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Normativa anticorruzione: obblighi per le ex IPAB

L’Autorità Anticorruzione ha sanzionato un’Azienda di Servizi alla Persona per non aver rispettato la normativa anticorruzione. I tribunali di merito hanno annullato la sanzione, ritenendo che la normativa, prima della riforma del 2014, non si applicasse a tali enti. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Autorità perché non contestava specificamente le motivazioni della Corte d’Appello, ma si limitava a riproporre le stesse tesi.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Normativa anticorruzione: la Cassazione si pronuncia sull’ambito di applicazione per le A.S.P.

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per la pubblica amministrazione: l’ambito di applicazione della normativa anticorruzione a specifiche categorie di enti, in particolare le Aziende di Servizi alla Persona (A.S.P.), prima della riforma legislativa del 2014. La decisione non entra nel merito della questione, ma fornisce un’importante lezione sulla tecnica redazionale dei ricorsi per cassazione, dichiarando l’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità.

I Fatti di Causa: L’origine della controversia

La vicenda ha inizio quando l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) emette un’ordinanza-ingiunzione nei confronti di un’Azienda di Servizi alla Persona (ex I.P.A.B.) e dei suoi dirigenti. La sanzione, pari a 1.500 euro a testa, viene irrogata per la mancata adozione delle misure preventive previste dalla legge, tra cui l’omessa pubblicazione del piano triennale di prevenzione della corruzione (PTPC), del programma per la trasparenza e integrità (PTTI) e del codice di comportamento.

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale alla Corte d’Appello

L’azienda e i suoi dirigenti si oppongono alla sanzione davanti al Tribunale competente, che accoglie la loro richiesta e annulla il provvedimento. Il primo giudice fonda la sua decisione sulla mancanza dell’elemento soggettivo della violazione, ravvisando un ‘clima di incertezza’ e un ‘contrasto fra gli operatori’ riguardo alla corretta applicazione della normativa.

L’Autorità Anticorruzione impugna la decisione, ma la Corte d’Appello conferma l’annullamento della sanzione, sebbene per motivi diversi. Secondo i giudici di secondo grado, a mancare non era l’elemento soggettivo, ma quello oggettivo. La Corte d’Appello ha stabilito che, prima delle modifiche introdotte dal D.L. n. 90 del 2014, le A.S.P. non rientravano tra i soggetti obbligati all’osservanza della normativa anticorruzione.

La decisione della Cassazione sulla normativa anticorruzione

L’ANAC, non soddisfatta, presenta ricorso per cassazione, insistendo sulla propria tesi secondo cui le A.S.P. dovevano considerarsi soggette agli obblighi anticorruzione anche prima del 2014. Tuttavia, la Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, condannando l’Autorità ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Le Motivazioni: Un Ricorso Carente di Specificità

La decisione della Cassazione si fonda interamente su un vizio processuale del ricorso. I giudici hanno rilevato che l’Autorità si è limitata a riproporre in sede di legittimità le medesime argomentazioni già esposte e motivatamente respinte dalla Corte d’Appello.

Questo modo di procedere, secondo la costante giurisprudenza, equivale a una mera contrapposizione della propria valutazione a quella del giudice di merito, senza individuare gli specifici errores iuris (errori di diritto) in cui quest’ultimo sarebbe incorso. Il ricorso mancava di una critica puntuale e specifica alle ragioni giuridiche esposte nella sentenza impugnata, risolvendosi in quello che la Corte definisce un ‘non motivo’, inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4) del codice di procedura civile.

Conclusioni: L’importanza della specificità nei motivi di ricorso

Pur non decidendo nel merito se la normativa anticorruzione fosse applicabile alle A.S.P. prima del 2014, questa ordinanza offre un insegnamento fondamentale di carattere processuale. Per portare una questione all’attenzione della Corte di Cassazione, non è sufficiente essere in disaccordo con la decisione precedente. È indispensabile redigere un ricorso che analizzi criticamente la motivazione della sentenza impugnata, individuando con precisione le norme che si assumono violate e il modo in cui il giudice di merito le avrebbe erroneamente interpretate o applicate. La mancanza di questa specificità rende il ricorso inammissibile, precludendo ogni possibilità di esame della questione.

A quali enti si applicava la normativa anticorruzione prima della riforma del 2014?
Secondo la sentenza della Corte d’Appello, divenuta definitiva a seguito dell’inammissibilità del ricorso, prima delle modifiche introdotte dal D.L. n. 90/2014, le Aziende di Servizi alla Persona (A.S.P., ex I.P.A.B.) non erano incluse nell’elenco dei soggetti tenuti all’osservanza della normativa.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per difetto di specificità. La parte ricorrente si è limitata a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte in appello, senza criticare in modo puntuale le ragioni giuridiche della sentenza impugnata. Questo comportamento equivale alla formulazione di un ‘non motivo’.

Cosa significa presentare un ricorso per cassazione ‘specifico’?
Significa che il ricorrente deve individuare e spiegare i precisi errori di diritto (errores iuris) che il giudice del grado precedente avrebbe commesso nell’interpretare o applicare le norme. Non basta riaffermare la propria tesi, ma è necessario un confronto diretto e critico con la motivazione della sentenza che si intende contestare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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