Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3367 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3367 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24890-2023 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME NOME e domiciliato presso la Cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliati presso la Cancelleria della Corte di Cassazione
-controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1914/2023 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 22/09/2023;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato ai sensi dell’art. 140 c.p.c. COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Siena, chiedendo accertarsi l’inesistenza del diritto di passaggio esercitato dal convenuto a carico del fondo di parte attrice, la cessazione del suo esercizio e la condanna del COGNOME al risarcimento del danno.
Nella contumacia del convenuto, la domanda veniva accolta con sentenza n. 64/2019.
Interponeva appello avverso detta decisione il COGNOME, lamentando di non aver mai ricevuto la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di prime cure e contestando comunque l’accoglimento della pretesa della COGNOME. Nella resistenza di quest’ultima la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, n. 1914/2023, rigettava il gravame proposto dal COGNOME avverso la decisione di prime cure, confermandola, e condannava l’appellante alle spese del secondo grado.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, affidandosi a quattro motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME, medio tempore deceduta.
A seguito della proposta di definizione anticipata, formulata ai sensi di quanto previsto dall’art. 380 bis c.p.c., la parte ricorrente, con istanza in data 27.5.2024, corredata da nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte Corte n. 9611/2024 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 10/04/2024, Rv. 670667), non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 139, 140, 148 e 156 c.p.c., nonché di tutte le norme in tema di notificazione degli atti processuali, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe ritenuto valida la notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di prime cure, eseguita nelle forme previste dalla disposizione sopra richiamata, in assenza di produzione di avvenuta ricezione, da parte del destinatario della notificazione, della raccomandata informativa prevista dalla norma.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole invece dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare che la notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado sarebbe stata eseguita all’indirizzo di ‘Strada
RAGIONE_SOCIALE n. INDIRIZZO, Siena’ , oggettivamente diverso da quello di residenza del COGNOME, sito in ‘Siena, INDIRIZZO, int.2′ e che l’avviso di ricevimento della raccomandata informativa dell’avvenuta notificazione era completamente in bianco.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto poiché entrambe attinenti alla regolarità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, sono infondate.
La Corte di Appello ha dato atto che nella notificazione eseguita mediante il servizio postale l’attività delegata dall’ufficiale giudiziario all’agente postale gode della medesima fede privilegiata che assiste quella direttamente svolta dal primo, onde anche le attestazioni dell’agente postale fanno fede sino a querela di falso (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, richiamata anche dalla Corte distrettuale, secondo cui ‘Nella notificazione a mezzo del servizio postale, l’attività legittimamente delegata dall’ufficiale giudiziario all’agente postale in forza del disposto dell’art. 1 della legge n. 890 del 1982 gode della stessa fede privilegiata dell’attività direttamente svolta dall’ufficiale giudiziario stesso ed ha il medesimo contenuto, essendo egli, ai fini della validità della notifica, tenuto a controllare il rispetto delle prescrizioni del codice di rito sulle persone a cui l’atto può essere legittimamente notificato, e ad attestare la dichiarazione resa dalla persona che riceve l’atto, indicativa delle propria qualità. Ne consegue che, anche nel caso di notificazione eseguita dall’agente postale, la relata di notificazione fa fede fino a querela di falso per le attestazioni che riguardano l’attività svolta, ivi compresa l’attestazione dell’identità del destinatario che ha rifiutato di ricevere il piego, trattandosi di circostanza frutto della diretta percezione del pubblico ufficiale nella sua attività di identificazione del
soggetto cui è rivolta la notificazione dell’atto’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2421 del 04/02/2014, Rv. 630308; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11452 del 23/07/2003, Rv. 565368; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3065 del 01/03/2003, Rv. 560770).
La Corte distrettuale ha poi evidenziato che ‘Nel caso di specie, dalla descrizione delle operazioni di notifica compiute dall’agente postale si evince che questi, nonostante la mancata indicazione nell’atto di citazione del numero dell’interno in cui era posta l’abitazione del Maiolo, è riuscito lo stesso ad identificarla, tanto da procedere con le formalità di cui all’art. 140 c.p.c. (che presuppone, al contrario dell’art. 143 c.p.c., l’irreperibilità solo temporanea del destinatario) e, in particolare, con ‘l’affissione del prescritto avviso alla porta esterna dell’abitazione’, il che, evidentemente, postula la sua precisa individuazione’ (cfr . sempre pag. 5 della sentenza impugnata). Di conseguenza, la Corte distrettuale ha, in corretta applicazione dell’insegnamento di questa Corte, evidenziato che sarebbe stato onere del COGNOME proporre querela di falso per contestare quanto attestato dall’agente postale: il che, nella specie, non è avvenuto.
La Corte di Appello ha poi aggiunto che, in ogni caso, l’eventuale errore nell’indicazione dell’interno identificativo dell’abitazione del destinatario della notificazione non è rilevante, richiamando correttamente, anche su questo punto, il principio affermato da questa Corte, secondo cui ‘Ai fini della notificazione a mezzo del servizio postale è sufficiente individuare la residenza attraverso l’indicazione della via e del numero civico, con la conseguenza che l’eventuale indicazione erronea dell’interno o del piano è irrilevante, qualora, secondo la valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici, l’agente postale abbia tuttavia individuato nell’edificio l’esatto appartamento’ (Cass. Sez. 3,
Sentenza n. 2884 del 14/02/2005, Rv. 579846; conf. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 22983 del 17/08/2021, Rv. 662127).
Con il terzo motivo, il COGNOME denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente posto a suo carico le spese del secondo grado del giudizio di merito.
Con il quarto motivo, infine, viene contestata la violazione o falsa applicazione degli artt. 156, 159 e 336 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il giudice del gravame avrebbe omesso di rilevare la nullità della citazione introduttiva del giudizio di prime cure e di tutti gli atti conseguenti.
Le due censure sono assorbite dal rigetto dei primi due motivi.
Una volta confermata la regolarità della notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, la scelta processuale del convenuto, odierno ricorrente, di rimanere contumace in quel primo giudizio, è solo a lui imputabile. Di conseguenza, la Corte di Appello ha correttamente rigettato il gravame, ritenendo insussistente il vizio processuale denunziato dal COGNOME, ed ha regolato le spese del secondo grado di giudizio secondo la soccombenza.
Alla luce delle esposte considerazioni, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c.- il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in
dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda