Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4585 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4585 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/02/2025
ORDINANZA
nel ricorso R.G. n. 28361/2020
promosso da
NOME COGNOME e NOME COGNOME , rappresentate e difese dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL, elettivamente domiciliate presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO in virtù di procura speciale in atti;
ricorrenti
contro
Roma Capitale , in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAILcomuneEMAILromaEMAIL), elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo negli uffici dell’ Avvocatura Capitolina, in Roma, INDIRIZZO in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
nonché contro
Agenzia del Demanio , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’ Avvocatura Generale dello Stato
(PEC: EMAIL, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
contro
ricorrente
e
Regione Lazio , in persona del Presidente pro tempore ;
intimata
avverso la sentenza n. 762/2020 della Corte di appello di Roma, pubblicata il 03/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Cons. NOME COGNOME letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con determinazione dirigenziale prot. n. 12335 in data 21 febbraio 2008, il Comune di Roma -Dipartimento IX – Demanio Marittimo, nel fare riferimento alla ritenuta esistenza di abusi edilizi sull ‘ area demaniale su cui le ricorrenti avevano una cottage ad uso residenza estiva, intimava alle ricorrenti il pagamento della somma complessiva di € 21.473,12, di cui € 19.781,58 a titolo di indennizzo, calcolato in base a quanto disposto dall’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007), per gli anni 20022007, nonch é € 1.691,54 per interessi di mora maturati nel periodo intercorrente dal 1° gennaio 2002 al 31 dicembre 2007.
Con successiva nota prot. n. 64522 del 2 ottobre 2008, il Comune sollecitava il pagamento degli importi.
A fronte di tali richieste, NOME COGNOME e NOME COGNOME introducevano un primo giudizio davanti al Tribunale di Roma, iscritto al n. 77954/2008 R.G.A.C., con atto di citazione in riassunzione, a seguito di declaratoria di inammissibilità del ricorso presentato davanti al TAR Lazio per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, formulando le seguenti conclusioni:
« Piaccia all’Ecc.mo Tribunale Civile di Roma adito, contrariis reiectis ,
In via preliminare dichiarare che, ai sensi e per gli effetti del l’a rt. 1, comma 2, del Decreto Legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni dalla Legge 4 dicembre 1993, n. 494, come sostituito prima dall’art. 10 della Legge 16 marzo 2001, n. 88 e successivamente dal l’ art. 13 della Legge 8 luglio 2003 n. 172, si è automaticamente rinnovata, per la durata di anni sei dal 1° gennaio 2002 al 31 dicembre 2007, la concessione demaniale marittima n. 67 del 21 gennaio 1999, scaduta il 31 dicembre 2001 e relativa al mantenimento di un cottage ad uso residenza estiva sul l’ area demaniale marittima, sita in Roma-Ostia Lido, INDIRIZZO e, per l’effetto, ordinare al Comune di Roma, Dipartimento IX – Politiche di Attuazione degli Strumenti Urbanistici pro, l’immediato rilascio alle signore NOME COGNOME e NOME COGNOME del provvedimento di rinnovo della suddetta
Demanio Marittimo, in persona del legale rappresentante tempore concessione demaniale marittima n. 67 del 21 gennaio 1999;
In via principale dichiarare che non è dovuto dalle signore NOME COGNOME e NOME COGNOME l’indennizzo in relazione agli anni dal 2002 al 2007 per il mantenimento di opere edilizie relative ad un “cottage” ad uso residenza estiva sull’area demaniale marittima sita in Roma – Ostia Lido, INDIRIZZO in quanto sanate a seguito del rilascio della concessione in sanatorio edilizia n. 33764 del 29 febbraio 2004, quale calcolato secondo i valori di mercato in base a quanto disposto dall’art. 1, comma 257 – seconda parte, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007);
e, per l’effetto, dichiarare che le signore NOME COGNOME
e NOME COGNOME non sono tenute a corrispondere l’importo di Euro
21.841,64, di cui Euro 19.781,58 richiesto loro dal Comune di Roma
Dipartimento IX – Politiche di Attuazione degli Strumenti Urbanistici
Demanio Marittimo a titolo di indennizzo, calcolato in base all ‘ art. 1, comma 257 – seconda parte, della Legge 27 dicembre 2006, n.
296, in relazione agli anni 2002 – 2007 per le opere edilizie relative al mantenimento di un “cottage” ad uso residenza estiva sul l’ area demaniale marittima, sita in Roma -Ostia LidoINDIRIZZO INDIRIZZO ed Euro 2.060,06 a titolo di interessi di mora nel frattempo maturati, in quanto illegittimamente richiesti con determinazione dirigenziale prot. n. 12335 in data 21 febbraio 2008 e successivo primo atto di sollecito prot. n. 64522 del 2 ottobre 2008 e comunque in quanto prescritti ai sensi dell’art. 2948 c.c.»
In pendenza di detto giudizio, con determinazione dirigenziale prot. n. 5385 del 28 gennaio 2009, il Dipartimento IX- Demanio Marittimo del Comune di Roma disponeva l ‘annullamento in autotutela della determinazione dirigenziale prot. n. 12335 del 21 febbraio 2008, nonché della successiva nota prot. n. 64522 del 2 ottobre 2008, comunicando che avrebbe proceduto al ricalcolo dell ‘ indennizzo in questione per gli anni 2002-2007.
Successivamente, con determinazioni dirigenziali prot. n. 60403 e prot. n. 60404, entrambe in data 21 settembre 2009, il Comune richiedeva alle attuali ricorrenti il pagamento delle somme rispettivamente di € 332,68 e di € 348,04 non più a titolo di indennizzo bensì a titolo di canone concessorio, oltre interessi maturati rispettivamente per gli anni 2008 e 2009 in relazione alla concessione demaniale n. 67 del 21 febbraio 1999 di cui erano titolari. Tali somme venivano pagate.
Con ulteriore determinazione dirigenziale prot. n. 7684 del 5 febbraio 2009, comunicata in data 5 ottobre 2009, lo stesso Comune, facendo riferimento alla persistenza di opere edilizie abusive sull’area demaniale in oggetto, intimava alle signore COGNOME e COGNOME il pagamento della somma di € 6.409,04, di cui € 5.936,67 a titolo di indennizzo per gli anni 2002-2007, della somma di € 1.331.13, di cui € 1.273,34 a titolo di indennizzo per l’anno 2008, nonché delle somme rispettivamente di € 2.963,33, di cui € 2.772,33 per le annualità 2002-2007 e € 191.00 per l’anno 2008, a
titolo di imposta regionale sulle concessioni demaniali marittime, calcolata, ai sensi dell’art. 14 della Legge Regionale 12 gennaio 2001, n. 2, nella misura del 15% dell’indennizzo dovuto per il periodo 2002-2007 e per l’anno 2008.
