Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7886 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7886 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8676/2022 R.G. proposto da
:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dal l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
contro
DB RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
nonché contro
VERROCCHI NOME
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di L ‘ AQUILA n. 1467/2021 depositata il 1° ottobre 2021.
R.G. 8676/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 10/2/2025
C.C. 14/4/2022
RISARCIMENTO DANNI. NOTIFICA ALL’ESTERO.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Sulmona, NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE chiedendo che fossero condannati in solido al risarcimento dei danni da lui patiti a causa della non corretta esecuzione di alcuni lavori nell’unità immobiliare limitrofa alla propria.
Si costituì in giudizio la sola società RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale rigettò la domanda in base al decisivo rilievo per cui, essendo il titolo di legittimazione in capo all’attore costituito da un atto di donazione del bene immobile asseritamente danneggiato, poiché esso era stato risolto, con retrocessione del bene al donante, l’attore non aveva titolo per chiedere il risarcimento dei danni.
La sentenza è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 1° ottobre 2021, ha dichiarato l’estinzione del processo, rimanendo le spese a carico delle parti che le avevano anticipate.
Ha osservato la Corte territoriale che nei confronti dell’appellato COGNOME per il quale era stato già disposto il rinnovo della notifica ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ., il contraddittorio non era stato validamente instaurato nel termine perentorio stabilito dal giudice.
L’atto di appello, infatti, era stato notificato e indirizzato al COGNOME nella sua residenza in Australia, ma non conteneva «alcun riferimento a soggetti titolari di poteri di rappresentanza in Italia del medesimo convenuto». Ne consegue che la rinnovazione della notifica dell’atto di citazione avrebbe dovuto essere compiuta, per essere considerata valida, allo stesso COGNOME nell’indirizzo australiano, anche perché in quell’atto non era contenuta alcuna
indicazione né dell’esistenza di un procuratore generale in Italia né del suo nome né degli estremi dell’atto di conferimento della procura. Il riferimento, contenuto nel verbale, alla rinnovazione della notifica «anche ad un presunto procuratore generale» non poteva in alcun modo cambiare i termini del problema, perché la citazione era sempre indirizzata al COGNOME e la notifica era stata compiuta ad una persona diversa, senza alcuna indicazione dei poteri rappresentativi di quest’ultima.
La Corte d’appello ha infine osservato che non poteva «essere disposta la regolarizzazione degli atti con riferimento all’esistenza dei poteri rappresentativi», perché simili incombenze, da espletare ai sensi dell’art. 182 cod. proc. civ., «sono consentite e doverose in tutti quei casi nei quali non si sia già avverata la causa di estinzione», come avvenuto invece nel caso specifico. Sicché la notifica perfezionata a tale NOME COGNOME non poteva essere considerata valida.
Contro la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila propone ricorso NOME COGNOME con atto affidato a sei motivi.
Resiste la DB RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
NOME COGNOME è rimasto intimato.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 142, 156, 164, secondo comma, e 291 cod. proc. civ., degli artt. 3 e 4 della legge 31 marzo 1932, n. 373 e dell’art. 10 della Convenzione dell’Aja del 15 novembre 1965, per avere ritenuto non correttamente instaurato il contraddittorio nei confronti del COGNOME.
Il ricorrente sostiene di aver compiuto, nei confronti di NOME COGNOME, quattro tentativi di notifica e di essere venuto a conoscenza, tramite l’Ufficiale giudiziario, della circostanza per cui
lo stesso aveva nominato un proprio procuratore generale in Italia. La prima notifica, in data 26 luglio 2017, aveva avuto luogo tramite l’Ufficio UNEP di L’Aquila, direttamente presso il luogo di residenza del destinatario, in Australia; la seconda, in data 3 luglio 2018, non eseguita, perché il COGNOME risultava trasferito in Australia; la terza, in data 19 luglio 2018, perfezionatasi a mano del procuratore generale NOME COGNOME, in Sulmona; la quarta, in data 23 ottobre 2018, a seguito del provvedimento adottato dalla Corte d’appello all’udienza del 26 settembre 2018, mediante consegna, sempre al procuratore generale suindicato, di un ‘atto di citazione in appello in sanatoria’, ricevuta e firmata, in Sulmona, in data 23 ottobre 2018.
Dall’esame di queste notifiche, trascritte nel ricorso, emergerebbe che, semmai, la terza notifica era ancora indirizzata al solo COGNOME; ma la quarta, definita appunto ‘in sanatoria’, era diretta al procuratore generale COGNOME ed era stata da lui regolarmente ricevuta. Il ricorrente rileva, poi, che sarebbe regolare già la prima notifica, eseguita tramite spedizione al Consolato generale d’Italia a Melbourne, e che sarebbe certamente idonea la quarta, diretta al procuratore generale.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., violazione degli artt. 77, 81, 100, 101, 142 e 291 cod. proc. civ., oltre a nullità della sentenza, sul rilievo che l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui il contraddittorio non sarebbe stato ritualmente costituito nei confronti del COGNOME, non terrebbe conto dell’originaria notifica eseguita in Australia e di quella eseguita, in sanatoria, al procuratore generale COGNOME.
Il motivo è sostanzialmente ripetitivo del precedente.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 77, 81, 100 e 101 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello
affermato che il contraddittorio non era stato ritualmente costituto nei confronti del COGNOME.
Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello non avrebbe neppure dovuto disporre il rinnovo della notifica, perché doveva considerarsi perfezionata quella compiuta in Australia tramite il Consolato generale d’Italia a Melbourne. Si ribadisce, poi, che la circostanza per la quale il COGNOME aveva nominato un proprio procuratore generale in Italia divenne nota al ricorrente solo dopo la proposizione dell’appello, grazie alle informazioni ricevute dall’Ufficiale giudiziario addetto all’UNEP di Sulmona. Il motivo ribadisce la piena validità della notifica avvenuta a mani del procuratore generale in data 23 ottobre 2018, alla luce dell’esistenza della procura generale a mezzo del notaio COGNOME conferita in data 13 marzo 2018 e riportata nel ricorso. Le argomentazioni della sentenza impugnata, quindi, non sarebbero condivisibili perché il ricorrente sostiene di essere venuto a conoscenza dell’esistenza della procura generale solo quando il rapporto processuale in grado di appello era stato già instaurato.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., nullità della sentenza per difetto di motivazione ovvero per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Il motivo risulta ripetitivo dei precedenti.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 153, 310 e 331 cod. proc. civ., oltre a nullità della sentenza per difetto di motivazione.
La censura rileva che l’improrogabilità dei termini perentori stabilita dalla legge «non esclude, nel caso di incompleta notificazione dell’atto integrativo del contraddittorio», che si dovrebbe comunque dare rilievo alle situazioni obiettive che hanno impedito alla parte di osservare quei termini.
La giurisprudenza sull’art. 153 cit. dovrebbe trovare applicazione nel caso in esame, nel quale il COGNOME avrebbe «in ogni modo cercato di sottrarsi al giudizio».
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 291, 310, 331 e 332 cod. proc. civ., oltre a nullità della sentenza per difetto di motivazione.
Il ricorrente sostiene che la Corte di merito, una volta dichiarata l’irregolare costituzione del contraddittorio nei confronti del COGNOME, avrebbe dovuto comunque disporre la prosecuzione del giudizio nei confronti dell’altra convenuta, cioè la società RAGIONE_SOCIALE Trattandosi, infatti, di obbligazione solidale, non sussisterebbe il litisconsorzio necessario, tanto più in considerazione della diversità dei titoli in base ai quali i convenuti sono stati chiamati in giudizio. Il COGNOME, infatti, risponderebbe a titolo di obbligo di custodia, mentre la società in base alla regola generale dell’art. 2043 cod. civ., e ciò significa che la regola di cui all’art. 331 cod. proc. civ. non sarebbe comunque applicabile nella fattispecie.
Il Collegio osserva che prima di procedere all’esame dei motivi di ricorso è necessario occuparsi della preliminare eccezione avanzata nel controricorso secondo cui, essendo stato il ricorso per cassazione notificato al procuratore generale NOME COGNOME in mancanza di prova dell’esistenza di tale procura il ricorso dovrebbe essere ritenuto inammissibile per nullità della notifica.
Tale eccezione è priva di fondamento, perché l’odierno ricorrente ha riportato, a sostegno del ricorso, gli estremi della procura generale suindicata, per cui l’esistenza della stessa toglie ogni dubbio circa la validità della notifica dell’odierno ricorso, impregiudicato restando quello che si dirà a proposito di tale procura in relazione al giudizio di appello.
Ciò premesso, la Corte rileva che i primi cinque motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, in considerazione dell’unicità della questione in essi posta e della sostanziale ripetitività delle relative argomentazioni.
8.1. Un primo rilievo che si impone è costituito dalla circostanza che il quinto motivo si presenta in palese contraddizione con i primi quattro, dal momento che il richiamo all’art. 153 cod. proc. civ. e al regime di improrogabilità dei termini perentori appare finalizzato a dimostrare che l’odierno ricorrente avrebbe avuto diritto alla rimessione in termini per il perfezionamento della notifica; il che, però, prova (indirettamente) che le notifiche realmente avvenute in corso di causa non sarebbero idonee alla regolare instaurazione del contraddittorio, che è l’opposto di quanto il ricorrente invece sostiene nei primi quattro motivi.
8.2. Comunque sia e anche lasciando da parte la contraddizione di cui si è detto, la Corte ritiene che i primi cinque motivi di ricorso siano privi di fondamento.
Il ricorrente ha supportato la propria tesi osservando di aver eseguito quattro notifiche: la prima presso l’indirizzo del COGNOME in Australia; la seconda, certamente non andata a buon fine, perché il destinatario risultava trasferito; la terza e la quarta indirizzate al procuratore speciale NOME COGNOME, in Sulmona (la quarta costituita dalla notifica di un atto di citazione in sanatoria ). Ne consegue che, pacifica essendo l’irrilevanza della seconda notifica, l’attenzione della Corte deve concentrarsi su due problemi: 1) se sia valida la prima notifica, cioè quella asseritamente avvenuta in Australia e 2) se siano valide la terza e la quarta notifica, cioè quelle avvenute nelle mani del procuratore generale COGNOME
8.3. In relazione al primo problema, si deve rilevare che l’Australia, come risulta dall’apposita guida alle notifiche all’estero
proveniente dal Ministero degli esteri (Edizione del 2021), non ha aderito alla Convenzione dell’Aja del 15 novembre 1965 sulla notifica all’estero di atti giudiziari ed extragiudiziari (recepita in Italia dalla legge 6 febbraio 1981, n. 42). I rapporti tra Italia e Australia in tale materia sono pertanto ancora oggi regolati dalla legge 31 marzo 1932, n. 373, recante approvazione della Convenzione bilaterale italobritannica per l’assistenza giudiziaria in materia civile e commerciale.
Dalle disposizioni di detta legge risulta che la notifica può avvenire nei confronti del destinatario «in uno qualunque dei modi previsti dagli articoli 3 e 4» (art. 2). Gli artt. 3 e 4 cit. regolano due diverse modalità di notifica, entrambe riconosciute. La prima ha luogo attraverso un agente consolare italiano alla competente autorità australiana (tale dovendosi intendere l’espressone Senior master of the Supreme Court of Judicature in Inghilterra), con obbligo di invio all’agente consolare, da parte di quest’ultima, dei documenti comprovanti l’avvenuta notifica o indicante i motivi per i quali la notifica non si sia potuta eseguire (art. 3 l. cit.). La seconda possibilità, regolata dal successivo art. 4, prevede che la notifica abbia luogo senza intervento dell’Autorità del Paese di destinazione, con la consegna diretta al destinatario, qualunque sia la sua nazionalità, da parte di un agente diplomatico o consolare dal cui territorio l’atto proviene o da una persona incaricata di ciò dall’Autorità giudiziaria del Paese dal quale l’atto proviene. Il successivo art. 5, infine, fa salva la possibilità per gli interessati di «provvedere alla notifica direttamente per mezzo dei competenti funzionari o ufficiai del Paese nel quale l’atto si deve notificare» (cioè, nella specie, l’Australia).
Si deve ricordare, in argomento, che questa Corte ha già affermato, con un principio al quale si deve dare in sede odierna continuità, che è valida la notificazione eseguita con le modalità stabilite dai commi primo e secondo dell’art. 142 cod. proc. civ. a
cittadino italiano residente in Australia, perché le modalità predette -e in particolare quella, scaturente dall’applicazione del comma secondo dell’art. 142 cit., della consegna al destinatario tramite il servizio consolare (a seguito della consegna dell’atto al PM e del conseguente inoltro, da parte sua, al Ministero degli affari esteri per l’ulteriore corso) -corrispondono, sostanzialmente, alle modalità consentite dall’art. 4 della Convenzione italo -britannica per l’assistenza giudiziaria in materia civile e commerciale firmata a Londra il 17 dicembre 1930 e ratificata con legge 31 marzo 1932, n. 373 (sentenza 29 ottobre 2004, n. 21018).
Da quanto il ricorrente ha documentato nel ricorso, però, emerge che la notifica fu indirizzata al COGNOME in data 26 luglio 2017 tramite il Consolato generale d’Italia a Melbourne, presso l’indirizzo di INDIRIZZO Preston, Melbourne (Victoria). Nulla si sa, però, o almeno nulla risulta dal ricorso, circa l’esito di detta spedizione tramite raccomandata. In altri termini, nessun elemento obiettivo consente di affermare che la notifica in Australia, quale che sia stato lo strumento prescelto, sia andata a buon fine. Ne consegue che del tutto correttamente la Corte aquilana ha ritenuto quella notifica non valida ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio.
8.4. Occorre esaminare, a questo punto, la validità delle due notifiche compiute al procuratore generale NOME COGNOME precisando fin da subito che esse non si differenziano in modo decisivo, perché non ha importanza che l’atto di citazione in appello sia stato notificato con l’indicazione in sanatoria ; ciò che conta, infatti, è che il potere di rappresentanza sussistesse e che di tanto si sia data prova alla Corte d’appello. Entrambe le notifiche, avvenute il 17 luglio e il 23 ottobre 2018, si perfezionarono tramite consegna, l’una al COGNOME in persona e l’altra a sua moglie (NOME COGNOME), in Sulmona.
Osserva questa Corte, però -e questo è il punto decisivo della questione -che il ricorrente non ha in alcun modo dimostrato, nel giudizio odierno, di aver tempestivamente fornito alla Corte d’appello l’unica prova che sarebbe stata decisiva, consistente nella produzione della procura generale in favore del COGNOME, allegata solo al ricorso odierno. Nel ricorso incidentalmente si osserva (v. p. 32) che la procura del 13 marzo 2018 resa con atto del notaio COGNOME fu depositata nel fascicolo telematico del giudizio di appello in data 24 aprile 2020. La sentenza impugnata, però, ha correttamente osservato che nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di appello non vi era alcuna menzione dell’esistenza di un procuratore speciale e che dell’esistenza e dei poteri di quest’ultimo nulla era stato indicato e dimostrato. Il che viene a significare che, pur riconoscendo l’esistenza della procura generale sottoscritta in data antecedente rispetto all’udienza nella quale fu chiesto il termine per il rinnovo della notifica (26 settembre 2018), nulla consente di affermare che quella procura sia stata messa a disposizione della Corte d’appello.
Rileva la Corte, infine, che, ove la Corte d’appello fosse realmente incorsa in errore, non avvedendosi dell’esistenza della suindicata procura generale, si tratterebbe all’evidenza di un vizio da far valere col rimedio della revocazione davanti alla stessa Corte di merito, e non certo con il presente ricorso per cassazione.
Deriva dal complesso di tali argomenti che i primi cinque motivi di ricorso devono essere rigettati.
Rimane da esaminare il sesto motivo.
La Corte ritiene che anch’esso sia infondato.
Trova applicazione nel caso di specie, infatti, la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, quando sia proposta una domanda alternativa contro due diversi convenuti, invocante la responsabilità dell’uno o dell’altro per uno stesso fatto dannoso, il litisconsorzio unitario (o necessario processuale) determinato dalla domanda
dell’attore, in presenza di sentenza di rigetto della domanda nei confronti di entrambi i convenuti, può essere sciolto dall’attore, se egli impugna soltanto nei confronti di uno e, dunque, abbandoni la prospettazione della responsabilità alternativa, con conseguente applicabilità dell’ art. 332 cod. proc. civ. (salvo il caso che il responsabile destinatario dell’impugnazione avesse svolto domanda nei confronti dell’altro, ipotesi nella quale si applica l’ art. 331 cod. proc. civ.). Viceversa, ove l’attore impugni contro entrambi mantenendo l’invocazione della responsabilità alternativa, il litisconsorzio rimane unitario (o necessario processuale) e si applica l’ art. 331 cit.; per cui, se l’impugnazione non risulti notificata ad uno dei responsabili o lo sia in modo nullo si deve ordinare l’integrazione e la rinnovazione nei suoi confronti (così l’ordinanza interlocutoria 12 maggio 2014, n. 10243; v. in argomento anche l’ordinanza 28 novembre 2022, n. 34899, e la sentenza 13 febbraio 2023, n. 4303).
Nel caso specifico, la domanda risarcitoria fu proposta dal COGNOME, in primo grado, contro entrambi i convenuti e la situazione non è mutata con l’atto di appello, nel senso che il litisconsorzio processuale non è stato sciolto in sede di impugnazione, essendo stata la domanda ribadita nei confronti di entrambi i presunti responsabili; per cui trova applicazione l’art. 331 cod. proc. civ., con conseguente impossibilità di prosecuzione del giudizio nei confronti dell’unica parte regolarmente costituita (la società RAGIONE_SOCIALE).
10. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 13 agosto 2022, n. 147, sopravvenuto a regolare i compensi processuali.
Sussistono inoltre i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 2.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza