Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16927 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 16927 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso 6996-2023 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME DE NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME DI NOME COGNOME DI NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
PROVINCIA DI CHIETI, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
Altre ipotesi pubblico impiego
R.G.N. 6996/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 06/05/2025
PU
nonché contro
REGIONE ABRUZZO, in persona del Presidente pro tempore, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, RAGIONE_SOCIALE PER LA RAPPRESENTANZA NEGOZIALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrenti –
nonché contro
CO.T.IR. -CONSORZIO PER LA DIVULGAZIONE E LA SPERIMENTAZIONE DELLE TECNICHE IRRIGUE- S.C.A.R.L. IN LIQUIDAZIONE, CONSORZIO DI RAGIONE_SOCIALE, COMUNE DI SCERNI;
– intimati –
avverso la sentenza n. 300/2022 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 22/09/2022 R.G.N. 308/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Gli odierni ricorrenti, lavoratori alle dipendenze del RAGIONE_SOCIALE in situazione di esubero già dichiarata ex art. 4 e ss. legge n. 223/1991, avevano agito in via cautelare innanzi al Tribunale di Vasto allo scopo di far accertare la natura di ente pubblico del RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione), con applicazione al
personale del CCNL Enti Locali e il conseguente divieto di adottare provvedimenti gestionali non conformi alle previsioni del CCNL cit. e alle procedure di mobilità ex d.lgs. 165/2001.
Con sent. n. 134/19 il Tribunale di Vasto accoglieva la domanda cautelare (accertando la natura di ente pubblico non economico del COTIR) e, nel successivo giudizio di merito, dichiarava inammissibile, per difetto di interesse ad agire, l’azione di accertamento della natura di società consortile a r.l. del COTIR (con conseguenziale qualificazione del rapporto di lavoro come privatistico) introdotta dalla Regione Abruzzo, dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dall’ARAN contro i lavoratori e il Consorzio stesso.
La Corte d’appello di L’Aquila, adita con appello principale dalla Regione Abruzzo, dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dall’ARAN e, con appello incidentale, dagli stessi lavoratori, dichiarava l’inammissibilità del primo nei (soli) confronti del COTIR (stante l’estinzione parziale del giudizio dichiarata in primo grado con separazione della relativa posizione processuale) e l’inammissibilità tout court del secondo;
quanto all’appello principale delle amministrazioni nei confronti delle restanti parti, ritenuta l’esistenza dello ius postulandi dell’Avvocatura distrettuale dello Stato per la Regione Abruzzo e considerata la domanda di merito come pienamente aderente al dictum cautelare anticipatorio, di cui le pp.aa. erano state destinatarie passive, lo accoglieva, e, per l’effetto, riformava la sentenza di primo grado, ritenendo il COTIR non qualificabile come ente pubblico, donde la non applicazione nei confronti dei dipendenti dell’ente in parola tanto del CCNL Enti Locali quanto del d.lgs. 165/2001 (t.u.p.i.).
A fondamento della decisione il Collegio ha evidenziato che, in base a quanto emerso dagli atti di causa, il COTIR (del quale per Statuto potevano far parte imprese private e a cui partecipava il Consorzio di
bonifica e quindi un ente pubblico economico) non era stato istituito, come imposto per gli enti pubblici dall’art. 4 legge n. 70/1975, mediante legge statale o regionale (la legge reg. n. 31/1982 non prevedendone la costituzione) ma con atto pubblico del 29/7/1988, sicché, alla luce di tale circostanza ed in assenza di un quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivoco, lo stesso non poteva qualificarsi come ente pubblico.
Ha quindi ritenuto che la connotazione pubblica degli enti soci (senza, tuttavia, poteri pubblicistici di ingerenza sul funzionamento del Consorzio), la natura di interesse pubblicistico delle attività svolte (avendo il COTIR funzioni di centro di ricerca in materia di tecniche agricole) nonché l’avvenuta assunzione del personale mediante procedure di tipo concorsuale non fossero «indici sintomatici» decisivi ai fini della determinazione della natura giuridica del Consorzio.
La Corte d’appello ha escluso la personalità giuridica pubblica non essendo il RAGIONE_SOCIALE qualificabile come consorzio tra pp.aa. ex artt. 1-2 d.lgs. n. 165/2001 ed ha concluso per la natura di consorzio a partecipazione pubblica ex art. 2615 ter c.c. ovvero di organismo societario di diritto privato a partecipazione pubblica, come tale non rientrante nella definizione di pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 co. 2 d.lgs. 165/2001 ma nell’ambito delle società private a partecipazione pubblica regolate dalla legge n. 175/2016.
Contro tale sentenza propongono ricorso per cassazione i lavoratori con cinque motivi assistiti da memoria, cui si oppongono con controricorso, illustrato da memoria, la Regione Abruzzo, la Presidenza del Consiglio dei ministri e l’ARAN.
Resiste altresì con controricorso la Provincia di Chieti.
La Procura Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia violazione della legge Regione Abruzzo 14 febbraio 2000, n. 9, art. 1, e dell’art. 12 della legge n. 103/1979 per carenza assoluta dello jus postulandi in capo all’avvocatura dello stato, per avere la Corte territoriale erroneamente disatteso l’eccezione di inammissibilità, per difetto di valido mandato ad litem, dell’appello proposto dalla Regione Abruzzo.
1.1 Il motivo è infondato.
A riguardo, va richiamata la giurisprudenza consolidata di legittimità secondo cui in tema di rappresentanza e difesa facoltativa degli enti pubblici da parte dell’Avvocatura dello Stato, non è necessario che, in ordine ai singoli giudizi, l’ente rilasci uno specifico mandato all’Avvocatura medesima, né che questa produca il provvedimento del competente organo dell’ente recante l’autorizzazione del legale rappresentante ad agire od a resistere in causa, escludendo gli artt. 1 e 45 r.d. n. 1611 del 1933 che l’Avvocatura necessiti di alcuna forma di mandato ed essendo eventuali divergenze tra organi sulla opportunità di promuovere la lite o di resistere a lite da altri proposta, impedite o composte “intra moenia” dalla previsione dell’art. 12 l. n. 103 del 1979.
Ne consegue che la stessa assunzione dell’iniziativa giudiziaria, pure nella forma dell’impugnazione, ad opera dell’Avvocatura dello Stato con riguardo a tali organi od enti, comporta la presunzione iuris ed de iure di esistenza di un valido consenso e di piena validità dell’atto processuale compiuto e lascia nell’ambito del rapporto interno le questioni attinenti alla inosservanza di regole di formazione del consenso medesimo (Cass., sez. seconda, ord. 3 settembre 2018, n. 21557; Cass., sez. prima, 13 marzo 2013, n. 6228; Cass., sez. prima, 27 marzo 2003, n. 4564).
Come correttamente sottolineato dalla Procura Generale nella sua requisitoria, la denunciata norma della Regione Abruzzo non fa eccezione (né potrebbe farla) alla normativa statuale.
Infatti, l’art. 1, comma 2, della L.R. n. 9/2000 prevede soltanto che «La rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza in giudizio della Regione, salvo nelle ipotesi di controversia con lo Stato e salva la previsione di cui al successivo comma 3, sono di norma affidati all’Avvocatura dello Stato». È vero che il successivo comma 3 stabilisce che «L’Avvocatura regionale è competente, in via generale, per i giudizi in caso di sussistenza, anche virtuale, di conflitto di interessi con lo Stato. Essa rappresenta e patrocina la Regione dinanzi agli Organi di giurisdizione di ogni ordine e grado nelle fattispecie definite, in via generale, con apposito atto di organizzazione della Giunta regionale». Ma, come appunto desumibile dalla menzionata giurisprudenza di legittimità, l’eventuale conflitto di interessi (non provato in ogni caso nel giudizio di merito) resterebbe comunque confinato nell’ambito del rapporto interno tra Stato e Regione. Ne consegue, pertanto, anche l’insussistenza della pretesa violazione del principio costituzionale e comunitario del giusto ed equo processo.
Col secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 435 c.p.c. perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la non perentorietà del termine per notificare il ricorso in grado di appello unitamente al decreto di fissazione di udienza di comparizione e, dunque, la tempestività della notifica dell’appello e, conseguentemente, la sua procedibilità.
2.1 Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis n. 1 c.p.c. poiché il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte e l’esame
dei motivi non offre elementi per mutare l’orientamento della stessa.
Ai sensi dell’art. 435 c.p.c. il deposito del decreto presidenziale deve essere comunicato all’appellante a cura della cancelleria e, dal momento della comunicazione, l’appellante ha dieci giorni di tempo per procedere alla notifica del decreto stesso all’appellato.
Questa Corte di legittimità ha, da lungo tempo, chiarito che nel rito del lavoro il termine di dieci giorni entro il quale l’appellante, ai sensi dell’art. 435, comma 2, c. p.c., deve notificare all’appellato il ricorso tempestivamente depositato in cancelleria nel termine previsto per l’impugnazione, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza di discussione, non ha carattere perentorio e che la sua inosservanza non produce alcuna conseguenza pregiudizievole per la parte, perché non incide su alcun interesse di ordine pubblico processuale o su di un interesse dell’appellato, sempre che sia rispettato (come risulta incontestato nella specie) il termine che, in forza del medesimo art. 435, commi 3 e 4, c.p.c., deve intercorrere tra il giorno della notifica e quello dell’udienza di discussione (Cass., sez. seconda, ord. 30 ottobre 2020, n. 24034; Cass., sez. lav., 29 febbraio 2016, n. 3959; Cass., sez. sesta, ord. 16 ottobre 2013, n. 23426; Cass., sez. lav., 31 maggio 2012, n. 8685; Cass., sez. lav., 30 dicembre 2010, n. 26489).
Peraltro, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 435 c.p.c., prospettata dalla parte, appare manifestamente infondata proprio sulla base della dimensione complessiva di garanzie (artt. 24 e 111 Cost.), che costituiscono patrimonio comune di tradizioni giuridiche condivise a livello sovranazionale (art. 47 della Carta di Nizza, art. 19 del Trattato sull’Unione europea, art. 6 CEDU), il cui coordinamento consente una sintesi compiuta, volta a far sì che possa trovare attuazione il principio, fondamentale, che costituisce lo scopo ultimo al quale il processo è di per sé orientato, ossia l’effettività della tutela giurisdizionale, nella sua essenziale tensione verso una decisione
di merito. Di qui, pertanto, anche il principio (richiamato in modo pertinente anche dalla Procura Generale) che impone di evitare eccessi di formalismo e, quindi, restrizioni del diritto della parte all’accesso ad un tribunale che non siano frutto di criteri ragionevoli e proporzionali (art. 6 § 1 CEDU: tra le altre, Corte EDU, 16 giugno 2015, COGNOME c. Italia, Corte EDU 15 settembre 2016, COGNOME c. Italia e Corte EDU, 28 ottobre 2021, COGNOME c. Italia; ma anche: Cass., S.U., n. 10648/2017; Cass., S.U., n. 27199/2017; Cass., S.U., n. 22438/2018; Cass. n. 3612/2022; Cass. n. 7186/2022; Cass., S.U., n. 8950/2022; Cass., S.U., n. 2075/2014; Cass., S.U., n. 2077/2014).
Segue l’infondatezza del secondo motivo di ricorso.
Col terzo motivo se deduce violazione degli artt. 81 e 100, c.p.c., in relazione agli artt. 24 Cost. e 6 CEDU perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la legittimazione ad causam e l’interesse ad agire delle P.A. appellanti.
3.1 Il motivo non è fondato.
Risulta pacifico e non contestato che le Amministrazioni controricorrenti (la Regione Abruzzo, l’ARAN e la Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della Funzione Pubblica), hanno instaurato il giudizio di merito a fronte della domanda proposta nei loro confronti ex art. 700 c.p.c. dai dipendenti del RAGIONE_SOCIALE, i quali avevano individuato, dunque, le stesse Amministrazioni quali dirette controinteressate.
Le Amministrazioni pubbliche hanno quindi proposto domanda, nel giudizio di merito, avente ad oggetto l’accertamento e la declaratoria della natura privatistica del rapporto di lavoro intercorrente fra il Consorzio ed i lavoratori dipendenti: corretta, pertanto, appare la statuizione della Corte territoriale circa la sussistenza della legittimazione ad causam e dell’interesse ad agire
delle Amministrazioni, individuate inizialmente dagli stessi lavoratori quali controinteressate nel procedimento cautelare.
Con il quarto motivo si denuncia violazione della legge reg. n. 31/1982 della legge n. 70/1975 in riferimento alla direttiva 2014/24/UE e al regolamento UE n. 549/2013 e si formula richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla CGUE e ciò perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la natura privatistica del CO.T.IR.
I ricorrenti chiedono in particolare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia relativamente all’interpretazione della nozione di ‘organismo di diritto pubblico’ offerta dalla direttiva 2014/24/UE e dal Regolamento UE n. 549/2013.
4.1 Il motivo è infondato.
La Corte di merito ha accertato la natura di società privata consortile a partecipazione pubblica del RAGIONE_SOCIALE attualmente regolata dalle disposizioni del d.lgs. n. 175/2016, società dunque non rientrante nella nozione di pubblica amministrazione di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, con conseguente inapplicabilità ai rapporti di lavoro dei dipendenti del Consorzio medesimo delle disposizioni del t.u.p.i. e della contrattazione collettiva del comparto Regioni ed Autonomie locali.
Si legge nella sentenza impugnata al punto 7 – ed è pacifico e incontestato in atti – che il CO.T.IR. ‘è stato istituito con atto pubblico del 29.7.1988; inizialmente ne erano soci l’E.RAGIONE_SOCIALE (Ente Regionale di Sviluppo Agricolo), il Consorzio di Bonifica delle Valli Alento e Destra Pescara e le Università degli Studi di Chieti e L’Aquila; successivamente, il CO.T.IR. risulta essere stato partecipato anche da soggetto privato (il RAGIONE_SOCIALE); da ultimo, ed attualmente, il CO.T.IR. è partecipato dalla Regione Abruzzo, dalla
Provincia di Chieti, dal Comune di Scerni e dal Consorzio di Bonifica Centro – Bacino Saline, Pescara, Alento e Foro’.
L’art. 4 legge n. 70/1975 prevede che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge, salvo quanto previsto negli artt. 2 e 3 della legge stessa in materia di ristrutturazione o fusione degli enti pubblici preesistenti.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio di diritto secondo cui l’esistenza di un ente pubblico dipende dall’espresso conferimento di tale qualifica da parte del legislatore, statale o regionale (v. Cass., sez. un., 19 aprile 2021, n. 10244, che ha espressamente richiamato Cass., sez. un., 27 ottobre 1995, n. 11179; Cass., sez. un., 24 febbraio 1998, n. 1987 e Cass., sez. un. 9 marzo 2000, n. 2677 ed ha ritenuto la natura privatistica dell’ANCI; cfr. Cass., sez. un., ord. 20 gennaio 2022, n. 1779, che ha attribuito natura pubblicistica all’ACI).
Le Sezioni Unite hanno in particolare sottolineato (Cass. SU n. 10244/2021) «come questa norma sancisca, con estrema chiarezza, il principio secondo cui l’esistenza di un ente pubblico dipende dall’espresso conferimento di tale qualifica da parte del legislatore, statale o regionale: in altri termini, perché un soggetto possa essere qualificato come pubblico, non si può prescindere da una base legislativa che sottoponga quel soggetto a un regime pubblicistico (Cass. Sez. Un. 27 ottobre 1995, n. 11179; cfr. pure Cass. Sez. Un. 24 febbraio 1998, n. 1987, e Cass. Sez. Un. 9 marzo 2000, n. 2677, secondo cui l’art. 4 della legge n. 70 del 1975 stabilisce una riserva di legge di carattere relativo).
E anche in altre decisioni, al fine di escludere la qualità di ente pubblico di un soggetto, si è attribuita importanza dirimente alla mancanza di una norma attributiva della personalità giuridica pubblica (Cass., Sez. Un., 17 aprile 1982, n. 2334), ovvero alla
mancanza di un’espressa qualificazione legislativa in senso pubblicistico (Cass., Sez. Un., 17 maggio 1984, n. 3017). Si è precisato che, in difetto di questi requisiti, non è sufficiente ad attribuire la natura pubblicistica all’ente la presenza di taluni indici sintomatici, quali la natura pubblica degli enti che concorrono a formarlo (Cass., Sez. Un., 23 novembre 1993, n. 11541; Cass., Sez. Un., 17 aprile 1982, n. 2334 cit.); il perseguimento delle finalità riguardanti i soggetti che lo hanno formato (Cass. n. 11541/1993 cit.), specie se la coincidenza degli scopi e delle attività dell’ente non è integrale con i fini e gli scopi della pubblica amministrazione (Cass., n. 2334/1982 cit.); la partecipazione ai suoi organi dei rappresentanti dei soggetti che l’hanno formato (Cass., n. 11541/1993, cit.).
Orbene, si rimarca, anche in questa sede, che il CO.T.RAGIONE_SOCIALE. non è stato istituito in forza di una norma di legge, statale o regionale: la richiamata L.R. n. 31/1982 non ne prevede l’istituzione, limitandosi a stabilire il finanziamento regionale per la relativa costituzione; tanto meno attribuisce al CO.T.IR. ‘personalità giuridica di diritto pubblico’. Il CO.T.RAGIONE_SOCIALE. invece è stato costituito per atto pubblico con partecipazione anche di un consorzio di bonifica avente pacifica natura di ente pubblico economico e operante in regime privatistico.
In effetti, l’art. 1 dello Statuto del CO.T.IR. qualifica l’ente quale ‘società consortile a responsabilità limitata’; il successivo art. 8 prevede poi che possono entrare a farne parte anche imprese private e «nessuna disposizione dello Statuto stesso consente agli enti pubblici soci possibilità di influire sul funzionamento della società avvalendosi di poteri pubblicistici» (punto 7.1 sentenza). Anche le D.G.R. della Regione Abruzzo, peraltro, hanno sempre qualificato l’ente quale ‘società partecipata con funzioni di centro di ricerca in materia di tecniche agricole’.
Né, sotto altro profilo, vale insistere sulla qualificabilità (ritenuta nella DGR Abruzzo n. 203/2016) del COTIR come ‘organismo di diritto pubblico’, la quale comporta soltanto l’applicabilità della disciplina del cd. settore pubblico allargato in materia di appalti pubblici, controlli pubblici ed evidenza pubblica, ma non l’attribuzione di personalità giuridica pubblica (in tal senso, Cass., n. 10244/2021, cit.).
A parte il fatto che lo scopo di lucro del RAGIONE_SOCIALE non è in radice escluso dallo Statuto che, all’art. 6, stabilisce che la società ha per oggetto svolgimento di attività di ricerca applicata, scientifica e tecnologica di interesse pubblico, anche per conto di operatori privati, e che per tale scopo può compiere «tutte le operazioni commerciali, finanziarie, industriali ed immobiliari utili e necessarie e utili a tal fine». Il che non pare compatibile con la nozione di ‘organismo di diritto pubblico’ di matrice europea (cfr. Cass. Sez. U -, Ordinanza n. 17567 del 28/06/2019 che, richiamando la Corte di giustizia nella sentenza 10/5/2001, C-223/99 e C-260/99, RAGIONE_SOCIALE, precisa che da tale pronuncia «è chiaramente evincibile il principio secondo il quale l’ente fieristico, per essere ritenuto organismo di diritto pubblico, nel perseguire l’interesse pubblico debba agire senza essere soggetto alle regole di mercato, e quindi senza che possa ritenersi esercitata dallo stesso attività di carattere commerciale»), né, d’altra parte, come accertato dal giudice d’appello, il controllo della Regione Abruzzo finanziatrice giunge a forme tipiche di esercizio di poteri pubblicistici.
Tanto varrebbe ad orientare nel senso di escludere anche la qualificabilità come organismo di diritto pubblico.
Infatti, è proprio la disciplina eurounitaria (art. 1 lett. b) direttive 92/50/CEE (servizi), 93/36/CEE (forniture), 93/37/CEE (lavori), ora art. 3, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 50 del 2016) che
definisce l’organismo di diritto pubblico come «qualsiasi organismo, anche di forma societaria: istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, dotato di personalità giuridica, la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico».
In ogni caso, come già sopra anticipato, la nozione di organismo di diritto pubblico, di matrice europea, non rileverebbe comunque ai nostri fini perché essa «è stata elaborata per individuare le cd. «amministrazioni aggiudicatrici», ossia i soggetti tenuti al rispetto delle regole dell’evidenza pubblica, a prescindere dalla natura loro attribuita dai singoli ordinamenti nazionali (Cass. Sez. Un. 28 marzo 2019, n. 8673).
Essi, nonostante la veste formale privatistica per lo più assunta, sono equiparati alla pubblica amministrazione in quanto sottoposti per legge ad una disciplina di tipo pubblicistico. Tuttavia, è incontestato tanto in dottrina quanto in giurisprudenza che questa sottoposizione non riguarda l’intera vita dell’ente, ma solo alcuni segmenti della sua attività, ossia quelli strettamente legati all’affidamento dei contratti, ferma restando la possibilità per l’ente di ricorrere a strumenti di diritto privato per il raggiungimento delle finalità istituzionali cui è preposto (Cass. 30 settembre 2019, n. 24375; Cons. Stato, n. 3043/2016, cit.; v. anche Cons. Stato 4 aprile 2019, n. 2217). È una forma di ibridazione in cui sfumano i confini tra il diritto pubblico e il diritto privato, ma che tuttavia non pone in discussione l’equiparazione dell’organismo di diritto pubblico alla pubblica amministrazione pur in assenza di una
norma espressa; così come non è in discussione che la sottoposizione dell’organismo di diritto pubblico alla disciplina pubblicistica non vale per qualsiasi attività da esso svolta. Si è, in sostanza, in presenza di un’equiparazione settoriale funzionale e dinamica, perché strettamente legata all’affidamento dei contratti, ferma restando la sottoposizione dell’ente, di regola, alle norme del diritto privato. Si accede così ad una nozione di ente pubblico anch’essa dinamica e funzionale.
Ne consegue che il rapporto di lavoro in esame non è un rapporto di lavoro regolato dal T.U. su pubblico impiego, ma è un rapporto di lavoro assoggettato alle regole privatistiche, con particolare riferimento alla disciplina della interruzione del rapporto di lavoro dovuto allo scioglimento della società.
Del resto, l’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 175/2016 dispone che «ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi».
Ne discende l’infondatezza anche del quarto motivo del ricorso, con rigetto della richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267 TFUE relativamente all’interpretazione della nozione di ‘organismo di diritto pubblico’ offerta dalla direttiva 2014/24/UE e dal Regolamento UE n. 549/2013.
Con il quinto mezzo si lamenta (art. 360 n. 5 c.p.c.) l’omesso esame di fatti decisivi ai fini della soluzione della controversia e, in particolare, dei documenti inerenti alle DGR n. 820/2014; DGR n. 255/2015; DGR n. 203/2016, e/o della perizia giurata: atti dai quali
sarebbe stata evincibile la presenza di un’influenza dominante del soggetto pubblico sul funzionamento delle attività della stessa società.
5.1 Il motivo è inammissibile, giacché le delibere di giunta regionale in esame non costituiscono un ‘fatto’ controverso e decisivo ai sensi della richiamata disposizione e, in ogni caso, sono state oggetto di valutazione da parte della Corte di merito, come evincibile dalla stessa lettura della sentenza impugnata (v. punto 7.2 a p. 10 e 8.3.5 a p. 11 sentenza).
A riguardo, le Sezioni Unite della Corte (Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34476) hanno riassunto i principi, ormai consolidati, affermati in relazione alla riformulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., ad opera del d.l. n. 83/2012 e, rinviando a Cass., sez. un., n. 8053/2014, n. 9558/2018 e n. 33679/2018, hanno evidenziato che: a) il novellato testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; b) nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; c) tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. Quest’ultimo vizio è peraltro ravvisabile solo qualora la carenza o la
contraddittorietà siano tali da indurre la mancanza di un requisito essenziale della decisione.
Nella fattispecie in esame, le critiche mosse alla sentenza impugnata non sono sussumibili in alcuno dei vizi rilevanti ex art. 360 c.p.c., se non altro, perché le argomentazioni poste a base della decisione della Corte territoriale vanno ben oltre il ‘minimo costituzionale’ imposto dalla norma di riferimento, così come univocamente interpretata dalla giurisprudenza di legittimità.
6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con addebito delle spese di legittimità alla parte soccombente.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di legittimità che liquida, in favore del la Regione Abruzzo, della Presidenza del Consiglio dei ministri e de ll’ARAN , in €. 5.000,00 per compensi , oltre spese prenotate a debito, e, in favore della Provincia di Chieti, in €. 4.000,00 per compensi ed €. 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di