Ritenendo illegittima anche detta richiesta di pagamento, le attuali ricorrenti introducevano un secondo giudizio davanti al Tribunale di Roma, che veniva iscritto al n. 7011/2009 R.G.A.C., formulando le seguenti conclusioni:
«Piaccia all’Ecc.mo Tribunale Civile di Roma adito, contrariis reiectis , -dichiarare che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 2, del Decreto Legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni dalla Legge 4 dicembre 1993, n. 494, come sostituito prima dall’art. 10 della Legge 16 marzo 2001, n. 88 e successiva mente dall’art. 13 della Legge 8 luglio 2003 n. 172, si è automaticamente rinnovata, per la durata di anni sei dal 1° gennaio 2002 al 31 dicembre 2007, la concessione demaniale marittima n. 67 del 21 gennaio 1999, scaduta il 31 dicembre 2001 e relativa al mantenimento di un cottage ad uso residenza estiva sull’area demaniale marittima, sita in Roma -Ostia Lido, INDIRIZZO e, per l’effetto, ordinare al Comune di Roma – Dipartimento IX- Politiche di Attuazione degli Strumenti Urbanistici – Demanio Marittimo, in persona del legale rappresentante pro-tempore , l’immediato rilascio alle signore NOME COGNOME e NOME COGNOME del provvedimento di rinnovo della suddetta concessione demaniale marittima n. 67 del 21 gennaio 1999;
dichiarare che non è dovuto dalle signore NOME COGNOME e NOME COGNOME l’indennizzo in relazione agli anni dal 2002 al 2007 per il mantenimento di opere edilizie relative ad un “cottage” ad uso residenza estiva sull’area demaniale marittima sita in Roma – Ostia Lido, INDIRIZZO in quanto .fanale a seguito del rilascio della concessione in sanatorio edilizia n. 33764 del 29 febbraio 2004, quale calcolato secondo i valori di mercato in
base a quanto disposto dall’art. 1, comma 257 – seconda parte, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007);
e, per l’effetto, dichiarare che le signore NOME COGNOME e NOME COGNOME non sono tenute a corrispondere l’importo di Euro 7.731,17, comprensivo di interessi maturati, di cui Euro 5.936,67 ed Euro 1,273,34 a titolo di indennizzo, calcolato in base all’art. 1, comma 257 – seconda parte, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296, in relazione rispettivamente agli anni 2002 – 2007 ed all’anno 2008 per le opere edilizie relative al mantenimento di un “cottage” ad uso residenza estiva sull’area demania le marittima, sita in Roma -Ostia Lido, INDIRIZZO, di cui rispettivamente Euro 472,39 ed Euro 38,20 a titolo di interessi di mora nel frattempo maturati, nonché l’importo di Euro 2.963.33, di cui Euro 2. 772,33 per le annualità 2002-2007 ed Euro 191,00 per l’anno 2008, a titolo di imposta regionale sulle concessioni demaniali marittime, quale calcolata, ai sensi dell’art. 14 della Legge Regionale 12 gennaio 2001, n. 2, nella misura del 15% dell’indennizzo dovuto per il periodo 2002-2007 e per l’anno 2008, in quanto illegittimamente richiesti loro con determinazione dirigenziale prot. n. 7684 in data 5 febbraio 2009 del Comune di Roma -Dipartimento IX – Politiche di Attuazione degli strumenti Urbanistici -V U.O. -Attuazione Adempimenti connessi alla sub delega Regionale in materia di Demanio Marittimo, di cui si chiede, pertanto, il relativo annullamento, e comunque in quanto prescritti ai sensi dell ‘ art. 2948 c.c.»
I due giudizi venivano riuniti, ai sensi degli artt. 40 e 274 c.p.c., e, disposta CTU, il Tribunale, con sentenza n. 19726/2013, statuiva come segue:
«dichiara, ai sensi e per gli effetti dell ‘ art. 1, comma 2, del D.L. n. 400/1993, convertito, con modificazioni dalla L. n. 494/1993, come sostituito dall’art. 10 della L. n. 88/2001 e successivamente dall’art. 13 della L. n. 172/2003, la rinnovazione automatica per la durata di anni sei, della concessione demaniale marittima n. 67/2001, scaduta
il 31/12/2001 e avente ad oggetto il mantenimento di un villino ad uso residenziale e non, insistente sul l’ area demaniale marittima, sita in Roma- Ostia Lido, INDIRIZZO intestata alle concessionarie sig.re COGNOME NOME e COGNOME NOME; determina il complessivo ammontare dei canoni maturati nel periodo di rinnovazione della anzidetta concessione, decorrente dal 01/01/2002 e terminante al 31/12/2007, nella misura monetaria stabilita dal c.t.u. geom. V. COGNOME di euro=2.517,06=, e accerta il parziale pagamento ad iniziativa delle concessionarie per tale titolo della complessiva somma di euro=1.446,95=, con un credito pecuniario residuo a favore dell’ente concedente Roma Capitale, già Comune di Roma, di Euro=1071,01=, disponendo, ai sensi della L. n. 2248/1865 Allegato E, la disapplicazione degli atti e dei provvedimenti amministrativi di cui alle Determinazioni Dirigenziali impugnate in contrasto con le presenti statuizioni;
condanna il convenuto Comune di Roma al pagamento delle spese di lite …»
Con atto di citazione in appello, Roma Capitale (già Comune di Roma) impugnava la sentenza, deducendo , tra l’altro, in via preliminare l’irr egolare costituzione del contraddittorio nel giudizio di primo grado.
