Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31662 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 31662 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 3621/2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale rilasciata in calce al ricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente –
contro
Comune di Capri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv . NOME COGNOME in forza di procura su foglio separato al controricorso, contenente ricorso incidentale, il quale
dichiara di voler ricevere le comunicazioni e gli avvisi di cancelleria all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
– controricorrente-ricorrente incidentale –
E
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE – ), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e, anche disgiuntamente, dall’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente-
E
RAGIONE_SOCIALE e A.RAGIONE_SOCIALE.O. (Ambito Territoriale Ottimale) Sarnese Vesuviano, RAGIONE_SOCIALE in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore
-intimati –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 383/2021 depositata in data 3/2/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5/12 /2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La fornitura d’acqua potabile alla popolazione di Capri è assicurata attraverso una rete di distribuzione locale collegata alla terraferma per mezzo dell’acquedotto sottomarino, realizzato dalla Cassa per il Mezzogiorno (CASSMEZ), ora gestito dalla regione Campania.
Gli impianti intermedi tra l’acquedotto sottomarino e la rete di distribuzione sul territorio comunale sono gestiti dal servizio acquedottistico del Comune di Capri, in affidamento dalla Regione.
La rete di distribuzione, invece – che è quella che rileva in questa sede – era prima gestita dalla RAGIONE_SOCIALE ed ora risulta affidata la società a capitale pubblico maggioritario RAGIONE_SOCIALE
Proprio in previsione della realizzazione dell’acquedotto sottomarino, finanziato dalla RAGIONE_SOCIALE, il Comune decideva di regolamentare la fase transitoria di gestione del servizio pubblico con le convenzioni n. 292 e 293 del 12/7/1973.
La RAGIONE_SOCIALE era proprietaria degli impianti, costituiti da tubazioni di medio e piccolo diametro, costituenti l’intera rete acquedottistica servente il territorio comunale. Era dunque titolare della rete di distribuzione idrica, non collegata alla terraferma.
In particolare, con la convenzione n. 292 il Comune acquisiva la disponibilità gratuita della rete di distribuzione.
Con la convenzione n. 293, sempre del 12/7/1973, il Comune affidava il servizio di distribuzione idropotabile, con connessa attività di esazione, e con gli impianti di cui alla convenzione n. 292, alla RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE
Veniva, poi, stipulato l’accordo integrativo n. 298, con il quale la RAGIONE_SOCIALE doveva fare i lavori di allacciamento delle nuove utenze alla rete di distribuzione e stipulare contratti di fornitura «in nome e per conto del Comune di Capri».
Nell’accordo integrativo n. 298 era inserita la clausola, dirimente per la controversia in esame, per cui il Comune di Capri, alla scadenza della convenzione, «avrebbe riconsegnato alla SIPPIC gli impianti e la rete di distribuzione nelle condizioni in cui le stesse si troveranno».
La concessione aveva durata biennale, con proroghe annuali automatiche, salvo disdetta.
Gli incassi del servizio dovevano essere riversati al Comune, che corrispondeva alla SIPPIC il corrispettivo in ragione del volume d’acqua distribuita.
Con delibera n. 386 del 27/6/1988 il Comune comunicava la disdetta, a partire dal 1/1/1989.
Allo stesso modo, la RAGIONE_SOCIALE comunicava la propria disdetta in data 29/9/1988,
3.1. Tuttavia, dal 1/1/1989 la RAGIONE_SOCIALE continuava a gestire la rete di distribuzione, nonostante le intervenute disdette reciproche.
Il Comune di Capri in data 19/12/1995 comunicava alla RAGIONE_SOCIALE, a mezzo di atto stragiudiziale, la volontà di assumere la gestione del servizio a partire dal 1996, invitando la società a mettere a disposizione gli impianti, le strumentazioni, i ruoli di riscossione e quanto necessario alla distribuzione idrica e alla sua gestione.
Il Comune, inoltre, con la delibera n. 68/96 costituiva una società con prevalente capitale pubblico per la gestione dei servizi sull’isola di Capri, ossia la RAGIONE_SOCIALE, che entrava nella disponibilità della rete idrica.
Sorgeva una controversia sia in ordine all’individuazione dell’effettivo titolare della rete di distribuzione, una volta cessate le convenzioni stipulate nel 1963, sia in relazione al versamento al Comune degli incassi conseguiti dalla SIPPIC con la gestione del servizio idrico.
Il Comune di Capri, con atto di citazione dell’11/6/1996, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, che dava luogo all’iscrizione nel R.G. n. 6277/1996, chiedeva -per quel che ancora qui rileva – al tribunale di Napoli: «1) condannarsi la RAGIONE_SOCIALE a consegnare al Comune di
Capri tutti gli impianti, strumenti, beni, documenti, ruoli, atti contabili amministrativi e tutto quanto altro costituente il complesso di beni a mezzo dei quali si espleta il pubblico servizio di distribuzione idropotabile ; 2) condannarsi la stessa a fornire al Comune il rendiconto della gestione di fatto del pubblico servizio in questione dal 1/1/89 alla data della sua materiale cessazione; 3) condannarsi la SIPPIC a versare al Comune le somme dalla SIPPIC riscosse dagli utenti 6) dichiararsi che il complesso di beni (rete di distribuzione, impianti, contatori e quant’altro) costituente la rete di distribuzione idrica attualmente gestita di fatto dalla RAGIONE_SOCIALE non è di proprietà della stessa o, in subordine, dichiararsi che la parte già di proprietà di RAGIONE_SOCIALE è divenuta di proprietà comunale al termine del periodo di concessione del pubblico servizio, emettendo pertanto sentenza dichiarativa dell’avvenuto trasferimento ».
Il Comune presentava ricorso ex art. 700 c.p.c. in data 16/2/1998, deducendo «l’abnormità della pretesa della SIPPIC di continuare a riscuotere dalla cittadinanza caprese i corrispettivi della fornitura idropotabile, nonché i canoni di depurazione fognatura».
Il Tribunale di Napoli in data 17/3/1998 accoglieva il ricorso «ordina alla RAGIONE_SOCIALE di cessare immediatamente l’emissione di fatture o bollette, nonché ogni altra forma di richiesta e accettazione di pagamenti, nei confronti dei cittadini del Comune di Capri a titolo di corrispettivo per lo svolgimento del servizio di distribuzione idrica » e «inib alla SIPPIC di ostacolare l’attività di riscossione dei canoni dagli utenti ed ogni altra attività compiuta dal Comune di Capri nell’esercizio del servizio pubblico di distribuzione idrica».
Il reclamo veniva rigettato.
Il Comune di Capri chiedeva passarsi alla fase di merito, con la dichiarazione dell’inesistenza del diritto di SIPPIC alla gestione del
servizio idrico, oltre che dell’inesistenza del diritto di RAGIONE_SOCIALE alla riscossione dei corrispettivi della fornitura idrica dei canoni (RG n. 5160 1998).
La RAGIONE_SOCIALE, oltre a richiedere l’autorizzazione alla chiamata in causa della RAGIONE_SOCIALE e dell’ATO (Ambito Territoriale Ottimale) Sarnese Vesuviano, proponeva domanda riconvenzionale con comparsa del 5/11/1998, chiedendo, oltre alla riunione del giudizio con quello relativo alla proprietà della rete idrica (n. 6777/96), la condanna del Comune di Capri e della RAGIONE_SOCIALE «al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE di tutte quelle somme percette dagli utenti capresi durante il periodo di loro gestione nonché a titolo di risarcimento danni di quelle somme che saranno accertate durante il corso del giudizio».
Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda tesa all’accertamento della proprietà della redistribuzione in capo al Comune, come pure quella di rendiconto proposta dal Comune di Capri (domanda n. 2 della citazione), mentre accoglieva la domanda n. 3 del Comune, nel giudizio n. 6277 del 1996, dichiarando che RAGIONE_SOCIALE era tenuta a versare al Comune le somme riscosse dagli utenti nel periodo dalla data di costituzione di Capri RAGIONE_SOCIALE (inizio 1996) alla data del 17/3/1998, ossia la data dell’adozione del provvedimento cautelare, provvedendo ad una liquidazione equitativa in euro 850.000,00. Veniva esclusa la restituzione per il periodo precedente dal 1989 al 1995.
9.1. In particolare, quanto al diritto di proprietà, il tribunale rilevava che «il diritto dominicale vantato dalla SIPPIC sulla rete acquedottistica già prima che intervenissero gli atti concessori suddetti è certo e non è nemmeno oggetto di contestazione tra le parti; sicché, al termine della concessione in uso al Comune della rete, la SIPPIC, in quanto proprietà degli impianti, aveva il diritto a
vedersi restituire gli impianti tutti, comprensivi anche delle eventuali migliorie apportate dall’ente locale». Insomma – ad avviso del tribunale – «secondo quanto voluto dalle parti negli atti convenzionali gli impianti acquedottistici avrebbero dovuto essere riconsegnati alla RAGIONE_SOCIALE, legittima proprietaria, al termine della convenzione; a nulla rilevando che il Comune stesso possa avere nel corso degli anni esteso la superficie della rete acquedottistica, considerando che eventuali adduzioni, proprio in base all’art. 4 della convenzione di cui sopra, andavano restituite alla RAGIONE_SOCIALE quale proprietaria della rete originaria. Ne deriva che era la società, e non il Comune, a poter acquisire per accessione le adduzioni realizzate, in quanto imprescindibili dall’impianto già esistente ed insuscettibili di autonoma utilizzazione».
9.2. In ordine alla richiesta di rendiconto della gestione per il periodo dal 1989 al 19/3/1998, data di emissione del provvedimento cautelare adottato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, il tribunale rilevava che la domanda «non appare accoglibile per avvenuta prestazione, documentalmente attestata, della rendicontazione del servizio reso dal 1989 al 1995». Specificava, peraltro, che quanto «alla condanna dei rendiconti e alla condanna al pagamento degli importi riscossi, il Comune aveva proposto in precedenza analoghe domande in giudizi riuniti iscritti con i numeri 1228/92 e 17905/93, l’ultimo dei quali definito con sentenza n. 5717/10, di accertamento dell’obbligo della SIPPIC di versare al Comune di Capri l’importo di euro 1.456.851,57, a titolo di canoni acquedottistici per il periodo dal 1989 al 1992».
9.3. Veniva, invece, accolta -come già evidenziato sopra – la domanda di cui al n. 3 dell’atto di citazione con riguardo al versamento «delle somme che la RAGIONE_SOCIALE ha riscosso dagli utenti per la gestione di fatto, non autorizzata, del servizio pubblico».
Pertanto, in dispositivo il tribunale statuiva «dichiara la convenuta tenuta a versare al Comune le somme riscosse dagli utenti capresi nel periodo dalla data di costituzione della RAGIONE_SOCIALE (inizi 1996) alla data del 17/3/1998».
9.4. Inoltre, aggiungeva il tribunale – con riferimento alla spettanza alla SIPPIC del nolo dei contatori e dell’aggio vizio prestato- che « il CTU nella determinazione dei canoni, si è limitato ad estrapolare il numero riportato nei registri di riscossione dall’utenza, senza operare, come sarebbe stato giusto, la necessaria decurtazione di quanto spettante al gestore per l’aggio relativo al servizio reso e ai noli dei contatori, appare equo ridurre ad euro 850.000,00 la somma suddetta, assumendo il parametro peritale come punto di riferimento per una liquidazione equitativa», all’attualità, con la maggiorazione degli interessi legali decorrenti dalla decisione al saldo.
9.5. Quanto alla domanda riconvenzionale presentata dalla RAGIONE_SOCIALE nel procedimento n. 5160 del 1998, «il tutto per essersi il Comune, e per esso la RAGIONE_SOCIALE, impossessatosi della propria rete acquedottistica, in violazione dell’art. 4 della convenzione del 1963 che obbligava l’ente a restituire alla SIPPIC tutti gli impianti concessi in uso gratuito, nello stato in cui si trovavano», il tribunale affermava che «non risulta formulata una domanda di pagamento di una indennità per l’uso della rete stessa» e che «il danno dovuto alla mancata restituzione non può meramente presumersi dovendo in ogni caso provarsi cosa che la SIPPIC comunque non ha fatto».
Avverso tale sentenza proponeva appello principale la RAGIONE_SOCIALE (RG n. 4968/2013), sulla base di due motivi.
10.1. Con il primo motivo la RAGIONE_SOCIALE chiedeva accertare «l’occupazione senza titolo degli impianti e della rete idrica della RAGIONE_SOCIALE, condannare il Comune di Capri, in solido con gli altri
appellati, al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE dell’importo di euro 19.071.724,83 corrispondente all’indennizzo per utilizzo sine titulo della rete è esclusiva proprietà della società appellante».
La domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni sarebbe stata presentata con la comparsa di costituzione, e dunque la SIPPIC chiedeva «l’accoglimento di detta domanda risarcitoria, determinando il danno sulla base del 5% del valore venale dei beni ex art. 42 bis del T.U. Espropriazioni nella somma di euro 2.431.531,24».
10.2. Con il secondo motivo di appello principale la SIPPIC chiedeva respingersi «La domanda del Comune di Capri di pagamento degli importi incassati utenti per i lavori idrici nel periodo 1/1/96-17/3/98 in quanto non provata, ed in via meramente subordinata determinare l’importo da restituire, valutato all’attualità in euro 503.616,32». Era dunque ingiustificata la liquidazione del danno effettuata dal tribunale in favore del Comune in via equitativa.
La determinazione delle somme doveva avvenire non in base alle fatture emesse, ma alle somme effettivamente riscosse, come accaduto nel periodo ricompreso tra primo bimestre 1996 e il VI bimestre 1998, con «bollette» emesse per euro 760.751 e le somme riscosse pari ad euro 654.700,00, «ossia l’effettiva somma alla quale il giudice di prime cure avrebbe dovuto far riferimento ai fini della determinazione del quantum da restituire, previa sottrazione degli importi per nolo contatori, per aggio spettante all’azienda erogatrice del servizio e per i lavori di manutenzione».
Proponeva appello incidentale il Comune di Capri sulla base di cinque motivi.
11.1. Con il primo motivo il Comune chiedeva «accertare e dichiarare la insussistenza del diritto di proprietà di RAGIONE_SOCIALE sul complesso dei beni […+ costituente la rete di distribuzione idrica».
Le adduzioni spettavano al Comune, non potendosi applicare l’art. 934 c.c. Trattavasi, infatti, di beni mobili, tali essendo sia la rete di distribuzione idrica, sia le adduzioni. Le adduzioni facevano parte del demanio comunale.
11.2. Con il secondo motivo di appello incidentale censurava la sentenza di prime cure che aveva rigettato la richiesta di restituzione, in quanto, ad avviso del ricorrente, «la Cassa per il Mezzogiorno prima, ed il Comune, poi, hanno realizzato, in via esclusiva, i notevoli interventi di ampliamento della rete idrica comunale e che la proprietà di tali opere spetti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 822 e 824, all’amministrazione comunale in via esclusiva».
11.3. Con il terzo motivo di appello incidentale il Comune rilevava che lo stesso tribunale aveva affermato che non vi era stata espressa richiesta di SIPPIC per la restituzione del bene.
11.4. Con il quarto motivo di appello incidentale il Comune censurava la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva rigettato la domanda di condanna della SIPPIC a fornire il rendiconto della gestione di fatto del pubblico servizio dal 1/1/89 alla data della sua materiale cessazione, nonché la domanda di condanna della SIPPIC a versare al Comune le somme riscosse dagli utenti.
Il Comune chiedeva i rendiconti dall’1/1/1989 alla cessazione della gestione (per l’intero periodo), con la restituzione dei canoni riscossi per gli anni 1993, 1994 e 1995 e non quindi soltanto per il periodo 1996-17/3/1998, come aveva fatto il tribunale.
11.5. Con il quinto motivo di appello incidentale del Comune evidenziava che il tribunale aveva accolto la domanda di restituzione «dei canoni riscossi limitatamente al periodo 1996-1998», operando, tra l’altro, «una riduzione in via equitativa».
Il quinto motivo di appello incidentale veniva suddiviso in tre profili autonomi:1) errata valutazione equitativa compiuta dal tribunale; 2) mancata prova dei costi sostenuti dal gestore RAGIONE_SOCIALE per l’aggio e per il nolo contatori; 3) interessi legali da ricondurre all’avvenuta riscossione dei singoli canoni, quale indebito soggettivo, sussistendo la malafede di RAGIONE_SOCIALE, e non dalla decisione al saldo.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 383 del 3/2/2021, accoglieva in parte l’appello proposto dal Comune di Capri in relazione ai motivi quarto e quinto, rigettando i motivi primo e secondo, e dichiarando inammissibile il terzo, mentre accoglieva solo in parte l’appello della RAGIONE_SOCIALE in relazione alla valutazione equitativa compiuta dal tribunale, senza tenere conto, però, delle spese per il nolo dei contatori (ma considerando quelle per i lavori di manutenzione), con esclusione del compenso, trattandosi di gestione d’affari altrui, con carattere di gratuità.
12.1. In particolare, la Corte d’appello rigettava il primo motivo di gravame del Comune di Capri, in quanto dalla convenzione del 1963 emergeva che il Comune, alla scadenza della stessa, «avrebbe riconsegnato alla SIPPIC gli impianti e la rete di distribuzione nelle condizioni in cui le stesse si troveranno».
Pertanto – a giudizio della Corte di merito – «tale riconsegna avrebbe dovuto avere necessariamente ad oggetto tutta la rete nelle condizioni esistenti a quella data e quindi comprese le dette adduzioni, anche perché queste ultime sarebbero state e sono effettivamente divenute imprescindibili dall’impianto già esistente ed insuscettibile di autonoma utilizzazione».
In ogni caso, l’estensione della titolarità anche alle adduzioni doveva ritenersi verificata ex lege , ai sensi dell’art. 934 c.c., che prevede l’accessione delle cose mobili agli immobili e, tra gli immobili,
dovevano essere richiamati proprio gli acquedotti e la rete idrica di distribuzione.
Non si comprendeva perché le adduzioni dovessero rientrare nella formulazione dell’art. 822 c.c., in tema di demanio pubblico, esclusivamente perché le opere eseguite sarebbero state realizzate con fondi pubblici.
Nella specie era incontestato che la rete di distribuzione fosse di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, quantomeno dal 1967.
12.2. Veniva conseguentemente rigettato anche il secondo motivo relativo alla domanda restitutoria presentata dal Comune, essendo le adduzioni di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, unitamente alla rete di distribuzione.
12.3. Veniva dichiarato inammissibile il terzo motivo formulato dal Comune, in quanto il tribunale, aveva affermato, seppure solo in via incidentale, la sussistenza del diritto della RAGIONE_SOCIALE alla restituzione dei beni, benché tale «diritto però non è stato espressamente azionato».
Trattavasi, infatti, di affermazione «meramente ipotetica ed eventuale, in quanto il tribunale poi precisa che la medesima società non aveva in realtà azionato lo stesso».
12.4. Veniva invece accolto il quarto motivo del Comune.
Con riferimento al mancato adempimento all’obbligo di rendiconto, la Corte territoriale rilevava che il Comune di Capri ne aveva formulato domanda per tutto il periodo di gestione di fatto del servizio idrico, a partire dal 1989, a seguito della scadenza e cessazione del rapporto concessorio, fino alla sua cessazione, avvenuta il 19/3/1998 con l’emanazione del provvedimento cautelare.
Il tribunale aveva ritenuto assolto l’obbligo di rendiconto fino al 1995, ma il Comune evidenziava che erano stati «depositati soltanto dei registri senza alcun documento giustificativo».
La Corte d’appello rimarcava che erano stati «prodotti soltanto i registri dei corrispettivi e relativi ai soli anni dal 1996 al 1998 non anche per il periodo anteriore dal 1993 al 1995». Pertanto, in relazione al periodo 1993-1995 «il rendiconto non stato in realtà reso dalla SIPPIC ».
Per il periodo dal 1996 al 1998 la RAGIONE_SOCIALE aveva prodotto in giudizio i registri dei corrispettivi, nonché alcuni tabulati interni «privi di vidimazione, riportanti la lista degli utenti che hanno provveduto al pagamento delle bollette dei consumi idrici soltanto nel bimestre «settembre/ottobre ’97 e novembre /dicembre ’97».
Inoltre, si sottolineava che trattavasi di corrispettivi «fatturati e non effettivamente riscossi», mancando peraltro «gli estratti C/C dedicato agli accrediti degli utenti relativi al versamento di tali canoni».
Per tale ragione, il giudice di merito reputava che «anche per il periodo di gestione dal 1996 al 1998 la RAGIONE_SOCIALE non abbia reso in modo completo il proprio rendiconto al Comune di Capri».
12.5. La Corte d’appello, poi, affrontava congiuntamente il «secondo profilo del quarto motivo», con il quale il Comune censurava la sentenza sul quantum debatur nella parte in cui «ha integralmente rigettato la domanda di restituzione dei canoni riscossi per il periodo 1993-1995», unitamente al quinto motivo, che era stato costruito sotto tre diversi profili: a) nella parte in cui il tribunale, pur accogliendo la domanda di restituzione dei canoni riscossi limitatamente al periodo 1996/1998, aveva però «operato una riduzione in via equitativa (per aggio, nolo contatori, e lavori di manutenzione) non ammissibile per una domanda di restituzione e
non risarcitoria»; b) per vizio di ultrapetizione, in quanto, in assenza di espressa domanda e/o eccezione sul punto da parte della RAGIONE_SOCIALE, il tribunale aveva «proceduto a tale riduzione dell’importo che detta società avrebbe dovuto riversare in favore dell’amministrazione comunale»; c) per aver operato tale riduzione «nonostante i relativi costi sostenuti dal gestore non sarebbero stati provati».
La Corte territoriale affrontava unitariamente anche la seconda censura dell’appello principale RAGIONE_SOCIALE, nella parte in cui il tribunale aveva «in modo assolutamente ingiustificato determinato in via equitativa a norma dell’art. 1226 c.c. tutti i canoni acquedottistici nel relativo periodo nonché pervenendo ad un’errata determinazione degli importi, in quanto la SIPPIC non avrebbe dovuto versare l’importo di fatturazione bensì solo le somme effettivamente riscosse dagli utenti». Tanto che la SIPPIC aveva dichiarato la «somma di euro 654.700,00 nel periodo compreso tra il primo bimestre 1996 e il VI bimestre 1998, da restituire, previa sottrazione degli importi per nolo contatori, per aggio e per i lavori di manutenzione».
La Corte d’appello, dopo aver ritenuto adempiuto l’obbligo di rendiconto fino al 1995 (tra l’altro errando perché nulla era stato prodotto), aveva nel dispositivo rigettato tutti i capi della domanda del Comune, e dunque anche la «domanda di restituzione dei canoni riscossi nel periodo di gestione dal 1993 al 1995».
Mentre in relazione al periodo di gestione successivo, cioè dal 1996 al 1998 (data di emissione del provvedimento cautelare), il tribunale aveva condannato la RAGIONE_SOCIALE restituire al Comune di Capri la somma di euro 850.000,00 sulla base della CTU.
Per la Corte d’appello era fondato il secondo profilo del quarto motivo del Comune di Capri.
Ciò perché era «incontestato dalle parti che la RAGIONE_SOCIALE gestito il servizio pubblico di distribuzione idropotabile sul territorio
del Comune di Capri, la cui titolarità in capo a quest’ultimo costituisce oggetto di affermazione del giudice di primo grado non appellata e su cui quindi è caduto il giudicato fra le parti, così come è caduto il giudicato sulla debenza ( an debeatur ) al Comune da parte della SIPPIC dei canoni riscossi dagli utenti».
Vi era dunque formazione del giudicato interno sia in ordine alla gestione di fatto del servizio di distribuzione dell’acqua da parte della SIPPIC, sia con riferimento al diritto del Comune di ottenere la restituzione dei canoni riscossi dagli utenti da parte della SIPPIC.
Per tale ragione – ad avviso della Corte territoriale – «il giudice di primo grado avrebbe anche dovuto determinare nel quantum l’importo dei canoni riscossi nel periodo di gestione 1993-1995».
Tra l’altro, la RAGIONE_SOCIALE, con il secondo profilo del secondo motivo aveva chiesto di tenere conto, nel perimetrare l’obbligo di restituzione, solo delle «somme effettivamente riscosse dagli utenti», mentre nel periodo compreso tra il primo bimestre 1996 e il VI bimestre 1998 «a fronte di euro 760.751,00 di fatturato per bollette emesse per consumi idrici per complessivi, la stessa aveva in realtà incassato euro 654.700,00», da cui detrarre i costi per nolo contatori, per aggio e per lavori di manutenzione.
14. In ordine al quinto motivo di appello del Comune, unitariamente considerato per i tre profili già individuati, in relazione al periodo di gestione dal 1993 al 1995, la Corte d’appello affermava che il quantum spettante al Comune poteva ricavarsi in proporzione al quantum determinato per il periodo dal 1996 al 1998, affrontando unitariamente sia il motivo proposto dal Comune sia quello proposto da SIPPIC (secondo motivo, perché il primo costituiva domanda nuova, come vedremo).
La Corte muoveva dalla qualificazione della gestione di fatto da parte della RAGIONE_SOCIALE dal 1/1/1989 (dopo la disdetta del Comune n. 386
del 26/6/1988, a decorrere dal 1/1/1989) al 19/12/1995, quando il Comune comunica di voler assumere la gestione della rete, con la successiva costituzione della RAGIONE_SOCIALE con delibera n. 68 del 1996, che entra nella disponibilità della rete idrica.
Si trattava, allora, di negotiorum gestio ex art. 2028 c.c. in quanto la RAGIONE_SOCIALE, era consapevole, a seguito della cessazione del rapporto concessorio, che stava ormai gestendo un servizio pubblico senza averne più legittimazione, della altruista dell’affare.
Sussistevano poi requisiti della absentia domini , ossia la mancanza di opposizione o divieto del Comune di Capri (quale dominus) e dell’ utiliter coeptum, inteso come utilità per il dominus.
In relazione a tale periodo trovavano applicazione le norme sul mandato ai sensi dell’art. 2030 c.c., quindi con riferimento all’art. 1713 c.c. il gestore RAGIONE_SOCIALE era obbligato al rendiconto nei confronti del proprietario Comune di Capri.
Sussisteva anche la ratifica da parte dell’interessato per il periodo successivo (dal 1996 al 1998), in quanto il Comune con la comunicazione alla SIPPIC in data 19/12/95 aveva inteso assumere la gestione del servizio a partire dal 1996, con implicita ratifica della gestione svolta «dal 1996 in poi», avendo il Comune richiesto, anche per il periodo dal 1996 al 1998, la restituzione dei canoni riscossi durante tale gestione di fatto e non anche il risarcimento del danno.
15. Quanto alla determinazione degli importi, poiché per il periodo dal 1993 all’aprile 1996 non era stata prodotta alcuna documentazione, mentre per il periodo successivo dal maggio 1996 all’aprile 1998 erano stati prodotti registri dei corrispettivi Iva, ma non anche i registri relativi alle somme effettivamente riscosse, occorreva procedere a determinare quanto dovuto al Comune per il periodo dal 1996 al 1998, utilizzando le risultanze della CTU.
L’unico dato attendibile era costituito dall’ammontare complessivo dei corrispettivi «emessi dalla SIPPIC» nel periodo maggio 1996/marzo 1998 pari a lire 1.857.407.020, pari ad euro 959.270,67. Il corrispettivo per il nolo dei contatori era di lire 13.611.830,00, pari ad euro 7029,92. Il corrispettivo maturato dalla SIPPIC era pari ad euro 67.321,18.
Pertanto, la somma dei corrispettivi emessi dalla RAGIONE_SOCIALE a titolo di canoni acquedottistici nel periodo suindicato, al netto del nolo contatori e dell’aggio risultava pari ad euro 884.908,97.
Questa somma non veniva utilizzata immediatamente ai fini del calcolo, ma serviva come punto di riferimento successivo.
L’unico dato certo di effettiva riscossione proveniva, però, dal fatto che la stessa RAGIONE_SOCIALE, pur non contestando di avere gestito il servizio pubblico anche nel periodo dal 1993 all’aprile 1996, aveva però ammesso per il periodo successivo «di aver riscosso la somma nel periodo compreso tra il primo bimestre 1996 e il VI bimestre 1998, a fronte di euro 760.751,00 di fatturato per bollette emesse per consumi idrici per complessivi, aveva in realtà incassato euro 654.700,00».
Pertanto, la percentuale di incasso su quanto fatturato era di circa l’86,6%.
L’86,06% di euro 760.751,00 era pari ad euro 654.700,00.
Tale fatturato dichiarato dalla RAGIONE_SOCIALE non corrispondeva a quello di entità superiore risultante dai registri dei corrispettivi prodotti alla stessa.
Per tale ragione la Corte d’appello reputava di potere e dovere determinare anche gli importi riscossi nel periodo dal maggio 1996 all’aprile 1998 «sulla base parametrica della suindicata percentuale dell’86,06% ma applicata al complessivo importo dei corrispettivi emessi e fatturati dalla RAGIONE_SOCIALE quali risultanti dai detti registri
esaminati dal CTU e cioè l’importo di euro 959.270,67, percentuale così corrispondente all’importo di euro 825.548,34».
15.1. Con riguardo al periodo precedente, e quindi al periodo dal 1993 al 1995, oltre i mesi del 1996 precedenti a quelli esaminati dal CTU, e quindi da gennaio 1996 ad aprile 1996, per i quali non erano stati acquisiti registri di alcun tipo, si doveva procedere «ad una quantificazione presuntiva parametrica.
Pertanto, considerato che il numero di bimestri ricompresi nel secondo periodo di gestione (maggio 1996-aprile 1998) era pari al n. 11,5, suddividendo la corrispondente somma sopra determinata pari ad euro 825.548,34 per i bimestri ricompresi in tale periodo, si ricavava la somma di euro 71.786,81, corrispondente all’importo presuntivamente riscosso in ciascun bimestre.
Di qui, moltiplicando quell’unità di misura al numero dei bimestri ricompresi nel periodo precedente (dal 1993 ad aprile 1996) e cioè al n. 20 bimestre, si otteneva la somma di euro 1.435.736,20, che «d ritenersi presuntivamente La somma riscossa a titolo di canoni-acqua dalla SIPPIC, nel periodo di gestione di fatto del servizio de quo dal 1993 ad aprile 1996».
Quanto al profilo del quinto motivo d’appello del Comune riguardante la deduzione dei costi sopportati da RAGIONE_SOCIALE (secondo profilo – ultrapetizione), per aggio, nolo contatori e lavori di manutenzione, la Corte territoriale lo reputava infondato con riferimento al nolo contatori e fondato per i lavori di manutenzione.
Non v’era stata alcuna ultrapetizione in relazione alla richiesta dalla RAGIONE_SOCIALE per le spese sostenute per il nolo contatori e manutenzione della rete, come si ricavava dalla comparsa di costituzione della società.
In relazione, poi, al terzo profilo del quinto motivo d’appello del Comune, in ordine alla mancanza di prova dei costi sopportati dalla
RAGIONE_SOCIALE, per la Corte territoriale doveva tenersi conto della gestione del servizio da parte della RAGIONE_SOCIALE nel periodo dal 1993 al 1998 in via di fatto, quale gestione d’affari altrui.
Non spettava alla RAGIONE_SOCIALE il compenso, dovendosi ritenere gratuita l’obbligazione del gestore.
Non spettava neppure l’importo per nolo contatori. Infatti, gli stessi erano previsti solo da apposita pattuizione contenuta nella convenzione del 1963. Pertanto, una volta venuta meno tale convenzione, la RAGIONE_SOCIALE non poteva più pretendere tali importi per un periodo di gestione di fatto.
Erano, invece, dovuti gli importi per i lavori di manutenzione, ai sensi dell’art. 2031 c.c., dovendo il dominus rimborsare tutte le spese necessarie utili affrontate dal gestore, quantificate peraltro dal CTU.
Con riferimento, poi, al «quinto motivo-terzo profilo del Comune» ed al «secondo motivo-primo profilo della SIPPIC», entrambe le parti avevano censurato la valutazione compiuta in via equitativa dal tribunale.
Tali motivi erano fondati.
La valutazione equitativa era consentita al giudice soltanto ex art. 1226 c.c. per la domanda di risarcimento del danno, mentre, nella specie, il tribunale aveva operato una valutazione equitativa in relazione ad una «domanda restitutoria formulata dal Comune di Capri».
I costi di manutenzione erano stati stimati dal CTU in euro 68.000,00 e, dunque, dovevano essere detratti.
Con l’ultimo motivo d’appello il Comune si doleva che il tribunale aveva riconosciuto solo gli interessi legali dalla decisione fino al saldo, mentre, stante la condotta in malafede della SIPPIC,
gli interessi dovevano essere riconosciuti dalla data di scadenza delle singole quote bimestrali.
Tale motivo veniva accolto dalla Corte d’appello in quanto, trattandosi di gestione di fatto da parte della SIPPIC del servizio di distribuzione idrica, da qualificare come gestione d’affari, si applicavano le regole del mandato.
Ai sensi dell’art. 1714 c.c. il mandatario doveva corrispondere al mandante gli interessi legali con decorrenza dal giorno in cui avrebbe dovuto fargliene consegna.
In data 19/12/95 il sindaco di Capri aveva comunicato alla RAGIONE_SOCIALE. Pertanto, per il periodo precedente, anni 1993/1995, il Comune aveva tenuto un atteggiamento di mera tolleranza rispetto alla gestione di fatto del servizio da parte di SIPPIC. Quest’ultima era da considerarsi quale depositaria di fatto delle somme fino all’inizio del 1996.
Al contrario, in relazione alle somme riscosse dalla RAGIONE_SOCIALE successivamente a tale momento, e quindi dall’inizio del 1996, la gestione di fatto era avvenuta contro la volontà del Comune, sicché gli interessi legali erano dovuti sui canoni riscossi alle rispettive scadenze bimestrali.
Quanto al primo motivo d’appello della SIPPIC, avverso il rigetto della domanda riconvenzionale da parte del tribunale, la Corte d’appello reputava che la SIPPIC, per la prima volta, soltanto nella fase di appello, e quindi inammissibilmente, aveva dedotto che danno subito era di collegarsi all’indennità di occupazione sine titulo della redistribuzione da parte del Comune.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, depositando memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il Comune di Capri, proponendo anche ricorso incidentale e depositando anche memoria scritta.
La RAGIONE_SOCIALE ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
Sono rimaste intimate la RAGIONE_SOCIALE e l’ATO (Ambito Territoriale Ottimale) Sarnese Vesuviano.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE Gestione Ottimale Risorse Idriche, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente COGNOME deduce la «violazione dell’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c.».
In particolare, si rileva che la Corte d’appello ha accolto il quarto motivo di impugnazione incidentale del Comune, a fronte del quale il tribunale aveva rigettato la domanda di rendiconto proposta dal Comune.
Al contrario, ad avviso della ricorrente, l’obbligo di rendiconto si trovava esclusivamente nelle convenzioni n. 292,293 e 298 del 1963 che, però, erano scadute per le reciproche disdette nell’anno 1988.
Il Comune avrebbe dovuto, quindi, fornire la prova delle sue pretese.
Pertanto, «giammai l’obbligo di rendiconto poteva rivivere in capo alla SIPPIC in forza di convenzioni ormai scadute», incombendo quindi «a carico del Comune di Capri l’obbligo di fornire la prova in ordine al titolo che poteva legittimarlo a pretendere dalla SIPPIC il rendiconto per il periodo dall’ ’89 al ’95 e ciò in applicazione del principio sancito dagli articoli 2697 seguenti c.c.»
Con il secondo motivo di impugnazione principale la ricorrente lamenta la «violazione dell’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5. C.p.c., in relazione all’art. 99 c.p.c. e 112 c.p.c.».
In stretta relazione a quanto dedotto nel motivo precedente di impugnazione, la ricorrente rileva che il Comune di Capri, nei
precedenti gradi di giudizio, nel richiedere rendiconto alla RAGIONE_SOCIALE per il periodo dal 1989 al 1995, non ha fatto mai riferimento ad altre forme giuridiche di rapporto, se non a quella scaturenti dalle convenzioni intercorse tra le parti.
Per tale ragione – ad avviso della ricorrente – i giudici d’appello «non avrebbero potuto, in assenza di una espressa domanda proposta dal Comune di Capri, ritenere la società ricorrente tenuta al rendiconto in virtù di un titolo diverso da quello indicato dal Comune».
La Corte d’appello sarebbe incorsa in un vizio di ultrapetizione «nel sostenere che la SIPPIC fosse tenuta all’obbligo del rendiconto in forza delle norme sul mandato «che, peraltro, per stessa ammissione della Corte, non le fu mai conferito dall’ente locale o quale gestore degli affari altrui ex art. 2028 e segg. c.c.».
Con il terzo motivo di impugnazione principale la ricorrente si duole della «violazione dell’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., in relazione agli articoli 2028 e art. 2031 c.c.».
In particolare, alla RAGIONE_SOCIALE spettava il compenso per l’attività espletata di riscossione dei canoni per il servizio idrico.
In realtà, la Corte d’appello non ha motivato, con riferimento al periodo dal 1989 al 1995 «in base a quale principio tali compensi non le sarebbero dovuti, limitandosi ad affermare che andrebbero estesi al caso de quo gli effetti del contratto di mandato senza spiegare perché non si debba equiparare la struttura e funzione della gestione di affari altrui a quelle del contratto di mandato».
La decisione sarebbe peraltro anche contraddittoria, stante «il richiamo che la stessa Corte fa all’art. 2031 c.c. al fine di riconoscere alla SIPPIC le spese di manutenzione sostenute».
L’art. 2031 c.c., se è ritenuto applicabile per le spese di manutenzione, con il riconoscimento delle stesse, doveva essere applicato anche per il compenso.
Sarebbe del tutto assente la motivazione «con riferimento agli utili relativi alla gestione della RAGIONE_SOCIALE che si è protratta dal 1989 al 1995 stante la riconosciuta utilità della prestazione da parte del Comune di Capri».
Con il quarto motivo di impugnazione principale si deduce la «violazione dell’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., in relazione all’art. 42-bis del d.P.R. dell’8/6/2001, n. 327».
La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile la domanda riconvenzionale per risarcimento danni proposta dalla RAGIONE_SOCIALE con riferimento all’illegittimo comportamento tenuto dal Comune di Capri e dalla Capri RAGIONE_SOCIALE trattandosi di domanda nuova, mai presentata in primo grado.
Al contrario, la domanda riconvenzionale proposta dalla RAGIONE_SOCIALE sin dal primo grado di giudizio sarebbe stata relativa alla occupazione della rete ed utilizzazione della stessa sine titulo .
Lo stesso tribunale, aveva respinto la domanda, ma esclusivamente perché non provata.
Lo stesso giudice di primo grado avrebbe affermato «che nella fattispecie avrebbe potuto essere utilizzato il rimedio di cui all’art. 42bis del d.P.R. n. 327 2001, anche se dallo stesso ritenuto applicabile solo in relazione alla determinazione del controvalore complessivo della rete acquedottistica di Capri».
Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione dell’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., in relazione agli articoli 1226 e art. 2697 c.c.».
Sarebbe stata arbitraria la quantificazione da parte della Corte d’appello degli importi riscossi da RAGIONE_SOCIALE con riferimento alla
gestione della rete acquedottistica per il periodo dal 1989 al 1995, in quanto il calcolo è stato effettuato esclusivamente su basi presuntive e parametriche, con deduzioni dal dato ottenuto per il periodo 1996/1998.
La Corte, dunque, ha ritenuto «di poter ricorrere al dato incontestato del periodo 96/98, per procedere ad una quantificazione presuntiva e parametrica anche con riferimento al periodo di gestione pregressa».
Anche se il Comune di Capri non aveva mai richiesto una quantificazione ex art. 1226 c.c., in modo del tutto arbitrario il Comune sarebbe stato sollevato dall’onere di provare l’effettivo pregiudizio subito.
Con il primo motivo di ricorso incidentale il Comune di Capri deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 812,822,824,825 e 934 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
In sostanza, il Comune di Capri sarebbe proprietario dell’intera rete idrica. L’art. 822 c.c. prevede che fanno parimente parte del demanio pubblico gli acquedotti.
Allo stesso modo l’art. 812 c.c. stabilisce che sono beni immobili anche «le altre costruzioni».
L’art. 824 c.c., poi, dispone che i beni immobili di cui all’art. 822, e quindi anche gli acquedotti, se appartengono ai comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico.
Ad avviso del ricorrente, «non può esservi dubbio, quindi, che nella specie l’acquedotto di cui si discorre faccia parte di beni demaniali appartenenti al Comune di Capri».
La proprietà pubblica verrebbe ad individuarsi non con «non con l’intestazione del bene all’ente pubblico», in quanto tale circostanza non sarebbe «elemento dirimente», ma sarebbero beni pubblici «le
cose che servono a soddisfare utilità pubbliche: cioè che sono beni a destinazione pubblica».
Con la conseguenza che «là dove un bene immobile risulti per le sue intrinseche connotazioni, detto bene è da ritenersi ‘comune’ vale a dire, prescindendo dal titolo di proprietà, strumentalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti cittadini».
Il bene sarebbe pubblico «non tanto per la circostanza di rientrare in una delle astratte categorie del codice quanto piuttosto per essere fonte di un beneficio per la collettività».
Di qui la conseguenza per cui «non può negarsi che la rete di distribuzione dell’acqua nel territorio del Comune di Capri sia in titolarità di detta amministratore comunale».
La Corte territoriale avrebbe errato nel reputare la proprietà in capo alla RAGIONE_SOCIALE «sia dell’originaria rete idrica realizzata nel comune di Capri, ma addirittura delle adduzioni che, incontestatamente, sono state poste in essere dalla medesima amministratore comunale, con consistentissimi contributi pubblici».
Con il secondo motivo di ricorso incidentale il Comune deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 822,934 c.c.».
In via subordinata, si deduce che la Corte d’appello abbia errato anche nell’applicare alla fattispecie concreta l’art. 934 c.c.
Non si comprenderebbe la ragione per cui, per un verso, «l’originario (quasi inconsistente) impianto della rete di distribuzione idrica, illegittimamente ritenuto di proprietà RAGIONE_SOCIALE, sia stato ritenuto annoverabile tra i beni c.d. immobili e le adduzioni realizzate dal Comune di Capri tra i beni mobili ».
Se, dunque, il genus ‘rete idrica originaria’ «è stato ritenuto annoverabile nell’ambito dei beni immobili, perché una tale qualificazione non è stata adottata anche per le (consistenti ed anzi maggioritarie) adduzioni, qualificate invece beni mobili?».
I motivi primo, secondo e terzo di ricorso principale RAGIONE_SOCIALE che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
8.1. Questi i principali fatti di causa.
La rete di distribuzione idrica di Capri, di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, non collegata alla terraferma, era gestita dalla società e consisteva in impianti di tubazione di medie piccole dimensioni.
La fase transitoria, prima della realizzazione delle opere finanziate dalla Cassa per il Mezzogiorno, in particolare della conduttura sottomarina, sono state disciplinate dalle convenzioni n. 292 e 293 del 12/7/1963.
In particolare, con la convenzione n. 292 del 1963, il Comune ha acquisito la disponibilità gratuita della rete di distribuzione idrica, di proprietà, però, della SIPPIC. Tale circostanza è pacifica in corso di causa.
Con la convenzione n. 293 del 1963, il Comune ha affidato il servizio di distribuzione idropotabile, compresa l’attività di esazione, e con l’utilizzo degli impianti di cui alla convenzione n. 292 (si sottolinea, di proprietà della SIPPIC) alla RAGIONE_SOCIALE.
È stato poi stipulato l’accordo integrativo n. 298 del 1963, in virtù del quale la RAGIONE_SOCIALE doveva effettuare i lavori di allacciamento delle nuove utenze alla rete di distribuzione – si ripete, di sua proprietà con stipula dei contratti di fornitura «in nome e per conto del Comune».
Le concessioni avevano durata biennale e le proroghe annuali avvenivano automaticamente, tranne l’ipotesi di disdetta.
Gli incassi dei canoni pagati dai cittadini capresi dovevano essere versati al Comune che corrispondeva alla SIPPIC il corrispettivo per l’attività svolta, in ragione del volume d’acqua distribuita.
Con la delibera comunale n. 386 del 27/6/1988 veniva comunicata la disdetta alla SIPPIC, a decorrere dal 1/1/1989.
La stessa RAGIONE_SOCIALE comunicava disdetta il 29/9/1988, deducendo di avere il diritto a rimanere in possesso della rete idrica di sua proprietà.
Pertanto, è pacifico che a decorrere dal 1/1/1989 la RAGIONE_SOCIALE gestiva la rete di distribuzione idrica, di sua proprietà, non in forza delle convenzioni n. 292 e 293 del 1963, integrate dall’accordo n. 298 sempre del 1963, ma in via di mero fatto.
Il Comune, con atto del 19/12/1995, manifestava la propria volontà di assumere la gestione della rete, fino ad allora gestita in via di fatto dalla RAGIONE_SOCIALE, dal 1/1/1989.
Veniva costituita la RAGIONE_SOCIALE con delibera n. 68 del 1996, che entrava nella disponibilità della rete idrica.
La gestione di fatto della rete idrica da parte di RAGIONE_SOCIALE terminava esclusivamente con l’adozione da parte del tribunale di Napoli, adito con ricorso l’urgenza ex art. 700 c.p.c. in data 16/2/1998, con il provvedimento di accoglimento dell’istanza cautelare, emesso il 17/3/1998.
Pertanto, il periodo di gestione di fatto da parte di RAGIONE_SOCIALE è quello individuato dalla data iniziale dell’1/1/1989, a seguito delle due disdette reciproche delle parti, sino al 17/3/1998, data di adozione del provvedimento cautelare da parte del tribunale di Napoli con cui si impediva a RAGIONE_SOCIALE di continuare a riscuotere i corrispettivi della fornitura idropotabile, nonché i canoni di depurazione fognaria.
Deve premettersi che è passata in giudicato l’affermazione della Corte d’appello, non impugnata da alcuna delle parti con i rispettivi ricorsi principale incidentale, per cui «la RAGIONE_SOCIALE gestito il servizio pubblico di distribuzione idropotabile sul territorio del Comune di Capri, la cui titolarità in capo a quest’ultimo costituisce
oggetto di affermazione del giudice di primo grado non appellata e su cui quindi è caduto il giudicato tra le parti, così come è caduto il giudicato sulla debenza ( an debatur ) al Comune da parte della SIPPIC dei canoni riscossi dagli utenti».
Insomma, è divenuta cosa giudicata la gestione di fatto del servizio pubblico di distribuzione dell’acqua potabile da parte di RAGIONE_SOCIALE, come pure la titolarità dell’originaria rete di distribuzione idrica in capo alla stessa società.
10. La Corte d’appello di Roma ha qualificato giuridicamente tale gestione di fatto come gestione d’affari altrui o negotiorum gestio ex artt. 2028 e ss. c.c., ravvisando la sussistenza dei presupposti di tale fattispecie.
Anche nel secondo motivo di ricorso principale della RAGIONE_SOCIALE, relativo all’insussistenza di un obbligo di rendiconto, la società si limita ad affermare che la Corte territoriale ha preteso il rendiconto, non in forza della convenzione del 1963, ma per la gestione d’affari ex art. 2028 c.c., ravvisando dunque una ultrapetizione.
E però, con tale doglianza non viene rimessa in discussione la premessa generale da cui ha preso le mosse la Corte territoriale, ossia la sussistenza dei presupposti per la configurazione dell’istituto della gestione d’affari ex art. 2028 c.c.
11. Va, preliminarmente, osservato – ai fini della decisione in ordine alla spettanza o meno del compenso al gestore d’affari altrui e quindi alla SIPPIC – che, come da remota giurisprudenza di legittimità, la gestione d’affari è caratterizzata, oltre che dall’alienità del negozio e dall’ utiliter coeptum , anche dall’intenzione di amministrare uno o più affari altrui, absente et inscio domino (Cass., sez. 2, 8/10/1973; Cass., sez. 3, 7/1/1970, n. 35).
Gli elementi indispensabili per la configurazione dell’istituto sono rappresentati da: absentia domini ; spontaneità dell’intervento del
gestore; animus aliena negotia gerendi o consapevolezza della alienità dell’ interesse gestito; alienità dell’affare; utiliter coeptum .
Il fondamento dell’istituto è costituito da una funzione solidaristica, in quanto la legge eccezionalmente prevede che l’attività svolta da un soggetto non legittimato ricade eccezionalmente sul titolare della situazione oggetto di intromissione, e ciò anche per garantire la funzione sociale del diritto privato e dei poteri di autodeterminazione che possono essere anche innervati dalla cooperazione extra individuale.
Pertanto, una volta realizzatisi tutti i requisiti della gestione d’affari di cui all’art. 2028 c.c., è evidente da un lato, la sussistenza dell’obbligo del rendiconto in capo al gestore, e dall’altro l’insussistenza del diritto al compenso a favore del gestore.
Con riguardo al primo profilo è sufficiente osservare che per questa Corte, in base a un principio generale dell’ordinamento, chi esercita una gestione o svolge un’attività nell’interesse di altri ha il dovere di soggiacere al controllo di questi e, quindi, di rendere il conto, portando a conoscenza, secondo il principio della buona fede, gli atti posti in essere, particolarmente quelli dai quali scaturiscono partite di dare e avere; pertanto, le specifiche ipotesi di obbligo di rendiconto individuate dal legislatore non hanno carattere tassativo e il rendiconto può essere richiesto in tutti i casi in cui da un rapporto di natura sostanziale discende il dovere, legale o negoziale, di una delle parti di far conoscere il risultato della propria attività, in quanto influente nella sfera patrimoniale altrui (Cass., sez. 3, 22/9/2017, n. 22063).
