Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6859 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6859 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18272/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato,
presso cui sono elettivamente domiciliati, COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti-
NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME-) rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
CASSA PREVIDENZA SOVVENZIONI ASSISTENZA TRA DIPENDENTI COMUNALI, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di BARI n. 2/2021 depositato il 04/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Bari, con decreto ex art. 14-quinquies l. 3/2012 depositato il 23.2.2021, ha dichiarato aperta la procedura di liquidazione del patrimonio della Cassa di Previdenza, Sovvenzioni e Assistenza fra i dipendenti del Comune di Bari (di seguito, per brevità, Cassa).
Il medesimo Tribunale, in composizione collegiale, ha rigettato il reclamo presentato da alcuni dipendenti in servizio del Comune di Bari, da alcuni ex dipendenti del medesimo Comune e da alcuni ex iscritti alla Cassa e creditori della stessa.
Il Tribunale di Bari ha disatteso la prospettazione dei ricorrenti secondo cui la Cassa in oggetto costituirebbe un organismo di diritto pubblico in house del Comune di Bari, fondato sul perseguimento di finalità di pubblico interesse, soggetto al potere di ingerenza, vigilanza e controllo del Comune di Bari, ritenendo che gli indici richiamati dai reclamanti a sostegno della natura pubblica della Cassa non fossero dirimenti, dovendosi qualificare la stessa non una società in house, bensì un’associazione non riconosciuta le cui peculiari previsioni statutarie (laddove attribuivano il ruolo di presidente e legale rappresentante della Cassa al sindaco del Comune di Bari, prevedevano la sottoposizione del bilancio di previsione e del conto consuntivo alle determinazioni definitive del consiglio comunale e il coinvolgimento della giunta municipale nell’iter di approvazione di eventuali modifiche statutarie) trovavano giustificazione nell’interesse dell’amministrazione locale al corretto svolgimento dei suoi compiti.
Il giudice di merito ha, quindi, ritenuto che l’esclusione della natura pubblica della Cassa comportasse l’inapplicabilità dell’art. 244 d. lgs. 267/2000, disciplinante il dissesto finanziario di Province e Comuni, a fronte, del resto, della chiara previsione di tale norma, secondo cui ‘Le norme sul risanamento degli enti locali dissestati si applicano solo a province e comuni’.
Né, peraltro, la previsione residuale dell’art. 30 dello Statuto, risalente all’anno 1924, di applicabilità della legge comunale e provinciale e relativo regolamento per quanto non previsto, poteva giustificare una deroga della disciplina del dissesto degli enti locali, sia perché normativa sopravvenuta, che avrebbe dovuto essere recepita nel regolamento pattizio, sia perché quest’ultima previsione risultava generica nel suo richiamo alle leggi comunali e provinciali, sia, infine, perché la normativa sul dissesto ed il risanamento finanziario prevede oneri pubblici insuscettibili di estensione oltre i limiti di legge
Il Tribunale ha osservato, quanto ai requisiti soggettivi, che la procedura di liquidazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 14-ter e 7, comma 2, lett. a) e b), l. 3/2012, era esperibile dal debitore in sovraindebitamento che non fosse soggetto a procedure concorsuali diverse e non avesse fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, ai procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione, mentre non assumeva rilievo la carenza della qualità di consumatore, richiesta ai soli fini della diversa procedura del piano del consumatore.
Ha escluso, altresì, la soggezione della Cassa alla disciplina fallimentare, trattandosi di associazione di natura privata di cui non era stato allegato e provato l’esercizio di attività imprenditoriale.
Infine, il Tribunale di Bari ha ritenuto che non fossero stati dimostrati gli atti di frode contestati dai reclamanti, asseritamente compiuti negli ultimi cinque anni. Ha evidenziato che: i) le prime difficoltà economiche si erano manifestate nel periodo 2012 -2016
in ragione dello sbilancio fra quanto versato dagli iscritti e quanto conseguito al termine del servizio, del blocco del turn over e della scelta dei nuovi assunti di non iscriversi alla Cassa; ii) queste criticità non erano state seguite da alcuna modifica statutaria atta a garantire il riequilibrio economico finanziario; iii) il Comune di Bari aveva sospeso le erogazioni a seguito dei rilievi della Corte dei Conti; iv) il contenzioso promosso dai soci per l’accertamento del diritto alla sospensione delle ritenute alla restituzione delle somme erogate si era concluso in larga parte con esito favorevole per i soci, circostanza che induceva a ritenere che la sospensione e il mancato recupero dei crediti non fossero sorretti da intenti fraudolenti e dissipatori.
Avverso il predetto decreto hanno proposto, con due distinti atti, ricorso per cassazione, i ricorrenti in epigrafe indicati -tutti creditori della Cassa – affidandosi, rispettivamente, a due motivi (COGNOME + altri) e a nove motivi (COGNOME + altri).
La Cassa intimata ha resistito in giudizio con controricorso.
Tutte le parti hanno depositato le memorie ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Prima di esaminare i motivi del ricorso va rigettata l’eccezione sollevata dalla Cassa del difetto di integrità del contraddittorio, per non essere il ricorso per cassazione stato notificato dai ricorrenti ai signori COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, già reclamanti unitamente ai ricorrenti COGNOME + altri nel precedente grado, nonché agli altri gruppi di reclamanti -analiticamente indicati dalla controricorrente alle pagg. 6 e 7 del
contro
ricorso -dei giudizi di reclamo sub 2-2/2021, sub. 2-3/2021 e sub 2-4/2021, che nel precedente grado erano stati riuniti al reclamo 2-1/2021 (COGNOME + altri).
Tale eccezione è infondata atteso che nelle cause scindibili quali quelle di cui è causa, non vi è obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti delle parti il cui interesse alla partecipazione al giudizio nel grado superiore sia venuto meno (vedi Cass. S.U. n. 11676/2024; Cass. 41490/2021).
Con il primo motivo i ricorrenti COGNOME altri deducono la violazione e omessa applicazione degli artt. 88 comma 1° e 175 comma 1° c.p.c. nonché la violazione e omessa applicazione dell’art. 210 c.p.c.
Espongono i ricorrenti che la Cassa ha allegato, all’istanza di ammissione alla procedura, un testo di statuto incompleto ed inattendibile, in quanto composto solo 24 articoli, amputato delle norme finali, tra le quali l’art. 30 che rinvia, per tutto quanto ivi non previsto, alle norme della legge comunale e provinciale.
Il Tribunale non ha censurato tale condotta ed ha omesso di ordinare alla cassa di esibire il documento con l’attestazione di conformità all’originale.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c.
Lamentano i ricorrenti che il Tribunale ha omesso di pronunciare sull’istanza di esibizione dello statuto a fronte della produzione in giudizio ad opera delle parti di due testi statutari di diverso formato e contenuto (24 articoli il primo e 30 il secondo).
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione ed erronea applicazione dell’art. 6 comma 1° L. n. 3/2012, in relazione agli artt. 18 d.lgs n. 206/2005 e 3 e 5 d.lgs n. 50/2016, dell’art. 2 par. 1 n. 4 dirett. 2014/24/UE.
I ricorrenti contestano l’affermazione del giudice di merito secondo cui le società in house possono avere solo la forma societaria e non
anche quella della associazione, essendo ciò smentito dal testo dell’art. 3 L. 50/2016.
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. con riferimento allo statuto della Cassa.
Ad avviso dei ricorrenti, il convincimento del Tribunale secondo cui la Cassa non avrebbe la natura giuridica di organismo di diritto pubblico viola i canoni legali di interpretazione contrattuale, e ciò in quanto le norme statutarie (che i ricorrenti hanno provveduto a trascrivere integralmente quanto agli artt. 1,2,10,14, 15, 19,20, 21, 24, 30) attestano a chiare lettere la natura giuridica dell’ente quale organismo di diritto pubblico, sottoposto alla vincolante applicazione della legge comunale e provinciale.
In particolare, la natura pubblica emergerebbe dal rilievo che la Cassa è stata istituita con atto pubblico del comune di Bari, che essa eroga le proprie prestazioni solo a favore dei dipendenti comunali iscritti, assolvendo una funzione pubblicistica in attuazione del precetto dell’art. 38 Cost., che è sottoposta al governo e controllo esclusivo del Comune di Bari, che ha un servizio di cassa e custodia dei valori affidato alla Tesoreria comunale.
