Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14170 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 14170 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3928/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Ricorrente – contro
COGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Controricorrente –
E contro
NOMECOGNOME
Comunione
avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di Catanzaro n. 2170/2019 depositata il 14/11/2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella pubblica udienza del 23 gennaio 2025.
Udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha chiesto l’accoglimento del primo motivo, assorbito il secondo, e il rigetto dei restanti motivi.
Udito l’avvocato NOME COGNOME per parte ricorrente.
FATTI DI CAUSA
La sentenza d’appello evidenzia i seguenti fatti di causa, rilevanti ai fini del giudizio di cassazione:
(a) con citazione del 13/05/1997 la Curatela del Fallimento RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME convenne dinanzi al Tribunale di Cosenza NOME e NOME COGNOME e chiese la divisione dei beni in comproprietà tra le parti, acquisiti pro quota dal Fallimento.
Il Tribunale di Cosenza, con sentenza non definitiva n. 1034/2000, pronunciata nel contraddittorio dei convenuti, qualificata la causa come domanda di divisione ereditaria, determinò le quote spettanti ai coeredi. I difensori di NOME e NOME COGNOME formularono riserva d’appello .
Il processo proseguì con la partecipazione di NOME COGNOME successore mortis causa di NOME COGNOME e con l’intervento di NOME COGNOME acquirente della quota dei beni ereditari di NOME COGNOME la quale svolse domanda di rendiconto dell’amministrazione dei beni nei confronti di NOME e NOME COGNOME.
Con sentenza non definitiva n. 1157/2010, il giudice di prime cure, per quanto qui di rilievo, rigettò la domanda di rendiconto di COGNOME
Infine, con sentenza definitiva n. 841/2013, emessa il 10/05/2013, lo stesso Tribunale dispose la divisione dei beni in natura;
(b) con atto di citazione in data 24/09/2011 COGNOME propose appello contro la sentenza non definitiva n. 1157/2010 di rigetto della domanda di rendiconto.
Costituendosi, NOME COGNOME chiese che l’appello fosse dichiarato inammissibile o che venisse respinto nel merito.
Con successivo atto di appello, COGNOME ha impugnato sia la sentenza non definitiva n. 1034/2000, di determinazione delle quote dei condividenti, che la sentenza definitiva n. 841/2013, di divisione dei beni in natura.
Al giudizio hanno partecipato sia NOME COGNOME il quale ha eccepito l’inammissibilità dell’appello in quanto tardivo, sia NOME COGNOME che ha svolto difese analoghe;
(c) la C orte d’appello di Catanzaro, riuniti gli appelli proposti da COGNOME li ha dichiarati inammissibili per le seguenti ragioni:
(i) come eccepito da parte appellata, l’appello contro la sentenza definitiva n. 841/2013 è tardivo: trattandosi di cause inscindibili e in particolare di litisconsorzio necessario (giudizio di divisione), la notificazione della sentenza di primo grado, da parte di NOME COGNOME a Romanenko, presso il domicilio da questa eletto nello studio del difensore, avvenuta in data 18/10/2013, come attestato dalla relata di notificazione, ha dato inizio alla decorrenza del decorrenza del termine breve per l’impugnazione nei confronti di tutt i i litisconsorti, donde l’inammissibilità dell’appello, notificato il 19/06/2014, oltre il termine di cui all’art. 325 c.p.c.;
(ii) inammissibile è anche l’ appello di COGNOME avverso la sentenza non definitiva n. 1034/2000, per l’inosservanza, eccepita da parte appellata, della disposizione dell’art. 340 c.p.c. , in tema di impugnazione delle sentenze non definitive oggetto di riserva d’appello . Infatti, la parte che ha fatto riserva di appello ha l’onere di impugnare la sentenza stessa o con l’appello avverso la sentenza definitiva, o con l’ appello contro una successiva sentenza non definitiva. Adempimento, quest’ultimo, omesso dall’appellante : NOMECOGNOME beneficiaria della riserva d’appello fatta dalla sua dante causa NOME COGNOME ha impugnato la sentenza non definitiva n. 1157/2010 con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di appello, senza proporre contemporaneamente appello avverso la precedente sentenza non definitiva n. 1034/2000 e, comunque, senza dedurre, nell’atto di impugnazione, censure relative a questa stessa sentenza non definitiva, ed è quindi decaduta dalla riserva di appello;
(iii) infine, è inammissibile per difetto di interesse l’appello di COGNOME avverso la sentenza non definitiva n. 1157/2010, che ha respinto la sua domanda di rendiconto: è stato correttamente eccepito da NOME COGNOME che COGNOME non ha fatto riferimento alla domanda di rendiconto né in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, né in comparsa conclusionale, ragion per cui la relativa domanda deve intendersi abbandonata.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME sulla base di cinque motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
NOME COGNOME e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
In prossimità della pubblica udienza, il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte e ha chiesto che sia accolto il primo motivo, assorbito il secondo, rigettati o dichiarati inammissibili i restanti motivi; la ricorrente ha depositato una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia , ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., in relazione all’appello avverso la sentenza definitiva n. 841/2013, violazione e falsa applicazione degli artt. 325, 326, 327, 285 e 170 c.p.c.
È viziata la sentenza impugnata nella parte in cui dichiara inammissibile, perché tardivo, l’appello di COGNOME contro la sentenza definitiva n. 841/2013, depositata il 10/05/2013, per essere stato notificato il 19/06/2014, oltre la scadenza del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., termine decorrente dal 18/10/2013, giorno in cui la sentenza di primo grado sarebbe stata notificata da NOME COGNOME presso il domicilio eletto da COGNOME nello studio del difensore.
Ad avviso della ricorrente, invece, era tempestiva la notifica dell’appello nel termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. , nel versione anteriore alla legge n. 69 del 2009, e calcolata la durata della sospensione feriale dei termini prima della riduzione disposta dall’ art. 16 comma 1 del d.l. n. 132 del 2014, conv., con modif., dalla legge n. 162 del 2014.
E questo perché la notificazione della sentenza n. 841/2013 a Romanenko presso lo studio del domiciliatario (avv. NOME COGNOME e non presso lo studio del procuratore costituito (avv. NOME COGNOME, non ha dato inizio alla decorrenza del termine breve ex art. 325 c.p.c.
Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’ art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c. e della legge n. 890 del 1982: la predetta notificazione della sentenza di primo grado sarebbe nulla perché, come risulta dall’avviso di ricevimento, il notificatore postale avrebbe attestato di avere consegnato l’atto a un ‘curatore fallimentare’ non meglio
generalizzato, dato che a lato della relativa casella ha scritto ‘madre’ , senza altro aggiungere.
Il terzo motivo denuncia , ai sensi dell’ art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., in relazione all’appello avverso la sentenza non definitiva n. 1034/2000, violazione e falsa applicazione dell’art. 340 c.p.c.
È viziata la sentenza che ha ritenuto tardivo l’appello , da parte di COGNOME, della sentenza non definitiva n. 1034/2000 perché, fatta la riserva in relazione ad essa, l’appello doveva essere proposto unitamente a quello contro la sentenza non definitiva n. 1157/2010 e non, com’è avvenuto, unitamente a quello contro la sentenza definitiva n. 841/2013.
La ricorrente evidenzia che la disposizione del l’art. 340 comma 2 c.p.c. non sarebbe operante nel caso di specie in cui, dopo la sentenza n. 1034/2000, sentenza non definitiva parziale sulla domanda di divisione dei beni in comunione, è stata emessa la sentenza n. 1157/2010, che è sentenza parziale, ma definitiva, relativa a domanda, quella di rendiconto, autonoma rispetto alla restante controversia.
