Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34475 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34475 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 10011-2023 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio degli avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono
– ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’avv. NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2000/2023 della CORTE DI APPELLO di ROMA, depositata il 20/03/2023;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 7/2019 il Commissario per il riordino degli usi civici della Regione Abruzzo accertava la natura allodiale di alcuni fondi, dichiarando invece la natura demaniale di altri terreni e la nullità insanabile ed assoluta di qualsiasi atto dispositivo di questi ultimi, ordinandone la reintegra in favore della comunità di Barete e la rimozione di ogni recinzione o manufatto su di essi realizzato.
NOME COGNOME interponeva reclamo avverso detta decisione, invocando l’accertamento della natura allodiale dei terreni ritenuti demaniali dal giudice di prime cure.
Resisteva il Comune che, nelle note conclusionali, eccepiva la tardività del reclamo, perché proposto dopo la scadenza del termine di 30 giorni previsto dagli artt. 2 e 7 della legge n. 1078 del 1930, decorrente dal perfezionamento della notificazione del dispositivo della sentenza del Commissario per il riordino degli usi civici.
Con la sentenza impugnata, n. 2000/2023, la Corte di Appello di Roma dichiarava inammissibile il reclamo interposto dal COGNOME avverso la decisione di prima istanza, ritenendolo tardivo.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione NOME NOMECOGNOME affidandosi ad un unico motivo.
Resiste con controricorso il Comune di Barete.
A seguito di proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art.380 bis c.p.c. la parte ricorrente, con apposita istanza corredata da procura speciale in data 24.11.2023, ha chiesto la decisione del ricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente rileva la Corte che non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 10/04/2024, Rv. 670667). Quindi, il Cons. NOME COGNOME autore della proposta, può far parte del Collegio giudicante.
Passando all’esame dell’unico motivo del ricorso, con esso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della legge n. 1078 del 1930, della legge n. 890 del 1982, dell’art. 137 c.p.c., della disciplina relativa alla raccomandata con avviso di ricevimento di cui al D.M. 9.4.2001 e dell’art. 12 delle Preleggi, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., rimproverando alla Corte di Appello di avere erroneamente ritenuto tardivo, e quindi inammissibile, il reclamo interposto dal COGNOME avverso la sentenza n. 7/2019 del Commissario per il riordino degli usi civici della Regione Abruzzo.
La censura è infondata.
Premessa l’inammissibilità della doglianza con la quale si contesta la violazione di un intero corpus normativo, e non di singole disposizioni di essa (cfr. Cass. SSUU 17555/2013; Cass. terza sezione 10119/2024), occorre evidenziare che, come rilevato dalla Corte di
Appello, alla presente fattispecie si applica, ratione temporis , la disposizione di cui all’art. 32 della legge n. 1766 del 1927 ed alla legge n. 1078 del 1930 art. 2, secondo cui il reclamo doveva essere proposto entro il termine di 30 giorni dalla notificazione del dispositivo della sentenza di primo grado, trattandosi di causa incardinata nel 1995, e quindi anteriormente alla riforma introdotta dal D. Lgs. n. 150 del 2011 dagli art. 33, applicabile alle sole controversie instaurate dopo il 6 ottobre 2011 (cfr. la norma transitoria di cui all’art. 36 DLGS cit.).
Va poi evidenziato che, nel caso specifico, il dispositivo della sentenza di prime era stato notificato, a cura della segreteria del Commissario per il riordino degli usi civici per la Regione Abruzzo, in data 28.2.2019 mediante il servizio postale, con consegna al procuratore domiciliatario del Gregori, avv. NOME COGNOME come dimostrato dalla copia conforme del relativo avviso di ricevimento (cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza).
Ad avviso del ricorrente, la statuizione sarebbe erronea perché agli atti del giudizio di merito risulterebbe soltanto la copia dell’avviso di ricevimento, ma mancherebbe del tutto la relazione di notificazione del dispositivo della decisione di prime cure. La notificazione, dunque, non avrebbe potuto essere ritenuta perfezionata dalla Corte territoriale.
