Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6329 Anno 2024
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6329 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/03/2024
composta dai signori magistrati:
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Presidente
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere relatore
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 26179 del ruolo generale dell’anno 2022, proposto da
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) in proprio e nella qualità di uniche eredi di COGNOME NOME rappresentate e difese, giusta procura allegata al ricorso, dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-ricorrenti-
nei confronti di
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentati e difesi, giusta procura allegata al controricorso, dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) -controricorrenti- per la cassazione della sentenza del Tribunale di Messina n. 909/2022, pubblicata in data 20 maggio 2022; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del
28 febbraio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
NOME COGNOME, nonché NOME ed NOME COGNOME, hanno distintamente intimato a NOME e a NOME COGNOME precetto di pagamento dell’importo di € 5.822,18, in virtù di un titolo
Oggetto:
OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI (ART. 617 C.P.C.)
Ad. 28/02/2024 C.C.
R.G. n. 26179/2022
Rep.
esecutivo di formazione giudiziale. Entrambi gli intimati hanno proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., deducendo l’irregolarità dell’atto di precetto a ciascuno notificato, per l’omessa preventiva o contestuale notifica personale ad essi intimati del titolo esecutivo, ai sensi dell’art. 479 c.p.c..
Le opposizioni, riunite, sono state accolte dal Tribunale di Messina.
Ricorrono NOME ed NOME COGNOME, anche quali eredi di NOME COGNOME (frattanto deceduta), sulla base di due motivi.
Resistono con controricorso NOME e NOME COGNOME.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Le ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Si premette che le ricorrenti, NOME ed NOME COGNOME, si sono qualificate eredi dell ‘altra parte del giudizio di merito, NOME COGNOME (deceduta dopo la definizione del giudizio di secondo grado), ma non hanno adeguatamente documentato tale qualità.
Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, « in tema di legittimazione attiva, incombe alla parte che ricorre per cassazione, nella qualità di erede della persona che fece parte del giudizio di merito, l’onere di dimostrare, per mezzo delle produzioni documentali consentite dall’art. 372 c.p.c., il d e-cesso della parte originaria e la propria qualità di erede; in difetto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per mancanza di prova della legittimazione ad impugnare, nessun rilievo assumendo la mancata contestazione di tale legittimazione ad opera della controparte, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio »
(Cass., Sez. L, Sentenza n. 1943 del 27/01/2011, Rv. 616085 – 01; in senso conforme: Sez. 1, Sentenza n. 13685 del 13/06/2006, Rv. 589526 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 22244 del 17/10/2006, Rv. 592968 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 15352 del 25/06/2010, Rv. 613693 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 25344 del 15/12/2010, Rv. 615205 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 24050 del 26/09/2019, Rv. 655307 – 01).
Nella specie, non risultando adempiuto l’indicato onere da parte delle ricorrenti, il ricorso è inammissibile in relazione alla posizione di NOME COGNOME.
Lo stesso va esaminato nel merito esclusivamente con riguardo alla posizione di NOME ed NOME COGNOME, in proprio.
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « Nullità per mancata sottoscrizione della sentenza da parte del Giudice, in violazione degli art. 132 c.p.c. e 281 sexies c.p.c. in relazione all ‘ art. 360, n°4 c.p.c. ».
Il motivo è infondato.
Le ricorrenti deducono la nullità della sentenza del Tribunale di Messina, in quanto non regolarmente sottoscritta dal giudice e dal cancelliere e priva di numerazione.
Affermano, in particolare, che alla comunicazione della Cancelleria di avvenuto deposito della sentenza in questione, sarebbe stata allegata una copia di essa priva dell’attestazione dell’avvenuta sottoscrizione da parte del giudice e del Cancelliere e priva di numerazione. Hanno proAVV_NOTAIOo un duplicato informatico del provvedimento, che tali attestazioni effettivamente non riporta.
2.1 Va premesso che, a prendere in considerazione il duplicato informatico della sentenza impugnata proAVV_NOTAIOo dalle ricorrenti, dovrebbe dubitarsi della stessa procedibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., in quanto tale duplicato risulta del tutto privo dei dati autentici relativi alla stessa venuta ad esistenza del provvedimento sul piano giuridico (precisamente: numero
assegnato dal sistema, attestazione e data di pubblicazione da parte della Cancelleria).
Di conseguenza, dovrebbe altresì dubitarsi dell’effettivo e concreto interesse delle ricorrenti ad avanzare le censure formulate con il ricorso, con le quali esse sembrano, nella sostanza, denunziare non un mero difetto di sottoscrizione del provvedimento impugnato, ma, addirittura, che tale provvedimento non sarebbe mai neanche venuto ad esistenza sul piano giuridico, in quanto mai effettivamente pubblicato: secondo la consolidata giurisprudenza di questa stessa Corte, infatti, la pubblicazione delle sentenze redatte, come nella specie, in formato nativo digitale e depositate in modalità telematica si perfeziona solo « nel momento in cui il sistema informatico provvede, per il tramite del cancelliere, ad attribuire alla sentenza il numero identificativo e la data, poiché è da tale momento che il provvedimento diviene ostensibile agli interessati » (cfr. Cass., Sez. 6 – L, Ordinanza n. 2362 del 29/01/2019, Rv. 652618 -01; Sez. 2, Ordinanza n. 24891 del 09/10/2018, Rv. 650663 -01; Sez. 1, Ordinanza n. 21192 del 23/07/2021, non massimata).
Vi sarebbe, del resto, da dubitare della stessa applicabilità della disposizione di cui all’art. 161 c.p.c., con riguardo a una sentenza mai venuta a giuridica esistenza neanche sul piano amministrativo, cioè mai pubblicata, dal momento che tale disposizione pare in realtà dettata per la diversa ipotesi di una sentenza venuta a giuridica esistenza con la sua regolare pubblicazione (che ric hiede l’attribuzione della data e del numero identificativo da parte del sistema informatico, per il tramite del cancelliere), sebbene priva di sottoscrizione del giudice.
2.2 Tanto premesso, risulta in realtà assorbente, nel caso di specie, il rilievo che i controricorrenti hanno depositato la copia informatica della medesima sentenza (non, cioè, il mero duplicato informatico ), la quale reca sia il numero identificativo attribuito dal sistema, sia la data di pubblicazione da parte della
Cancelleria, sia l’attestazione di avvenuta sottoscrizione in modalità digitale da parte del giudice.
Ciò, se è sufficiente -in primo luogo -a superare i dubbi sulla procedibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., dimostra al tempo stesso, l’infondatezza del motivo in esame.
Con il secondo motivo si denunzia « mancata applicazione della sanatoria prevista dall’ art. 156 c.p.c., 3° comma con riferimento all’ art. 480 c.p.c., 4° comma , in relazione all’ art. 360 primo comma, n. 3 c.p.c. per violazione di norme di diritto ».
Secondo le ricorrent i, il tribunale, nell’affermare l’irregolarità dei precetti opposti perché non preceduti (o accompagnati) dalla notifica del titolo esecutivo effettuata alle parti personalmente, come prescritto dall’art. 479 c.p.c. (essendo pacifico che tale notifica sia stata effettuata esclusivamente al difensore costituito nel giudizio all’esito del quale il titolo stesso si era formato), non avrebbe tenuto conto dell’avvenuta sanatoria della suddetta notificazione, ai sensi dell’art. 156, comma 3, c.p.c., per raggiungimento del suo scopo.
La sanatoria in questione deriverebbe -sempre secondo l’assunto delle ricorrenti -dalla circostanza che il difensore destinatario della notificazione si è successivamente costituito per gli intimati nel presente giudizio di opposizione; inoltre, anche prima della notificazione degli atti di precetto, li avrebbe informati dell’avvenuta notificazione del titolo in questione, come sarebbe dimostrato dalla corrispondenza intercorsa tra i legali (avendo il difensore degli intimati comunicato a quello delle intimanti « di aver chiamato i clienti e fissato con loro un appuntamento e che sarebbe stata sua cura contattare lo scrivente al più presto »), senza peraltro che fosse stata fornita dagli opponenti la prova del pregiudizio derivante dall’omessa notificazione personale del titolo esecutivo.
Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità delle censure, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. .
3.1 Si premette che, in base alla attuale formulazione dell’art. 479 c.p.c. (introAVV_NOTAIOa con la legge 14 maggio 2005 n. 80), la notificazione del titolo esecutivo, ai fini della regolarità della successiva attività esecutiva, deve sempre essere effettuata personalmente alla parte debitrice: la legge, cioè, esclude espressamente e radicalmente l’idoneità, quale atto (pre)esecutivo, della notificazione del provvedimento giudiziario costituente titolo esecutivo effettuata al difensore del debitore costituito ne l giudizio di cognizione all’esito del quale il titolo stesso si è formato , ai sensi dell’art. 170 c.p.c. (come era invece anteriormente possibile, prima della modifica dell’art. 479 c.p.c., purché la notificazione fosse effettuata nell’anno dalla pubblicazione del provvedimento).
La notificazione della sentenza al difensore costituito non è una notificazione di per sé nulla, anzi, essa è perfettamente valida a far decorrere il cd. termine breve per l’impugnazione , come si desume dal combinato disposto degli artt. 325, 285 e 170 c.p.c..
Ai fini della regolarità del successivo esercizio dell’attività esecutiva, però, il legislatore ha stabilito che sia necessaria una forma legale di conoscenza del titolo esecutivo di maggiore garanzia per il debitore: è, quindi, imposto, in ogni caso, che detto titolo sia portato a conoscenza diretta della parte debitrice, senza l’intermediazione del difensore costituito nel giudizio all’esito del quale esso si è formato (difensore che, del resto, di regola esaurisce il suo incarico difensivo con la definizione di ciascun grado del giudizio di cognizione).
3.2 Tanto premesso, anche ad ammettere che sia possibile ipotizzare, sul piano tecnico, una sanatoria della ‘ nullità ‘ della notificazione del titolo esecutivo effettuata al difensore (di per sé valida), anziché alle parti personalmente, ai sensi dell’art. 156, comma 3, c.p.c., ai limitati fini della successiva attività esecutiva, le specifiche ragioni della pretesa sanatoria prospettate
dalle ricorrenti avrebbero, comunque, richiesto degli accertamenti di fatto da parte del giudice del merito.
Dovendo ritenersi, infatti, del tutto irrilevante, in proposito, la mera successiva costituzione del difensore nel giudizio di opposizione, in quanto fatto successivo alla notificazione del precetto opposto (mentre la notificazione del titolo esecutivo deve intervenire al più tardi contestualmente a quella del precetto), sarebbe stato quanto meno necessario accertare se effettivamente la notificazione del titolo esecutivo al difensore, benché di per sé e in astratto certamente non idonea ai fini della regolarità dell’attività (pre)esecutiva, ai sensi dell’art. 479 c.p.c., avesse comunque in concreto effettivamente raggiunto lo scopo di portare gli intimati a diretta conoscenza del suddetto titolo, come se fosse stato loro notificato personalmente, secondo quanto sostenuto dalle ricorrenti.
Tale questione di fatto non risulta affrontata nella sentenza im- pugnata e, nel ricorso, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., non è in alcun modo indicato in quali atti difensivi, in quale fase del giudizio ed in quali esatti termini essa era eventualmente stata già avanzata nel corso del giudizio di merito, con la specifica allegazione dei fatti sui quali si fonda la censura formulata nella presente sede, a sostegno dei relativi assunti.
È, del resto, appena il caso di osservare che non potrebbe ritenersi, a tal fine, sufficiente il richiamo del mero contenuto dei documenti dai quali, secondo le stesse ricorrenti, si dovrebbero trarre gli elementi di prova a sostegno dei loro assunti in fatto, in mancanza di una chiara indicazione dei tempi e dei modi della relativa attività assertiva, la quale deve sempre precedere quella asseverativa.
In definitiva, la censura relativa alla pretesa violazione dell’art. 156, comma 3, c.p.c., anche a prescindere da ogni altra considerazione, è in parte infondata in diritto (segnatamente, per quanto attiene al preteso rilievo di per sé sanante della
costituzione del difensore nel successivo giudizio di opposizione) e, per il resto, richiederebbe accertamenti in fatto non compatibili con la struttura del giudizio di legittimità, senza che sia sufficientemente precisato se ed in quali esatti termini la questione, per gli aspetti rilevanti in fatto, fosse stata specificamente già posta nel corso giudizio di merito.
Da ciò consegue inevitabilmente l’inammissibilità di detta censura nella presente sede.
3.3 Quanto sin qui esposto potrebbe essere sufficiente ai fini della reiezione del motivo di ricorso in esame, il quale, come indicato nella relativa rubrica, ha ad oggetto esclusivamente la deAVV_NOTAIOa violazione dell’art. 156, comma 3, c.p.c., cioè il mancato rilievo, da parte del giudice del merito, della pretesa sanatoria della nullità della notificazione del titolo esecutivo, che ha, a sua volta, determinato la nullità dell’atto di precetto.
Peraltro, le ricorrenti affermano altresì, nell’esporre le ragioni a sostegno dell’indicata censura, che gli opponenti non avrebbero provato il pregiudizio derivante dalla omessa notifica del titolo esecutivo in forma personale.
Non viene specificamente contestata la mancata allegazione, da parte degli opponenti, di un siffatto pregiudizio, ma si afferma esclusivamente che il pregiudizio stesso non sarebbe stato adeguatamente dimostrato.
D’altronde , se anche si volesse, solo per un momento, immaginare come proposta una censura riferita (anche) alla mancata allegazione, da parte degli opponenti, di un pregiudizio effettivo derivante dall’omessa notificazione del titolo in forma personale, prima ancora che alla prova di detto pregiudizio, si tratterebbe di una censura priva della necessaria specificità, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. e, come tale, essa sarebbe inammissibile, poiché nel ricorso manca un adeguato richiamo al contenuto degli atti difensivi degli opponenti,
necessario ai fini di verificare l’eventuale difetto assertivo in proposito.
Con riguardo alla questione della prova, poi, oltre al difetto di specificità della censura appena rilevato, è agevole altresì osservare che, stante la radicale inidoneità, per legge, della notificazione del titolo esecutivo effettuata presso il difensore, ai fini della regolarità degli atti (pre)esecutivi, secondo quanto più sopra esposto, sarebbe stato, in realtà, eventualmente onere di esse intimanti dimostrare che tale forma di notificazione aveva eventualmente raggiunto ugualmente lo scopo coerente con la previsione della notificazione in forma personale imposta dall’art. 479 c.p.c. e, cioè, che il titolo esecutivo fosse comunque, in virtù di detta notificazione, pervenuto nella sfera di conoscenza diretta dei debitori.
Anche sotto il profilo in esame, dunque, le censure di cui al motivo di ricorso in esame sono inammissibili, ancor prima che infondate.
Il ricorso, come proposto da NOME ed NOME COGNOME in proprio, è rigettato, mentre è dichiarato inammissibile nella parte in cui è proposto dalle medesime, nella dichiarata qualità di eredi di NOME COGNOME; in tal senso va intesa la sintetica od ellittica espressione di rigetto, impiegata in dispositivo.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo con distrazione in favore del difensore dei controricorrenti, AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO COGNOME, che ha reso la prescritta dichiarazione di anticipo, ai sensi dell’art. 93 c.p.c. .
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-condanna le ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole in complessivi € 2.500,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge, somme distratte in favore del difensore dei controricorrenti, AVV_NOTAIO, ai sensi dell’art. 93 c.p.c..
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-