Il quarto e il quinto motivo denunciano, ai sensi de ll’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c., in relazione alla sentenza n. 1157/2010, violazione e falsa applicazione dell’art. 189 c.p.c. e dei principi del giusto processo (quarto motivo), e violazione dei principi del giusto processo e degli artt. 112 e 343 c.p.c. (quinto motivo).
Per un verso (quarto motivo), è viziata la sentenza nella parte in cui dichiara inammissibile l’appello contro la sentenza non definitiva n. 1157/2010 -che respingeva la domanda di rendiconto di Romanenko -per carenza di interesse ad impugnare per avere parte attrice abbandonato la domanda non avendo fatto riferimento alla richiesta di rendiconto al termine del giudizio di primo grado, ossia in sede di precisazione delle conclusioni e nella comparsa conclusionale.
Per altro verso (quinto motivo), la medesima statuizione non è corretta perché, in sostanza, ha riformato la sentenza del Tribunale di Cosenza sulla base di una questione (la rinuncia o meno della domanda di rendiconto dell’attrice) che doveva ritenersi passata in giudicato dato che nessuna delle parti aveva proposto appello sul punto.
Il primo motivo è fondato e ciò comporta l’assorbimento del secondo motivo.
Affermano le Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U., n. 20866/2020) che, a garanzia del diritto di difesa della parte destinataria della notifica in ragione della competenza tecnica del destinatario nella valutazione dell ‘ opportunità della condotta processuale più conveniente da porre in essere ed in relazione agli effetti decadenziali derivanti dall ‘ inosservanza del termine breve di impugnazione, la notifica della sentenza finalizzata alla decorrenza di quest ‘ ultimo deve essere in modo univoco rivolta a tale fine acceleratorio e percepibile come tale dal destinatario, sicché essa va eseguita nei confronti del procuratore della parte o della parte presso il suo procuratore, nel domicilio eletto o nella residenza dichiarata. Di conseguenza, per quanto qui rileva, è inidonea all’attivazione del termine breve la notifica del provvedimento impugnabile che avvenga nei confronti (vedi punto 20 della sentenza delle Sezioni unite): « della parte presso il domicilio eletto da questa e non dal suo difensore (in modo evidente, se diverso; egualmente, ove continui a mancare ogni riferimento a quest ‘ ultimo), in quanto la sola identità di domiciliazione non assicura che la sentenza giunga a conoscenza della parte tramite il suo rappresentante processuale, professionalmente qualificato a vagliare l ‘ opportunità dell ‘ impugnazione (Cass. 27/10/2016, nn. 21734 e 21746; Cass. ord. 05/07/2017, n. 16590; Cass. ord. 13/06/2018, n. 15422) ».
È stato altresì specificato da una pronuncia della sezione tributaria di questa Corte (sent. n. 19876/2016) che, in tema di impugnazioni, la notifica della sentenza effettuata alla parte personalmente presso il domicilio eletto in studio legale diverso da quello del suo procuratore, non costituisce notifica ex art. 170 c.p.c. al procuratore costituito e, quindi, non è idonea, ai sensi dell ‘ art. 282 c.p.c., a far decorrere il termine breve per impugnare. E questo perché, più in generale, come sottolinea Cass. n. 455/2022, la notificazione della sentenza eseguita alla controparte (che sia costituita in giudizio) personalmente anziché al procuratore costituito giusta gli artt. 170 comma 1, e 285 c.p.c., è inidonea a far decorrere il termine breve d ‘ impugnazione sia nei confronti del notificante che del destinatario.
Venendo al motivo di ricorso, la conseguenza giuridica degli enunciati principi è che la pronuncia è viziata là dove (a pag. 7) stabilisce che la notificazione della sentenza n. 841/2013 al domicilio eletto ‘nello studio del difensore’ è idonea a fare decorrere il termine breve per impugnare, senza considerare che (come evidenzia l’autosufficiente motivo d’impugnazione , nel quale sono riprodotti la relata di notificazione e l’avviso di ricevimento dell’atto spedito con raccomandata) la notifica era stata fatta alla parte personalmente, presso il domiciliatario (avv. NOME COGNOME), in INDIRIZZO a Castrolibero, e non presso il procuratore della parte costituito in primo grado (avv. NOME COGNOME del foro di Paola), e che, quindi, in forza delle precedenti considerazioni, essa non era idonea all’attivazione del termine breve per impugnare.