12.1. Ed infatti si è chiarito che l’obbligo del rendiconto è prescritto dall’art. 1713 c.c., in tema di mandato, al quale fa rimando l’art. 2030 c.c.
Tali disposizioni, però, costituiscono espressione di un principio generale dell’ordinamento, «secondo il quale chi esercita una gestione o svolge un’attività nell’interesse altrui ha il dovere di soggiacere al controllo di questi e, quindi, di rendere il conto» (Cass., n. 22063 del 2017). Ciò in quanto «la ratio dell’obbligo di rendiconto va individuata in ciò che chiunque svolga attività nell’interesse di altri deve portare a conoscenza di questi, secondo il principio della buona fede gli atti posti in essere ed in particolare quegli atti e fatti da cui scaturiscono partite di dare e avere».
Si è, quindi, osservato che, sebbene il legislatore abbia individuato delle specifiche ipotesi in cui è possibile richiedere il rendiconto, tuttavia si reputa, anche in dottrina, che si tratti di un’elencazione di carattere non tassativo, potendosi ricorrere allo strumento del rendiconto ogni volta che si debba verificare la compiuta gestione di interessi altrui (Cass., n. 22063 del 2017).
Si è più volte affermato che possa pretendersi un rendiconto, ai sensi dell’art. 263 c.p.c., in tutti i casi in cui da un rapporto di natura sostanziale discende l’obbligo (legale o negoziale) di una delle parti di far conoscere il risultato della prova attività, in quanto influente nella sfera di interessi patrimoniale altrui o, contemporaneamente, nella altrui e nella propria (Cass., sez. 1, 23/7/2010, n. 17283; Cass., sez.1, 28/2/2007,n. 4765; Cass., sez. 1, 10/11/1999, n. 12463; Cass., sez. 2, 29/4/1986, n. 2959).
13. Nella specie, dunque, correttamente la Corte territoriale ha rimarcato che la RAGIONE_SOCIALE, pur tenuta al rendiconto, in seguito al combinato disposto dell’art. 2030 c.c. e dell’art. 1713 c.c., non lo ha fatto per tutto il periodo in cui ha gestito il servizio idrico nel comune di Capri, quindi a partire dal 1/1/1989 sino al 17/3/1998.
Pertanto, ne ha fatto conseguire che, in assenza del rendiconto, la domanda del Comune di Capri relativa alla restituzione dei canoni
riscossi pacificamente dalla RAGIONE_SOCIALE, come risulta dalla sentenza di prime cure passata in giudicato, perché non impugnata con riferimento all’ an , ma esclusivamente sul quantum , non poteva che essere accolta.
Pertanto, non v’è stata alcuna violazione del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., ma di corretta applicazione dei principi generali riguardanti l’istituto della gestione d’affari altrui e del relativo obbligo di rendiconto a carico del gestore.
14. Inoltre, per questa Corte, nel giudizio di rendiconto promosso nei confronti del soggetto obbligato alla presentazione del conto al fine di ottenere il pagamento del saldo di gestione, tale soggetto è tenuto, a prescindere dalla sua formale funzione di convenuto, a fornire tutti gli elementi utili per la ricostruzione della gestione stessa, mentre alla lacunosità o incompletezza delle prove fornite dalle parti sopperisce comunque l’istruttoria disposta d’ufficio dal giudice, attraverso la CTU e il giuramento ex art. 265 c.p.c. o con il giuramento suppletorio (Cass. n. 22063 del 2017).
Rimane, invece, esclusa la possibilità di una pronunzia di non liquet, che si configurerebbe come sostanzialmente assolutoria del convenuto dall’obbligo di presentazione del conto (cass. n. 22063 del 2017; Cass., sez. 1, 3/11/2004, n. 21090; Cass., sez., 1, 15/4/1992, n. 4568; Cass., sez. 1, 10/7/2001, n. 9377; Cass., sez. L., 26/1/2006, n. 1551).
Date queste premesse, non v’è stata alcuna violazione del principio dispositivo di cui agli articoli 99 e 112 c.p.c., in quanto la Corte d’appello ha preteso il rendiconto da parte della RAGIONE_SOCIALE, non in forza delle convenzioni del 1963, ma proprio per la gestione di fatto del servizio idrico, intesa come gestione d’affari altrui ex art. 2028 c.c..
Né risulta in alcun modo dalla trascrizione di porzioni degli atti processuali del giudizio di prime cure che trattasi di questione nuova ex art. 345 c.p.c..
Tenendo presente i principi generali affermati da questa Corte con riguardo all’istituto della gestione d’affari, va risolta anche la questione relativa alla spettanza o meno del compenso in favore del gestore, e quindi della SIPPIC.
In realtà, il motivo di ricorso per cassazione deve essere rigettato, stante la ratio della gestione d’affari improntata al perseguimento di una finalità solidaristica.
Si è osservato, infatti, in dottrina che vi sono casi nei quali l’inerzia del dominus potrebbe compromettere interessi, individuali o collettivi, legati al suo comportamento e rilevanti sul piano generale, in quanto connessi a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume o, più in generale, ad esigenze di carattere sociale.
Deve, dunque, individuarsi come fondamento dell’istituto l’art. 2 della Costituzione, nella dimensione sociale e non meramente individualistica del diritto privato.
Tanto è vero che in giurisprudenza di legittimità è stato consentito l’intervento gestorio nel pagamento di un’obbligazione alimentare nonostante la prohibitio domini ex art. 2031, comma 2, c.c. (Cass., 17/7/1969, n. 2636).
Per tale ragione si ritiene non applicabile l’art. 1709 c.c., in tema di mandato, a mente del quale il mandato si presume oneroso.
Tale compenso, per l’opera svolta dal gestore, – ad avviso della dottrina -contrasterebbe con il carattere spontaneo e lo spirito altruistico dell’attività gestoria.
Si è, del resto, osservato in dottrina che proprio il contenuto dell’articolo 2031 c.c., che riconosce al gestore il diritto al rimborso delle spese utili e necessarie e dei relativi interessi, sta a significare
che la legge non intende riconoscere al gestore alcun diritto come contropretesa per la propria opera. Pertanto, se è il dominus a corrispondere al gestore un compenso per la sua attività, questo costituirà una donazione remuneratoria, ex articolo 769 c.c.
Peraltro, neppure potrebbe richiamarsi l’analogia che l’articolo 2030 c.c. pone tra gestione e mandato, in quanto tale analogia riguarda le obbligazioni del gestore, ma non anche quella del dominus (Cass., 24/1/1941, esclude il diritto al compenso per il gestore a fronte delle sue prestazioni).
Altra parte della dottrina richiama lo ‘spirito altruistico’ che riguarda l’istituto.
Infatti, l’aspetto solidaristico della gestione d’affari altrui consente a chi è svincolato dall’obbligo di proteggere l’interesse della persona, la quale non può direttamente provvedervi, con l’effetto di addossarle i risultati della gestione, mira a salvaguardare il più ampio interesse della collettività ad evitare la dispersione della ricchezza privata o, comunque, tutelare le situazioni personali degli individui che non sono in grado di fare da sé.
La gestione è dunque gratuita. Ed infatti il medesimo fondamento consente di colorare della gratuità l’operato del gestore.
Solo una parte minoritaria della dottrina, seppure autorevole, ha reputato che, in una serie di situazioni, ed in vista di un particolare impegno, il giudice possa riconoscere, in favore del gestore, un diritto ad essere retribuito.
Tuttavia, la natura solidaristica dell’istituto e il tenore letterale delle norme sopra citate, restringono la portata degli obblighi del dominus a quelli di rimborso delle spese affrontate dal gestore, senza alcun diritto al compenso in favore di quest’ultimo.
16. Risulta infondato anche il quarto motivo di ricorso principale della RAGIONE_SOCIALE.
In realtà, anche dalla trascrizione della domanda riconvenzionale formulata dalla RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di prime cure, non emerge in alcun modo che la società abbia richiesto il risarcimento dei danni per l’illegittimo impossessamento della rete di distribuzione idrica da parte del Comune di Capri.
Si legge, infatti, nel quarto motivo di ricorso per cassazione che la domanda riconvenzionale della SIPPIC era di questo contenuto: «accogliersi la domanda riconvenzionale proposta dalla SIPPIC per l’effetto condannare il Comune di Caprie la RAGIONE_SOCIALE, in solido tra loro al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE di tutte quelle somme percette dagli utenti capresi durante il periodo di loro gestione nonché a titolo di risarcimento danni e prudenzialmente indicate in lire 1.000.000.000 o comunque al pagamento di quelle somme che saranno accertate durante il corso del giudizio. Il tutto con vittoria di spese ☼ .
Per la società ricorrente sarebbe erronea l’affermazione della Corte d’appello laddove ha ritenuto che la domanda di occupazione della rete di utilizzazione sine titulo fosse stata proposta solo in sede di gravame.
In realtà, la domanda riconvenzionale, così come trascritta, non comprende in alcun modo l’asserita domanda di risarcimento dei danni nei confronti del Comune per impossessamento della rete idrica.
17. Del pari infondato è il quinto motivo di ricorso principale della società.
Infatti, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. 3, 22/11/2019, n. 30506; Cass., sez. 1, 3/11/2004, n. 21090) per la quale nel giudizio di rendiconto promosso nei confronti del soggetto obbligato alla presentazione del conto al fine di ottenere il pagamento del saldo di
gestione, tale soggetto è tenuto, a prescindere dalla sua formale funzione di convenuto, a fornire tutti gli elementi utili per la ricostruzione della gestione stessa – ed in tal caso spetta a chi contrasti le sue affermazioni documentate dimostrare la loro erroneità -, mentre alla lacunosità o incompletezza delle prove fornite dalle parti sopperisce comunque l’istruttoria disposta di ufficio dal giudice (con la consulenza tecnica e con il giuramento ex art. 265 c.p.c., o con quello suppletorio).
A prescindere dalla considerazione che non viene nemmeno indicato il fatto storico decisivo il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte d’appello, si chiede, in realtà, una nuova rivalutazione dei fatti, già compiutamente effettuata dal giudice d’appello.
Ed invero la Corte territoriale, al fine di computare i canoni riscossi dalla SIPPIC nel periodo dal 1 gennaio 1989 sino al 1995, in quanto la disdetta del Comune del 29/9/1988 aveva efficacia dal 1/1/1989, mentre la comunicazione del Comune del 19/12/1995 con cui assumeva la gestione della rete aveva valore a partire dall’anno 1996 (e per tale periodo non era stato prodotto alcunché dalla SIPPIC, neppure a seguito della richiesta di rendiconto), non poteva fare altro che utilizzare la percentuale dell’86,06% individuata con riferimento al successivo periodo – dal 1996 al 1998 – per il quale erano stati prodotti documenti vi era stata ammissione della SIPPIC per cui, nel primo bimestre 1996 e nel VI bimestre del 1998, a fronte di euro 760.751,00 di fatturato per bollette emesse per consumi idrici era stato in realtà incassato complessivamente la somma per euro 654.700,00, con una percentuale, tra dichiarato e ammesso e riscosso di circa l’86,06%.
In tal modo, per il periodo dal maggio 1996 all’aprile 1998 la percentuale dell’86,06% era stata applicata ai corrispettivi emesse fatturati dalla RAGIONE_SOCIALE quali risultanti dai registri esaminati dal CTU
per l’importo di euro 959.270,67, percentuale cui corrispondeva all’importo dovuto per euro 825.548,34.
Il passaggio logico ulteriore è stato quello di applicare la medesima percentuale dell’86,06%, prevista per il periodo maggio 96-aprile 98, anche per il periodo anteriore, relativo agli anni 19931995.
Pertanto, la somma di euro 825.548,34 è stata divisa per i bimestre n. 11,5, relativi al periodo maggio 1996-aprile 1998, ottenendosi la somma di euro 71.786,81, corrispondente all’importo presuntivamente riscosso in ciascun bimestre.
Tale importo è stato moltiplicato per il numero dei bimestre contenuti nel periodo dal 1993 all’aprile del 1996, cioè n. 20 bimestre, per la somma complessiva di euro 1.435.736,20.
Trattasi di una valutazione di pieno merito, insindacabile in sede di legittimità per l’erronea o non condivisa valutazione degli elementi istruttori.
Nulla di arbitrario si riscontra nel ragionamento della Corte d’appello.
Risulta in parte inammissibile ed in parte infondato il primo motivo di ricorso incidentale tempestivo.
Non v’è stata, infatti, alcuna violazione di legge nel reputare, da parte della Corte d’appello, che la RAGIONE_SOCIALE era proprietaria, non solo della rete idrica iniziale, ma anche di quella formatasi a seguito delle addizioni, talune anche posta in essere attraverso fondi pubblici.
La Corte d’appello ha valorizzato il contenuto della convenzione stipulata nel 1963, per la quale alla sua scadenza, come verificatasi, il Comune di Capri «avrebbe riconsegnato alla SIPPIC gli impianti e la rete di distribuzione nelle condizioni in cui le stesse si troveranno».
Con valutazione di pieno merito, con cui la Corte territoriale ha esaminato in modo analitico tale clausola della convenzione, si è
ritenuto che la riconsegna doveva avere «necessariamente ad oggetto tutta la rete nelle condizioni esistenti a quella data e quindi comprese le dette adduzioni, anche perché queste ultime sarebbero state sono effettivamente divenuti imprescindibili dall’impianto già esistente ed insuscettibili di autonoma valuta utilizzazione (come affermato nella sentenza appellata)».
Tra l’altro, poiché la RAGIONE_SOCIALE ha presentato appello in data 29/11/2013, trova applicazione anche il principio della doppia decisione conforme di merito, di cui all’art. 348ter c.p.c., nella versione all’epoca vigente, con riferimento alle impugnazioni introdotte con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11/9/2012 (Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. 5, 11/5/2018, n. 11439).
Inoltre, la Corte territoriale ha affrontato la questione della titolarità del servizio idrico anche con riferimento alla sua legittimità.
L’art. 934 c.c., con riferimento alla accessione, prevede che qualunque costruzione esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo che risulti diversamente dal titolo.
Da un lato, dunque, esisteva un titolo, costituito dalla convenzione stipulata il 12/7/1963, che prevedeva espressamente la restituzione alla SIPPIC di tutta la rete di distribuzione nelle condizioni in cui si trovava al momento della riconsegna, e dall’altro, la rete di di stribuzione doveva essere considerata una costruzione, e dunque un bene immobile. Pertanto, contrariamente alla tesi del Comune, doveva ritenersi che si fosse verificate ex art. 934 c.c. la accessione delle suddette adduzioni (in quanto beni mobili) eseguite dal Comune sulla rete di distribuzione idrica, alla proprietà nella titolarità di SIPPIC della medesima rete, in quanto bene immobile.
Ha chiarito la Corte territoriale era pacifica la titolarità in capo alla SIPPIC della rete di distribuzione idropotabile esistente nel
comune di Capri. L’unica questione era relativa alle adduzioni eseguite sulla rete di distribuzione dal Comune di Capri.
La circostanza che le adduzioni fossero state realizzate con fondi pubblici non poteva comportare che divenisse demanio comunale la rete di distribuzione idrica nella titolarità della SIPPIC.
L’intervento dei fondi pubblici non modificava le disposizioni del codice civile.
Né può condividersi la tesi del Comune, ricorrente incidentale, per la quale la proprietà pubblica prescinderebbe dall’intestazione del bene all’ente pubblico, ma deriverebbe unicamente dalla circostanza per cui trattasi di «cose che servono a soddisfare utilità pubbliche: cioè sono beni a destinazione pubblica».
A maggior ragione non può condividersi l’affermazione per cui un bene sarebbe pubblico, prescindendo dal titolo di proprietà, solo perché «strutturalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti cittadini».
Parimenti infondato il secondo motivo del ricorso incidentale del Comune di Capri, per il quale sarebbe poco comprensibile che un originario impianto di reti di distribuzione, quasi inconsistente, sia annoverabile tra i beni immobili, mentre le adduzioni realizzate dal Comune debbano essere incluse tra i beni mobili.
In realtà, con valutazione pienamente meritale la Corte d’appello ha ritenuto che, una volta riconosciuta la natura di costruzione alla rete idrica di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, le adduzioni, invece, per le loro modeste dimensioni non potevano che essere beni mobili.
Stante la reciproca soccombenza, le spese del giudizio di legittimità vanno compensate interamente tra le parti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale.
Rigetta il ricorso incidentale.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5/12/2024