Come evidenziato sia dalla sentenza impugnata che dalla proposta di decisione comunicata al Gregori, qualora sia in atti l’avviso di ricevimento della notificazione eseguita a mezzo del servizio postale, come nella specie, il fatto che manchi, sull’originale o sulla copia consegnata al destinatario, la relazione di notificazione prevista dall’art. 3 della legge n. 890 del 1982 non costituisce motivo di nullità della notificazione o del relativo procedimento, bensì mera irregolarità non idonea ad inficiarne la validità, trattandosi peraltro di adempimento non previsto nell’interesse del destinatario dell’atto (cfr. Cass. Sez. U,
Sentenza n. 7821 del 19/07/1995, Rv. 493328; conf. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12010 del 22/05/2006, Rv. 590430; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9493 del 22/04/2009, Rv. 607957; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21762 del 14/10/2009, Rv. 609747; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4746 del 26/02/2010, Rv. 611630; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14245 del 08/07/2015, Rv. 635878; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 952 del 17/01/2018, Rv. 646692).
L’orientamento di questa Corte, più che consolidato, si giustifica anche in considerazione del fatto, non secondario, che comunque la notificazione ha conseguito il suo scopo tipico, costituito dal portare a conoscenza del suo destinatario il contenuto dell’atto al quale essa si riferisce (principio ribadito, ex multis , da Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 22806 del 13/08/2024, Rv. 672276 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11466 del 15/06/2020, Rv. 658263).
Infatti ‘l’inesistenza della notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al
mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa’ (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 26511 del 08/09/2022, Rv. 665447; conf. Cass. Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640603).
Né sussiste alcun dubbio sulla ritualità della procedura seguita, nel caso concreto, per la notificazione della sentenza di primo grado, poiché l’art. 2 della legge 10/07/1930, n. 1078, oggi in larga parte abrogata dall’art. 34 del D. Lgs. 01/09/2011, n. 150, ma integralmente applicabile ratione temporis alla fattispecie, prevedeva che ‘la notificazione delle decisioni dei commissari regionali nei procedimenti contenziosi, di cui al secondo comma dell’art. 29 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, è fatta d’ufficio dalla segreteria mediante invio del dispositivo a ciascuna delle parti per mezzo del servizio postale’. Questa Corte di legittimità, interpretando l’art. 8 della prefata legge speciale, che stabiliva per la proposizione del ricorso per cassazione il termine di 45 giorni dalla notificazione della sentenza conclusiva del reclamo, da eseguirsi, a mente dell’art. 7 della legge speciale, a cura della cancelleria ‘… d’ufficio, mediante invio del dispositivo a ciascuna delle parti col mezzo del servizio postale’ , e dunque con modalità del tutto analoghe a quelle previste dall’art. 2 per la notificazione della decisione del Commissario, ha affermato che ai sensi dell’art. 8 della legge 10 luglio 1930 n. 1078, il ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello, emessa sul reclamo avverso le decisioni dei commissari regionali per la liquidazione degli usi civici, deve proporsi nel termine di quarantacinque giorni dalla notificazione della medesima, tale dovendosi considerare, a norma dell’art. 2 della citata legge, la notificazione a mezzo del servizio postale del dispositivo della sentenza a cura della cancelleria, mentre la notifica della stessa ad istanza delle parti non è idonea a modificare la sequenza cronologica
voluta dalla legge; siffatta disciplina, non abrogata dal vigente codice di procedura civile, non è in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., perché la diversità trova giustificazione nelle peculiarità del procedimento in materia di usi civici ed è comunque consentita un’adeguata possibilità di difesa (Cass. Sez. U, Sentenza n. 21193 del 05/10/2009, Rv. 609464; conf. Cass. Sez. U, Sentenza n. 16832 del 27/11/2002, Rv. 558792; v. anche Cass. sez. 2 n. 4200/2014). Posta l’identità delle modalità con le quali le abrogate disposizioni degli artt. 2, 7 ed 8 della legge speciale n. 1078 del 1930 regolavano la notificazione delle decisioni, rispettivamente, del Commissario per la liquidazione degli usi civici, in primo grado, e della Corte di Appello di Roma, in sede di reclamo, il principio dianzi richiamato, affermato in relazione alla notificazione delle decisioni conclusive della fase di reclamo, merita di essere ribadito anche per l’analoga procedura prevista per la notificazione della pronuncia di prima istanza.
Alla luce delle esposte argomentazioni, il ricorso va respinto.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta (di inammissibilità) formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., vanno applicati – come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c.- il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al pagamento della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda