Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18547 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18547 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11973/2024 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
nonchè contro RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME ILARIARAGIONE_SOCIALE COGNOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 560/2024 depositata il 18/03/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e il Fallimento RAGIONE_SOCIALE Verucchio RAGIONE_SOCIALE a responsabilità limitata (quest’ultima socia della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita in estensione ex art. 147 L.F.), promuovevano
congiuntamente , con unico atto di citazione e assistiti dal medesimo difensore, un’azione di responsabilità ex art. 146 l.f. nei confronti di NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME amministratori e i sindaci della RAGIONE_SOCIALE chiedendone la condanna al risarcimento danni, quantificati forfettariamente in € 30.000.000 (per gli amministratori) e in € 18.000.000 (per i sindaci), a favore dell’uno ‘e/o’ dell’altro fallimento.
Si costituivano in giudizio, con separate comparse, i convenuti, eccependo in via preliminare, per quanto in questa sede rileva, il difetto di legittimazione attiva e il conflitto di interessi in capo alle due procedure.
All’esito della prima udienza il giudice istruttore si è riservato di decidere e, con ordinanza del 5.4.2023, rigettava le suddette eccezioni, ritenendo che difetti in capo ai convenuti l’interesse a sollevare l’eccezione di difetto di legittimazione attiva; che entrambi i fallimenti erano dotati di legittimazione attiva, stante la sovrapponibilità dello stato passivo del fallimento della s.n.c. a quello del fallimento del socio in estensione; che non sussisteva conflitto di interessi tra i curatori e i fallimenti, perché da un lato è la legge a prevedere la nomina di un unico organo (per il fallimento della s.n.c. e quello dei soci) e dall’altro lato i primi non sono ‘portatori di un interesse personale antitetico a quello delle due procedure fallimentari rappresentate’; che l’assenza di conflittualità tra curatori e fallimenti comportava la legittimità del rilascio di un unico mandato difensivo a un unico difensore e la validità della costituzione in giudizio.
Pertanto disponeva la prosecuzione del giudizio, previa concessione dei termini ex art. 183, VI comma c.p.c. 5.
NOME COGNOME proponeva appello contro la suddetta ordinanza, avente a suo dire natura di sentenza non definitiva.
Si costituivano, con separate comparse, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nonchè NOME COGNOME e NOME COGNOME, aderendo ai motivi di appello proposti da COGNOME; NOME COGNOME è rimasto contumace. Si costituivano altresì i Fallimenti, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del gravame.
La Corte di appello di Bologna con sentenza nr 560/2024 dichiarava inammissibile l’appello proposto da NOME COGNOME nei confronti del Fallimento RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e del Fallimento RAGIONE_SOCIALE responsabilità limitata avverso l’ordinanza del 5.4.2023 del Tribunale di Bologna e condannava l’appellante a rifondere alle procedure appellate le spese di lite del presente grado.
Osservava che l’azione di responsabilità promossa dai fallimenti appellati è devoluta alla competenza della sezione specializzata in materia di impresa, nell’ambito della quale il tribunale giudica in composizione collegiale ex art. 50 bis c.p.c., con la conseguenza che tutte le sentenze, definitive e non definitive, debbono essere emanate dall’organo collegiale.
Nel caso di specie invece il provvedimento impugnato, con il quale è stata effettuata una disamina delle eccezioni pregiudiziali sollevate dai convenuti, era stato emesso dal giudice istruttore in composizione monocratica all’esito della prima udienza, peraltro omettendo sia di far precisare le conclusioni, sia di concedere alle parti i termini per depositare le comparse conclusionali e le memorie di replica, ai sensi dell’art. 190 c.p.c. A quest’ultimo proposito va evidenziato che, secondo la giurisprudenza della S.C.,
la sentenza pronunciata senza essere stata preceduta dalla precisazione delle conclusioni è nulla (Cass. n. 13017/91, n. 5225/06, n. 28681/11, n. 20732/2018).
Parimenti rilevava che la mancata assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie finali di replica ai sensi dell’art. 190 c.p.c., comportava nullità essendo impedito ai difensori delle parti di svolgere nella sua pienezza il diritto di difesa, con conseguente violazione del principio del contraddittorio (Cass. n. 4805/2006; n. 20142/2005; Cass. n. 6293/2008; Cass. n. 7072/2010).
Evidenziava che nella specie non erano state impartite ‘con distinti provvedimenti’, come prescritto dall’art. 279, n. 4), le disposizioni per l’ulteriore prosecuzione della causa, ma erano stati invece assegnati, nel medesimo dispositivo, i termini per memorie di cui all’art. 183, VI comma c.p.c. 12.
E dunque concludeva, alla luce del complesso degli elementi sopra indicati, l’utilizzo improprio in dispositivo del termine ‘rigetta’, effettivamente tipico dei provvedimenti decisori, non appare di per sè sufficiente a far concludere nel senso che il provvedimento impugnato abbia natura sostanziale di sentenza.
Riteneva piuttosto che il giudice istruttore avesse inteso effettuare una prima delibazione delle eccezioni sollevate -che, se accolte, avrebbero potuto eventualmente definire il giudizio -considerandole non fondate, salva la valutazione finale, in sede di decisione, riservata al collegio, e abbia pertanto deciso di proseguire nell’istruzione della causa, assegnando alle parti i termini per le memorie istruttorie ai sensi dell’art. 183, VI co. c.p.c. 13.
Pertanto, dovendo attribuirsi al provvedimento impugnato natura di ordinanza, l’appello doveva essere dichiarato inammissibile, assorbita ogni ulteriore questione.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui hanno resistito il Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e il Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE nonché RAGIONE_SOCIALE (di seguito anche ‘AIG’) Rappresentanza Generale per l’Italia con controricorso.
COGNOME e RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria illustrativa.
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ritenuto che:
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma nonché degli artt. 323 e 339 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma I° n. 3 c.p.c., per aver la Corte d’Appello di Bologna attribuito rilevanza, ai fini della qualificazione della natura del provvedimento gravato e della sua conseguente impugnabilità, alla veste formale dello stesso piuttosto che al suo contenuto sostanziale e per averne negato l’appellabilità.
Con un secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma nonché degli artt. 323 e 339 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma I° n. 3 c.p.c., per aver la Corte d’Appello di Bologna attribuito rilevanza, ai fini della qualificazione della natura del provvedimento gravato e della sua conseguente impugnabilità, alla veste formale dello stesso
piuttosto che al suo contenuto sostanziale e per averne negato l’appellabilità.
Si sostiene che Tribunale, infatti, non si sarebbe limitato a vagliare le eccezioni pregiudiziali riservandosi di deciderle unitamente al merito ma le avrebbe viceversa decise subito rigettandole tout court.
La doglianza nella duplice articolazione è infondata.
Al riguardo, infatti, va data continuità al principio secondo cui “al fine di stabilire se un determinato provvedimento abbia carattere di sentenza ovvero di ordinanza, e sia, quindi, soggetto o meno ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, è necessario avere riguardo non già alla forma esteriore e alla denominazione adottata dal giudice che lo ha pronunciato, bensì al contenuto sostanziale del provvedimento stesso e, conseguentemente, all’effetto giuridico che esso è destinato a produrre”, sicchè costituiscano “sentenze soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato – i provvedimenti che, ai sensi dell’art. 279 c.p.c., contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito), anche quando non definiscono il giudizio”, ravvisandosi, invece, un’ordinanza tutte le volte in cui il giudice “non ha pronunciato su alcuna delle questioni previste dall’art. 279 c.p.c., comma 2, ma si è limitato a provvedere per l’ulteriore svolgimento del processo, rimettendo la causa in istruttoria” (così da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 1, ord. 19 febbraio 2018, n. 3945; Cass. 06/11/2020, n.24955).
Ciò posto nel caso in esame va rilevato che la decisione di cui all’ordinanza del 5.3.2023 è stata resa a scioglimento della riserva assunta in riferimento alle eccezioni preliminari relative al difetto
di legittimazione attiva dei fallimenti e al conflitto di interessi tra i curatori e i fallimenti, sollevata dal convenuto COGNOME in relazione ad un contezioso avente ad oggetto l’azione di responsabilità promossa nei confronti di amministratori e sindaci della società fallita devoluta, come tale, alla competenza della sezione specializzata in materia di impresa, nell’ambito della quale il tribunale giudica in composizione collegiale ex art. 50 bis c.p.c Il giudice istruttore ha rigettato entrambe le eccezioni assegnando alle parti i termini delle memorie ex art 183 cp.c. disponendo la prosecuzione del giudizio senza che in quell’udienza avesse invitato le parti a precisare le conclusioni e senza alcuna rimessione della causa in decisione avanti al Collegio e senza che il giudice abbia inequivocabilmente espresso l’intenzione di risolvere definitivamente, davanti a sé, con la propria determinazione, le questioni in oggetto.
L’ordinanza qui in discussione ha pronunciato, senza alcuna attitudine al giudicato, soltanto al fine di consentire la decisione sulla questione preliminare, ben potendo il Tribunale nella sua composizione collegiale determinarsi in modo differente stante il carattere non decisorio del provvedimento in questione.
Correttamente la Corte di appello ha individuato una serie di elementi idonei ad escludere la natura sostanziale di sentenza con riguardo al provvedimento impugnato ( emissione del provvedimento dal giudice istruttore in composizione monocratica anzicchè collegiale, mancato invito alle parti a precisare le conclusioni con l’assegnazione dei relativi termini, mancanza di richiamo, né in motivazione né in dispositivo, all’art. 279, primo comma, n. 2); non sono stati impartiti ‘con distinti provvedimenti’, come prescritto dall’art. 279, n. 4), le disposizioni
per l’ulteriore prosecuzione della causa, ma sono stati invece assegnati, nel medesimo dispositivo, i termini per memorie di cui all’art. 183, VI comma c.p.c. c.p.c.) non dando rilievo all’utilizzo in modo improprio del termine di rigetto normalmente impiegato nei provvedimenti a carattere decisorio.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità in favore delle controricorrenti che si liquidano in complessivi € 4000,00 oltre ad € 200,00 ed al 15% per spese generali oltre accessori di legge per ciascuna; dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
Così deciso in Roma 13.05.2025