Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17157 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17157 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1212-2024 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1121/2023 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 17/11/2023 R.G.N. 349/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
06/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 1212/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 06/05/2025
CC
RILEVATO che
1.Con sentenza in data 19 ottobre 2023, la Corte d’appello di Palermo, in riforma della sentenza n. 989/2023 emessa dal locale Tribunale, ha respinto l’impugnazione proposta da NOME COGNOME – operaio dipendente della RAGIONE_SOCIALE Palermo RAGIONE_SOCIALE con mansioni di autista liv 3°A in servizio presso l’area Impianti della discarica di Bellolampo – avverso il licenziamento intimatogli dalla R.RAGIONE_SOCIALE in relazione alle condotte delittuose contestategli in relazione ad una ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti dal G.I.P poiché indagato, unitamente ad altri soggetti, dei reati di cui agli artt. 416 c. 1,2,3, 56, 110, 624, 625 nn. 5-7-7bis, del codice penale, per avere cooperato nella commissione di atti predatori, consistiti nella sottrazione di ingenti quantitativi di gasolio, utilizzando il proprio rapporto di servizio per perpetrare i reati.
In particolare, il giudice di secondo grado, andando di contrario avviso rispetto all’ iter decisorio del primo giudice, ha ritenuto la correttezza della procedura di notificazione del licenziamento, intimato con lettera raccomandata del 28/8/2020 e, conseguentemente, la tardività dell’impugnativa del licenziamento da parte del dipendente.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso NOME COGNOME affidandolo a undici motivi.
3.1. Resiste, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO che
1.Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza ex artt. 324, 329 cod. proc. civ., 2909 e1335 cod. civ. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale escluso la
rilevanza fattuale degli arresti domiciliari del Cocuzza presso la propria abitazione alla data dell’1.9.2020 ; secondo parte ricorrente tale circostanza è oggetto di giudicato interno per acquiescenza della RAP sul passaggio motivazionale della sentenza n. 989/2023 per non avere la RAP proposto alcun gravame sul punto.
Con il secondo motivo si denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727, 2728, 2729 co.1, 2697 e 1335 cod. civ., in relazione all’art. 284 cod. proc. civ.. per aver la corte ritenuto che fosse onere del ricorrente provare la propria presenza presso la propria abitazione alla data dell’1.9.2020, pur operando la presunzione legale ex art. 2728, per essere il COGNOME ristretto agli arresti domiciliari
Con il terzo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1335 cod. civ., in relazione agli artt. 3, 4, 24 e 35 Cost. chiedendosi, in via gradata, che venga sollevata questione di legittimità costituzionale della norma nella parte in cui non ha ritenuto esistente la prova contraria a contenuto vincolato dalla stessa norma ammessa, costituita dalla prova dell’impossibilità incolpevole di avere notizia dell’atto recettizio.
Con il quarto motivo parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2697, 1335, 2699 e 2700 cod. civ. e 221 cod. proc. civ. per avere ritenuto che le ‘annotazioni’ postali presenti sulla busta rivestano portata fidefaciente, pur in assenza della formale sottoscrizione da parte dell’operatore postale .
Con il quinto motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 1335 cod. civ. in relazione alla ritenuta irrilevanza dell’assenza del nominativo del ricorrente sulla busta contenente la comunicazione impugnata.
6. Il sesto motivo attiene ancora alla violazione degli artt. 324, 329 cod. proc. civ., 290, 1335 e 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 co. 1, n. 4, cod. proc. civ., quanto al deposito da parte della società di una mera busta priva di indirizzo del destinatario e della quale non aveva depositato in atti il contenuto sulla quale si legge solo ‘LA PA 10 01.09.2020’ senza alcun timbro o firma e poi un timbro ‘AL MITTENTE COMPIUTA GIACENZA’ con a fianco un timbro datario 2 o 12 NOV. 2020′ : tale capo, secondo parte ricorrente, non è stato impugnato dalla Rap e, pertanto, sul punto, si è formato il giudicato interno.
Con il settimo motivo si denunzia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ. per non aver la Corte di Appello preso in esame il fatto decisivo che Poste Italiane non fosse stata in grado di individuare l’indirizzo di tentato recapito né di individuare con certezza il portalettere che si è occupato asseritamente della spedizione.
L’ottavo motivo censura la decisione impugnata per omesso esame di un documento ex art. 115 cod. proc. civ., ai sensi, tuttavia, dell’art. 360, co. 1, n. 4, cod. proc. civ. per aver la Corte d’a ppello omesso di valutare la circostanza che Poste Italiane non fosse stata in grado di individuare l’indirizzo di tentato recapito né di individuare con certezza il portalettere che si è occupato asseritamente della spedizione, con ciò determinando un’erronea ricognizione del contenuto oggettivo dei richiamati documenti.
Con il nono motivo di ricorso si denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 1335 cod. civ., per aver la Corte ritenuto perfezionata l a procedura notificatoria dell’1.9.2020, attribuendo all’avviso di ricevimento una portata probatoria che, a cagione della
denunciata assenza di sottoscrizione dell’incaricato e dell’ assenza di precisa indicazione delle operazioni di notificazione poste in essere, non poteva essere allo stesso riconosciuta (così violando l’art. 2697 c.c.).
10. Con il decimo motivo si deduce, ancora, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ.., per aver la Corte Territoriale posto a base della propria decisione un fatto, cioè che nella ‘prassi postale’ , la dicitura ‘inesitata’ vorrebbe dire non consegnata per assenza del destinatario, contrario allo stesso significato della parola ‘inesitata’ così ponendo a fondamento del giudizio la propria scienza personale, (con riferimento al contenuto della ‘prassi postale’) dando in tal modo ingresso a prove non fornite dalle parti.
11. Con l’undicesimo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 221 e 335 cod. proc. civ. per aver la Corte territoriale ha violato e/o falsamente applicato le norme indicate in rubrica nella parte in cui ha ritenuto ‘inconducente’ l’accertamento richiesto dal COGNOME sulla nota riepilogativa contenuta in calce alla nota di deposito di controparte del 17.1.2022, posto che dal perfezionamento del procedimento di notifica di cui si discute dipendeva la decadenza dal potere del COGNOME di impugnare giudizialmente il licenziamento.
12. I primi dieci motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico – sistematiche, oltre ad essere inammissibilmente formulati in modo promiscuo, tale da incidere sull ‘ operazione di interpretazione e sussunzione delle censure denunciando violazioni di legge e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass.
n. 9470 del 2008), nella sostanza contestano l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta correttezza della procedura di notificazione e della conseguente legittimità del licenziamento, criticando sotto vari profili la valutazione dalla stessa compiuta con doglianze intrise di circostanze fattuali.
Ha statuito, anche di recente, questa Corte (Cass. n. 3397 del 2024) che è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto una tale formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse.
12.1. Va rilevato, in particolare, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto, totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., al di fuori dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla
consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);
nella specie, non solo parte ricorrente non deduce l’omessa valutazione di un fatto storico ma appunta le proprie censure su aspetti valutativi dell’ iter motivazionale, concernenti la asseritamente erronea valutazione di materiale istruttorio concernente il perfezionamento della notificazione.
Invero, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l’ ” omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate ( cfr., in questi termini, fra le più recenti, Cass.n. 2268 del 2022).
12.2. Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 2697 cod. civ., va rilevato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, ( ex plurimis, Sez. III, n. 15107/2013) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella
che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie.
12.3. In particolare, poi, relativamente alla dedotta violazione de ll’ art. 115 cod. proc. civ., occorre evidenziare che una questione di violazione e falsa applicazione di tale norma non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960).
12.4. Passando ad esaminare più specificamente le singole censure, va preliminarmente ritenuta come manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta, atteso che parte ricorrente, nel criticare l’interpretazione offerta dalla Corte cir ca la presunzione di conoscenza degli atti recettizi posta dall’art. 1335 ne deduce, genericamente, l’irragionevolezza, in un’ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, bilanciamento che soltanto al legislatore spetta effettuare, formando lo stesso oggetto di valutazione discrezionale.
12.5. Relativamente alle residue censure, formulate frequentemente in modo ripetitivo e perplesso, appare evidente come le stesse, pur veicolate per il tramite dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in realtà corr ano lungo i binari delle censure fattuali in quanto mirano ad una diversa ricostruzione della fattispecie oltre che ad una inammissibile diversa valutazione delle risultanze istruttorie di merito.
Parte ricorrente, infatti, pur denunciando, apparentemente, una violazione di legge, chiede, in realtà, alla Corte di pronunciarsi sulla valutazione di fatto compiuta dal giudice in ordine alle conclusioni raggiunte, con riguardo al corretto perfezionamento dell’ iter di notificazione e, conseguentemente, in ordine alla tardività della impugnazione del licenziamento da parte del dipendente.
La Corte, infatti, con valutazione sottratta al sindacato di legittimità, ha ritenuto di non condividere la motivazione del giudice di primo grado là dove lo stesso aveva ritenuto che il procedimento in questione non fosse stato adeguatamente portato a compimento.
In particolare, il primo giudice aveva valorizzato alcuni elementi di perplessità stigmatizzati dalla difesa del COGNOME e consistenti ne ll’assenza nella busta del nominativo e dell’indirizzo del destinatario , nella mancata ‘ flaggatura ‘ della dicitura ‘a. r.’ nella distinta di invio , nella presenza nella busta dell’annotazione ‘LA PA 10 01/9/2020’ senza timbro e firma e in calce alla stessa l’annotazione ‘al mittente per compiuta giacenza’ con a fianco un timbro datario 2 o 12 NOV. 2020′.
Il Tribunale, peraltro, aveva ritenuto insufficiente il chiarimento sollecitato a Poste Italiane dalla difesa della R.A.P. e trasmesso con PEC del 30/3/2022 in seno al quale il servizio postale aveva riferito che relativamente all’invio n. 154369190534 era stato tentato il recapito al destinatario COGNOME NOME con emissione dell’avviso di giacenza in data 1/9/2020 per temporanea assenza del destinatario e che, successivamente, il plico in oggetto era rimasto in giacenza per il tempo previsto ed era stato quindi restituito al mittente per non curato ritiro.
12.6. Orbene, la Corte, al di là della circostanza fattuale del mancato reperimento del destinatario all’indirizzo precisato di INDIRIZZO
Palermo, attestata dall’agente postale ed in relazione al quale ha ritenuto irrilevante la contestazione della difesa del COGNOME circa la condizione di persona sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari ( senza però escludere l’eventualità di una temporanea assenza del destinatario), ha ritenuto, sempre con una valutazione di merito, sottratta al sindacato di legittimità, che gli aspetti inerenti alla validità e completezza dell’attività compiuta dall’agente postale ed alla intellegibilità dei riscontri grafici riportati nella documentazione prodotta in causa conducessero a ritenere la correttezza dell’ iter notificatorio.
Il giudice di secondo grado Corte ha, infatti, ritenuto che l’attività diretta alla consegna della raccomandata contenente la lettera di licenziamento venne effettuata in data 1/9/2020 e che in tale data l’agente ebbe a rilasciare l’avviso di giacenza , per tale dovendosi interpretare l’annotazione LA (Lasciato Avviso) PA 10 01/9/2020, attività cui ha fatto seguito l’attestazione di perfezionamento della compiuta giacenza in data 2/11/2020 riportata in calce alla busta. Trattasi, invero, di annotazioni, le quali, pur non recando una formale sottoscrizione da parte dell’operatore postale, rivestono , ha osservato la Corte, portata fidefaciente delle attività compiute e della provenienza di esse da soggetto qualificato, per come fatta propria dalle Poste Italiane nella nota trasmessa in data 30/3/2022: tale successiva attestazione è stata dalla Corte ritenuta idonea, nel merito, a confermare la correttezza delle attività compiute.
La Corte ha ritenuto meramente suggestiva la circostanza dell’assenza del nominativo e dell’indirizzo del COGNOME sul frontespizio della busta, atteso che il dato carente risultava adeguatamente riportato nella distinta di spedizione e nell’avviso di ricevimento che la accompagnava. Tale
avviso di ricevimento, prodotto agli atti dalla difesa della R.A.P. ed attestante la spedizione della raccomandata in data 28/8/2020 è valso, ad avviso del Collegio, a garantire non soltanto la certezza della indicazione dell’indirizzo e del nominativo di destinazione, ma anche a confutare la rilevanza della omessa ‘ flaggatura ‘ della modalità ‘a. r.’ in seno alla distinta di spedizione.
