Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6154 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6154 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 16291 anno 2021 proposto da: MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DELLA MOBILITA’ SOSTENIBILI, CAPITANERIA DI PORTO DI TERMOLI, REGIONE MOLISE, rappresentati e difesi dall’ Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono ex lege domiciliati in Roma, INDIRIZZO
ricorrenti
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME nella qualità di eredi legittimi di NOME COGNOME e NOME COGNOME NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME in forza di procura in calce al controricorso ed elettivamente domiciliati in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrenti
COMUNE DI TERMOLI
intimato
avverso la sentenza n.127/2021 dell’8.4.2021 della Corte di appello di Campobasso
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il tribunale di Campobasso declinava la propria giurisdizione in favore del giudice amministrativo in ordine alla domanda proposta dagli odierni controricorrenti nei confronti del Comune di Termoli, del Ministero dei trasporti, della Capitaneria di porto di Termoli e della Regione Molise, di accertamento dell’abusiva occupazione da parte del Comune di Termoli di due fondi di loro proprietà, nonché di restituzione degli stessi in loro favore e, in via subordinata, di condanna delle amministrazioni predette al risarcimento dei danni.
Il giudice di prime cure, considerato che la condotta appropriativa della pubblica amministrazione era mediatamente connessa all’esercizio di una pubblica funzione ablatoria, qualificava tale condotta in termini di occupazione acquisitiva devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 53 del DPR 327/2001.
Le odierne parti resistenti proponevano appello, rilevando che il tribunale di Campobasso erroneamente aveva affrontato, anche se ai soli fini della dichiarazione del difetto di giurisdizione, solo la seconda e consequenziale delle questioni poste al giudizio del tribunale, ossia quella riguardante la qualificazione dell’occupazione perpetrata dagli enti; ma non aveva in alcun modo affrontato, esaminato e risolto il primo degli accertamenti sottoposti al giudizio del tribunale, quello pregiudiziale e dirimente riguardante la natura demaniale dei beni oggetto della controversia. In altri termini, il tribunale avrebbe erroneamente limitato la qualificazione dell’azione attorea quale
domanda restitutoria e/o risarcitoria, così omettendo di pronunciarsi sull’accertamento pregiudiziale e inerenti alla natura inerente alla natura dei fondi.
2. La Corte di appello di Campobasso accoglieva l ‘ appello, confermando la statuizione del giudice di primo grado relativa alla carenza di giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda subordinata ed esaminando la domanda proposta e non delibata inerente alla natura o meno demaniale dei fondi di cui è causa. Evidenziava che dal materiale probatorio documentale e testimoniale acquisito non era dato ricavare elementi univocamente dimostrativi della natura di demanio marittimo dei terreni per il verificarsi di fatti anteriori o successivi al loro acquisto da parte degli appellanti.
La Corte distrettuale esaminava, pertanto, la domanda come proposta e precisata nella prima memoria istruttoria in cui gli odierni attori avevano chiesto che fosse accertata la titolarità del diritto di proprietà sui fondi, precisando che dalla esposizione dei fatti contenuta nell’atto introduttivo si ricavava che gli appellanti avevano inteso contestare la sussistenza di una proprietà demaniale sui terreni oggetto di causa; in particolare nella memoria ex articolo 183 comma sesto, n. 1 c.p.c. la domanda era stata precisata nei seguenti termini: ‘ si accerti e dichiari la natura privata dei suoli in mancanza di qualsivoglia circostanza e/o presupposto a legittimazione e fondamento del preteso mutamento della natura dei suoli in demanio marittimo; se del caso si determini il confine, la linea di demarcazione fra il demanio marittimo e i suoli privati in questione, in conformità dei confini catastali; si condannino le convenute alla restituzione dei suoli ovvero, in subordine, e nel caso di accertata accessione invertita, al risarcimento dei danni da valutarsi secondo i termini di legge ‘.
In ordine a tale domanda la Corte distrettuale affermava, a fronte di esplicita richiesta di accertamento della titolarità dei fondi, la giurisdizione ordinaria, venendo in rilievo l’indagine sulla titolarità della
proprietà, quindi , l’ accertamento di posizioni di diritto soggettivo.
In conclusione, la Corte territoriale sulla base degli accertamenti svolti dal CTU e dalle testimonianze assunte escludeva che i terreni oggetti di oggetto di causa possedessero9 le caratteristiche fisiche-morfologiche e quelle finalistico-funzionali proprie del lido, della spiaggia e della sua estensione ulteriore costituita dall’arenile.
Pertanto, in accoglimento della domanda principale proposta dagli appellanti, la Corte dichiarava che i terreni non appartenevano al demanio marittimo dello Stato.
La sentenza veniva impugnata dalle amministrazioni indicate in epigrafe, con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui resistevano con controricorso i signori NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 112, 163, nn. 3 e 4 e 183 comma 6, n. 1 c.p.c.. In particolare, si eccepisce la violazione del principio del divieto di mutatio libelli in relazione all’art 360, comma 1, n. 3 c.p.c..
Ad avviso dei ricorrenti la domanda di accertamento della natura non demaniale dei fondi formulata per la prima volta nella memoria istruttoria avrebbe la natura di domanda nuova rispetto a quella proposta in citazione, ove le parti avevano chiesto esclusivamente l’accertamento del diritto di proprietà sui suoli.
Con il secondo motivo di ricorso l’Avvocatura Generale dello Stato denuncia la violazione dell’art. 53 di d.p.r n.327/2001, nonché dell’art 133 D.LGS. n. 194/2020, nonché violazione e falsa applicazione degli articoli 111, 24 e 103 della Costituzione.
La Corte di appello avrebbe errato nel non aver declinato la propria giurisdizione in favore del giudice amministrativo anche con riferimento alla domanda di accertamento della natura demaniale dei suoli, attesa la stretta connessione con la domanda inerente all ‘ accertamento della
occupazione usurpativa e di risarcimento del danno pacificamente attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; la declinatoria di giurisdizione non poteva che derivare dalla intrinseca interdipendenza fra le due domande che avrebbero dovuto essere entrambe proposte dinanzi al giudice amministrativo in ragione del principio di concentrazione della giurisdizione e della fondamentale esigenza di economia processuale.
Con il terzo motivo si eccepisce la nullità della sentenza per violazione degli articoli 102, 354 c.p.c. in relazione all’articolo 360, comma 1 n. 4 c.p.c.
La sentenza della Corte territoriale sarebbe errata anche laddove i giudici di secondo grado si sono pronunciati sulla domanda di accertamento dell’assenza di demanialità marittima dei fondi in questione senza evocare in giudizio uno dei litisconsorti necessari, ossia l’Agenzia del demanio in palese violazione dell’articolo 102 c.p.c.
Con il quarto ed ultimo motivo si eccepisce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 822 e 829 c.c., nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 28 e 35 del codice della navigazione in relazione all’articolo 360, comma 1 numero 3, c.p.c.
La Corte territoriale avrebbe ritenuto erroneamente ammissibile la sdemanializzazione tacita di terreni in assenza di un apposito provvedimento di sdemanializzazione dell’area interessata emanato dall’amministrazione competente; ed invero, contrariamente a quanto statuito dalla Corte territoriale, l’area in questione apparterrebbe come pacificamente accertato dalla consulenza tecnica di ufficio per le sue caratteristiche al demanio marittimo sin dal 1994, per cui sarebbe stata necessario un atto amministrativo formale di sdemanializzazione ai fini del riconoscimento della natura privata dei fondi di cui è causa.
Il ricorso è infondato per le seguenti ragioni.
La prima censura è infondata.
I ricorrenti eccepiscono la violazione del divieto di mutatio libelli che gli
odierni controricorrenti avrebbero perpetrato con la domanda formulata nella prima memoria istruttoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. avente ad oggetto la natura non demaniale dei fondi.
Orbene, è da rilevarsi come la domanda attorea sin dal suo atto introduttivo aveva ad oggetto l’accertamento della proprietà privata in capo agli attori sui fondi che, quindi, non poteva che avere, come accertamento preliminare, quello in ordine alla non demanialità degli stessi; in altri termini, la domanda di accertamento della proprietà da parte dei privati non poteva che presupporre necessariamente la contestazione della pretesa di demanialità dei terreni dedotta dalle amministrazioni.
D’altra parte, la contestazione della demanialità dei fondi era stata ampiamente dedotta nell’atto introduttivo ai fini dell’accoglimento della domanda di accertamento della proprietà proposta in via principale.
Ciò posto, la estensione all’accertamento della non demanialità non può costituire una mutatio libelli, come sostenuto dai ricorrenti, in quanto tale accertamento è da ritenersi ricompreso nella domanda originaria, quale presupposto ai fini dell’accoglimento della domanda di accertamento della proprietà in capo agli odierni resistenti.
7. Anche il secondo motivo è infondato.
Va premesso che la giurisprudenza di questa Corte (Cass. SS.UU. n. 9185/2012) ritiene che la connessione non costituisca valido strumento per derogare alle regole sulla giurisdizione. Ed invero, fermo restando il principio generale dell’inderogabilità della giurisdizione per motivi di connessione, essendo il criterio di riparto fondato sulla separazione imposta dall’art. 103 Cost., comma 1, che rimette al giudice amministrativo la giurisdizione per la tutela nei confronti della P.A. degli interessi legittimi e, solo per le particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi (v. S.u. 28.12.07 n. 27169, S.u.20.04.07 n. 9358, S.u. 13.06.06 n. 13659, S.u. 15.05.03 n. 7621), nel caso di domande e cause tra di loro connesse soggette a diverse giurisdizioni la via da
seguire è in via di principio quella di attribuire ciascuna delle cause contraddistinte da diversità di petitum al giudice che ha il potere di conoscerne, secondo una valutazione da effettuarsi sulla base della domanda (v. S.u. 24.06.09 n. 14805 in motivazione, con richiamo a S.u. 18.07.08 n. 19805).
Ciò posto, questa Corte ritiene di dover continuare a seguire tale condivisibile orientamento con conseguente infondatezza della censura. 8. Il terzo motivo è inammissibile.
Va premesso che questa Corte ha avuto modo di precisare che nelle cause aventi ad oggetto beni immobili facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato (ed in particolare nel caso di actio negatoria), promosse nei confronti del Ministero delle Finanze anteriormente al 1° gennaio 2001, per effetto della istituzione della Agenzia del Demanio ad opera del d.lgs. n. 300 del 1999, si è verificato, ai sensi dell’art. 111 c.p.c, un fenomeno di successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici facenti capo al Ministero, con conseguente permanenza della legittimazione di quest’ultimo, quale parte originaria, ferma restando la facoltà di intervento o di chiamata dell’Agenzia del demanio. (Cassazione civile Sez. I ordinanza n. 7152 del 22 marzo 2018).
E’, quindi, pacifica la legittimazione a stare in giudizio dell’Agenzia del demanio a seguito della sua istituzione, ogni qualvolta si controverta in ordine alla titolarità di beni pubblici appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato.
Ciò posto, tuttavia, nel caso di specie, occorre fare applicazione dell’art.4 della legge 25 marzo 1958, n. 260, che testualmente dispone: «L’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio ed ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato. Tale indicazione non è più eccepibile. Il giudice prescrive un termine entro il
quale l’atto deve essere rinnovato. L’eccezione rimette in termini la parte».
Nella specie, non risulta che l’Avvocatura dello Stato abbia tempestivamente eccepito nella prima difesa utile del giudizio di merito e tantomeno a seguito della emendatio libelli contenuta nella memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. avente ad oggetto l’ accertamento della non demanialità dei fondi depositata dagli odierni controricorrenti la mancata citazione in giudizio quale litisconsorte necessario dell’Agenzia del demanio.
Conseguentemente, il motivo è inammissibile non risultando che l’eccezione sia stata utilmente proposta nel giudizio di merito, neppure a fronte della avversaria memoria ai sensi dell’art. 183 comma 6, n. 1, c.p.c.
Il quarto ed ultimo motivo è infine inammissibile.
Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 25348/2018; Cass. 7921/2011).
Ciò premesso, si osserva come la censura sotto l’apparente vizio di violazione di legge sia finalizzata a ottenere un nuovo esame del merito da parte di questa Corte nella misura in cui si eccepisce l’erroneità della pronuncia in ordine alla sdemanializzazione tacita. Invero, la corte
distrettuale ha accertato in fatto la natura privata e non demaniale dei fondi di cui non si è mai determinata la loro trasformazione in demanio marittimo.
La censura pertanto è inammissibile in quanto finalizzata a richiedere una diversa valutazione dell’insieme del materiale probatorio esaminato dal giudice del merito.
10. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore dei controricorrenti che liquida in € 7.000,00 per compensi professionali oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfe ttario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione Civile,