LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Nesso causale: la Cassazione sul più probabile che non

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso degli eredi di un paziente deceduto a seguito di complicazioni post-operatorie. L’ordinanza chiarisce i criteri per la valutazione del nesso causale in ambito di responsabilità medica, sottolineando che il principio del ‘più probabile che non’ richiede una valutazione logica e comparativa delle cause, non una mera adesione a definizioni statistiche. La Corte ha cassato la decisione d’appello che aveva escluso la responsabilità dei sanitari, ritenendo errata l’interpretazione delle conclusioni della CTU e la gestione dell’onere della prova.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Nesso causale: la Cassazione sul criterio del ‘più probabile che non’

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene con decisione su un tema centrale della responsabilità medica: la corretta valutazione del nesso causale. Il caso riguarda il decesso di un paziente anziano a seguito di complicazioni insorte durante una biopsia. La Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito, offrendo chiarimenti fondamentali su come il criterio del ‘più probabile che non’ debba essere applicato dai giudici, specialmente quando si confrontano con le conclusioni di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU).

I fatti di causa

Un paziente di 81 anni si sottoponeva a una biopsia prostatica presso un ospedale pubblico. Durante l’intervento, subiva una lesione emorragica, attribuita dai familiari a un errore medico. Le successive trasfusioni, definite ‘esuberanti’, aggravavano la situazione, costringendo il paziente a un lungo ricovero. Successivamente trasferito presso una clinica privata per la lunga degenza, le sue condizioni peggioravano ulteriormente, portandolo al decesso dopo 41 giorni dall’intervento iniziale.

L’iter giudiziario: dal Tribunale alla Corte d’Appello

In primo grado, il Tribunale riconosceva la responsabilità concorrente sia della struttura ospedaliera pubblica che della clinica privata, condannandole al risarcimento dei danni a favore degli eredi. La Corte d’Appello, tuttavia, ribaltava parzialmente la decisione. Pur riconoscendo l’errore medico durante la biopsia, escludeva che questo avesse causato la morte, declassandolo a causa di una mera invalidità temporanea. Per quanto riguarda la clinica privata, la Corte riteneva che la sua condotta negligente avesse causato solo una ‘perdita di chance’ di sopravvivenza, poiché la probabilità di salvare il paziente, definita ‘medio-alta’ dal CTU, non era sufficiente a soddisfare il criterio del ‘più probabile che non’.

L’analisi della Cassazione sul nesso causale

Gli eredi ricorrevano in Cassazione, e la Suprema Corte ha accolto tutti e quattro i motivi di ricorso, smontando l’impianto logico-giuridico della sentenza d’appello.

Il nesso causale e l’errore medico iniziale

La Cassazione ha censurato la Corte d’Appello per non aver adeguatamente motivato perché l’errore chirurgico, che aveva innescato la catena di eventi, non fosse considerato causa del decesso. I giudici di merito si erano discostati dalla CTU senza fornire una spiegazione valida, invertendo di fatto l’onere della prova: una volta provato l’errore e il danno, spettava alla controparte dimostrare l’intervento di una causa alternativa ignota.

La responsabilità della clinica e il criterio del ‘più probabile che non’

Questo è il punto cruciale della decisione. La Corte d’Appello aveva interpretato l’espressione ‘probabilità medio-alta’ come insufficiente a provare il nesso di causa. La Cassazione ha chiarito che la valutazione del nesso causale non è un esercizio statistico, ma logico. Il criterio del ‘più probabile che non’ impone di confrontare le diverse ipotesi causali: se la condotta negligente dei medici della clinica è la spiegazione più probabile rispetto a tutte le altre possibili (che nel caso di specie erano state escluse dal CTU come irrilevanti), allora il nesso di causa è provato. Limitarsi al significato letterale di ‘grado medio’ senza compiere questa comparazione logica costituisce un errore di diritto.

Il danno da sofferenza dei congiunti e il consenso informato

La Suprema Corte ha inoltre rilevato che la Corte d’Appello aveva omesso di pronunciarsi sulla specifica richiesta di risarcimento per la sofferenza patita dai parenti durante i 41 giorni di agonia del loro caro. Infine, ha criticato la decisione sul consenso informato. I giudici di merito avevano negato il risarcimento perché il paziente non aveva provato che avrebbe rifiutato l’intervento se fosse stato informato correttamente. La Cassazione ha ribaltato questa visione, sostenendo che, di fronte alla richiesta di prove testimoniali e alla natura non assolutamente urgente dell’intervento, la presunzione che il paziente avrebbe comunque acconsentito era un ‘cattivo uso delle presunzioni’.

Le motivazioni della decisione

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sulla base di principi consolidati in materia di responsabilità civile e processuale. In primo luogo, ha ribadito che il giudice di merito, qualora intenda discostarsi dalle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ha l’obbligo di fornire una motivazione puntuale e approfondita, indicando le ragioni tecniche e probatorie che giustificano una conclusione diversa. In secondo luogo, ha riaffermato la corretta interpretazione del criterio del ‘più probabile che non’. Questo non si basa su una valutazione puramente quantitativa o statistica, ma su un giudizio di prevalenza logica: la causa allegata dall’attore deve essere più probabile di ogni altra causa alternativa. L’errore della corte d’appello è stato quello di fermarsi alla qualificazione verbale (‘grado medio’) fornita dal CTU, senza considerare che lo stesso esperto aveva di fatto escluso altre cause significative, rendendo così l’inadempimento sanitario la spiegazione causalmente più forte. Infine, la Corte ha sottolineato che in tema di consenso informato, il giudice non può basarsi su presunzioni generiche ma deve valutare tutti gli elementi concreti del caso, incluse le prove richieste dalle parti, per determinare quale sarebbe stata la scelta del paziente.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante vademecum per operatori del diritto e giudici che affrontano casi di responsabilità medica. Essa riafferma che la valutazione del nesso causale è un’operazione logica e non meramente statistica. La decisione del giudice deve basarsi su una comparazione rigorosa tra le diverse ipotesi causali, dando prevalenza a quella che trova maggiore riscontro negli elementi probatori. La sentenza viene quindi cassata con rinvio a una nuova sezione della Corte d’Appello, che dovrà attenersi a questi principi per decidere nuovamente il caso.

Come deve essere valutato il nesso causale in un caso di responsabilità medica?
Deve essere valutato secondo il criterio del ‘più probabile che non’, che richiede una valutazione logica e comparativa. La causa dell’evento dannoso deve essere più probabile rispetto a qualsiasi altra causa alternativa possibile, basandosi sulle prove disponibili, inclusa la CTU.

Un giudice può discostarsi dalle conclusioni del consulente tecnico (CTU)?
Sì, ma ha l’onere di fornire una motivazione rigorosa e dettagliata, spiegando le ragioni per cui ritiene le conclusioni dell’esperto non condivisibili e indicando le diverse prove che giustificano una conclusione differente.

Cosa significa il criterio del ‘più probabile che non’ quando ci sono più possibili cause di un danno?
Significa che il giudice deve effettuare una comparazione tra le diverse ipotesi causali. Se l’ipotesi sostenuta dalla parte danneggiata (es. l’errore medico) risulta, sulla base delle prove, più probabile di tutte le altre ipotesi alternative messe insieme, allora il nesso causale è provato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati