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Non riscosso come riscosso: obblighi dell’agente

Un ente previdenziale ha agito contro l’agente della riscossione per il mancato versamento di contributi basati sul principio del “non riscosso come riscosso”, relativo a ruoli antecedenti al 1999. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’abrogazione di tale sistema e la successiva cancellazione dei vecchi ruoli non estinguono l’obbligo dell’agente di versare le somme già scadute prima delle riforme legislative. Il diritto di credito dell’ente si era già consolidato e non può essere annullato retroattivamente.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Non riscosso come riscosso: la Cassazione tutela i crediti previdenziali

Il principio del non riscosso come riscosso ha rappresentato per anni un pilastro del sistema di riscossione dei tributi e dei contributi in Italia. Sebbene oggi abrogato, i suoi effetti si protraggono nel tempo, generando contenziosi complessi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato proprio una di queste controversie, chiarendo la sorte dei crediti maturati dagli enti previdenziali nei confronti degli agenti della riscossione prima della grande riforma del 1999.

I fatti di causa

Un Ente Previdenziale Forense aveva ottenuto un decreto ingiuntivo contro l’Agente della Riscossione per il pagamento di una cospicua somma. Tale importo rappresentava la differenza tra quanto dovuto in base a ruoli contributivi emessi negli anni 1996, 1998 e 1999 e quanto effettivamente versato dall’Agente. All’epoca, vigeva il meccanismo del “non riscosso come riscosso”, che imponeva al concessionario della riscossione di anticipare all’ente creditore le somme iscritte a ruolo, a prescindere dall’effettivo incasso.

L’Agente della Riscossione si era opposto al decreto, sostenendo che tale obbligo fosse venuto meno con l’abrogazione del sistema, avvenuta con il D.Lgs. 37/1999. In secondo grado, la Corte d’Appello aveva dato ragione all’Agente, applicando una normativa successiva (la Legge di Stabilità 2013) che aveva disposto l’annullamento automatico di tutti i ruoli antecedenti al 31 dicembre 1999, ritenendo così estinta la pretesa dell’Ente.

La normativa successiva e il dibattito giuridico

La questione giuridica è complessa a causa della sovrapposizione di diverse normative:
1. D.P.R. 43/1988: Istituiva il sistema del “non riscosso come riscosso”, creando un obbligo di anticipazione in capo al concessionario.
2. D.Lgs. 37/1999: Ha abrogato tale sistema, ma la sentenza doveva chiarire se l’abrogazione avesse effetto retroattivo sui crediti già scaduti.
3. L. 228/2012 (Legge di Stabilità 2013): Ha disposto l’annullamento dei ruoli antecedenti al 1999 per razionalizzare i bilanci e cancellare i crediti inesigibili.

La Corte d’Appello aveva interpretato l’annullamento dei ruoli come un’estinzione totale di qualsiasi obbligazione, inclusa quella tra Ente creditore e Agente della Riscossione. L’Ente Previdenziale, invece, ha sostenuto in Cassazione che il suo diritto a ricevere le somme già scadute si era consolidato prima delle riforme e non poteva essere cancellato da leggi successive.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sul principio del non riscosso come riscosso

La Corte di Cassazione ha accolto la tesi dell’Ente Previdenziale, cassando con rinvio la sentenza d’appello. Il ragionamento dei giudici si fonda su un principio cardine del diritto: la tutela dei diritti quesiti.

La Suprema Corte ha chiarito che il D.Lgs. 37/1999, nell’abrogare il meccanismo del non riscosso come riscosso, ha interrotto l’obbligo di anticipazione solo per il futuro, cioè per le rate di versamento non ancora scadute alla data della sua entrata in vigore (26 febbraio 1999). Per tutte le somme che erano già scadute prima di quella data, l’obbligo di pagamento dell’Agente della Riscossione si era già trasformato in un diritto di credito certo e consolidato in capo all’Ente Previdenziale.

Di conseguenza, la successiva Legge n. 228/2012, che ha disposto l’annullamento dei ruoli, ha inciso sul titolo esecutivo (il ruolo stesso) nei confronti del debitore originario (l’iscritto alla Cassa), ma non ha potuto estinguere il distinto rapporto obbligatorio già sorto tra l’Ente e l’Agente. Annullare il ruolo non significa annullare un debito già cristallizzato tra altri soggetti.

In sostanza, il diritto dell’Ente a ricevere le anticipazioni già scadute era un diritto autonomo, sorto per legge in base alla normativa allora vigente, e come tale non poteva essere pregiudicato da interventi legislativi successivi che non prevedessero espressamente un effetto retroattivo così radicale.

Le conclusioni

La sentenza riafferma un principio di certezza giuridica fondamentale: le riforme legislative, specialmente quelle che aboliscono interi sistemi, non possono travolgere i diritti già entrati nel patrimonio di un soggetto giuridico. L’obbligo dell’Agente della Riscossione di versare le somme maturate sotto il vigore del principio del “non riscosso come riscosso” rimane valido per tutte le scadenze anteriori alla riforma del 1999. La Corte d’Appello dovrà ora riesaminare il caso attenendosi a questo principio, valutando nel merito l’ammontare dovuto dall’Agente all’Ente Previdenziale.

La cancellazione dei ruoli antecedenti al 1999 (L. 228/2012) elimina l’obbligo dell’agente di pagare somme dovute secondo il vecchio sistema del “non riscosso come riscosso”?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo di pagamento per le rate già scadute prima dell’abrogazione di quel sistema era un diritto di credito già acquisito dall’ente previdenziale. Le leggi successive che hanno annullato i ruoli non hanno effetto retroattivo su tale diritto.

L’abrogazione del principio del “non riscosso come riscosso” nel 1999 ha avuto effetto retroattivo?
No. La sentenza chiarisce che il D.Lgs. 37/1999 ha eliminato l’obbligo di anticipazione solo per i versamenti non ancora scaduti alla data della sua entrata in vigore. Per le somme già scadute, l’obbligo dell’agente di riscossione rimaneva in essere.

Perché la Corte di Cassazione ha accolto solo il primo motivo di ricorso?
La Corte ha accolto il primo motivo perché verteva sulla violazione di legge circa la portata delle norme abrogate e la tutela del diritto di credito già acquisito. Ha dichiarato inammissibili i motivi dal secondo al sesto perché riguardavano questioni di diritto già consolidate e decise in modo uniforme dalla giurisprudenza, e ha rigettato gli ultimi due in quanto infondati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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