un contratto di lavoro stipulato sul presupposto del superamento di un pubblico concorso da parte del privato qualora tale concorso sia fi fatto assente, o nullo per violazione di norma imperativa ed ancorché l’accertamento di tale assenza o nullità non sia intervenuta giudizialmente o con atto dell’Amministrazione che ha bandito il concorso, tanto più che nel caso di specie al momento del rilievo della nullità l’Amministrazione che aveva proceduto al concorso era estinta.
4. Il giudice di appello ha inoltre ritenuto che l’archiviazione per il reato di abuso d’ufficio poteva considerarsi resa in forza dell’intervenuta prescrizione e della carenza di prova dell’elemento soggettivo; ha comunque evidenziato che,
a prescindere dal rilievo penale dei comportamenti degli indagati, l’illegittimità del concorso del 2005 e delle successive connesse assunzioni erano state ritenute pacifiche anche nella richiesta di archiviazione del P.M.
Ha evidenziato che nel caso di specie rileva la violazione delle norme che disciplinano il pubblico impiego privatizzato, tra cui l’art. 35 d.lgs. n. 165/2001, norma imperativa, cui è riconducibile la maggior parte dei vizi della procedura concorsuale del 2005 indicati nella determina regionale e di quelli di maggiore consistenza, in quanto avevano configurato arbitrarie restrizioni dei soggetti chiamati ad avere conoscenza del concorso pubblico e a potervi partecipare (ha sul punto rimarcato la mancata pubblicazione del bando di concorso sulla Gazzetta Ufficiale, adempimento che non ammette forme sostitutive, la restrizione operata dal bando ai dipendenti della Comunità Montana o ad enti regionali o sub regionali, vizi aggravati dallo stato di liquidazione in cui versava l’ente che aveva emanato il bando).
Ha infine escluso che l’eventuale lesione dei principi di legittimo affidamento, correttezza e buona fede possano incidere sulla nullità dell’assunzione. Rendendola conforme a diritto precludendo all’Amministrazione di adeguare la propria condotta all’acce rtata situazione di illegittimità, tanto più che la nullità era stata fatta valere da un’Amministrazione diversa da quella che l’aveva causata.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria.
La Regione Lazio ha resistito con controricorso.
DIRITTO
Con l’unico motivo il ricorso denuncia violazione ed errata applicazione delle seguenti norme di diritto ex art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ.; artt. 111 e 113 Cost., artt. 1421 e 1456 cod. civ., art. 14, comma 3 del CCNL Comparto Regioni e Autonomie Locali del 10.4.1996, degli artt. 4 e 5 LAC, dell’art. 63, comma 4, in combinato disposto con l’art. 35 d.lgs. n. 165/2001; violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Sostiene che, avendo unilateralmente risolto il contratto di lavoro a tempo indeterminato nella qualifica dirigenziale sottoscritto dal Sanino in data 30.6.2010, la Regione aveva esercitato poteri che ai sensi degli artt. 111 e 113 Cost. competono esclusivamente ad un’autorità giurisdizionale ed aveva travalicato il limite esterno proprio del corretto esercizio dei suoi poteri, in quanto aveva accertato la nullità di una procedura concorsuale bandita da altra Amministrazione.
Evidenzia che il Sanino aveva originariamente adito il TAR Lazio per ottenere l’annullamento della determinazione dirigenziale n. G15011 del 24.10.2014 e che le Sezioni Unite in sede di regolamento preventivo di giurisdizione avevano ritenuto che fosse munito di giurisdizione il giudice ordinario.
Lamenta che la risoluzione del contratto, avvenuta ai sensi dell’art. 14, comma 3, del CCNL del Personale Dirigente del Comparto Regioni e Autonomie Locali, era stata posta in essere in assenza del presupposto indicato da tale disposizione, costituito dall ‘annullamento della procedura di reclutamento, atto riservato all’autorità giurisdizionale o all’Amministrazione che aveva bandito il concorso.
Addebita alla Corte territoriale di avere valutato la legittimità della procedura concorsuale, andando oltre i limiti del proprio sindacato ed erroneamente ritenuto che la nullità del contratto di lavoro sottoscritto dal Sanino era derivata dalla violazione diretta di norma imperativa ai sensi dell’art. 1418 cod. civ.; assume che tale nullità è il riflesso di un presunto vizio della procedura concorsuale, peraltro mai impugnata né davanti al giudice amministrativo né davanti al giudice ordinario.
