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Normativa antiriciclaggio: licenziamento legittimo

Un operatore di sportello bancario è stato licenziato per aver violato la normativa antiriciclaggio, aprendo rapporti per clienti mai incontrati di persona. I tribunali di merito avevano ritenuto il licenziamento sproporzionato. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, stabilendo che la violazione di un obbligo così specifico, vigente all’epoca dei fatti, lede irrimediabilmente la fiducia e giustifica il licenziamento per giusta causa, indipendentemente dal dolo specifico o dal danno effettivo.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Bancario, Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Normativa Antiriciclaggio e Licenziamento: La Cassazione Fa Chiarezza

Il rispetto della normativa antiriciclaggio è una colonna portante del settore bancario, un ambito in cui la diligenza e la fiducia sono valori non negoziabili. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, chiarendo le conseguenze per un dipendente che viola tali regole, anche in assenza di un danno economico diretto per l’istituto di credito. Il caso esaminato riguarda il licenziamento per giusta causa di un operatore di sportello che aveva attivato prodotti bancari senza aver mai incontrato fisicamente i clienti, su richiesta di un familiare.

I Fatti del Caso: Un Favore Familiare Costato Caro

Un dipendente di un noto istituto di credito, con mansioni di operatore di sportello commerciale, veniva licenziato per motivi disciplinari. L’addebito era grave: tra dicembre 2016 e gennaio 2017, su richiesta del proprio suocero, aveva aperto rapporti relativi a carte prepagate e servizi multicanalità a favore di soggetti che non aveva mai incontrato, violando le procedure interne e, soprattutto, la normativa antiriciclaggio che impone l’identificazione del cliente.

Le Decisioni dei Giudici di Merito: Un’Infrazione Senza Gravità?

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione al lavoratore, ritenendo il licenziamento una sanzione sproporzionata. Secondo i giudici di merito, la normativa all’epoca consentiva una certa flessibilità nell’identificazione del cliente, commisurata al livello di rischio. Poiché le carte prepagate erano state emesse “a saldo zero” e non vi era prova di un dolo specifico del dipendente finalizzato a favorire operazioni truffaldine, la sua condotta, pur irregolare, non era stata considerata talmente grave da ledere irrimediabilmente il rapporto di fiducia.

La Violazione della Normativa Antiriciclaggio secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la prospettiva, accogliendo il ricorso della banca e cassando la sentenza d’appello. Il punto cruciale del ragionamento dei giudici supremi risiede nell’interpretazione della legge applicabile al momento dei fatti.

L’Importanza della Legge Vigente “Ratione Temporis”

La Corte ha sottolineato che i giudici di merito hanno commesso un errore fondamentale: hanno applicato un’interpretazione della normativa antiriciclaggio (in particolare l’art. 20 del D.Lgs. 231/2007 sull’approccio basato sul rischio) che non era corretta per il periodo in cui si sono svolti i fatti. La versione dell’art. 19 della stessa legge, vigente ratione temporis (cioè tra il 2016 e il 2017), non prevedeva alcuna eccezione all’obbligo di identificare il cliente in sua presenza fisica. Le modifiche legislative che hanno introdotto maggiore flessibilità sono intervenute solo successivamente (con il D.Lgs. 90/2017) e non potevano essere applicate retroattivamente.

Irrilevanza del “Rischio Assente” e del Dolo Specifico

Secondo la Cassazione, il comportamento del dipendente è stato volontario e quindi doloso nell’accezione civilistica, in quanto ha consapevolmente violato una precisa disposizione di legge e procedura interna. È irrilevante la mancanza di un “dolo specifico”, cioè l’intenzione di partecipare a successive operazioni di riciclaggio. Allo stesso modo, è stato ritenuto ininfluente il fatto che le carte fossero a “saldo zero” e quindi a “rischio assente”. La potenziale utilizzabilità di tali strumenti per fini illeciti è di per sé sufficiente a qualificare la gravità della condotta, che ha minato alla base gli obblighi di protezione e diligenza.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio cardine: nel settore bancario, il rispetto formale e sostanziale delle procedure, specialmente quelle imposte da una normativa antiriciclaggio a tutela di interessi pubblici, è un elemento essenziale del rapporto di lavoro. La condotta del dipendente ha costituito un inadempimento degli obblighi di diligenza e fedeltà (artt. 2104 e 2105 c.c.) di gravità tale da compromettere in modo definitivo la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre in chi opera in un settore così delicato. L’errata applicazione della legge da parte dei giudici di merito ha portato a una sottovalutazione della gravità del comportamento, giustificando la cassazione della sentenza.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma con forza che la violazione delle procedure antiriciclaggio non è una mera irregolarità formale, ma un inadempimento grave che può legittimare il licenziamento per giusta causa. Per i datori di lavoro del settore creditizio, la sentenza conferma la legittimità di una politica di tolleranza zero verso tali comportamenti. Per i lavoratori, essa serve da monito sull’importanza di aderire scrupolosamente alle normative, la cui violazione può avere conseguenze risolutive sul rapporto di lavoro, anche quando compiuta senza un’intenzione fraudolenta e senza causare un danno economico immediato.

La violazione della normativa antiriciclaggio da parte di un dipendente bancario costituisce sempre giusta causa di licenziamento?
Secondo la Cassazione, la violazione di un obbligo specifico imposto dalla normativa antiriciclaggio, come l’identificazione fisica del cliente (se richiesta dalla legge vigente al momento dei fatti), è un inadempimento grave che lede il rapporto di fiducia e può giustificare il licenziamento per giusta causa, a prescindere dall’assenza di un danno economico per la banca o di un dolo specifico del dipendente.

È possibile identificare un cliente bancario senza la sua presenza fisica?
La sentenza chiarisce che la possibilità di identificare un cliente a distanza dipende dalla versione della legge in vigore al momento dell’operazione. Nel periodo in questione (2016-2017), la normativa non prevedeva eccezioni all’obbligo di identificazione in presenza. Le modifiche successive hanno introdotto procedure basate sul rischio che possono consentirlo, ma non erano applicabili retroattivamente.

L’assenza di un danno economico per il datore di lavoro o di un’intenzione fraudolenta del dipendente rende meno grave la violazione delle procedure?
No. La Corte ha stabilito che, ai fini della valutazione della giusta causa, ciò che rileva è la violazione volontaria di un obbligo di diligenza fondamentale. L’assenza di un “dolo specifico” (cioè l’intenzione di commettere un reato) o di un danno patrimoniale non è sufficiente a escludere la gravità della condotta, specialmente in un settore sensibile come quello bancario dove il rispetto delle procedure è essenziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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