Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34473 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34473 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13967/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliato in ROMA alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, con domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA al INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende, con domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO BARI n. 2650/2019 depositata il 27/12/2019.
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 7/06/2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Foggia , successivamente all’espletamento di un procedimento di accertamento tecnico preventivo, l’architetto NOME COGNOME per sentirne accertare la responsabilità quale proprietario di un edificio confinante al proprio, con conseguente condanna al risarcimento per i danni conseguenti ai lavori e, comunque, agli interventi effettuati dal COGNOME sul proprio edificio e derivanti dalla mancata disponibilità del piano terraneo e da ll’impossibilità di sopraelevare, come divisato in un progetto già approvato, l’edificio della RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale di Foggia, nel contraddittorio con il convenuto ed espletata l’istruttoria mediante richiamo degli atti dell’accertamento tecnico e consulenza tecnica di ufficio, con sentenza n. 2223 del 22/10/2015 accolse parzialmente la domanda e liquidò in favore della RAGIONE_SOCIALE la somma di euro novemila ( € 9.000,00) per la mancata fruizione del pianterreno per il periodo dal febbraio dell’anno 2008 al luglio dell’anno 2009, rigettandola nel resto e disattese la domanda riconvenzionale, di risarcimento dei danni, del COGNOME.
Avverso la sentenza del Tribunale propose appello la RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello di Bari, nel ricostituito contraddittorio delle parti, ha rigettato l’impugnazione con sentenza n. 2650 del 27/12/2019.
Avverso la sentenza della Corte distrettuale ricorre per cassazione, con tre motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 1223 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 872, comma 2, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la ricorrente contesta la ritenuta, dai giudici di merito, mancata sussistenza del nesso di causalità, con riferimento alla impossibilità di edificare ulteriormente in altezza a causa delle opere svolte dal Damato sulla propria porzione, interrata, dell’edificio .
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ. e dell’art. 67 del d.P.R. n. 680 del 6/06/202 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., con riferimento al ridotto risarcimento accordato dal Tribunale, e confermato in appello, per la mancata fruizione del pianterreno, che era stato limitato al periodo febbraio 2008 -luglio 2009, senza tenere conto della circostanza che il certificato di collaudo era intervenuto soltanto in epoca successiva.
Con il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 2058 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 11 2 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. per vizi di omessa pronuncia e ultrapetizione, la RAGIONE_SOCIALE si duole del mancato accoglimento della domanda di rimessione in pristino del locale terraneo, mediante riempimento del locale creato dallo sbancamento del terreno di riporto, ritualmente proposta nelle fasi di merito.
Il primo motivo non contiene censure in diritto ma una mera diversa lettura (peraltro stando al controricorso, pure errata) della consulenza tecnica di ufficio e dello stesso accertamento tecnico preventivo svolto in un precedente procedimento, limitandosi a riportare soltanto degli stralci della consulenza tecnica di ufficio espletata in primo grado, senza alcun accenno alle parti della stessa che viceversa escludono che l’impossibilità di realizzare
opere in sopraelevazione fosse in qualche modo ascrivibile alle opere poste in essere dal Damato sulla propria porzione di edificio e segnatamente su quella interrata. Il consulente tecnico di ufficio, invero, escluse recisamente che la sopraelevazione divisata dalla RAGIONE_SOCIALE potesse essere effettuata senza prima procedere a una completa risistemazione del terreno di sedime, costituito da materiali di riporto delle costruzioni distrutte dai bombardamenti del periodo bellico (segnatamente dell’anno 1943) .
Il primo motivo di ricorso, che si incentra sul combinato disposto degli artt. 2043 e 872 cod. civ., in relazione all’art. 2043 cod. civ. è del tutto carente di specificità sul punto e non si confronta adeguatamente con la motivazione resa dalla Corte territoriale ed omette altresì di dimostrare in qual modo i giudici del merito abbiano violato e (o) falsamente applicato le norme codicistiche richiamate nell ‘intestazione del motivo .
Giova, peraltro, ribadire che il consulente tecnico di ufficio non ha in alcun modo escluso che si fosse verificata una situazione, peraltro non ascrivibile alle opere del Damato, di assoluta inedificabilità in sopraelevazione, ma di mera inedificabilità relativa, ossia a condizione che fossero realizzati degli accorgimenti quali l’escavazione di più profonde fondazioni e comunque di assestamento del terreno di riporto sul quale l’edificio della RAGIONE_SOCIALE.
4.1. Il primo motivo è, dunque, inammissibile.
Il secondo motivo, vertente sulla misura del risarcimento dei danni, in relazione al periodo di indisponibilità della porzione di edificio di cui al primo piano, è inammissibile per difetto di specificità ed è, comunque, infondato, in quanto la società ricorrente non spiega per quale ragione dovesse essere accordata una misura del risarcimento dei danni per mancato uso del pianterreno maggiore di quella pari a cinquecento euro mensili, ma si limita ad affermare che il risarcimento doveva essere protratto
fino all’emanazione del certificato di collaudo , in epoca successiva al luglio dell’anno 2008 , certificato che, però, riguardava i lavori fatti effettuare dal Damato sul proprio immobile e, dunque, con efficacia limitata ai rapporti tra questi e l’appaltatore dei lavori stessi.
Il codice civile, invero, negli artt. 1665 e 1666 non usa il termine collaudo (Cass. n. 283 del 13/01/1984 (Rv. 432552 – 01), bensì quello di verifica e, invero, nell’appalto priva to, il collaudo è configurato dalla dottrina maggioritaria, come una dichiarazione liberatoria, o un negozio di accertamento, che interviene tra il committente e l’appaltatore, con efficacia preclusiva della discussione degli elementi perla determinazione del prezzo.
Il ricorso non offre alcun appiglio per ritenere errata la decisione di merito in ordine al periodo per il quale è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni da indisponibilità del primo piano.
5.1. Il secondo motivo va, dunque, disatteso.
Il terzo motivo, vertente sulla omessa pronunzia sulla domanda o capo di domanda di rimessione in pristino è infondato, in quanto la rimessione in pristino , di cui all’art. 2058 cod. civ., non è stata correttamente accordata dai giudici di merito poiché ne è stato escluso il presupposto, ossia che vi fosse un nesso di casualità tra le opere fatte realizzare dal Damato sul proprio edificio e l’inedificabilità , non assoluta ma soltanto, come scritto, relativa e con riferimento alla sopraelevazione, de ll’immobile della RAGIONE_SOCIALE
Inoltre e conclusivamente, la rimessione in pristino è un modo d’essere del risarcimento del danno, che presuppone che il bene di cui è chiesta la rimessione in pristino sia di proprietà (Cass. n. 16118 del 9/07/2009 Rv. 608971 – 01) o comunque nella sfera di disponibilità del danneggiato, mentre nella specie la misura ripristinatoria avrebbe dovuto riguardare l’edificio , e segnatamente
la porzione di esso sottostante il piano terraneo, del danneggiante, ossia del Damato
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese di lite di questa fase di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate come da dispositivo, in favore del controricorrente, sulla base dell’attività processuale espletata in relazione al valore della controversia.
La decisione di rigetto del l’impugnazione comporta che deve attestarsi, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di