Precisa che il concorso non era il presupposto diretto dell’assunzione del COGNOME come dirigente presso la Regione Lazio, essendo stata invece espletata una procedura non contestata di trasferimento in mobilità.
Aggiunge che i vizi evidenziati dalla Corte territoriale attengono tutti a diversi aspetti pubblicistici della procedura concorsuale, sindacabili solo dal giudice amministrativo; evidenzia che una pronuncia meramente incidentale del giudice ordinario sull’ illegittimità di una procedura concorsuale non può avere gli effetti
dell’annullamento indicato quale condizione risolutiva dall’art. 14, comma 3, del CCNL.
Il ricorso è inammissibile.
Il ricorso, che prospetta formalmente la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nella sostanza non denuncia il vizio di ultrapetizione, ma sostiene che il giudice di appello non poteva valutare né accertare la legittimità della procedura concorsuale; e nel denunciare la violazione de ll’art. 14, comma 3, del CCNL di categoria, il ricorso non si confronta con il decisum .
La Corte territoriale non ha infatti ravvisato alcuna risoluzione, ma ha ritenuto nullo l’inquadramento del Sanino nei ruoli dirigenziali della Regione, in quanto il concorso bandito dalla Comunità Montana per la copertura di un posto da dirigente era stato espletato in violazione di norme imperative.
Anche dalla sentenza n. 7495/2017 delle Sezioni Unite di questa Corte, che si sono pronunciate sul regolamento preventivo di giurisdizione in relazione al giudizio pendente innanzi al TAR Lazio, risulta che la delibera del 24.10.2014, impugnata dal Sanino, ha accertato la nullità assoluta e insanabile della determinazione del Direttore Generale dell’agenzia regionale per la difesa del suolo che aveva disposto l’assunzione a tempo pieno e indeterminato del Sanino con qualifica di dirigente ‘sul presupposto di procedura concorsuale inficiata da nullità per violazione di norme imperative in conformità a quanto previsto dall’art. 36, comma 5, d. lgs. n. 165/2001, dall’art. 3, comma 6, del DPR n. 3/1957 e dell’art. 21 septies legge n. 241/1990’; secondo la medesima delibera, tale nullità aveva determinato la nullità del conseguente inquadramento nel ruolo del personale dirigente a tempo pieno e indeterminato della Regione Lazio, per vizio insanabile degli atti presupposti.
Nella medesima pronuncia, le Sezioni Unite hanno osservato che il suddetto provvedimento costituisce atto di natura privatistica, di micro organizzazione, riguardando la gestione del rapporto di lavoro del dipendente con la P.A., assunto in costanza di rapporto, e concernendo l’affidamento e la revoca di incarico dirigenziale il giudizio va devoluto alla giurisdizione ordinaria ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti ai sensi dell’art 63, comma 1, d.lgs. 165/2001, che il giudice ordinario può disapplicare.
Hanno inoltre chiarito che il predetto atto di gestione dell’incarico dirigenziale mantiene la natura di determinazione assunta dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, come, a norma dell’art. 5, 2° comma, del citato d.lgs. n. 165 del 2001, tutti gli atti attinenti ai profili organizzativi e gestionali di rapporti di lavoro già costituiti (hanno sul punto richiamato Cass., S.U., 7 luglio 2005 n. 14252; Cass. S.U., 27 febbraio 2008 n. 5078; Cass. 23 febbraio 2007 n. 4275).
In particolare, con l’approvazione della graduatoria si esaurisce l’ambito riservato al procedimento amministrativo e all’attività autoritativa dell’amministrazione, subentrando una fase in cui i comportamenti dell’amministrazione vanno ricondotti all’ambito privatistico, espressione del potere negoziale della P.A. nella veste di datrice di lavoro, da valutarsi alla stregua dei principi civilistici in ordine all’inadempimento delle obbligazioni (art 1218 cc) anche secondo i parametri della correttezza e della buona fede ( ex plurimis Cass., S.U., nn. 7859/2001; 9332/2002; 15472/2003; 27399/2005; 15342/2006) con la conseguenza che se l’amministrazione, res melius perpensa, modifica o ritira l’atto di conferimento esercita un potere organizzativo e non il potere amministrativo di autotutela, inconcepibile nei confronti di atti di tutela privati (cfr. in motivazione: Cass., Sez. Un., 7 luglio 2005 n. 14252 cit.).
Si è dunque affermato che il superamento di un concorso pubblico, indipendentemente dalla nomina e, a fortiori, dopo la conclusione del contratto di lavoro, consolida nel patrimonio dell’interessato una situazione giuridica individuale di diritto soggettivo (cfr, Cass. n.21671/2013; Cass.n. 14690/2015) rientrando quindi nella giurisdizione del giudice ordinario tutti gli atti della serie negoziale successivi alla stipulazione del contratto, compresi quelli volti a disporne l’annullamento unilaterale o la caducazione automatica.
4 . La sentenza impugnata è conforme all’orientamento di questa Corte, secondo cui nell’impiego pubblico contrattualizzato, poiché alla stipula del contratto di lavoro si può pervenire solo a seguito del corretto espletamento delle procedure concorsuali previste dall’art. 35, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 165/2001 o, per le qualifiche meno elevate, nel rispetto delle modalità di avviamento di cui al combinato disposto del richiamato art. 35, comma 1, lett.
b) e degli artt. 23 e seguenti del d.P.R. n. 487/1994, la mancanza o l’illegittimità delle richiamate procedure si traduce in un vizio genetico del contratto, affetto, pertanto, da nullità, che l’amministrazione, in quanto tenuta a conformare il proprio comportamento al rispetto delle norme inderogabili di legge, può fare unilateralmente valere, perché anche nei rapporti di diritto privato il contraente può rifiutare l’esecuzione del contratto nei casi in cui il vizio renda il negozio assolutamente improduttivo di effetti giuridici (Cass. n. 11951/2019; Cass. n. 17002/2019).
Si è in particolare evidenziato che la procedura concorsuale costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, sicché, sia l’assenza sia l’illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dall’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001, attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97, comma 4, della Carta fondamentale (Cass. n. 13884/2016).
L’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 ha sempre previsto, nelle diverse versioni succedutesi nel tempo, che «in ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni » e la norma, per come formulata, ha una portata generale che va oltre il più ristretto ambito di applicazione indicato dalla rubrica dell’articolo ed è idonea ad attrarre nella sfera della nullità anche il mancato rispetto delle procedure imposte per le assunzioni a tempo indeterminato dall’art. 35 del decreto; la disposizione ricalca esattamente la formulazione del comma 8 dell’art. 36 del d.lgs. n. 29/1993, come modificato dall’art. 22 del d.lgs. n. 80/1998, che disciplinava tutte le forme di reclutamento del personale, anche le assunzioni a tempo indeterminato, e non a caso il legislatore, ogniqualvolta ha qualificato il vizio del rapporto di impiego derivato dalla violazione delle norme inderogabili che disciplinano forme e requisiti per l’assunzione, si è espresso per la nullità della nomina o del vincolo contrattuale (art. 3 d.p.r. n. 3/1957; art. 19 legge n. 448/2001, art. 15 legge 111/2011)
In ordine alla qualificazione del vizio assume specifico rilievo il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte le quali, nell’individuare i casi in cui la violazione di norme inderogabili rende nullo il contratto ai sensi dell’art. 1418, primo comma, cod. civ., pur ribadendo la tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto, hanno precisato che a quest’ultima tipologia vanno attratte non solo quelle disposizioni che si riferiscono alla struttura ed al contenuto del regolamento negoziale ma anche quelle che in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto; se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo (Cass. S.U. n. 26724/2007).
La regola che impone l’individuazione del contraente sulla base di una graduatoria formulata all’esito della procedura concorsuale nel rispetto dei criteri imposti dalla legge e dal bando, seppure non direttamente attinente al contenuto delle obbligazioni contrattuali, si riflette necessariamente sulla validità del negozio, perché individua un requisito che deve imprescindibilmente sussistere in capo al contraente, di tal ché, ove si consentisse lo svolgimento del rapporto con soggetto privo del requisito in parola, si finirebbe per porre nel nulla la norma inderogabile, posta a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione, secondo il Costituente, deve essere costantemente orientata l’azione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici .
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
7 . Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per il ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 5000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della