Il Tribunale di Bari, nel negare la natura di organismo di diritto pubblico in house, ha violato l’art. 1362 c.c., 1363 e 1366 c.c.
Con il quinto motivo è stato dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c..
Espongono i ricorrenti che il Tribunale di Bari ha affermato che la Cassa non è un organismo di diritto pubblico in house, omettendo di esaminare un fatto decisivo per il giudizio, ovvero che la debitrice ha depositato uno statuto composto solo di 24 articoli, diverso da quello depositato dai creditori composto da 30 articoli.
Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 30 dello statuto con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c.
Espongono i ricorrenti che il Tribunale di Bari non ha chiarito su quale testo dello Statuto ha fondato la propria decisione, ovvero quello composto da 24 articoli o (depositato dalla debitrice) o il testo dagli stessi depositato di 30 articoli.
Con il settimo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 14 ter L. 3/2012 in relazione all’art. 36 c.c.
I ricorrenti reiterano la censura secondo cui la Cassa ha formulato istanza di ammissione alla procedura di liquidazione del patrimonio allegando uno statuto incompleto e inattendibile.
Con l’ottavo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 1322 c.c.
Espongono i ricorrenti che il giudice di merito, nell’esaminare il testo dell’art. 30 dello statuto, ha violato il principio di autonomia negoziale, disapplicando d’ufficio una vincolante norma statutaria di per sé ostativa all’ammissione della Cassa alla procedura di liquidazione del patrimonio di cui è causa.
Con il nono motivo è stata dedotta la violazione di legge nonché l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Espongono i ricorrenti che il Tribunale di Bari ha omesso di esaminare fatti decisivi per il giudizio in tema di manifesta colpevolezza del debitore, in particolare, che non risultano deliberazioni del Consiglio Comunale del Comune di Bari aventi ad oggetto l’approvazione dei consuntivi e dei bilanci di previsione della Cassa, o la nomina di revisori e sindaci dal 2009 ad oggi, essendo così stato esposto l’Ente ad una irreversibile quanto pianificata crisi strutturale e finanziaria.
10. Con il primo motivo del loro ricorso i sig.ri COGNOME più altri hanno dedotto la violazione degli artt. 14 ter e ss. e 10 L. n. 3/2012.
Espongono i ricorrenti che i non pochi profili di raccordo istituzionale tra il Comune di Bari e la Cassa (il Sindaco è il Presidente e il Consiglio Comunale assume le determinazioni definitive sui suoi bilanci) inducono ad attribuire natura pubblica alla Cassa, così escludendola dalla possibilità di ricorrere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.
In particolare, sussistendo il requisito della influenza pubblica dominante, il soggetto, anche se formalmente soggetto privato, è soggetto all’applicazione delle norme in materia di evidenza pubblica.
I ricorrenti contestano la qualificazione della Cassa come associazione non riconosciuta, essendo, peraltro, stata costituita nel 1924 quando non era ancora immaginabile il concetto di associazione non riconosciuta introdotto solo con l’entrata in vigore del codice civile nel 1942, ed hanno richiamato tutte le clausole statutarie da cui evincere la natura pubblica della Cassa.
11. Con il secondo motivo è stata dedotta la nullità del decreto impugnato ex art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c.
Espongono i ricorrenti che il Tribunale non ha provveduto alla verifica ex art. 14 quinques L. n. 3/2012, omettendo qualsivoglia motivazione in ordine alla loro contestazione secondo cui la Cassa avrebbe compiuto atti di frode (sospensione della trattenuta del 3% sullo stipendio dei dipendenti comunali; inserimento nel passivo di somme non dovute, potendo essere considerati creditori della Cassa solo coloro che erano cessati dal servizio con non meno di tre anni di iscrizione alla Cassa; mancato recupero di crediti; atti di mala gestio degli amministratori) che avevano pregiudicato le ragioni dei creditori.
12. Il primo, secondo, quinto, sesto e settimo motivo del ricorso COGNOME + altri, da esaminare unitariamente, in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili.
Questi ricorrenti non hanno colto nel formulare i predetti motivi -ma l’hanno, invece, contradditoriamente colto nel loro ottavo motivo -che il Tribunale di Bari, soffermandosi diffusamente sull’interpretazione dell’art. 30 dello statuto, ha fondato la propria decisione sul testo dello statuto, composto di 30 articoli (mentre quello prodotto dalla Cassa si fermava all’art. 24), prodotto dagli stessi ricorrenti. È evidente quindi che la doglianza della omessa esibizione ex art. 210 c.p.c., così come l’allegazione (con le relative censure) della produzione in giudizio da parte della Cassa di uno statuto apocrifo, sono inammissibili in quanto del tutto inconferenti, avendo il Tribunale di Bari esaminato il testo dello statuto auspicato dagli stessi ricorrenti.
13. Il terzo, il quarto e l’ottavo motivo del ricorso COGNOME, e il primo motivo del ricorso COGNOME altri, da esaminare unitariamente, in quanto vertenti tutti sulla natura giuridica (asseritamente pubblica) della Cassa, sono inammissibili e in parte infondati.
Questa Corte (vedi SS. UU. n. 22409/2018 e 32068/2019) ha reiteratamente affermato che l ‘ente in house (in quei casi la società) è configurabile al ricorrere delle seguenti condizioni: a) il capitale sociale deve essere integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi e lo statuto deve vietare la cessione delle partecipazioni a soci privati; b) l ‘ente deve esplicare statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; c) la gestione deve essere per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici. Tali requisiti devono
sussistere tutti contemporaneamente e risultare da precise disposizioni statutarie.
Le Sezioni Unite, nella predetta pronuncia n. 32068/2019, hanno, altresì, evidenziato che, nel corso degli ultimi anni, la nozione di pubblica amministrazione si è progressivamente frantumata e relativizzata, ed hanno richiamato la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660), che ha chiarito che la nozione di ente pubblico nell’attuale assetto ordinamentale non può ritenersi fissa ed immutevole: il riconoscimento ad un determinato soggetto della natura pubblicistica a certi fini non ne implica automaticamente la integrale sottoposizione alla disciplina valevole in generale per la pubblica amministrazione: ” al contrario, l’ordinamento si è ormai orientato verso una nozione funzionale e cangiante di ente pubblico; si ammette … senza difficoltà che uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti, e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri istituti regimi normativi di natura privatistica”.
Il Tribunale di Bari, consapevole di tali principi -che ha espressamente richiamato – oltre ad escludere in capo alla Cassa la natura di società in house per l’insussistenza degli elementi indicati dalle Sezioni Unite, nel porsi la questione della natura giuridica della Cassa, ha evidenziato che gli indici richiamati dai ricorrenti a conforto della natura pubblica non erano dirimenti.
In tal senso ha valorizzato elementi di fatto, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità.
In particolare, il Tribunale ha escluso che la Cassa sia legata all’amministrazione comunale da una forma di controllo o relazione interorganica che consenta a quest’ultima di svolgere un’influenza dominante, e ciò in quanto la Cassa ha ‘gestione autonoma, patrimonio ed amministrazione distinta e separata dal patrimonio e dall’amministrazione del Comune’ (art. 2), provvede ai suoi fini
mediante quote di partecipazione a carico dei dipendenti che ne domandano l’iscrizione, con contributi su stipendi e salari (art. 3). È stata quindi messa in luce la natura solo volontaria e integrativa di quella obbligatoria di tale Cassa.
Né la circostanza che il sindaco ne sia il presidente e legale rappresentante nonché la sottoposizione del bilancio di previsione e del consuntivo della Cassa alla determinazioni definitive del Consiglio comunale sono stati ritenuti elementi significativi, avendo il tribunale spiegato che le attribuzioni statutarie a sindaco, giunta e consiglio comunale trovavano giustificazione ‘ nell’interesse dell’amministrazione locale al corretto svolgimento dei relativi compiti ‘.
In sostanza, proprio dall’autonomia di gestione, amministrazione e patrimonio il tribunale ha fatto discendere l’alterità soggettiva della Cassa rispetto all’amministrazione municipale, mantenendosi i due enti – quello pubblico e quello privato -distinti sul piano giuridicoformale ed escludendo, di conseguenza, l’applicabilità della disciplina del dissesto finanziario di Province e Comuni alla Cassa.
I ricorrenti si sono limitati ad invocare un sindacato di merito sulla valutazione compiuta dal tribunale, non preoccupandosi di contestare con la dovuta specificità gli argomenti offerti dal collegio di merito in ordine, da un lato, al fatto che la previsione dell’art. 30 dello statuto di applicabilità della legge comunale e provinciale non può comportare una deroga alla disciplina -adottata in epoca successiva -del dissesto degli enti locali, dall’altro, all’inapplicabilità al caso di specie delle disposizioni del d. lgs. 509/1994.
Le doglianze sollevate a questo proposito sono dunque inammissibili, perché l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una
critica della decisione impugnata e, quindi, nell’ esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata.
Infine, inammissibili sono le censure formulate dai ricorrenti COGNOME in ordine alla dedotta violazione delle norme di ermeneutica contrattuale in cui sarebbe incorso il Tribunale nell’interpretare le disposizioni statutarie.
Questa Corte ha più volte enunciato, in tema di interpretazione contrattuale, il principio di diritto secondo cui per far valere una violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’ inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (vedi Cass. n. 9461/2021, vedi anche Cass. n. 16987/2018, Cass. n. 10554 del 30/04/2010, n. 22102 del 19/10/2009). È proprio quanto avvenuto nel caso di specie, in cui i predetti ricorrenti si sono limitati a dedurre la violazione delle norme di interpretazione contrattuale senza neppure precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito si fosse discostato dai canoni legali di ermeneutica contrattuale.
Non vi è dubbio che i ricorrenti, con l’apparente doglianza della violazione di legge, abbiano in realtà, inammissibilmente, contestato una valutazione di fatto compiuta dal Tribunale, fornendo una propria interpretazione alternativa.
14. Il nono motivo del ricorso COGNOME è inammissibile.
I ricorrenti hanno lamentato che il giudice di merito avrebbe omesso di esaminare fatti decisivi per il giudizio in tema di manifesta colpevolezza del debitore, ovvero che non risultano
deliberazioni del Consiglio Comunale del Comune di Bari aventi ad oggetto l’approvazione dei consuntivi e dei bilanci di previsione della Cassa dal 2009 ad oggi, o la nomina di revisori e sindaci, essendo così stato esposto l’Ente ad una irreversibile quanto pianificata crisi strutturale e finanziaria.
Va osservato che la circostanza di cui il Tribunale avrebbe omesso l’esame non è affatto decisiva, in quanto si fa riferimento a condotte non riconducibili alla Cassa o ai suoi amministratori, ma al Consiglio Comunale del Comune di Bari.
15. Il secondo motivo del ricorso COGNOME + altri è infondato.
Va osservato che il Tribunale non ha affatto omesso la motivazione sulla contestazione dei ricorrenti secondo cui la Cassa avrebbe commesso atti di frode in pregiudizio dei creditori.
Il giudice di merito ha ritenuto infondate tali censure ‘alla luce delle documentate allegazioni della resistente’ (riportate diffusamente a pag. 7 del decreto impugnato) ‘che non sono state specificamente confutate da contrarie emergenze probatorie’ (vedi pag. 13 del decreto impugnato).
Il giudice di merito si è, inoltre, diffusamente soffermato sui dedotti atti di frode a pag. 14 del decreto impugnato, evidenziando come le difficoltà economiche della cassa fossero dovute allo sbilancio tra quanto versato dagli iscritti e quanto conseguito al termine del servizio (tre volte), al blocco del turn over, alla scelta dei nuovi assunti al Comune di Bari di non iscriversi alla Cassa. A tali criticità non era seguita alcuna modifica statutaria, pur sollecitata dagli amministratori, e mai approvata dall’assemblea dei soci, utile per il riequilibrio finanziario. Inoltre, anche la sospensione della trattenuta o il mancato recupero di crediti erano privi di intenti fraudolenti o dissipatori da parte della Cassa.
Con tale motivazione i ricorrenti non si sono confrontati né hanno contestato, in questa sede, la predetta affermazione del Tribunale secondo cui ‘le documentate allegazioni della resistente non sono
state specificamente confutate da contrarie emergenze probatorie’, lamentando, genericamente, una mala gestio degli amministratori. I ricorsi sono rigettati.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi.
Condanna i ricorrenti principali e i ricorrenti incidentali in solido al pagamento delle spese processuali che liquida in € 7.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte di tutti i ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 26.2.2025