Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26432 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 26432 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15706/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè
NOMECOGNOME NOME
-intimato-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 62/2019 depositata il 18/01/2019.
Udita la relazione RAGIONE_SOCIALE causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/2025 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
1. Il ricorso trae origine dall’opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE – con sede in Cava de’ Tirreni – a favore del geometra NOME COGNOME, per il pagamento RAGIONE_SOCIALE somma di euro 55.974,75, a titolo di compenso professionale per le attività dal medesimo svolte in favore dell’ente. Tali incarichi gli erano stati conferiti dal Presidente p.t., NOME COGNOME, su delibera del Consiglio di amministrazione del 25.11.1997 ed avevano ad oggetto accertamenti funzionali alla vendita di terreni dell’ente; riguardo ad altri incarichi, invece, non sussisteva alcuna preventiva delibera del CdA.
Per questi motivi, l’RAGIONE_SOCIALE citò in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME che, in qualità di Presidente, aveva conferito gli incarichi a NOME COGNOME, per chiedere, in via riconvenzionale, la condanna di quest’ultimo alla restituzione RAGIONE_SOCIALE somma di € 23.240,71 indebitamente versata e, in caso di rigetto dell’opposizione, la condanna di COGNOME NOME a tenerlo indenne in caso di condanna al pagamento in favore del geom. NOME COGNOME.
L’RAGIONE_SOCIALE dedusse il difetto RAGIONE_SOCIALE forma scritta ad substantiam, richiesta per il valido conferimento di incarichi professionali da parte di un ente pubblico, ritenendo insufficiente la mera assegnazione da parte degli organi esecutivi; in subordine, in caso di rigetto dell’opposizione, chiese che NOME COGNOME fosse condannato a tenerlo dall’eventuale condanna al pagamento in favore di NOME COGNOME.
1.1. NOME COGNOME si costituì in giudizio, sostenendo che l’RAGIONE_SOCIALE era da qualificarsi come ente di natura privata, ai sensi dell’art. 1 del D.P.C.M. 16/02/1990 e degli artt. 1, 2, 3 e 4 dello Statuto dell’ente, sicché non trovavano applicazione le norme sulla forma scritta previste per i contratti con la pubblica amministrazione.
1.2. Si costituì in giudizio anche NOME COGNOME, il quale eccepì la nullità RAGIONE_SOCIALE chiamata in causa da parte dell’RAGIONE_SOCIALE per difetto di mandato ad hoc conferito al difensore; nel merito, sostenne di aver agito in situazioni di emergenza a causa del disinteresse dei consiglieri del CdA.
1.3. Il Tribunale di Nocera Inferiore, con sentenza dell’8.3.2012, accolse l’opposizione e revocò il decreto ingiuntivo, ritenendo che l’RAGIONE_SOCIALE avesse natura pubblica e che, pertanto, i contratti professionali dovessero rivestire la forma scritta ad substantiam ; rigettò, altresì, le ulteriori domande riconvenzionali.
1.4. NOME COGNOME propose appello dinanzi alla Corte di Appello di Salerno, chiedendo il rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo, previo accertamento RAGIONE_SOCIALE natura privata dell’RAGIONE_SOCIALE; in subordine, chiese la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento RAGIONE_SOCIALE medesima somma a titolo di indebito arricchimento.
1.5. NOME COGNOME si costituì e, in via incidentale, chiese dichiararsi la nullità dell’atto di appello per omessa vocatio in ius , sostenendo che, trattandosi di causa inscindibile a seguito RAGIONE_SOCIALE chiamata in garanzia nei suoi confronti, avrebbe dovuto essere citato espressamente in giudizio.
1.6. L’RAGIONE_SOCIALE rimase contumace.
1.7. Con sentenza resa pubblica il 18.1.2019, la Corte di Appello di Salerno, in riforma RAGIONE_SOCIALE sentenza di primo grado, accolse l’appello e, per l’effetto rigettò l’opposizione al decreto ingiuntivo, riconoscendo la
natura privata dell’RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 1 del D.P.C.M. 16/02/1990, norma che individua tre criteri alternativi per la qualificazione privata degli enti: il carattere associativo, il carattere di istituzione promossa ed amministrata da privati e l’ispirazione religiosa.
Sulla base di quest’ultimo criterio, essendo l’ispirazione religiosa prevista dagli artt. 1, 2 e 4 dello Statuto, la Corte d’Appello riconobbe la natura privata dell’ente, costituito per iniziativa privata ed affidato ad amministrazione privata non soggetta a controlli pubblici.
Riconosciuta la natura privata dell’ente, la Corte d’appello dichiarò non necessaria la forma scritta per il conferimento degli incarichi e condannò l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento RAGIONE_SOCIALE somma di cui al decreto ingiuntivo.
La Corte di Appello di Salerno dichiarò inammissibile l’appello incidentale proposto da NOME COGNOME, ritenendo che il predetto fosse stato chiamato in causa dall’RAGIONE_SOCIALE esclusivamente a titolo di garanzia impropria per l’ipotesi di soccombenza in giudizio, sicché non operava il principio di estensione automatica RAGIONE_SOCIALE domanda dell’attore. La notifica dell’atto di appello da parte di NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME aveva l’esclusiva finalità di litis denuntiatio e non di vocatio in ius in quanto serviva per rendergli nota la pendenza dell’appello e per consentirgli di proporre eventuale impugnazione incidentale, ma non per attribuirgli la qualità di parte.
Ne conseguiva l’inammissibilità dell’appello incidentale di NOME COGNOME per carenza di interesse, poiché quest’ultimo non era soccombente in primo grado e la decisione del Tribunale era passata in giudicato, non essendo stata impugnata dall’RAGIONE_SOCIALE.
Il RAGIONE_SOCIALE Cava Dei Tirreni, quale successore a titolo universale dell’RAGIONE_SOCIALE, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE Corte d’appello di Salerno sulla base di sei motivi.
2.1. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
2.2. NOME COGNOME non ha svolto attività difensiva.
2.3. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
2.3. In prossimità RAGIONE_SOCIALE camera di consiglio, parte ricorrente ha depositato memorie illustrative.
2.4. Con ordinanza interlocutoria del 28.11.2024, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza, attesa la rilevanza nomofilattica RAGIONE_SOCIALE questione relativa alla natura pubblicistica o privatistica delle RAGIONE_SOCIALE.
2.5. Il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del AVV_NOTAIO. NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso.
2.6. In prossimità RAGIONE_SOCIALE pubblica udienza, il controricorrente ha depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 26 , in relazione all’art. 22 dello
RAGIONE_SOCIALE L. 6972/1890 -c.d. ‘L. Crispi’ -Statuto dell’RAGIONE_SOCIALE, degli artt. 16 e 17 del R.D. 18.11.1923, n. 2440.
Il ricorrente censura la sentenza RAGIONE_SOCIALE Corte d’appello per non avere ritenuto che, all’epoca del conferimento degli incarichi professionali -anni 1997, 1999 e 2002 , i contratti stipulati dall’RAGIONE_SOCIALE richiedessero la forma scritta ad substantiam, essendo applicabile la L. 6972/1890 e il Regolamento attuativo approvato con R.D. n. 99/1891, che imporrebbe tale requisito anche per le RAGIONE_SOCIALE. Ulteriore elemento che deporrebbe per il requisito RAGIONE_SOCIALE forma scritta era costituito dalle previsioni dello stesso Statuto dell’RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo mezzo, si denuncia la violazione degli artt. 57 e 60 del Regolamento Amministrativo approvato con R.D. n. 99/1981, secondo cui per i contratti di importo superiore a Lire 500 sarebbe necessario il previo consenso RAGIONE_SOCIALE Giunta amministrativa.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione degli artt. 3 e 6 del D.P.C.M. 16.2.1990, per non aver la Corte d’appello accertato il continuo perseguimento delle finalità statutarie -ossia la ‘permanenza’ del carattere associativo, dell’amministrazione privata e dell’ispirazione religiosa -, condizione necessaria perché l’RAGIONE_SOCIALE conservasse la qualifica di ente privato. Avrebbe errato la Corte d’appello a ritenere la sussistenza di tale requisito solo sulla base delle previsioni statutarie, omettendo l’accertamento concreto del perseguimento delle finalità previste dallo statuto.
3.1. I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, in quanto vertono sulla natura giuridica degli enti di beneficenza e, conseguentemente, sulla forma degli atti con cui perseguono le finalità statutarie nei rapporti con i privati, sono infondati.
La Legge 17 luglio 1890, n. 6972, recante norme sulle istituzioni pubbliche di beneficenza, meglio nota come legge Crispi, aveva trasformato le associazioni o fondazioni di diritto privato in enti pubblici, sottoponendoli ad un penetrante controllo statale, anche di merito, sull’attività e sugli atti, che si estrinsecava anche nella possibilità di sopprimerli o operare fusioni tra i medesimi.
L’art.26 RAGIONE_SOCIALE citata legge prevedeva che ‘le alienazioni, locazioni od altri simili contratti e gli appalti delle cose ed opere per un valore complessivo di oltre L. 3000, per le istituzioni di prima classe, e di oltre L. 1000, per le istituzioni di seconda classe, debbono essere fatti, sotto pena di nullità, all’asta pubblica, con le forme stabilite per i contratti e per le opere dello Stato’.
La legittimità di tali disposizioni è stata sottoposta al vaglio RAGIONE_SOCIALE Corte Costituzionale in relazione all’art. 38 RAGIONE_SOCIALE Costituzione che sancisce la libertà dell’assistenza sociale; bisognerà attendere la
sentenza n. 396/1988, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 1 RAGIONE_SOCIALE legge Crispi nella parte in cui assoggettava automaticamente tutte le RAGIONE_SOCIALE – comprese quelle regionali ed infraregionali – al regime degli enti pubblici.
Tale disciplina, infatti, impedendo alle istituzioni private di mantenere la propria autonomia e personalità giuridica di diritto privato, anche possedendo tutti i requisiti di una istituzione privata, comprimeva in modo consistente la libertà di iniziativa privata nel settore assistenziale e perciò contrastava con il principio pluralistico sancito dall’art. 38, ultimo comma, Cost.
Pur riconoscendo il peculiare ‘spessore storico’ delle RAGIONE_SOCIALE -caratterizzato dall’intreccio tra poteri pubblicistici di controllo e una forte componente privatistica, quale la volontà dei fondatori, degli amministratori o RAGIONE_SOCIALE base associativa – la Corte Costituzionale evidenziò come la ‘Legge Crispi’ non aveva operato una piena pubblicizzazione del settore RAGIONE_SOCIALE beneficenza e dell’assistenza, bensì aveva introdotto un modello di “beneficenza legale”, attraverso strumenti statali, forme di controllo e di disciplina uniforme per le iniziative di origine privata.
Il mutato contesto sociale e l’affermazione del principio pluralistico legittimarono il riconoscimento delle RAGIONE_SOCIALE come enti di diritto privato, purché in presenza dei requisiti stabiliti.
La sentenza RAGIONE_SOCIALE Corte Costituzionale, secondo la dottrina, riflette il passaggio da una prospettiva prevalentemente patrimonialista del diritto privato a una visione centrata sulla persona e sulle formazioni sociali, in linea con l’art. 2 RAGIONE_SOCIALE Cost., valorizzando tanto l’autonomia individuale, quanto i doveri di solidarietà politica, economica e sociale, nel segno del principio del pluralismo sociale.
Per effetto RAGIONE_SOCIALE dichiarazione d’incostituzionalità dell’art.1 RAGIONE_SOCIALE Legge 17 luglio 1890, n. 6972, l’art. 1 del D.P.C.M. del 16.02.1990 ha definito i tre criteri alternativi per il riconoscimento RAGIONE_SOCIALE personalità giuridica di diritto privato delle RAGIONE_SOCIALE: il carattere associativo, il carattere di istituzione promossa ed amministrata da privati e l’ispirazione religiosa.
Successivamente, l’art. 30 RAGIONE_SOCIALE legge 08.11.2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) ha abrogato la disciplina di cui alla legge n. 6972 del 1980, delegando al Governo di emanarne una nuova prevedendo, tra l’altro, « (…) la possibilità RAGIONE_SOCIALE trasformazione delle RAGIONE_SOCIALE in associazioni o in fondazioni di diritto privato fermo restando il rispetto dei vincoli posti dalle tavole di fondazione e dagli statuti, tenuto conto RAGIONE_SOCIALE normativa vigente che regolamenta la trasformazione dei fini e la privatizzazione delle RAGIONE_SOCIALE, nei casi di particolari condizioni statutarie e patrimoniali» (art. 10 lett. d).
In attuazione RAGIONE_SOCIALE delega, il D.lgs. 04/05/2001, n. 207 (Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a norma dell’articolo 10 RAGIONE_SOCIALE L. 8 novembre 2000, n. 328) prevede all’art. 16 per le RAGIONE_SOCIALE che non esercitavano, come nella specie, funzioni di assistenza alle persone, la trasformazione, mediante l’adozione di specifica regolamentazione regionale, in persone giuridiche private sottoposte a controllo RAGIONE_SOCIALE Regione.
3.2. Così ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale, l’accertamento RAGIONE_SOCIALE natura privatistica dell’RAGIONE_SOCIALE è stata correttamente accertata dalla Corte d’appello sulla base del D.P.C.M. del 16.02.1990, in quanto solo un incarico era stato conferito nel 2002, nel vigore del D. Lgs. 04/05/2001, n. 207.
La giurisprudenza ha ritenuto che, anche in assenza di specifica regolamentazione regionale, la natura privatistica potesse essere accertata da parte del giudice ordinario sulla base dei parametri previsti dall’art.1 del DPCM 16.2.1990 ricognitivo dei principi generali dell’ordinamento (Cass. S.U 10365/2009; Cass. SU 1151/2012; Cass. SU N. 30176/2011).
L’art.1 del DPCM 16.2.1990 prevede che, ai fini del riconoscimento RAGIONE_SOCIALE natura privatistica delle istituzioni che continuino a perseguire le proprie finalità nell’ambito dell’assistenza, i requisiti del carattere associativo, del carattere di istituzione promossa ed amministrata da privati e l’ispirazione religiosa devono sussistere in via alternativa.
Ai sensi dell’art. 1, comma 6, del D.P.C.M., ai fini del riconoscimento RAGIONE_SOCIALE natura privatistica, sono istituzioni di ispirazione religiosa quelle che congiungono a un’attività istituzionale con finalità religiosa, un collegamento con una confessione religiosa, anche mediante la designazione statutaria di ministri del culto, di appartenenti ad istituti religiosi, di rappresentanti di attività o di associazioni religiose ovvero attraverso la collaborazione di personale religioso.
Nel caso di specie, l’ispirazione religiosa era certamente sussistente, avendo l’RAGIONE_SOCIALE affidato alle RAGIONE_SOCIALE le attività di istruzione ed educazione dei bambini (art. 2 Statuto) ed essendo uno dei membri del CdA nominato dal Vescovo AVV_NOTAIO Cava de’ Tirreni (art. 4 Statuto).
Le due previsioni, come correttamente osservato dalla Corte d’appello, sono compatibili soltanto con un indirizzo religioso dell’RAGIONE_SOCIALE e rappresentano il collegamento dell’Ente, sin dalla sua costituzione, con la confessione cristiana e l’impegno a fornire collaborazione, attraverso personale religioso, allo svolgimento dei compiti di educazione ed istruzione dei bambini affidati all’ente.
Non è di impedimento alla natura privata delle RAGIONE_SOCIALE la previsione del controllo pubblico, previsto anche per le persone giuridiche di diritto privato (art.25 c.c.), né il fatto che alcuni membri del CdA siano nominati dal Consiglio Comunale, nulla impedendo che un organismo amministrativo non formato da religiosi obbedisca nelle sue determinazioni ad un indirizzo religioso (Cass. SU N. 13666/02).
Pertanto, sussistendo il requisito dell’ispirazione religiosa, l’RAGIONE_SOCIALE aveva natura privatistica e non poteva essere invocato l’obbligo RAGIONE_SOCIALE forma scritta ad substantiam per il conferimento degli incarichi professionali.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., con riferimento al difetto di potere deliberativo in capo al Presidente dell’ente. Secondo il ricorrente, ai sensi degli artt. 6 e 7 dello Statuto dell’RAGIONE_SOCIALE, che il potere deliberativo sarebbe attribuito esclusivamente al CdA, mentre al Presidente spetterebbe soltanto la rappresentanza esterna dell’ente. Di conseguenza, l’attività posta in essere dal Presidente in assenza di preventiva deliberazione del CdA dovrebbe ritenersi compiuta da un rappresentante senza poteri e quindi inidonea a produrre effetti vincolanti per l’RAGIONE_SOCIALE. Tale censura sarebbe stata tempestivamente sollevata sin dal giudizio di opposizione ed avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio dalla Corte di Appello, in quanto emergente dagli atti di causa e segnatamente dallo Statuto dell’ente. 4.1. Il motivo è inammissibile.
4.2. La censura si sostanzia in una doglianza di omessa pronuncia su un motivo d’appello, che l’RAGIONE_SOCIALE, vittoriosa in primo grado, avrebbe dovuto riproporre in sede di gravame mentre era rimasta contumace nel giudizio d’appello.
Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la nullità RAGIONE_SOCIALE sentenza per violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per non avere la Corte d’appello dichiarato l’inammissibilità RAGIONE_SOCIALE domanda riconvenzionale proposta da NOME COGNOME di accertamento RAGIONE_SOCIALE natura privata dell’ente. Il ricorrente sostiene che la comparsa di costituzione nel giudizio di opposizione era stata depositata dinanzi al Tribunale in data 5.1.2015, scaduto il termine di venti giorni prima RAGIONE_SOCIALE udienza di comparizione, fissata nell’atto di citazione in opposizione al 21.1.2015.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. Con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, l’RAGIONE_SOCIALE aveva contestato la natura privata dell’ente e, conseguentemente aveva chiesto che nulla fosse dovuto ad NOME perché era nullo il contratto di conferimento dell’incarico per carenza RAGIONE_SOCIALE forma scritta richiesta per i contratti con la pubblica amministrazione.
La richiesta di NOME COGNOME di accertamento RAGIONE_SOCIALE natura privata dell’RAGIONE_SOCIALE costituiva l’oggetto del giudizio in relazione al quale si era estrinsecata la difesa dell’opposto.
Con il sesto motivo di ricorso, si deduce la nullità RAGIONE_SOCIALE sentenza per violazione dell’art. 331 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.; la Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato che il geometra COGNOME non aveva proposto alcuna domanda nei confronti di NOME COGNOME, ma solo nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, che lo avrebbe chiamato in garanzia, in via subordinata, solo in caso di soccombenza. Di conseguenza, le cause sarebbero state scindibili, non essendo stata estesa alcuna domanda da parte di NOME COGNOME nei confronti del terzo e, conseguentemente, la notifica dell’atto d’appello a COGNOME avrebbe avuto la sola finalità di litis denuntiatio , volta a informarlo RAGIONE_SOCIALE pendenza dell’appello per
consentirgli l’eventuale proposizione di impugnazione incidentale, senza attribuirgli la qualità di parte necessaria del giudizio. Il ricorrente, a tal fine, richiama la sentenza delle Sezioni Unite N. 24707/2015, che avrebbe ravvisato il principio di inscindibilità delle cause a seguito di chiamata in garanzia propria ed impropria.
6.1. Il motivo è infondato.
6.2. Seppur la giurisprudenza consolidata di questa Corte riconosce che, in caso di chiamata in garanzia, si instaura un litisconsorzio necessario processuale tra il terzo chiamato e le parti originarie, con conseguente inscindibilità delle cause ai sensi dell’art. 331 c.p.c. (Sez. U, n. 24707 del 4 dicembre 2015; Cassazione civile sez. 6-2, 11/11/2021, n.33481; Sez. 3, n. 9013 del 21 marzo 2022; Sez. 6-2, n. 5876 del 12 marzo 2018; Sez. 3, n. 25822 del 31 ottobre 2017; Cassazione civile sez. 2, 23/01/2023, n.1893), nel caso di specie, COGNOME si era regolarmente costituito nel giudizio d’appello, sicché non era necessario disporre l’integrazione del contradditorio.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. 115/2002, va dato atto RAGIONE_SOCIALE sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna altresì parte ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE somma di € 7500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. 115/2002, va dato atto RAGIONE_SOCIALE sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio RAGIONE_SOCIALE Seconda Sezione Civile RAGIONE_SOCIALE Corte Suprema di cassazione, in data 15 maggio 2025. Il Consigliere estensore Il Presidente NOME NOME COGNOME