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Nesso di causalità: quando le complicanze non sono colpa medica

Un paziente ha citato in giudizio una struttura sanitaria e i medici per gravi complicanze seguite a un intervento cardiochirurgico. Il Tribunale ha respinto la domanda, non ravvisando un nesso di causalità tra la condotta dei sanitari e il danno subito. Le complicanze, sebbene gravi, sono state ritenute conseguenze prevedibili ma inevitabili della complessa situazione clinica del paziente, e non frutto di negligenza medica.

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Pubblicato il 31 ottobre 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Nesso di Causalità: Quando le Complicanze Post-Operatorie non Significano Malasanità

Nel complesso mondo della responsabilità medica, stabilire un chiaro nesso di causalità tra l’operato dei sanitari e un esito clinico sfavorevole è l’elemento cruciale che determina il successo o il fallimento di una richiesta di risarcimento. Una recente sentenza del Tribunale di Bari offre un’analisi dettagliata di questo principio, chiarendo che la mera insorgenza di complicanze, anche gravi, non è di per sé sufficiente a provare una colpa medica. Il caso esaminato riguarda un paziente che, a seguito di un complesso intervento di cardiochirurgia, ha subito una serie di gravi problemi di salute, citando in giudizio l’intera équipe medica e la struttura sanitaria.

I Fatti di Causa

Un paziente, affetto da una seria cardiopatia ischemica, veniva sottoposto a un intervento chirurgico di rivascolarizzazione miocardica. Sebbene l’operazione in sé avesse avuto successo dal punto di vista cardiologico, il decorso post-operatorio si rivelava estremamente complicato. Il paziente sviluppava shock cardiogeno, insufficienza respiratoria, enfisema sottocutaneo, infezioni della ferita sternale e, infine, una grave stenosi tracheale che lo portava a uno stato comatoso.

A fronte di questo drammatico quadro clinico, il paziente intentava una causa civile contro la struttura sanitaria e tutti i medici che, a vario titolo, lo avevano avuto in cura. La richiesta di risarcimento si fondava sull’assunto che tale catena di eventi negativi fosse la diretta conseguenza di una gestione negligente e inadeguata da parte del personale medico e della clinica.

La Decisione del Tribunale e il Nesso di Causalità

Nonostante la gravità delle condizioni patite dal paziente, il Tribunale di Bari ha rigettato integralmente la domanda di risarcimento. La decisione si è basata su un punto fondamentale: l’assenza di un provato nesso di causalità tra la condotta dei sanitari e i danni lamentati.

Il giudice ha affidato a un Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) il compito di analizzare l’intera vicenda clinica. Le conclusioni del consulente sono state determinanti per l’esito del giudizio, poiché hanno escluso la presenza di malpractice.

L’Analisi del CTU: Complicanze Iatrogene ma non Colpose

L’esperto ha chiarito che l’intervento cardiochirurgico era indicato e correttamente eseguito. Tuttavia, il paziente presentava sin dall’inizio un quadro di elevata instabilità circolatoria. Le complicanze successive, come l’insufficienza renale e l’enfisema, sono state gestite in modo tempestivo ed efficace. La stenosi tracheale, in particolare, è stata definita una “complicanza prevedibile ma non efficacemente prevenibile”, legata alla necessità di una ventilazione assistita prolungata, resa indispensabile dalla gravità delle condizioni del paziente.

In sintesi, il CTU ha concluso che tutte le complicanze non erano dovute a negligenza o imperizia, ma rappresentavano “conseguenze dirette o indirette, prevedibili e inevitabili, dello shock cardiogeno iniziale, a dispetto delle migliori cure messe in atto”.

La Questione del Consenso Informato

L’attore aveva anche sollevato la violazione del diritto all’autodeterminazione per un presunto deficit di consenso informato. Anche su questo punto, il Tribunale ha dato torto al paziente. Dagli atti processuali risultava che il paziente aveva firmato tre distinti moduli di consenso (per l’intervento, per l’anestesia e per le trasfusioni), datati il giorno prima dell’operazione. In questi documenti, dichiarava di essere stato esaurientemente informato sull’intervento, sulle procedure necessarie e sulle possibili complicanze, anche imprevedibili, che avrebbero potuto portare a un peggioramento della qualità della vita, a un’invalidità permanente e persino alla morte.

Le Motivazioni

Il Tribunale ha motivato la sua decisione sottolineando innanzitutto la genericità delle accuse mosse dall’attore, il quale non aveva specificato quali condotte, imputabili a quali medici, avrebbero causato il danno. La legge richiede che sia il danneggiato a provare, anche tramite presunzioni, il nesso di causalità tra l’aggravamento della situazione patologica e la condotta del sanitario.

In questo caso, le conclusioni del CTU sono state decisive nel dimostrare che il personale medico aveva agito correttamente. Le risposte terapeutiche fornite sono state ritenute “mirate, tempestive ed anche efficaci”. Le complicanze, sebbene originate dalle procedure mediche (quindi iatrogene), non sono state causate da un errore, ma sono state una conseguenza sfortunata ma inevitabile di un quadro clinico di partenza estremamente critico.

La corte ha quindi stabilito che non emergevano “comportamenti medici censurabili capaci di aver determinato, ovvero solo facilitato, la verificazione della complicanza”. L’assenza di una condotta colposa ha reso impossibile l’accertamento di una responsabilità e, di conseguenza, ha portato al rigetto della domanda.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cardine della responsabilità sanitaria: non ogni esito infausto di un trattamento medico è automaticamente fonte di risarcimento. Per ottenere giustizia, il paziente deve dimostrare in modo specifico che il danno subito è la conseguenza diretta di un errore, di una negligenza o di un’imprudenza del medico o della struttura. L’esistenza di complicanze, anche molto gravi, non è sufficiente se queste rientrano nel novero degli eventi avversi prevedibili e inevitabili, soprattutto in contesti clinici di alta complessità. La prova rigorosa del nesso di causalità rimane il pilastro su cui si fonda ogni azione di responsabilità medica.

Se un intervento chirurgico ha delle complicanze, il medico è sempre responsabile?
No. Secondo questa sentenza, se le complicanze sono conseguenze prevedibili e inevitabili della gravità della condizione del paziente e della complessità del trattamento, non c’è responsabilità medica, a condizione che i sanitari abbiano agito con diligenza e tempestività.

Chi deve provare il nesso di causalità in un caso di malasanità?
Spetta al paziente che lamenta il danno fornire la prova del nesso di causalità, ovvero del collegamento diretto tra una specifica condotta negligente del medico e il pregiudizio subito. La semplice allegazione generica di un errore non è sufficiente.

Un consenso firmato esclude sempre la responsabilità della struttura sanitaria?
No, non la esclude in assoluto, ma è un elemento fondamentale per la difesa. Un consenso correttamente informato, in cui vengono spiegati chiaramente tutti i rischi, comprese le complicanze gravi e l’esito letale, dimostra che il paziente era consapevole della serietà della situazione e ha accettato i rischi connessi all’intervento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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