Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8993 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8993 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/04/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso per procura alle liti allegata al ricorso dall’Avvocat o NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Roma, in persona del legale rappresentante sig. NOME COGNOME rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al controricorso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO
Controricorrente
avverso la sentenza n. 1138/2021 della Corte di appello di Roma, depositata il 12.2.2021.
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 12.11.2024.
R.G. N. 14973/2021.
Fatti di causa e ragioni della decisione
Con sentenza n. 1138 del 12. 2. 2021 la Corte di appello di Roma, quale giudice di rinvio, a seguito della ordinanza della Corte di Cassazione n. 27739/2019, condannò COGNOME NOME, rimasto contumace nel relativo giudizio, a restituire a RAGIONE_SOCIALE il box facente parte del fabbricato sito in Roma INDIRIZZO scala INDIRIZZO, contrassegnato con il n.9.
La Corte romana, dato atto che la cassazione con rinvio era stata pronunciata per vizio di omessa pronuncia, da parte del giudice di appello, sulla predetta domanda di rilascio , motivò la propria decisione rilevando che l’occupazione dell’immobile da parte del convenuto, che non era mai stata dallo stesso contestata nei giudizi di merito ed anzi era stata ammessa nel corso del suo interrogatorio, era rimasta priva di titolo per effetto del giudicato interno formatosi sulla dichiarazione di risoluzione del contratto preliminare di compravendita del suddetto immobile per colpa di COGNOME quale promissario acquirente.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 19. 5. 2021, ha proposto ricorso COGNOME COGNOME sulla base di un unico motivo.
La società Fonte ha notificato controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
L’unico motivo di ricorso, che denuncia violazione degli artt. 139 e 392 c.p.c., deduce la nullità dell’intero giudizio di rinvio per la nullità e/o inesistenza della notificazione dell’atto di riassunzione. Il ricorrente assume al riguardo che tale notificazione, avvenuta ai sensi dell’art. 140 c.p.c., con plico non ritirato, è stata erroneamente eseguita in Roma presso l’indirizzo di INDIRIZZO, da cui egli si era trasferito già nel 2015, spostando la sua residenza in INDIRIZZO come risulta dal certificato storico di residenza. La nullità/inesistenza della notifica dell’atto di citazione in riassunzione gli ha pertanto impedito di partecipare al giudizio e di esercitare le sue difese, sicché l’intero giudizio di rinvio deve considerarsi nullo.
Il ricorrente rappresenta, infine, di avere proposto dinanzi al Tribunale di Roma querela di falso avverso la relata di notifica dell’atto di riassunzione. Il motivo è infondato.
La società controricorrente ha richiamato il certificato anagrafico, già depositato dinanzi al giudice di rinvio, rilasciato da Roma Capitale in data di 17. 1. 2020, solo quattro giorni prima della notifica di cui si discute, che attesta la residenza del convenuto COGNOME all’indirizzo di INDIRIZZO in Roma, dove la notificazione è stata eseguita. La stessa deve pertanto ritenersi regolare, trovando applicazione il principio, seguito dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la notificazione va eseguita nel luogo di residenza anagrafica del destinatario e non, ove diversa, in quella effettiva, a meno che il notificante non conosca quest’ultima ovvero sia in grado di conoscerla usando l’ordinaria diligenza, senza a tal fine soggiacere ad un dovere di compiere indagini al riguardo, cioè di verificare se il luogo di residenza anagrafica coincida con quello di residenza effettiva.
Non rileva in contrario il certificato storico di residenza prodotto dal ricorrente, il quale attesta sì un trasferimento di residenza, nel 2015, da INDIRIZZO a INDIRIZZO, ma registra altresì che il 20. 1. 2020 tale ultima residenza è stata cancellata ‘per irreperibilità del destinatario’ . Per effetto della avvenuta cancellazione, il ricorrente non può pertanto validamente dedurre che la propria residenza anagrafica era in INDIRIZZO
Tale conclusione appare confermata dalle stesse modalità con cui è stato notificato l’atto di riassunzione, atteso che l’avere l’ufficiale giudiziario seguito il procedimento descritto dall’art. 140 c.p.c. presuppone che lo stesso abbia individuato in quel luogo il nome del destinatario e l’unità abitativa a questi riferibile, cioè un riferimento diretto tra lo stesso ed il luogo in cui è stata eseguita la notificazione.
Non rileva infine, in questo giudizio, la allegazione del ricorrente di avere proposto querela di falso avverso la relata di notifica dell’ufficiale giudiziario. Intanto perché il ricorso produce l’atto di citazione notificato ma non l’atto di iscrizione a ruolo della causa, sicché non è compiutamente provata la pendenza del giudizio di falso. In secondo luogo, in quanto l’eventuale falsità di tale atto, ove sia definitivamente accertata nella sede competente, può essere fatta valere soltanto come motivo di revocazione, ai sensi dell’art. 395, comma 1 n. 2) c.p.c.
R.G. N. 14973/2021.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 4.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in