Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6358 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6358 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 221/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in calce al controricorso,
nonché contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n.1573/2017 depositata il 28.11.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata l’8.10.2001, COGNOME NOME e COGNOME NOME, premettendo di essere proprietari per acquisto del 21.2.1989 di un immobile (mappale 16 del foglio 20 del NCT del Comune di Concesio), confinante con il lotto di proprietà (mappale 462 del foglio 20) della RAGIONE_SOCIALE, convenivano quest’ultima davanti al Tribunale di Brescia per sentir dichiarare che il confine tra le due proprietà non coincideva con l’attuale muro di recinzione, ma era ubicato all’interno del fondo della convenuta secondo le risultanze dell’estratto planimetrico catastale prodotto, con conseguente condanna della società alla rimozione dei manufatti e dei materiali collocati sulla striscia di terreno di proprietà degli attori che si trovava al di là di quel muro.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, che rilevava che il terreno acquistato aveva l’estensione risultante dalle mappe catastali, e sul lato nord aveva da sempre confinato con la proprietà degli attori tramite il muretto con recinzione, spiegando domanda riconvenzionale di usucapione della suindicata striscia di terreno, nonché domanda di garanzia nei confronti di COGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME sue danti causa, delle quali il Giudice adito autorizzava la chiamata in giudizio.
Si costituivano le chiamate in causa, che chiedevano il rigetto della domanda di garanzia e la propria estromissione, sostenendo che nell’atto di vendita del terreno alla RAGIONE_SOCIALE si era fatto generico riferimento alle mappe catastali e non a confini materiali specifici.
Con sentenza n. 90/2009, previo espletamento di CTU, il Tribunale di Brescia, qualificata l’azione esercitata come di regolamento dei confini, e non come rivendica, accertava che il confine tra le due proprietà era quello risultante dalla CTU, basatasi sulle mappe catastali, e per l’effetto, condannava la RAGIONE_SOCIALE alla rimozione della recinzione dalla proprietà dei Ceresoli, nonché dei manufatti e materiali collocati sulla striscia di terreno controversa, rigettando le domande di usucapione della medesima e di malleva della società, che condannava alle spese processuali in favore dei Ceresoli e delle chiamate in causa.
La RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la predetta sentenza, lamentando l’erronea qualificazione della domanda spiegata da parte attrice come azione di regolamento di confini e non come azione di rivendicazione, l’erronea valutazione degli atti di acquisto e dello stato dei luoghi, in quanto la RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato il terreno individuato sulla base del frazionamento approvato dall’UTE di Brescia del 19.3.1997 e sulla base del confine di fatto rappresentato dal muretto con recinzione sovrastante, e si doleva della mancata ammissione delle prove orali atte a dimostrare l’intervenuta usucapione della striscia di terreno, nonché l’erroneo rigetto della domanda di garanzia svolta nei confronti delle venditrici chiamate in causa.
Resistevano separatamente al gravame i COGNOME e le terze chiamate, concludendo entrambi per il rigetto dell’impugnazione.
Con la sentenza n. 1573/2017 del 10.7/28.11.2017, la Corte d’Appello di Brescia, in riforma della pronuncia di prime cure, confermata la qualificazione dell’azione dei Ceresoli come di
regolamento dei confini, ne rigettava però le domande. La Corte territoriale riteneva, infatti, sulla base delle risultanze istruttorie e del principio di non contestazione, che il confine dovesse ritenersi convenzionalmente determinato, per comportamento concludente degli attori e accettazione dello stato dei luoghi da parte dei proprietari confinanti dell’epoca, danti causa della RAGIONE_SOCIALE, quando era stata realizzata la recinzione in filo di ferro e paletti in legno, risalente a circa 20 anni prima della sua sostituzione ad opera dei Ceresoli, nella stessa posizione, col muretto con recinzione e cancellata, che già esisteva al momento dell’acquisto del terreno da parte della RAGIONE_SOCIALE nel 1997 e che ancora divideva fisicamente i due fondi.
Avverso la predetta sentenza COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso a questa Corte, articolato su sette motivi, e la RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME sono rimaste intimate.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale i ricorrenti e la controricorrente hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n.3) c.p.c., la violazione, mancata e/o falsa ed erronea applicazione degli artt. 950 cod. civ. e 1350 cod. civ. La Corte di Appello avrebbe erroneamente sussunto l’esistenza di un negozio di accertamento, per comportamento concludente, determinante il confine tra i due fondi, dalla mera circostanza della sostituzione della preesistente rete in filo di ferro con pali, con una nuova recinzione in muratura con sovrastante inferriata; ciò in violazione della stessa giurisprudenza di legittimità richiamata dalla Corte territoriale (Cass. n.7640/2009), che esclude che la stipulazione di un negozio di accertamento dei confini possa desumersi dalla semplice sostituzione di una nuova recinzione a quella preesistente, ed in violazione dell’art. 1350 n.1) cod. civ., che per gli atti di
trasferimento di beni immobili richiede la forma scritta a pena di nullità.
Il primo motivo, pur censurando in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. la violazione degli articoli 1350 n.1) cod. civ. sulla necessaria forma scritta dei contratti relativi al trasferimento di beni immobili, e dell’art. 950 cod. civ., relativo all’azione di regolamento di confini, é inammissibile, in quanto punta palesemente ad un terzo grado di giudizio di merito e ad una rivalutazione da parte di questa Corte, giudice di legittimità, delle risultanze istruttorie, che porti a negare l’esistenza del negozio di accertamento per comportamento concludente sul confine tra il mappale 16 del foglio 20 del NCT del Comune di Concesio, di proprietà di COGNOME NOME e COGNOME NOME, ed il mappale 462, che la RAGIONE_SOCIALE ha acquistato da RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME e COGNOME NOME, ravvisato dall’impugnata sentenza, senza assumere che quest’ultima abbia violato l’art. 950 cod. civ., che all’ultimo comma prevede che il confine sia determinato secondo le mappe catastali solo in mancanza di altri elementi.
La sentenza impugnata, infatti, in presenza di una non contestata divisione fisica dei due fondi (muretto in pietra sovrastato da un’inferriata realizzato dai Ceresoli nel 1992, in sostituzione di una precedente recinzione in filo di ferro e pali di legno esistente da tempo immemorabile avente la stessa posizione), accompagnata da una serie di elementi di prova espressivi della volontà degli originari attori e dei danti causa dei convenuti di considerare tale divisione come effettivo confine tra i fondi, ha ritenuto che sia intervenuto un negozio di accertamento del confine per comportamento concludente, non richiedente la forma scritta ad substantiam (vedi in tal senso le richiamate Cass. 30.3.2009 n.7640; Cass. 22.6.1967 n. 1496 e nello stesso senso Cass. 9.10.2012 n.17231, Cass. n. 8251/2009, Cass. n. 4437/2008, Cass. n. 4994/1997) e determinante il venir meno di
quell’incertezza soggettiva del confine, che in alternativa a quella oggettiva, ravvisabile quando manchi una divisione fisica tra i fondi, costituisce il presupposto dell’azione di regolamento dei confini, ed ha quindi ravvisato nel negozio di accertamento l’elemento ostativo al ricorso alle mappe catastali per l’individuazione del confine in questione.
2) Col secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la violazione, mancata e/o falsa applicazione degli artt. 950 e 2729 cod. civ. e 115 c.p.c.. La Corte distrettuale avrebbe erroneamente determinato il confine tra le due proprietà anziché sulle mappe catastali, sulla base di indizi privi dei caratteri di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ., indizi che, al contempo, non costituivano fatti notori. Secondo i ricorrenti, la ricostruzione del muretto con inferriata sovrastante nella medesima posizione della rete di recinzione in fil di ferro e pali di legno, dalla quale la Corte territoriale aveva fatto discendere l’esistenza di un accordo per comportamento concludente in ordine alla confinazione, non sarebbe riconducibile in via esclusiva ed univoca all’intenzione delle parti di definire una situazione giuridica incerta, ma potrebbe ricondursi ad esigenze pratiche di diverso tipo, che il Giudice di seconde cure avrebbe omesso di esaminare, fondando il proprio convincimento sulla mera esistenza del predetto accordo.
Il secondo motivo é inammissibile.
Anzitutto per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. , occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio (vedi ex multis Cass. 21.6.2024 n. 17157; Cass. sez. un. 30.9.2020 n.20867), per cui il richiamo fatto nel motivo a tale
violazione, per ottenere un diverso apprezzamento del materiale istruttorio, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., non é consentito.
Quanto alla violazione dell’art. 2729 cod. civ., tale disposizione stabilisce che le presunzioni, per essere utilizzate come mezzo di prova, devono essere gravi, precise e concordanti. Questi requisiti sono indispensabili affinché gli elementi presuntivi possano essere considerati idonei a dimostrare i fatti ignoti, seguendo il criterio dell'” id quod plerumque accidit “. La valutazione del rispetto di tali requisiti e dell’adeguatezza delle presunzioni è un’attività discrezionale che compete esclusivamente al giudice di merito e non può essere oggetto di riesame in sede di legittimità, se non nei casi in cui il giudice abbia fondato il proprio ragionamento su presunzioni che non rispettano i canoni di gravità, precisione e concordanza, o abbia basato la presunzione su un fatto storico privo di tali caratteristiche. La censura per violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ. è ammissibile, in sede di legittimità, solo quando il giudice di merito affermi esplicitamente che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti, o quando il ragionamento presuntivo sia fondato su un fatto storico che non soddisfi tali requisiti. Non è invece consentito, in sede di cassazione, proporre una diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o una inferenza probabilistica alternativa a quella adottata dal giudice di merito (vedi in tal senso Cass. 9.1.2025 n. 476; (Cass. n. 1234/2019; Cass. n. 12002/2017; Cass. n. 1216/2006).
Nella specie, l’impugnata sentenza é partita dal dato non contestato dell’esistenza tra i fondi delle parti originarie di un muretto in pietra sovrastato da un’inferriata, realizzato dai Ceresoli nel 1992 in sostituzione di una precedente recinzione in filo di ferro e pali di legno, esistente da tempo immemorabile ed avente la stessa posizione, che lascia accorpata al terreno della Fratelli COGNOME
RAGIONE_SOCIALE. una striscia di terreno, che secondo le mappe catastali farebbe parte del mappale 16 del foglio 20 del NCT del Comune di Concesio, di proprietà di COGNOME NOME e COGNOME NOME, ed in assenza di riferimenti dei titoli di acquisto delle parti originarie a confini materiali, ha ritenuto desumibile la volontà dei COGNOME, e dei danti causa della RAGIONE_SOCIALE, di concludere, per comportamento concludente, un negozio di accertamento volto ad eliminare l’incertezza sul confine tra i fondi, attraverso la sua individuazione nella divisione fisica realizzata in loco, da una serie di elementi di prova, non espressamente qualificati come indizi:
la presenza da tempo immemorabile già prima della realizzazione del muretto in pietra con inferriata sovrastante avvenuta nel 1992 da parte dei Ceresoli sulla loro proprietà, di una recinzione in filo di ferro con pali legno, esattamente nella stessa posizione, mai contestata dai proprietari dell’epoca;
la realizzazione da parte dei Ceresoli di una cancellata, che non consente loro di accedere, dalla loro proprietà recintata, alla striscia di terreno rimasta fisicamente accorpata alla proprietà, prima dei chiamati in causa, e poi della RAGIONE_SOCIALE
la mancata realizzazione su detta striscia non accessibile di una strada, o di altre opere apparenti indicative dell’esistenza su di essa di un passaggio a favore dei Ceresoli, o di terzi;
la mancanza di una recinzione, che separi materialmente la striscia di terreno suddetta, dalla proprietà, prima dei chiamati in causa e poi della RAGIONE_SOCIALE
il fatto che i Ceresoli non abbiano mai agito a tutela dell’asserito loro diritto di passaggio sulla striscia di terreno in questione;
il fatto che la RAGIONE_SOCIALE che ha fatto affidamento sullo stato dei luoghi apparente, abbia costruito il suo fabbricato rispettando la distanza di tre metri dal confine imposta dalla normativa locale, facendo riferimento proprio al muretto in pietra sovrastato da un’inferriata, realizzato dai Ceresoli nel 1992.
Tale ricostruzione della volontà negoziale dei Ceresoli e dei danti causa della RAGIONE_SOCIALE, é plausibile, e non può essere censurata in questa sede, atteso che la Corte d’Appello non si é limitata a prendere atto dell’esistenza da molti anni di una divisione fisica tra i fondi e della sostituzione del muro in pietra con inferriata alla precedente rete di recinzione con pali in legno da parte dei Ceresoli nel 1992, che da soli non sarebbero stati sufficienti a configurare un negozio di accertamento per comportamento concludente, ma ha svolto un’accurata indagine in fatto sul comportamento delle parti e sulle caratteristiche dei luoghi, dalla quale ha ricavato la risalente volontà dei proprietari confinanti, di eliminare l’incertezza soggettiva sul confine, tramite l’apposizione condivisa di una delimitazione fisica.
Quanto alla violazione dell’art. 950 cod. civ. si rinvia a quanto già esposto nella trattazione del precedente motivo.
3) Col terzo motivo i COGNOME lamentano, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n.5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La Corte di Appello non avrebbe esaminato le risultanze della CTU disposta in primo grado e i relativi chiarimenti, aventi carattere di decisività, in quanto il Tribunale aveva accolto le domande attoree sulla scorta della mappa catastale allegata alla CTU, omettendo di contestarne l’efficacia probatoria o di argomentare in ordine al proprio dissenso.
Il terzo motivo é inammissibile, in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che non ha ignorato il fatto che la CTU espletata in primo grado dal geometra COGNOME avesse accertato una collocazione del confine secondo le mappe catastali, diversa rispetto all’ubicazione del muretto in pietra con sovrastante inferriata che materialmente divide i fondi, ma ha ritenuto, in conformità all’ultimo comma dell’art. 950 cod. civ., di non potere fare riferimento al confine ricavabile dall’elemento sussidiario delle mappe catastali per la presenza di una divisione materiale dei
fondi, immutata da lunghissimo tempo, ritenuta frutto di un negozio di accertamento per comportamento concludente, sicché anche a volere ritenere riferita la censura ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., non alla mancata considerazione della CTU COGNOME, mero atto istruttorio, ma al fatto storico della diversa collocazione del confine secondo le mappe catastali, lo stesso non può ritenersi decisivo, per via dell’esistenza di un confine materiale prevalente sulle mappe catastali.
4) Col quarto motivo i ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 360, comma 1° n.4) c.p.c. della violazione, mancata e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. La Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda riconvenzionale di usucapione della striscia di terreno controversa spiegata dalla RAGIONE_SOCIALE, ritenendola assorbita per il rigetto dell’azione di regolamento dei confini dei Ceresoli. Al contrario, il Giudice di seconde cure avrebbe dovuto dichiararne l’inammissibilità ex art. 345 c.p.c., laddove ne avesse riscontrato la novità, in quanto formulata come mera eccezione in primo grado e riproposta solo in appello come vera e propria domanda riconvenzionale, o l’infondatezza, qualora l’avesse ritenuta proposta ab origine .
Il quarto motivo é infondato, perché a parte l’improprio richiamo all’ error in procedendo con la menzione dell’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. ed alla violazione dell’art. 112 c.p.c., che certo non sono ipotizzabili quando, sia pure in difformità rispetto alle aspirazioni di una parte, il giudice ritenga assorbita una domanda effettivamente proposta, anziché dichiararla inammissibile, o infondata, é evidente che la Corte d’Appello, una volta respinta l’azione di regolamento dei confini dei Ceresoli per la riconosciuta esistenza di un confine materiale tra i fondi delle parti originarie, frutto di un negozio di accertamento per comportamento concludente, e conseguentemente già ricompresa nella proprietà della RAGIONE_SOCIALE la striscia di terreno in contestazione, divisa
dal muro in pietra con inferriata dalla proprietà dei Ceresoli, ha ritenuto assorbita la domanda riconvenzionale di usucapione per essa avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE, non essendo ipotizzabile l’usucapione di cosa propria, e superfluo quindi l’esame dell’ammissibilità in rito e della fondatezza nel merito di quella domanda.
Col quinto motivo i ricorrenti censurano la pronuncia di secondo grado, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., per violazione, mancata e/o falsa ed erronea applicazione degli artt. 91, 92, 112, 113 e 132 c.p.c. La Corte di Appello avrebbe erroneamente posto le spese di lite interamente a carico dei Ceresoli, omettendo di considerare che anche la RAGIONE_SOCIALE dovesse considerarsi soccombente, stante l’inammissibilità o, quanto meno, l’infondatezza della domanda riconvenzionale di usucapione dalla stessa proposta, con conseguente compensazione delle spese processuali tra le parti.
Col sesto motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la violazione, mancata e/o falsa ed erronea applicazione degli artt. 1483, 1484 e 1485 cod. civ., 91, 92, 112, 113 e 132 c.p.c.. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente condannato i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite sostenute dalle terze chiamate nei due gradi di giudizio, in violazione del principio della soccombenza, atteso che la domanda di garanzia spiegata nei confronti di COGNOME, COGNOME e NOME avrebbe dovuto essere respinta per vizi suoi propri, con conseguente imputazione del pagamento delle predette spese a carico della chiamante.
7) Col settimo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n.3) c.p.c., la violazione, mancata e/o falsa ed erronea applicazione degli artt. 91, 92, 112, 113 e 132 c.p.c. Secondo i ricorrenti, la condanna dei Ceresoli alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle terze chiamate risulta ingiustificata
anche alla luce delle richieste dalle stesse formulate innanzi al Giudice di seconde cure, cui era stato domandato dalle terze chiamate il rigetto del gravame della RAGIONE_SOCIALE, con conseguente conferma della pronuncia del Tribunale. Pertanto, atteso il rigetto di detta domanda, anche le terze chiamate dovevano considerarsi soccombenti, con le relative conseguenze in punto di spese.
Il quinto, sesto e settimo motivo di ricorso, inerenti alla condanna alle spese processuali pronunciata per entrambi i gradi di giudizio a carico dei Ceresoli, sia in favore dell’originaria convenuta, la RAGIONE_SOCIALE sia in favore dei danti causa della stessa, chiamati in causa in garanzia, COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
Anzitutto una volta confermata, col rigetto del quarto motivo di ricorso, la pronuncia di assorbimento della domanda riconvenzionale di usucapione della striscia di terreno in contestazione avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE, con esclusione dell’inammissibilità, o infondatezza della stessa, viene a mancare tra gli originari attori e quella società quella soccombenza reciproca, che i ricorrenti hanno invocato per chiedere di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti originarie, in luogo della pronunciata loro condanna alla rifusione di tutte le spese processuali della RAGIONE_SOCIALE per soccombenza.
In secondo luogo, per quanto riguarda la condanna dei Ceresoli al pagamento delle spese processuali sostenute dai terzi chiamati in garanzia, COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che avevano venduto la proprietà alla RAGIONE_SOCIALE, va detto che l’impugnata sentenza ha correttamente applicato il principio della causalità giuridica.
Secondo l’indirizzo di questa Corte, il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad
un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass. sez. lav. 6.6.2024 n. 15852; Cass. n.9064/2018; Cass. n. 11423/2016; Cass. n. 6259/2014).
Nel caso di specie, il giudice di primo grado aveva accolto l’azione di regolamento dei confini e le domande conseguenziali dei Ceresoli nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, respingendo invece la domanda di manleva da questa avanzata contro i terzi chiamati, ritenuta incompatibile con la qualificazione dell’azione dei Ceresoli come azione di regolamento dei confini e non come rivendica, e condannando pertanto l’originaria convenuta al pagamento delle spese processuali sia in favore dei Ceresoli, che dei terzi chiamati.
In secondo grado, però, la sentenza del Tribunale di Brescia é stata totalmente riformata, in quanto l’azione ex art. 950 cod. civ. dei Ceresoli é stata respinta per la riconosciuta esistenza di un confine materiale tra i fondi, che era stato oggetto di un negozio di accertamento per comportamento concludente dei Ceresoli e dei danti causa della RAGIONE_SOCIALE, per cui i Ceresoli, in base all’esito finale della lite, sono stati considerati totalmente soccombenti, e condannati alle spese processuali del doppio grado, sia in favore della convenuta originaria, sia in favore dei terzi chiamati in causa, dei quali i Ceresoli, con la loro azione infondata, avevano provocato la chiamata in causa da parte della RAGIONE_SOCIALE (si é richiamata in proposito Cass. 10.11.2011 n.23552).
La sentenza impugnata, ha fatto quindi, applicazione del principio secondo il quale ” le spese del giudizio sostenute dal terzo chiamato
in garanzia, una volta che sia stata rigettata la domanda principale, vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità, che governa la regolamentazione delle spese di lite, anche se l’attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo, salvo che l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria ” (Cass. 21.6.2023 n. 17726; Cass. 17.9.2019 n. 23123; Cass. 8.2.2016 n. 2469; Cass. 2.10.2011 n. 23552).
Dal momento che la RAGIONE_SOCIALE aveva fatto affidamento sullo stato dei luoghi esistente, ma nel suo atto di acquisto da COGNOME, COGNOME e COGNOME NOME non si faceva alcun riferimento al confine materiale rispetto alla proprietà Ceresoli, la chiamata in causa, per far valere la garanzia per evizione, dei suoi danti causa, da parte dell’originaria convenuta, non poteva certo essere considerata palesemente arbitraria, tanto più che i Ceresoli avevano avanzato domande conseguenziali a quella di regolamento dei confini, di rimozione dei manufatti costruiti e dei materiali accumulati dalla RAGIONE_SOCIALE sulla striscia di terreno controversa vendutale.
Il fatto poi che, nel giudizio di secondo grado, i chiamati in causa, risultati già vittoriosi relativamente al rapporto processuale intercorso con la RAGIONE_SOCIALE ed alle relative spese processuali, avessero chiesto di respingere l’appello della stessa, dovendosi fare riferimento all’esito finale della lite, non esclude che siano stati comunque i Ceresoli a provocare con la loro iniziativa giudiziale infondata la chiamata in causa di COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME da parte della vittoriosa RAGIONE_SOCIALE dovendosi quindi applicare per le spese del doppio grado, come avvenuto, il principio della causalità giuridica.
In base al principio della soccombenza, i ricorrenti vanno condannati in solido al pagamento delle spese processuali del
giudizio di legittimità in favore della RAGIONE_SOCIALE, liquidate in dispositivo, mentre nulla va disposto per i chiamati in causa, rimasti intimati.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso di COGNOME NOME e COGNOME NOME e li condanna in solido al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed € 3.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n.115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6.3.2025