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Ne bis in idem: no a nuovo risarcimento danni

Una paziente, dopo aver ottenuto un primo risarcimento per un’infezione post-operatoria, ha intentato una nuova causa per i successivi aggravamenti. La Corte di Appello ha respinto la domanda applicando il principio del ne bis in idem. La sentenza chiarisce che un giudizio definitivo copre non solo i danni lamentati, ma anche quelli che potevano essere dedotti, impedendo così ulteriori azioni per la stessa causa. La decisione è stata quindi confermata, con una parziale compensazione delle spese legali.

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Pubblicato il 3 aprile 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Ne bis in idem: la stabilità delle decisioni giudiziarie prevale

Una recente sentenza della Corte di Appello di Firenze riafferma con forza il principio del ne bis in idem, stabilendo che non è possibile avviare una nuova causa per il risarcimento di danni che, seppur manifestatisi nel tempo, sono collegati a un evento già giudicato con sentenza definitiva. Questo caso offre uno spunto cruciale per comprendere i limiti dell’azione giudiziaria e l’importanza del giudicato civile.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un intervento chirurgico alla spalla subito da una paziente nel 2011, a seguito del quale si è sviluppata un’infezione. La paziente ha intentato una prima causa contro la struttura sanitaria, conclusasi nel 2017 con una sentenza che ha riconosciuto la responsabilità della clinica e ha liquidato un risarcimento per un’invalidità permanente del 6%.

Successivamente, le condizioni della paziente sono peggiorate, richiedendo ulteriori trattamenti e un intervento di protesi inversa nel 2018. Una nuova perizia ha valutato che i postumi permanenti erano aumentati. Forte di questa nuova valutazione, la paziente ha avviato un secondo giudizio nel 2021 per ottenere il risarcimento dei “danni lungolatenti”, ovvero quelli aggravatisi dopo la prima sentenza.

Il Tribunale di primo grado ha dichiarato la domanda inammissibile, proprio in virtù del principio del ne bis in idem. La paziente ha quindi presentato appello.

La Decisione della Corte: l’importanza del giudicato

La Corte di Appello di Firenze ha confermato la decisione di primo grado, rigettando l’appello nel merito. I giudici hanno chiarito che il principio del giudicato, sancito dall’art. 2909 del Codice Civile, copre non solo le questioni esplicitamente dedotte nel primo processo (il dedotto), ma anche quelle che avrebbero potuto e dovuto essere dedotte (il deducibile).

Le motivazioni e l’applicazione del principio ne bis in idem

La Corte ha osservato che gli aggravamenti lamentati dalla paziente, in particolare lo stato di sepsi accertato nel 2017, erano già stati portati all’attenzione del primo giudice. Sebbene la documentazione fosse stata prodotta tardivamente, il Tribunale l’aveva esaminata, giudicandola non sufficiente a provare un nesso causale con l’intervento del 2011 e comunque non idonea a modificare la valutazione già fatta.

Secondo la Corte d’Appello, una volta che il primo giudice si è pronunciato su tali fatti, la questione è divenuta definitiva con il passaggio in giudicato della sentenza. La strada corretta per la paziente sarebbe stata quella di impugnare la sentenza del 2017, non di avviare una nuova causa. La nuova domanda, che chiedeva un risarcimento basato su un’invalidità del 10%, includeva inevitabilmente la quota del 6% già riconosciuta, configurando una palese violazione del divieto di ne bis in idem.

Le conclusioni: la gestione delle spese processuali

Un aspetto interessante della sentenza riguarda la liquidazione delle spese processuali. Pur confermando la soccombenza della paziente nel merito, la Corte ha deciso di compensare le spese legali per la metà in entrambi i gradi di giudizio.

Questa decisione si basa sulla constatazione che la paziente era stata, in un certo senso, “incoraggiata” a intraprendere la nuova azione legale. Infatti, nella fase preliminare di accertamento tecnico preventivo (ATP), il giudice di quella fase aveva respinto l’eccezione di ne bis in idem sollevata dalla struttura sanitaria, nominando i consulenti tecnici. Questo, secondo la Corte, ha creato una legittima aspettativa nella paziente, configurando una “grave ed eccezionale ragione” per derogare al principio della piena soccombenza, come previsto dall’art. 92 c.p.c. e interpretato dalla Corte Costituzionale.

È possibile chiedere un nuovo risarcimento se i danni da malasanità peggiorano dopo la sentenza?
No, di regola non è possibile. La sentenza stabilisce che se gli aggravamenti potevano essere previsti o se erano già in qualche modo emersi durante il primo processo (anche se non pienamente provati), essi rientrano nel giudicato. La via corretta per contestare la valutazione del danno è l’appello della prima sentenza, non un nuovo giudizio.

Cosa significa il principio del ‘ne bis in idem’ in un caso di risarcimento danni?
Significa che una volta che un giudice ha emesso una sentenza definitiva su una richiesta di risarcimento per un determinato evento dannoso, non si può avviare una nuova causa tra le stesse parti per lo stesso evento. Il giudicato copre sia i danni che sono stati richiesti e liquidati (il dedotto), sia quelli che si sarebbero potuti richiedere in quella sede (il deducibile).

La parte che perde la causa deve sempre pagare tutte le spese legali?
Generalmente sì, secondo il principio della soccombenza. Tuttavia, come dimostra questa sentenza, esistono “gravi ed eccezionali ragioni” che possono giustificare una compensazione parziale o totale delle spese. In questo caso, il fatto che un giudice precedente avesse respinto l’eccezione di giudicato, inducendo la parte a proseguire, è stato considerato una ragione sufficiente per compensare le spese a metà.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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