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Nesso causale e colpa medica: la scelta chirurgica

Un paziente subisce una paralisi permanente a seguito di un intervento chirurgico alla schiena ritenuto non necessario. La Corte di Appello aveva escluso la responsabilità dei medici, ma la Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, chiarendo il corretto criterio di valutazione del nesso causale. Secondo la Suprema Corte, il giudizio deve verificare se la terapia alternativa meno rischiosa avrebbe evitato il grave danno (la paralisi), e non se avrebbe curato la patologia originaria.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Nesso Causale nella Colpa Medica: La Cassazione sulla Scelta Chirurgica Rischiosa

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale della responsabilità medica: come valutare il nesso causale quando un paziente subisce un danno gravissimo a seguito di un intervento chirurgico che, forse, non andava eseguito. La Corte di Cassazione, con una decisione illuminante, cassa la sentenza di secondo grado e chiarisce l’errore logico-giuridico nel quale possono incorrere i giudici di merito: confondere l’evento-guarigione con l’evento-danno.

I Fatti del Caso: Dall’Intervento alla Paralisi

Un paziente, sofferente di dolori alla schiena, dopo una prima visita che escludeva la necessità di un intervento chirurgico, si rivolge a un secondo specialista. Quest’ultimo diagnostica un’ernia discale bilaterale e consiglia l’operazione. Il paziente, fidandosi della diagnosi, si ricovera presso una clinica privata dove viene sottoposto all’intervento.

Immediatamente dopo l’operazione, però, iniziano a manifestarsi gravi complicazioni: difficoltà nella minzione e nella deambulazione, che evolvono rapidamente in una paresi degli arti inferiori. L’esito è drammatico: un’invalidità permanente del 100% e una conseguente sindrome depressiva. Il paziente cita in giudizio i medici e la struttura sanitaria per ottenere il risarcimento dei danni.

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale alla Cassazione

Il Tribunale di primo grado accoglie la domanda del paziente. Sulla base di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), riconosce la responsabilità dei convenuti: il primo medico per la scelta negligente di procedere con la chirurgia anziché con un trattamento non invasivo, e la struttura sanitaria per inadempimento del contratto di spedalità.

Tuttavia, la Corte d’Appello ribalta completamente la decisione. Pur ammettendo che la scelta conservativa fosse un’opzione, i giudici di secondo grado ritengono che il paziente non abbia provato il nesso causale tra la scelta chirurgica e il danno. Secondo la Corte, l’intervento era stato eseguito correttamente e il danno era una complicanza imprevedibile, forse legata a patologie pregresse. Inoltre, il paziente non aveva dimostrato che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato l’intervento.

La Valutazione del Nesso Causale secondo la Cassazione

La Suprema Corte accoglie il ricorso del paziente, ravvisando un grave errore nel ragionamento della Corte d’Appello. Il punto centrale della decisione è la corretta applicazione del giudizio controfattuale per l’accertamento del nesso causale.

L’Errore della Corte d’Appello

L’errore dei giudici di secondo grado è stato quello di porsi la domanda sbagliata. Essi si sono chiesti se la terapia conservativa (la condotta alternativa lecita) avrebbe garantito la guarigione dalla lombosciatalgia. Poiché in passato tale terapia non aveva dato risultati definitivi, hanno concluso che la scelta chirurgica non fosse causalmente rilevante.

Il Principio Corretto da Applicare

La Cassazione chiarisce che il giudizio controfattuale non va rapportato all’evento-guarigione, ma all’evento-danno concretamente verificatosi: la paralisi. La domanda corretta da porsi era: “se il paziente avesse seguito la terapia conservativa invece di sottoporsi all’intervento, avrebbe evitato la paralisi?”

Non guarire dalla lombosciatalgia è un evento completamente diverso dal subire una paralisi permanente. La condotta alternativa lecita (terapia meno invasiva) doveva essere valutata non per la sua efficacia curativa, ma per la sua capacità di evitare il rischio, poi concretizzatosi, di un danno ben più grave.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati i motivi di ricorso del paziente, sottolineando come la Corte d’Appello avesse travisato le conclusioni della CTU e omesso di considerare fatti decisivi, come il parere del primo medico che aveva sconsigliato l’intervento. L’errore principale, tuttavia, risiede nell’erronea applicazione dei principi sul nesso causale.

Il ragionamento della Corte d’Appello è stato definito “chiaramente viziato” perché ha confuso due piani distinti: l’efficacia terapeutica di un trattamento e la sua capacità di prevenire un danno. La scelta di un intervento chirurgico non strettamente necessario, e quindi più rischioso, diventa causalmente rilevante quando si verifica un danno che una terapia conservativa, seppur forse non risolutiva per la patologia originaria, avrebbe con ogni probabilità evitato. La colpa medica, in questo contesto, risiede proprio nella scelta di esporre il paziente a un rischio ingiustificato.

Le Conclusioni

La Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione. Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di responsabilità sanitaria: la valutazione della condotta medica non può limitarsi alla corretta esecuzione tecnica di un atto, ma deve estendersi alla adeguatezza e prudenza della scelta terapeutica a monte. Il giudizio sul nesso causale deve essere rigorosamente ancorato all’evento dannoso specifico lamentato dal paziente, verificando se una condotta alternativa e meno rischiosa sarebbe stata in grado di prevenirlo.

Come si accerta il nesso causale se un medico sceglie un intervento chirurgico rischioso invece di una terapia conservativa?
Bisogna utilizzare un ragionamento controfattuale chiedendosi se la condotta alternativa lecita (la terapia conservativa) avrebbe evitato il danno specifico che si è verificato (es. la paralisi), non se avrebbe curato la patologia iniziale.

È responsabile il medico se l’intervento chirurgico è eseguito correttamente ma causa un danno perché la scelta di operare era sbagliata?
Sì. Secondo la Corte, la responsabilità medica non riguarda solo l’esecuzione dell’intervento, ma anche la scelta a monte. Se si opta per un intervento chirurgico non necessario o più rischioso di un’alternativa valida, e da tale scelta deriva un danno evitabile, sussiste la responsabilità.

Qual è l’errore commesso dalla Corte d’Appello nel valutare il caso?
La Corte d’Appello ha erroneamente confuso l’evento-danno (la paralisi) con l’evento-guarigione (la cura della lombosciatalgia). Ha basato il suo giudizio sull’incerta efficacia curativa della terapia conservativa, invece di valutare se la stessa terapia avrebbe evitato il danno catastrofico poi subito dal paziente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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