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Nesso causale inquinamento: la prova in giudizio

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul difficile onere della prova del nesso causale inquinamento e malformazioni congenite. Un cittadino aveva citato in giudizio un grande gruppo industriale, attribuendo la propria patologia alle emissioni nocive di una raffineria. I tribunali di primo e secondo grado avevano respinto la domanda, non ritenendo raggiunta la prova del legame causale secondo il criterio del ‘più probabile che non’, data la presenza di possibili cause alternative (pesticidi, fumo). La Cassazione ha confermato la decisione nel merito, ritenendo inammissibili le censure sulla valutazione delle prove, ma ha accolto il motivo relativo alle spese legali, disponendone l’integrale compensazione per l’assoluta novità della questione fattuale trattata.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Il nesso causale inquinamento: una prova difficile in tribunale

In un’importante ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema cruciale del nesso causale inquinamento, definendo i confini della prova necessaria per ottenere un risarcimento del danno in casi di malformazioni congenite attribuite a emissioni industriali. La decisione chiarisce come la mera ‘possibilità’ di un collegamento non sia sufficiente, ribadendo la necessità di una ‘probabilità qualificata’ secondo il criterio del ‘più probabile che non’.

Il caso: malformazione congenita e inquinamento industriale

Un cittadino, affetto sin dalla nascita da una grave malformazione a un arto superiore, ha intrapreso un’azione legale insieme ai suoi familiari contro un importante gruppo industriale operante nel settore della raffinazione. Secondo l’accusa, la patologia era una diretta conseguenza dell’esposizione a sostanze nocive emesse dagli impianti industriali situati nell’area di residenza della famiglia.

La Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU)

Nel corso del processo, è stata disposta una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) per accertare la fondatezza scientifica delle accuse. I consulenti hanno concluso che, sebbene non si potesse escludere una ‘possibilità’ che la malformazione fosse stata favorita dalla presenza di sostanze chimiche nell’ambiente, non era possibile stabilire una correlazione ‘certa’. La relazione tecnica ha inoltre evidenziato la presenza di altri potenziali fattori di rischio, come l’uso di pesticidi nella zona e il fumo di sigaretta da parte della madre durante la gestazione.

La decisione dei giudici di merito

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello hanno rigettato la domanda di risarcimento. Entrambi i giudici hanno ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova del nesso di causalità secondo la regola della ‘preponderanza dell’evidenza’. In altre parole, non era stato dimostrato che fosse ‘più probabile che non’ che la malformazione fosse stata causata dalle emissioni industriali, piuttosto che da altri fattori alternativi. La Corte d’Appello, in particolare, ha sottolineato come l’analisi dei dati scientifici disponibili non consentisse di affermare un aumento significativo di quel tipo di patologia nell’area in questione rispetto ad altre zone d’Italia o d’Europa.

Nesso causale inquinamento: l’analisi della Corte di Cassazione

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito riguardo al rigetto della domanda risarcitoria. I giudici supremi hanno dichiarato inammissibili e infondati i motivi di ricorso che criticavano la valutazione delle prove e delle risultanze della CTU. La Corte ha ribadito che il giudizio sulla causalità è una valutazione di fatto, riservata al giudice di merito, e non può essere ridiscussa in sede di legittimità se non per vizi logici o procedurali che, nel caso di specie, non sono stati riscontrati.

La questione delle spese legali

Tuttavia, la Cassazione ha accolto l’ultimo motivo di ricorso, che contestava la condanna del ricorrente al pagamento di tutte le spese legali di entrambi i gradi di giudizio. Il Tribunale di primo grado le aveva compensate, ma la Corte d’Appello aveva riformato questa decisione, applicando il principio della soccombenza.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione di cassare la sentenza sul punto delle spese, evidenziando l’assoluta novità della questione trattata. I giudici hanno osservato che la giustificazione per compensare le spese non deve necessariamente riguardare aspetti giuridici, ma può anche concernere la dimensione fattuale del caso. Nel caso specifico, la controversia presentava caratteristiche uniche per la sua dimensione territoriale e industriale, senza precedenti specifici nella giurisprudenza. Questo deficit probatorio sul nesso di causalità era strettamente legato al progresso scientifico e alle conoscenze epidemiologiche disponibili in un dato momento storico. Pertanto, la ‘novità’ della questione, intesa come complessità e assenza di precedenti fattuali, costituiva una ‘grave ed eccezionale ragione’ per derogare alla regola generale della soccombenza e disporre la completa compensazione delle spese di tutti i gradi di giudizio.

Le conclusioni

L’ordinanza ha due importanti implicazioni. In primo luogo, riafferma che nei casi di danno da inquinamento ambientale, la prova del nesso causale è estremamente rigorosa: non basta una semplice possibilità, ma serve una probabilità qualificata che escluda spiegazioni alternative altrettanto plausibili. In secondo luogo, stabilisce un principio di equità processuale: quando un cittadino affronta una causa contro un grande gruppo industriale su una questione fattuale complessa e senza precedenti, la cui risoluzione dipende dallo stato dell’arte della scienza, la sua sconfitta dovuta a un’incertezza probatoria può giustificare la compensazione delle spese legali. Si riconosce così che il processo, in certi contesti, esplora frontiere nuove dove l’esito non è scontato, e far gravare tutti i costi sulla parte che tenta di far valere un proprio diritto sarebbe iniquo.

Perché la richiesta di risarcimento per la malformazione è stata respinta?
La richiesta è stata respinta perché il ricorrente non è riuscito a dimostrare, secondo il criterio del ‘più probabile che non’, che la causa della sua malformazione fossero le emissioni industriali. La presenza di altre possibili cause alternative (come l’uso di pesticidi nella zona e il fumo della madre) e l’assenza di prove scientifiche conclusive non hanno permesso di stabilire un nesso causale sufficientemente forte.

È sufficiente dimostrare una ‘possibilità’ di collegamento tra inquinamento e danno per ottenere un risarcimento?
No. La Corte ha chiarito che una mera ‘possibilità’ logica o scientifica non è sufficiente. Per ottenere un risarcimento, il danneggiato deve provare una ‘probabilità qualificata’, dimostrando che l’evento dannoso è più probabilmente riconducibile alla causa indicata piuttosto che ad altri fattori, al punto da raggiungere una ‘certezza giudiziale’.

Perché la Corte di Cassazione ha deciso di compensare le spese legali nonostante il rigetto del ricorso nel merito?
La Corte ha compensato integralmente le spese legali di tutti i gradi di giudizio a causa della ‘assoluta novità della questione trattata’. Ha specificato che tale novità non era di natura giuridica, ma fattuale, legata alla specifica dimensione territoriale e industriale del caso, che non aveva precedenti giurisprudenziali. Questa circostanza è stata ritenuta una ‘grave ed eccezionale ragione’ per derogare alla regola generale della soccombenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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