Proprio su questa base il giudice di merito ha ritenuto corretta la procedura di notificazione della raccomandata a r. del 28/8/2020, e l’irrilevanza della as serita discordanza evidenziata dal Cocuzza dell’annotazione di mancata consegna contenuta nella distinta riepilogativa rispetto al processo di lavorazione della raccomandata in parola (All.9 al fascicolo I° grado RAP 2^ parte )il cui report riporta la dici tura ‘inesitata’ . La Corte, sempre con valutazione non implausibile e sottratta al sindacato di legittimità, ha osservato, infatti, che nella prassi postale tale dicitura è solita contrassegnare proprio il caso in cui, a causa dell’ assenza del destinatario , il postino è obbligato a lasciare nella cassetta delle lettere l’avviso relativo alla raccomandata.
12. 7. La Corte, quindi, in base ad un complessivo ed articolato accertamento in fatto, in assenza di qualsivoglia elemento di prova di segno contrario, ha concluso per la regolarità della prima notificazione della lettera di licenziamento con conseguente fondatezza dell’eccezione di decadenza dalla facoltà di impugnativa , ormai irrimediabilmente consumata con il compimento del sessantesimo giorno da quando la missiva ebbe a entrare nella sfera di conoscenza del destinatario (1/9/2020) e la conseguente decadenza del COGNOME dalla facoltà di impugnazione e riforma della sentenza emessa nella fase di opposizione.
Tali valutazioni, non implausibili, devono ritenersi sottratte al sindacato di legittimità.
12.8. Deve, quindi, concludersi che parte ricorrente, nel formulare le proprie censure mediante ricorso per cassazione, non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5 e, cioè, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l ‘ apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34476 del 2021).
12.9. L’undicesimo motivo di ricorso è infondato.
Con particolare riguardo, infatti, alla censura avanzata nell’undicesimo motivo, afferente l’aver ritenuto la Corte irrilevante, ai fini del decidere, l’accertamento, a mezzo di querela di falso – preannunciata nel verbale di udienza del 6 luglio 2023 – su ll’autenticità della nota riepilogativa -allegata alla PEC di Poste Italiane del 17 gennaio 2022 – va evidenziato, in primo luogo, come la Corte abbia fondato il proprio convincimento sulle fidefacenti risultanze della nota in questione – rispetto alla quale nessuna prospettazione di futura querela è stata effettuata.
Va, al riguardo, richiamata la giurisprudenza di legittimità (cfr., sul punto, Cass. n. 24029 del 2024), secondo cui in tema di disconoscimento di conformità della copia prodotta in giudizio, il “diniego di originale” non attiene alla contestazione del contenuto, ma dell’esistenza stessa del documento, con la finalità di espungerlo dall’ordinamento in quanto artificiosamente creato, e richiede la querela di falso, proponibile anche avverso la copia prodotta in giudizio, per rimuovere la sua efficacia probatoria di scrittura privata, mentre il
disconoscimento di conformità, che attiene al contenuto del documento prodotto in copia e non alla sua provenienza o paternità, presupponendo l’esistenza di un originale, consente l’utilizzazione della scrittura e, in particolare, l’accertamento della conformità all’originale della copia prodotta anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.
Deve, quindi, affermarsi che il disconoscimento della conformità all’originale, che deve avvenire in modo chiaro e circostanziato e non con mere clausole di stile, presupponendo l’esistenza di un documento originale ed attenendo al contenuto di quello prodotto in copia, consente di dimostrare la difformità anche mediante presunzioni e si differenzia dal cd. diniego di originale, con cui viene contestata la stessa esistenza dell’originale del documento e richiede la querela di falso, al fine di espungere dall’ordinamento la copia artificiosamente creata, privandola di efficacia probatoria (in questi termini, Cass. n. 134 del 2025).
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso, deve, quindi, essere respinto.
13.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del comma 1quater dell’art.13 d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5.500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Cosi deciso nell’Adunanza camerale del 6 maggio 2025
La Presidente
NOME COGNOME