L’appellante deduceva in particolare che, dopo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso al TAR per difetto di giurisdizione, in data 7 novembre 2008, le appellate avevano notificato presso la V U.O. del Dipartimento IX, in INDIRIZZO un atto di citazione in riassunzione, cui poi era seguita, in data 4 novembre 2013, la notifica, presso la sede legale del Comune, in INDIRIZZO, della sentenza n. 19726/13 del Tribunale, ma l’atto di citazione era stato invalidamente notificato, poiché il Sindaco nel giudizio inizialmente instaurato dinanzi al TAR aveva espressamente eletto domicilio presso l ‘Avvocatura Comunale, in Roma, INDIRIZZO
tempio di Giove 21, sicché l’ atto di citazione in riassunzione doveva essere notificato in tale luogo.
La stessa parte aggiungeva che, nel caso di specie, le appellate non avevano notificato l ‘ atto di citazione in riassunzione neppure al Sindaco, presso la sede comunale, perché la notifica era stata eseguita in INDIRIZZO presso la V U.O. del Dipartimento IX – Politiche di Attuazione degli Strumenti Urbanistici – ossia presso uno dei tanti uffici in cui si articola il complesso “apparato” del Comune di Roma (ora Roma Capitale), non potendo ipotizzarsi alcuna sanatoria per raggiungimento dello scopo.
Conseguentemente non avendo il giudice di primo grado rilevato tale vizio e ordinato, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., la rinnovazione della notifica, l’appellante, che in primo grado non si era costituita in giudizio, deduceva la nulli tà dell’intero processo e della sentenza che lo aveva definito.
Roma Capitale censurava, inoltre, la decisione di primo grado per non avere rilevato il proprio difetto di legittimazione passiva e, comunque, chiedeva la riforma della sentenza di primo grado per infondatezza delle domande avversarie.
L ‘ appellante formulava, quindi, le seguenti conclusioni:
«Piaccia all’Ecc.ma Corte d’Appello adita, in accoglimento del presente appello, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, previa sospensione della sua efficacia esecutiva ex art 283 c.p.c.:
-dichiarare la nullità dell’impugnata sentenza n. 19726/2013 emessa dal Tribunale Civile di Roma – Sezione II (G.I. COGNOME), depositata in cancelleria il 04/ 10/2013 e notificata il 4 novembre 2013, nella parte in cui non ha rilevato il difetto di una corretta instaurazione del contradditorio, nonostante la nullità della notifica dell’atto di citazione in riassunzione a Roma Capitale, e per l’effetto ritenere e dichiarare le Sig.re NOME COGNOME e NOME COGNOME decadute dal termine concesso dalla legge per la riassunzione
della causa dinanzi al Tribunale Civile di Roma a seguito della declaratoria di difetto di giurisdizione pronunciata dal TAR del Lazio con la sentenza n. 6219/08, in esito alla camera di consiglio del 4 giugno 2008;
– dichiarare la carenza di legittimazione passiva di Roma Capitale (già Comune di Roma) nel presente giudizio, stante la sua assoluta estraneità rispetto ai fatti in questa sede contestati ed alle pretese azionate dalle controparti, posto che la medesima ha proceduto alla riscossione dell’indennità nei precisi termini dettagliatamente indicati dal legislatore, in esecuzione delle direttive dall’Agenzia del Demanio, ponendo in essere un’attività di tipo vincolato, senza esercitare alcuna discrezionalità sull’an e sul quantum.
respingere in ogni caso nel merito le domande proposte dalle Sig.re NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti di Roma Capitale perché assolutamente infondate in fatto e in diritto, accertando e dichiarando, a tale proposito, il mancato rinnovo in via automatica della concessione demaniale marittima n. 67 del 21 gennaio 1999, scaduta il 31 dicembre 2001 , e dovuto all’Erario Pubblico l’importo di Euro 21.841,64, di cui Euro 19.781,58 richiesto loro dal Comune di Roma – Dipartimento IX- Politiche di Attuazione degli Strumenti Urbanistici – Demanio Marittimo – a titolo di indennizzo, per le opere edilizie relative al mantenimento di un “cottage” ad uso residenza estiva sull’area demaniale marittima, sita in Roma – Ostia Lido, INDIRIZZO ed Euro 2.060,06 a titolo di interessi di mora nel frattempo maturati, in base a quanto previsto da ll’ art. 1, comma 257 – seconda parte, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296, in relazione agli anni 2002-2007 … ».
Le appellate NOME COGNOME e NOME COGNOME si costituivano in giudizio, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità e comunque il rigetto dell’impugnazione , proponendo appello incidentale condizionato al mancato accoglimento dell’eccezione
pregiudiziale, mentre l’Agenzia del Demanio , nel costituirsi, chiedeva l’accoglimento dell’appello principale.
La Regione Lazio restava contumace.
C on la sentenza in questa sede impugnata, la Corte d’appello accoglieva l’impugnazione principale, dichiarando la nullità della sentenza del Tribunale, rimettendo le parti al primo giudice.
Interpretando l’atto di appello, a seguito delle sollecitazioni delle appellate – secondo cui Roma Capitale si sarebbe, in realtà, lamentata della sola illegittimità della notifica relativa al primo giudizio , non anche dell’illegittimità della notifica relativa al secondo giudizio, poi riunito al primo -la Corte rilevava che, in taluni luoghi dell ‘ atto di impugnazione , l’appellante sembrava fare espresso riferimento alla sola notifica introduttiva del primo giudizio (in particolare laddove indicava la data della notifica, ovvero laddove chiedeva dichiararsi le attrici decadute dalla facoltà di riassumere il giudizio dinanzi al Tribunale a seguito della declinatoria di giurisdizione da parte del TAR), ma il fatto che avesse manifestato la volontà di voler conseguire la nullità della sentenza di primo grado e dell’intero giudizio, consentiva di ritenere in via interpretativa che le doglianze dell’appellante, al di là dei riportati l formali riferimenti alla prima notifica fossero logicamente dirette anche contro la notifica della citazione introduttiva del secondo giudizio e ciò conformemente alla richiesta di nullità dell’intero giudizio.
Sulla scorta di tale affermazione, la Corte riscontrava che le notifiche di entrambi gli atti introduttivi erano state effettuate al Dipartimento IX , in INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante, e non già presso la sede dell’ente in persona del Sindaco, dovendo pertanto ritenersi nulle.
Avverso tale decisione NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi di impugnazione.
Si sono difesi con controricorso Roma Capitale e l’Agenzia del Demanio, mentre la Regione Lazio è rimasta intimata.
Le ricorrenti hanno depositato memoria difensiva ex art. 380 bis .1 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedott o l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 329 c.p.c.
Sotto il primo profilo, le ricorrenti hanno preliminarmente affermato che la Corte di appello , nell’interpretare l’atto di impugnazione di Roma Capitale, aveva omesso di considerare che la sentenza impugnata aveva riguardato due giudizi che, se pur riuniti, mantenevano la loro autonomia, precisando che nel primo giudizio, quello instaurato con l’atto di citazione in riassunzione ( n. 77954/2008 R.G.A.C.), doveva ritenersi cessata la materia del contendere, perché era intervenuta la determinazione dirigenziale prot. n. 5385 del 28 gennaio 2009, che aveva disposto l ‘annullamento in autotutela della determinazione dirigenziale prot. n. 12335 del 21 febbraio 2008, nonché della successiva nota prot. n. 64522 del 2 ottobre 2008.
Effettuato tale rilievo, le ricorrenti hanno, poi, dedotto che contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d ‘appello – la volontà di Roma Capitale di conseguire, con il primo motivo di appello, la nullità del giudizio e della sentenza di primo grado per l’invalidità della notifica dell’atto introduttivo doveva ritenersi riferita esclusivamente al primo procedimento (n. 77594/2008 R.G.A.C.), introdotto con l’atto di citazione (in riassunzione) notificato in data 7 novembre 2008 , tenuto conto che l’appellante, nel rappresentare la vicenda contenuta nell ‘ atto di appello, ribadita in comparsa conclusionale, non aveva fatto alcun accenno, neppure implicito, al giudizio promosso successivamente (n. 76011/2009 R.G.A.C.), e poi
riunito al primo, di cui non vi era alcun riferimento neppure nelle conclusioni rassegnate in appello e poi in sede di precisazione della conclusioni definitive.
Sotto il secondo profilo, secondo le ricorrenti, l’impugnata sentenza della Corte di Appello di Roma era viziata per violazione e falsa applicazione degli artt. degli artt. 324 e 329 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., poiché il motivo di gravame aveva riguardato solo l’atto di citazione in riassunzione, sicché la costituzione in appello senza la formulazione di alcun rilievo sulla validità della notificazione del secondo atto di citazione comportava acquiescenza della parte sul punto e precludeva ogni esame da parte del giudice dell’appello .
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la contraddittorietà, illogicità manifesta e carenza della motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ed anche la non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
Sotto il primo profilo, le ricorrenti hanno affermato che la motivazione, su cui la Corte di merito ha fondato l’interpretazione dell’atto di appello principale, era contradittoria ed anche totalmente illogica e insufficiente, poiché non ha tenuto conto dell ‘ effettivo oggetto della censura operata da Roma Capitale, che non aveva fatto alcun riferimento al secondo giudizio instaurato, limitandosi a rappresentare l’invalidità della notificazione dell’atto di riassunzione inficiante il primo giudizio introdotto davanti al Tribunale.
Sotto il secondo profilo, le ricorrenti hanno dedotto che la Corte d’appello ha esteso la dichiarazione di nullità al secondo giudizio instaurato, in assenza della corrispondente domanda di Roma Capitale, che aveva sempre incentrato le critiche alla notificazione dell’atto introduttivo del primo giudizio, senza mai menzionare il secondo.
È infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse ad impugnare, sollevata dall’Agenzia del Demanio.
2.1. Com’è noto, i l principio contenuto nell’art. 100 c.p.c., secondo il quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, in cui l’interesse ad impugnare una sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone (tra le tante, v. da ultimo Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 19327 del 15/07/2024).
2.2. Nella specie, è sufficiente evidenziare che le ricorrenti sono risultate soccombenti nel giudizio di gravame, instaurato davanti alla Cort e d’appello, e che la decisione impugnata, in questa sede censurata, ha comportato la caducazione (con rinvio al primo giudice) della sentenza del Tribunale, che aveva in gran parte accolto le domande di merito formulate dalle attuali ricorrenti, le quali nel proporre ricorso per cassazione hanno prospettato, invece, l ‘intervenuta formazione del giudicato sostanziale in ordine alle domande da loro formulate (ed accolte) nel giudizio di merito promosso per secondo davanti al Tribunale (n. 76011/2009 R.G.A.C.).
L’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata da Roma Capitale, in ragione della ritenuta insindacabilità dell’interpretazione della domanda, quale valutazione in fatto del giudice di merito, va esaminata unitamente alle censure introdotte con il ricorso per cassazione.
Il primo e il secondo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente, tenuto conto della stretta connessione esistente, e si rivelano in parte inammissibili e in parte infondati.
4.1. Questa Corte ha precisato che la rilevazione e l’ interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al
giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti in cui:
l’errore ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.;
l’errore si traduca in un vizio del ragionamento logico decisorio, ma anche in tal caso, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del petitum , può aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, deducibile come nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.;
c) ove, poi, l’ errore coinvolga la ‘ qualificazione giuridica ‘ dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero l ” omessa rilevazione ‘ di un fatto allegato, e non contestato, da ritenersi decisivo, allora la censura deve essere proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in iudicando , in base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di error facti , nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 11103 del 10/06/2020; v. anche Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 30770 del 06/11/2023).
Ovviamente, nel caso in cui venga dedotto il vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., e cioè del principio di corrispondenza tra chiesto e il pronunciato, la Corte di cassazione, essendo prospettato un error in procedendo , ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari pregressi, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta (Cass., Sez. L, Sentenza n. 2148 del 05/02/2004).
4.2. Nel caso di specie, le ricorrenti, nel primo e nel secondo motivo di ricorso, hanno dedotto, sotto diversi profili, la violazione dell’art. 3 60, comma 1, n. 5, c.p.c., con censure tutte inammissibili.
4.2.1. Com’è noto, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. consente l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
«per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
La norma si riferisce al mancato esame di un fatto decisivo, che è stato offerto al contraddittorio delle parti, da intendersi come un vero e proprio fatto storico, come un accadimento naturalistico.
Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una questione o un punto controverso, ma un vero e proprio evento, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 61, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018; v. anche Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 13024 del 26/04/2022).
Può trattarsi di un fatto principale ex art. 2697 c.c. (un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche di un fatto secondario (un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché sia controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016), nel senso che il mancato esame, evincibile dal tenore della motivazione, vizia la decisione perché influenza l’esito del giudizio.
Non integrano, dunque, fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. le mere argomentazioni o le deduzioni difensive (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017), né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, o le mere ipotesi alternative, e neppure le singole risultanze istruttorie, qualora il fatto storico rilevante sia, comunque, stato preso in considerazione (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).
Ai fini dell’ammissibilità della censura, in sintesi, deve essere dedotto l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali,
che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
In particolare, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato” testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
4.2.2. Nel caso di specie, le ricorrenti, nel primo motivo di ricorso, hanno dedotto che il giudice di appello non ha tenuto conto che , per effetto dell’avvenuto annullamento in sede di autotutela della determinazione della determinazione dirigenziale prot. n. 12335 del 21 febbraio 2008, nonché della successiva nota prot. n. 64522 del 2 ottobre 2008, era venuta a cessare la materia del contendere oggetto dele primo giudizio, introdotto davanti al Tribunale con l’atto di riassunzione invalidamente notificato.
Tuttavia, le ricorrenti non hanno illustrato di avere dedotto tali circostanze nel corso del giudizio di merito, quali ragioni della sopravveduta perdita di interesse alla statuizione adottata, né le ragioni della decisività di tale circostanza, tenuto conto che la materia del contendere non attiene al primo procedimento instaurato davanti al Tribunale con la notifica (viziata) dell’atto di citazione in riassunzione, ma al secondo procedimento successivamente proposto sempre davanti al Tribunale di Roma e, poi, riunito al primo.
4.2.3. Sempre nel primo motivo di ricorso, le ricorrenti hanno dedotto l’omesso esame da parte del Giudice di appello di allegazioni di Roma Capitale, contenute nell’atto di appello, che, se considerate, avrebbero portato la Corte di appello a decidere diversamente, in particolare, escludendo che l’eccezione di nullità del procedimento e della sentenza , fatte valere con l’impugnazione, riguardassero entrambi i procedimenti riuniti.
Deve tuttavia rilevarsi che la C orte d’appello ha così statuito: «Occorre verificare se ricorrano i vizi della notificazione, di cui si duole Roma Capitale , che avrebbero impedito la legale conoscenza della lite e quindi la costituzione in giudizio. Tuttavia prima di procedere a siffatta verifica si pone un problema di interpretazione della domanda, sollecitato dalle deduzioni difensive svolte dalle appellate, secondo cui Roma Capitale si sarebbe, in realtà, lamentata della sola illegittimità della notifica relativa al primo giudizio, non anche dell’illegittimità della notifica relativa al secondo giudizio , poi riunito al primo. Ora, è bensì vero che l’appellante, in taluni luoghi dell’atto di impugnazione sembra fare espresso riferimento alla sola prima notifica: in particolare laddove indica la data della notifica nel giorno 29.4.08 (riferibile appunto alla prima notifica ) ovvero laddove chiede dichiararsi le attrici decadute dalla facoltà di riassumere il giudizio dinanzi il Tribunale, a seguito della declinatoria di giurisdizione da parte del TAR (solo la prima citazione si poneva in stretta consecuzione rispetto al giudizio dinanzi il TAR); tuttavia il fatto che l’appellante manifesti la volontà di voler conseguire ·a nullità della sentenza di primo grado e dell’intero giudizio (pag. 10), consente di ritenere in via interpretativa che le doglianze dell’appellante, al di là dei riportati, formali riferimenti alla prima notifica siano logicamente dirette anche contro la notifica della citazione introduttiva del secondo giudizio, e ciò conformemente alla richiesta di nullità dell’intero giudizio.»
È, dunque, evidente che le critiche, operate con il motivo di ricorso non attengono alla mancata considerazione di circostanze fattuali, che sono state oggetto di discussione, e che avrebbero portato ad una diversa conclusione, se considerate, risolvendosi, piuttosto, in una non condivisione del l’interpretazione dell’atto di appello, come operata dal Giudice del gravame, che ha dato rilievo ad alcuni aspetti piuttosto che ad altri, con una valutazione riservata al merito non sindacabile in sede di legittimità.
4.2.4. È, inoltre, inammissibile il secondo motivo di ricorso, laddove è dedotta la contraddittorietà e la totale illogicità e incompletezza della motivazione con cui è giustificata l’interpretazione operata dalla Corte d’appello, tenuto conto che, come sopra evidenziato, la modifica dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., operata nel 2012, consente ora di sindacare la totale assenza di motivazione della decisione, cui è assimilata l ‘apparenza e l’assoluta incomprensibilità della stessa, senza dubbio non ravvisabili nel caso di specie, tenuto conto che, come si evince dalla motivazione sopra riportata, essa è esistente e chiara nella esplicitazione delle ragioni fondanti, anche se, semplicemente, non condivise dalle ricorrenti.
4.3. Con il primo motivo di ricorso, sotto un secondo profilo, le ricorrenti hanno anche dedotto che la mancata formulazione, da parte di Roma Capitale, di censure riguardanti la notificazione dell’atto introduttivo del secondo giudizio promosso davanti al Tribunale (per essere il motivo di gravame incentrato solo sulla invalidità della notificazione del primo atto di citazione) aveva comportato acquiescenza della parte sul punto, con conseguente formazione del giudicato, che impediva al Giudice dell ‘appello di mettere in discussione, come invece aveva fatto, la validità della notifica del secondo atto di citazione.
Anche in questo caso, tuttavia, le ricorrenti hanno criticato l’interpretazione operata dalla Corte di merito, semplicemente contrapponendo ad essa la loro interpretazione dell’atto di appello , così promuovendo un rinnovato giudizio di fatto inammissibile in sede di legittimità.
4.4. Deve inoltre, ritenersi infondata la censura nella parte in cui è dedotto che la Corte di appello sia incorsa nella violazione dell’art. 112 c.p.c., poiché, in base alla interpretazione operata dalla Corte territoriale, non validamente censurata dalle ricorrenti, l’appello ha riguardato proprio la dedotta invalidità della sentenza di primo grado
per vizi inficianti la notifica dell’atto introduttivo di entrambi i procedimenti riuniti, in relazione alla quale la Corte d’appello ha statuito nella piena corrispondenza tra il chiesto (come interpretato) e il pronunciato.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso;
condanna le ricorrenti a rimborsare a Roma Capitale le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 4.000.00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge ed accessori di legge;
condanna le ricorrenti a rimborsare a ll’Agenzia del Demanio le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 4.000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito;
dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione