Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27288 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 27288  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/10/2025
1. La Corte di Appello di Catanzaro ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME (dirigente dell’Amministrazione regionale in quiescenza dal 1.2.2013) avverso la sentenza del Tribunale RAGIONE_SOCIALE stessa città che aveva dichiarato la nullità del provvedimento con cui era stato conferito a NOME COGNOME (dirigente di altra amministrazione) l’incarico di Dirigente Generale del Dipartimento RAGIONE_SOCIALE, di cui all’avviso di selezion e del 13.5.2013; il Tribunale aveva invece respinto le domande del NOME volte ad ottenere la sua nomina a tale incarico dirigenziale, il risarcimento del danno e l’accertamento dell’illegittimità dell’incarico di reggenza conferito a NOME COGNOME.
Il  COGNOME, che aveva impugnato la nomina del COGNOME innanzi al giudice amministrativo,  a  seguito  dell’accoglimento  dell’istanza  cautelare  era  stato incluso dalla Regione nella selezione per il conferimento dell’incarico; tuttavia , con  deliberazione  n.  79  del  28.2.2014, all’esito  RAGIONE_SOCIALE  selezione ,  era  stato confermato l’incarico al COGNOME.
Il giudice amministrativo, nuovamente adito dal COGNOME, dopo avere disposto la  sospensione  cautelare  di  detto  provvedimento,  aveva  declinato  la  propria giurisdizione.
A  seguito  dell’ordinanza  di  sospensione  dall’esercizio  dei  pubblici  uffici emessa a carico di NOME COGNOME da parte del GIP di Vibo Valentia, la Regione Calabria  con deliberazione n. 215 del 27.5.2014 aveva conferito a NOME COGNOME (Dirigente di Settore del Dipartimento ‘RAGIONE_SOCIALE‘) l’incarico di Dirigente generale  reggente  del  medesimo  Dipartimento;  il  COGNOME  aveva  impugnato
anche  detto  provvedimento  innanzi  al  giudice  amministrativo,  che  aveva declinato la propria giurisdizione, ed aveva pertanto riassunto il giudizio innanzi al tribunale di Catanzaro.
La Corte territoriale ha rilevato che con la delibera n. 99 del 29.3.2013 la Regione Calabria si era adeguata ai principi enunciati dall’art. 4 del d.lgs.  n. 165/2001,  anche  ‘con  le  finalità  di  garantire  una  efficiente  gestione  dei procedimenti di conferimento, mutamento e revo ca, ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 165/2001’.
 Il  giudice  di  appello ha  ritenuto  che,  quand’anche  non  dovesse  essere considerato direttamente applicabile alle amministrazioni locali l’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001, in ragione degli atti regolamentari e RAGIONE_SOCIALE disciplina negoziale la Regione Calabria era vincolata ai criteri stabiliti da detta disposizione nel testo applicabile ratione  temporis nelle  procedure  di  affidamento  e  revoca  degli incarichi dirigenziali.
Ha inoltre richiamato i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui nel pubblico impiego privatizzato l’Amministrazione statale o locale nella veste di datrice di lavoro deve esercitare i poteri nell’osservanza delle regole di corret tezza e buona fede anche nell’attività di diritto privato, alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost., e secondo cui le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 165/2001, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede, obbligano la RAGIONE_SOCIALE a valutazioni anche comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte, essendo configurabile un inadempimento contrattual e laddove l’amministrazione no n fornisca alcun elemento circa i criteri e le motivazioni nella scelta dei dirigenti.
Stante i l carattere discrezionale dell’attività di valutazione comparativa dei candidati,  e  non  potendo  il  COGNOME  conseguire  giudizialmente  la  reclamata nomina, il giudice di appello ha ritenuto irrilevante stabilire se il vizio che aveva inficiato il provvediment o di nomina del COGNOME fosse la nullità o l’illegittimità per mancata specificazione dei criteri.
 Ha  ritenuto  generiche  le  allegazioni  relative  alla  domanda  risarcitoria; riguardo al danno da perdita di chance , ha condiviso le statuizioni del Tribunale,
secondo cui il COGNOME non aveva offerto in giudizio elementi di valutazione idonei a dimostrare la possibilità di ottenere l’incarico in luogo del COGNOME ed erano stati  documentalmente  smentiti  gli  assunti  del  COGNOME  in  forza  dei  quali  i candidati  valutabili  nel  corso  RAGIONE_SOCIALE  procedura  erano  esclusivamente  lui  ed  il COGNOME.
Ha condiviso la sentenza di primo grado anche nella parte in cui aveva escluso che la decisione RAGIONE_SOCIALE Regione  di riesaminare, a seguito RAGIONE_SOCIALE sospensione  cautelare  dell’originario  atto  di  nomina,  la  posizione  dei  soli candidati COGNOME e COGNOME fosse idonea a dimostrare che il COGNOME avesse titoli preferenziali rispetto a tutti gli altri partecipanti alla selezione.
 Avverso  tale  sentenza  NOME  COGNOME  ha  proposto  ricorso  per cassazione sulla base di sette motivi, illustrati da memoria.
La Regione Calabria ha resistito con controricorso.
NOME COGNOME e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
DIRITTO
 Con  il  primo  motivo  il  ricorso  denuncia  nullità  RAGIONE_SOCIALE  sentenza  e/o  del procedimento, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ., per non avere  la  Corte  territoriale  consentito  l’integrazione  del  contraddittorio  nei confronti  di  NOME  COGNOME,  parte  nei  cui  confronti  la  notifica  non  si  era perfezionata avendo il medesimo cambiato indirizzo.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione d ell’art. 19, commi 1 e 1 bis d.lgs. n. 165/2001 e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai  sensi  dell’art.  360,  comma  primo,  nn.  3  e  5  cod.  proc.  civ. ,  per  avere  la sentenza  impugnata  erroneamente  escluso  che  fosse  precluso  ogni  controllo giurisdizionale qualora non sia possibile comminare la nullità degli avvisi.
Deduce  che  i  commi  1  e  1  bis  dell’art.  19  d.lgs.  n.  165/2001  non  sono applicabili alle Amministrazioni regionali, evidenziando che per gli enti diversi dalle Amministrazioni statali i criteri contenuti in tali disposizioni costituiscono norme di principio prive del carattere RAGIONE_SOCIALE precettività, la cui violazione non può comportare la nullità degli atti adottati; sostiene che il giudice del lavoro può
censurare il mancato rispetto delle norme del T.U.P.I. e sindacare le nomine dei dirigenti generali.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art.  360,  comma primo, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata  erroneamente  ritenuto  la  nullità  RAGIONE_SOCIALE  deliberazione  RAGIONE_SOCIALE  giunta regionale n. 99/2013, dell’avviso pubblico di selezione e RAGIONE_SOCIALE deliberazione RAGIONE_SOCIALE Giunta  regionale  n.  220/2013  per  mancata  predeterminazione  dei  criteri  di selezione.
Sostiene che tali atti sono illegittimi e non già nulli; evidenzia che l’art. 19 del  d.lgs.  n.  165/2001  non  pretende  dall’Amministrazione  una  definizione analitica  e  puntuale  dei  criteri  selettivi,  ma  le  impone  esclusivamente  di individuare in via preventiva le linee guida generali, sulla cui base deve svolgersi la valutazione.
Deduce  che  la  deliberazione  n.  99/2013  ha  sufficientemente  enucleato  i criteri di scelta dei dirigenti generali, ai quali l’Amministrazione avrebbe dovuto conformarsi.
Aggiunge che i canoni selettivi erano stati sufficientemente espressi, non solo con  la  riproposizione  di  quelli  esemplificativamente  indicati  nel  d.lgs.  n. 165/2001, come affermato dal Tribunale, ma anche attraverso una disciplina generale, le cui lacune avrebbero potuto essere colmate in sede di applicazione.
Critica la sentenza impugnata per avere ritenuto (al punto 16)  che il COGNOME aveva rivendicato la spettanza dell’incarico di reggenza in stretta connessione con  la  spettanza  dell’incarico  dirigenziale;  p recisa  che  il  COGNOME  non  aveva contestato l’attribuzione dell’incarico di reggenza, ma aveva lamentato che la Regione, anziché conferire detto incarico, avrebbe dovuto procedere alla nomina dell’effettivo Direttore Generale.
Con il quarto motivo il ricorso denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.
Evidenzia che prima di declinare la propria giurisdizione i giudici amministrativi  hanno  sancito  l’illegittimità  dell’esclusione  del  COGNOME  dalla
procedura  selettiva  per  raggiunti  limiti  di  età,  nonché  l’illegittimità  RAGIONE_SOCIALE successiva  riedizione  del  potere  amministrativo,  a  fronte  RAGIONE_SOCIALE  conferma  del COGNOME senza idonea motivazione.
Deduce che l’art.  26  RAGIONE_SOCIALE  legge  regionale  Calabria  n.  7/1996  preclude  la prosecuzione del rapporto oltre il 70° anno di età, ma nulla dispone in ordine all’insorgenza del rapporto oltre il 70° anno di età.
Richiama  le  ordinanze  n.  5052/2013  e  638/2015  del  Consiglio  di  Stato, nonché  il  provvedimento  di  sospensione  RAGIONE_SOCIALE  delibera  n.  79/2014,  emesso nell’ambito  del  proc.  n.  1105/2013,  emesso  in  quanto  l’individuazione  del COGNOME era avvenuta senza un’adeguata specificazione delle ragioni per le quali il  suo curriculum era  stato  ritenuto  preferibile;  rimarca  che  era  stata  accolta anche l’istanza di sospensione RAGIONE_SOCIALE nomina di reggenza.
Sostiene che sulla base RAGIONE_SOCIALE statuizione del Consiglio di Stato la Regione era tenuta a riesaminare i soli concorrenti rimasti COGNOME e COGNOME, che in ragione RAGIONE_SOCIALE sospensione disposta dal GIP di Vibo Valentia il riesame avrebbe dovuto comportare la nomina del COGNOME, unico concorrente rimasto e che la scelta RAGIONE_SOCIALE Regione non può essere sindacata dal giudice del lavoro.
Torna ad evidenziare la mancata specificazione dei criteri di scelta e l’assenza di  una valutazione comparativa tra i candidati, non apprezzate dal giudice di primo grado.
Con il quinto motivo il ricorso denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art.  360,  comma  primo,  nn.  3  e  5  cod.  proc.  civ. ,  per  avere  la  Corte territoriale erroneamente escluso la fondatezza RAGIONE_SOCIALE domanda di risarcimento danno da perdita di chance.
Torna a sostenere che il COGNOME era l’unico concorrente rimasto e che in assenza di altri candidati aveva la certezza di ottenere la nomina.
Con il sesto motivo il ricorso denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.
Lamenta l’erroneità RAGIONE_SOCIALE statuizione secondo cui l’accertamento RAGIONE_SOCIALE nullità del conferimento dell’incarico determina l’assorbimento delle questioni relative
alla legittimità RAGIONE_SOCIALE procedura svolta e il mancato accoglimento delle ulteriori domande avanzate.
Richiama le delibere RAGIONE_SOCIALE Giunta Regionale nn. 317 e 319 del 28.7.2014, nonché  l’ordinanza  del  Consiglio  di  Stato  n.  3875/2014  Reg.  Provv.  Cau.; lamenta  che  nonostante  il  rigetto  dell’appello  proposto  dalla  Regione  e  la conferma dell’ordinanza che aveva d ichiarato illegittima la nomina del COGNOME, l’Amministrazione non aveva proceduto all’ineludibile nomina del COGNOME.
Invoca l’applicazione dei principi secondo cui in caso di mancata predeterminazione dei criteri di selezione da parte dell’ente pubblico datore di lavoro, al dipendente non promosso va riconosciuto il risarcimento del danno da perdita di chance, e secondo cui nel caso di nullità o annullamento di un concorso per  il  mancato  rispetto  dei  principi  di  correttezza  e  buona  fede  da  parte  del datore di lavoro, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno da perdita di chance.
Ribadisce che la chance del COGNOME di ottenere la nomina era incontrovertibile, in quanto era l’unico concorrente rimasto.
Con il settimo motivo (rubricato come sesto) il ricorso denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso la disamina dei pregiudizi subiti dal COGNOME e la loro quantificazione.
Deduce che il danno risarcibile è costituito dalla perdita RAGIONE_SOCIALE possibilità di conseguimento del risultato, e che la sussistenza di tale possibilità va indagata secondo  il  canone  probatorio  del  ‘più  probabile  che  non’ ;  sostiene  che  nel presente giudizio tale condizione si è inverata.
Lamenta la violazione degli artt. 3, 4 e 97 Cost. e richiama la perizia allegata al ricorso in riassunzione, evidenziando che il COGNOME aveva subito gravi danni economici, oltre a quelli morali e di immagine, derivanti da perdita di chance.
Evidenzia che la sussistenza di tali danni era stata riconosciuta dalla delibera n. 317 del 28.7.2014 e che le parti non avevano specificamente contestato gli importi richiesti dal COGNOME.
 Il  secondo  ed  il  terzo  motivo,  che  per  ragioni  logiche  vanno  trattati congiuntamente per primi, sono inammissibili in quanto non colgono il decisum .
La Corte territoriale non ha escluso che fosse precluso ogni controllo giurisdizionale sulla procedura relativa alla nomina dei dirigenti generali; ha infatti ritenuto che le Amministrazioni locali siano tenute a determinare in via preventiva, secondo le procedure definite dalla contrattazione collettiva, i criteri generali per l’affidamento e la revoca degli incarichi dirigenziali rispettando i principi stabiliti dall’art. 19 d.lgs. n. 165/2001 , ed ha pertanto affermato che il giudice deve verificare se l’operato dell’amministrazione in ordine al conferimento degli incarichi dirigenziali trovi fondamento nei criteri generali delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati.
La sentenza impugnata non ha ritenuto la nullità RAGIONE_SOCIALE deliberazione RAGIONE_SOCIALE giunta regionale n. 99/2013, dell’avviso pubblico di selezione e RAGIONE_SOCIALE deliberazione RAGIONE_SOCIALE Giunta regionale n. 220/2013, ma ha affermato che al COGNOME non giovasse stabilire che il vizio di tale provvedimento fosse l’illegittimità per mancata specificazione dei criteri, (comunque sufficientemente predeterminati nell’avviso di selezione ) che avevano guidato la scelta del dirigente maggiormente idoneo tra tutti i partecipanti alla selezione, in quanto la nomina dirigenziale, essendo rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro, sia pure nel rispetto dei criteri su cui la selezione deve fondarsi, avviene all’esito di una valutazione comparativa che ha carattere discrezionale e non è conseguibile giudizialmente.
Nè la sentenza impugnata ha ritenuto che il COGNOME avesse rivendicato la spettanza  dell’incarico  di  reggenza  in  stretta  connessione  con  la  spettanza dell’incarico  dirigenziale;  il  punto  16  RAGIONE_SOCIALE  sentenza  impugnata  riguarda  il governo delle spese.
La sentenza impugnata è dunque conforme ai principi espressi da questa Corte,  secondo  cui  le  Amministrazioni  locali  sono  tenute  al  rispetto  delle disposizioni contenute nell’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001 (Cass. n. 10567/2019) e secondo cui la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva dell’area RAGIONE_SOCIALE dirigenza degli enti locali relativa all’affidamento degli incarichi dirigenziali, tanto
nella formulazione del CCNL del 1996, quanto in quella dei CCNL del 1999 e del 2006 ha imposto alle Amministrazioni locali di determinare ‘in via preventiva’ i ‘criteri  generali’  per  l’affidamento  e  la  revoca  degli  incarichi  dirigenziali, rispettando ‘…i principi stabiliti nell’art. 19 del decreto legislativo n. 29/1993 (ora art. 19 d.lgs. n. 165/2001) ‘.
Il quarto, il quinto ed il sesto motivo sono inammissibili.
Nel  prospettare  che  il  COGNOME  era  l’unica  scelta  che  residuava  in  capo all’Amministrazione e che tale scelta non può essere sindacata in sede giudiziale, le censure, e che la chance di conseguire la nomina era incontrovertibile,  non si confrontano con il decisum .
La  Corte  territoriale  ha  ritenuto  che  qualora,  come  nel  caso  di  specie,  la motivazione non esprima validamente i criteri su cui la P.A. ha fondato la scelta, il giudice deve apprezzare ex novo in via comparativa i curricula dei partecipanti alla  selezione,  ed  ha  rilevato  che  il  COGNOME  non  aveva  offerto  in  giudizio  gli elementi  di  valutazione  RAGIONE_SOCIALE  probabilità  di  ottenere  l’incarico  in  luogo  del COGNOME.
Ha condiviso la decisione del Tribunale, secondo cui erano stati documentalmente smentiti gli assunti del COGNOME in forza dei quali i candidati valutabili nel corso RAGIONE_SOCIALE procedura erano esclusivamente lui ed il COGNOME e secondo cui nell’ambito RAGIONE_SOCIALE procedura il COGNOME era l’unico che avrebbe avuto il diritto di ricoprire il posto dirigenziale; ha condiviso la sentenza di primo grado anche nella parte in cui aveva escluso che la decisione RAGIONE_SOCIALE regione di riesaminare, a seguito RAGIONE_SOCIALE sospensione caute lare dell’originario atto di nomina, la posizione dei soli candidati COGNOME e COGNOME dimostrasse che il NOME avesse titoli preferenziali rispetto a tutti gli altri partecipanti alla selezione.
Inoltre la quarta e la sesta censura fanno leva su documenti che non risultano dalla sentenza impugnata (la nota prot. n. 41857 del 7.2.2014, la nota prot. n. 203857 del 17.6.2013, le delibere nn. 317 e 319 del 28.7.2014), senza indicare gli atti dei gradi di merito in cui sarebbero state menzionate.
Tali  censure  criticano  la  sentenza  di  primo  grado,  e  non  quella  di  appello (trascrivono statuizioni non contenuta nella sentenza impugnata, le localizzano
nei paragrafi 15. 3 e 15.3.2 e fanno leva sulle statuizioni contenute nel punto 15.1; tali paragrafi non si rinvengono nella sentenza impugnata).
Anche il settimo motivo è inammissibile, in quanto sollecita un giudizio di merito, facendo leva su documenti non menzionati dalla sentenza impugnata (la perizia allegata al ricorso in riassunzione e la delibera n. 317 del 28.7.2014) e sul principio di non contestazione.
Deve in proposito rammentarsi che ‘ spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte ‘ (Cass. n. 3680/2019 e negli stessi termini Cass. n. 27490/2019).
11. Il primo motivo è inammissibile.
La  censura,  nel  sostenere  che  la  Corte  territoriale  non  aveva  provveduto sull’istanza  del  COGNOME,  che  aveva  chiesto  di  integrare  il  contraddittorio  nei confronti di NOME COGNOME, nei cui confronti non si era perfezionata la notifica del ricorso, difetta di specificità, in quanto non indica gli estremi di tale richiesta (non specifica se è stata effettuata per iscritto o verbalmente, né indica l’udienza in cui sarebbe stata proposta).
Trovano comunque applicazione i principi enunciati dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 24172/2025, secondo cui ‘qualora il giudice di primo grado abbia deciso la controversia nel merito, omettendo di pronunciare espressamente su un vizio processuale rilev abile d’ufficio (in base alla norma del processo o desumibile dallo scopo di interesse pubblico, indisponibile dalle parti, sotteso alla norma processuale che stabilisce un requisito formale, prescrive un termine di decadenza o prevede il compimento di una determinata attività), la parte che abbia interesse a far valere detto vizio è onerata di proporre, nel grado successivo, impugnazione sul punto, la cui omissione determina la formazione del giudicato interno sulla questione processuale in applicazione del principio di conversione del vizio in motivo di gravame ex art. 161, comma primo, c.p.c., rimanendo precluso tanto al giudice del gravame, quanto alla Corte di cassazione, il potere di rilevare, per la prima volta, tale vizio ex officio .
A tale regola si sottraggono, così da consentire al giudice dei gradi successivi di esercitare il potere di rilievo officioso, i vizi processuali rilevabili, in base ad
espressa previsione legale, ‘in ogni stato e grado’ e i vizi relativi a questioni ‘fondanti’, la cui omessa rilevazione si risolverebbe in una sentenza inutiliter data, ovvero le ipotesi in cui il giudice abbia esternato la propria decisione come fondata su una ragione più liquida, che impedisce di ravvisare una decisione implicita sulla questione processuale implicata’.
Orbene, dagli atti risulta che NOME COGNOME aveva partecipato al giudizio di primo grado, mentre nel giudizio di appello che il litisconsorzio non è stato integrato; la Corte d’Appello avrebbe pertanto dovuto disporre l’integrazione del contraddittorio prima di decidere nel merito.
Tuttavia, considerato che il ricorso va disatteso e che la mancata integrazione del contraddittorio in appello non ha in alcun modo pregiudicato i diritti del COGNOME, sulla base del criterio RAGIONE_SOCIALE ragione più liquida (che la recente pronuncia delle Sezioni Unite ha ritenuto applicabile anche alle questioni processuali) non si giustifica la cassazione RAGIONE_SOCIALE sentenza impugnata, in quanto si risolverebbe unicamente in una lesione del principio RAGIONE_SOCIALE ragionevole durata del processo in fattispecie nella quale nessun pregiudizio ha subito la parte che il vizio fa valere, e che peraltro vi ha dato causa.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, in favore RAGIONE_SOCIALE controricorrente.
Nessuna statuizione va emessa sulle spese rispetto a NOME COGNOME e a NOME COGNOME, che non hanno svolto attività difensiva.
Sussistono  le  condizioni  per  dare  atto,  ai  sensi  dell’art.13,  comma  1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato  pari  a  quello  previsto  per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna parte ricorrent e al pagamento,  nei  confronti  RAGIONE_SOCIALE  controricorrente,  le  spese  del  giudizio  di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 3.000,00 per competenze
professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto RAGIONE_SOCIALE sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  RAGIONE_SOCIALE  Sezione  Lavoro  RAGIONE_SOCIALE Corte Suprema di Cassazione, il 24 settembre 2025.
La Presidente NOME COGNOME