Ne discende che spettava al giudice d’appello valutare la tempestività o meno dell’impugnazione non già in relazione al termine breve, ma in relazione al termine lungo fissato d all’art. 327 c.p.c., attività, questa, che è ora demandata al giudice di rinvio.
6. Il terzo motivo è infondato.
L’art. 340 comma 2 c.p.c. prevede che ‘uando sia stata fatta la riserva l’appello deve essere proposto unitamente a quello contro la sentenza che definisce il giudizio o con quello che venga proposto, dalla stessa o da altra parte, contro altra sentenza successiva che non definisce il giudizio ‘.
La corretta esegesi della disposizione, a giudizio del Collegio, è nel senso che la riserva di impugnazione differita deve essere sciolta allorché, nel medesimo processo, venga impugnata una sentenza successiva, sia essa (come di solito accade) la sentenza definitiva, sia essa (come meno spesso accade) un’altra sentenza non definitiva.
In altri termini, con la prima sentenza che viene impugnata definitiva o non definitiva; dalla stessa o da altra parte – deve esserlo anche la precedente sentenza non definitiva, per la quale era stata fatta riserva di impugnazione differita.
Nella fattispecie concreta in esame, vi è una sequenza di tre pronunce: la sentenza non definitiva n. 1034/2000 (che qualifica la causa come domanda di divisione di comunione ereditaria e forma le quote astratte); la sentenza non definitiva n. 1157/2010 (che respinge la domanda di rendiconto del l’interveniente COGNOME); la sentenza definitiva n. 841/2013 (che divide in natura i beni della comunione).
In base alla corretta accezione del secondo comma dell’articolo 340, COGNOME (la quale fruiva della riserva di appello della propria dante causa contro la sentenza non definitiva n. 1034/2000), doveva sciogliere la riserva e, quindi, doveva impugnare la prima sentenza unitamente all’appello immediato che ha proposto contro la sentenza non definitiva n. 1157/2010.
La mancata impugnazione della prima sentenza non definitiva insieme alla seconda sentenza non definitiva ha comportato il venire meno, per la parte interessata, della possibilità di impugnazione
differita della prima delle due sentenze non definitive (quella con n. 1034/2000), oggetto di riserva, unitamente alla sentenza definitiva n. 841/2013.
7. Il quarto motivo è fondato e il quinto motivo è assorbito.
La sentenza -nel capo che dichiara abbandonata la domanda di rendiconto perché l’interveniente COGNOME, che l’aveva proposta, non aveva fatto riferimento alla richiesta di rendimento del conto in sede di precisazione delle conclusioni -è viziata perché si discosta dal principio di diritto, al quale dovrà attenersi il giudice di rinvio, enunciato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide e che intende ribadire, per il quale: «a mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda in precedenza formulata non autorizza alcuna presunzione di rinuncia in capo a colui che ebbe originariamente a presentarla, essendo necessario, a tale fine, che, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, possa desumersi inequivocabilmente il venire meno del suo interesse a coltivare siffatta domanda » (tra le altre, Cass. n. 12756/2024, in connessione con Cass. n. 723/2021).
8. In definitiva, accolti il primo e il quarto motivo, assorbiti il secondo motivo e il quinto motivo, rigettato il terzo motivo, la sentenza è cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio al giudice a quo affinché riesamini la controversia facendo applicazione dei principi di diritto sopra enunciati, e anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il quarto motivo, assorbiti il secondo e il quinto motivo, rigetta il terzo motivo, cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d ‘appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione