Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18540 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18540 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
Oggetto: contratti bancari
mutuo
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29947/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Roma, INDIRIZZO
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 1392/2020, depositata il 23 settembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo, depositata il 29 settembre 2020, di reiezione dell’appello per la riforma della sentenza del Tribunale di Agrigento che aveva respinto le loro domande di accertamento della nullità del contratto di mutuo fondiario stipulato con la Banca RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per usurarietà dei tassi pattuiti e violazione del divieto di anatocismo e di condanna della banca alla restituzione delle somme indebitamente riscosse a tale titolo;
la Corte di appello ha disatteso il gravame evidenziando che il tasso di interesse convenuto, valutato unitamente a tutte le voci di costo collegate all’erogazione del credito, era inferiore rispetto al cd. tasso soglia di riferimento e che ad analoga conclusione doveva pervenirsi anche prendendo in esame i tassi moratori, sia in termini assoluti, sia in relazione all’effetto derivante dalla loro applicazione sugli importi oggetto delle rate dovute i quali, a loro volta, contenevano una quota a titolo di interessi corrispettivi;
ha, inoltre, osservato, quanto alla dedotta pattuizione anatocistica, che la stessa era coerente con la disciplina applicabile alle operazioni, quale quella in esame, di finanziamento con rimborso rateale del prestito, che consentiva la produzione di interessi sull ‘importo dovuto alla scadenza di ciascuna rata;
il ricorso è affidato a cinque motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, subentrata nel rapporto controverso a seguito di fusione della RAGIONE_SOCIALE;
la controricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo i ricorrenti denuncia no, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per
violazione degli artt. 112 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., per aver omesso di accertare e dichiarare che il tasso di mora effettivamente applicato era superiore a quello indicato nel contratto e al cd. tasso soglia di riferimento, per carenza di motivazione, nonché per aver omesso di esaminare il terzo e il quarto motivo di appello vertenti, rispettivamente, sulla mancata ammissione della consulenza tecnica d’ufficio e di altri mezzi istruttori richiesti e sulla mancata compensazione delle spese del giudizio di primo grado;
con tale motivo lamentano, altresì, che la sentenza non abbia preso in considerazione la circostanza secondo la quale gli appellanti rivestivano la qualità di consumatori;
il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
la Corte di appello ha affermato che il contratto concluso tra le parti prevedeva interessi corrispettivi fissati nella misura del 5,34% e un TAEG pari al 7,2715%, inferiore rispetto al tasso soglia del periodo di riferimento, pari al 10,675%, e che anche prendendo in considerazione gli interessi moratori -pattuiti in misura pari a quella degli interessi corrispettivi maggiorata del 2% -, tale soglia non risultava essere superata, non essendo corretto procedere, ai fini in esame, alla cd. sommatoria degli interessi corrispettivi con quelli moratori;
-una siffatta motivazione consente di individuare l’ iter argomentativo seguito dal giudice di merito, per cui la doglianza di carenza di motivazione si presenta priva di pregio;
sotto altro aspetto, si evidenzia che la censura si risolve in una critica alla valutazione degli elementi probatori effettuata dal giudice di merito, il quale ha ritenuto che gli interessi applicati non fossero inferiori al cd. tasso soglia, che non può essere sindacata in questa sede, vertendo su un accertamento a questi riservato (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476);
quanto alla lamentata mancata considerazione delle conclusioni
rassegnate nella perizia stragiudiziale e degli accertamenti posti a fondamento delle stesse, si osserva che la perizia stragiudiziale costituisce una mera allegazione difensiva, onde il giudice del merito non è tenuto a motivare il proprio dissenso in ordine alle osservazioni in essa contenute quando -come nel caso in questione -ponga a base del proprio convincimento considerazioni incompatibili con le stesse, non dovendo dare conto del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, né confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti (cfr. Cass. 9 febbraio 2021, n. 3104; Cass. 29 luglio 2011, n. 16650; Cass. 11 febbraio 2002, n. 1902);
in merito alla dedotta omessa pronuncia sul motivo di appello vertente sulla mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti, si osserva che, quanto alla non disposta consulenza tecnica d’ufficio, la stessa rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice (cfr. Cass. 13 gennaio 2020, n. 326; Cass. 9 ottobre 2019, n. 25253; Cass. 5 luglio 2007, n. 15219);
ciò è avvenuto nel caso in esame, in cui dalla motivazione posta a fondamento della declaratoria di infondatezza dei motivi di appello emergono chiaramente, sia pure implicitamente, le ragioni per le quali non è stata disposto il mezzo istruttorio sollecitato, consistenti nella ritenuta assenza della necessità di dover effettuare accertamenti involgenti valutazioni tecniche al fine di decidere in ordine alle questioni prospettate, stante la esaustività degli elementi a disposizione;
con riferimento agli ulteriori mezzi istruttori asseritamente richiesti, il ricorrente omette di riportarne l’avvenuta proposizione mediante l’appello e il loro contenuto , non consentendo a questa Corte di poter
apprezzare la ammissibilità e la fondatezza della censura;
-si rammenta, infatti, che la deduzione del vizio di omessa pronuncia, postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, in ossequio al principio di autosufficienza, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte (cfr. Cass. 14 ottobre 2021, n. 28072; Cass. 10 ottobre 2020, n. 28184; Cass. 20 agosto 2015, n. 17049);
con il secondo motivo i ricorrenti deducono , con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso e la «manifesta contraddittorietà per contrasto irriducibile di affermazioni inconciliabili»;
il motivo è inammissibile;
ricorrendo nella specie una ipotesi di cd. «doppia conforme» di cui all’art. 348 -ter, quinto comma, cod. proc. civ., è onere del ricorrente, che impugni la sentenza di appello ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello onde dimostrare che esse sono tra loro diverse e che, dunque, non trova applicazione la regola preclusiva della censura per omesso esame di fatti decisivi e controversi (cfr. Cass. 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774);
parte ricorrente non ha assolto siffatto onere, per cui opera la preclusione all’esame della censura prospettata derivante dalla richiamata disposizione normativa;
può, in ogni caso, osservarsi che la doglianza si risolve nella contestazione della valutazione del giudice di merito, il quale avrebbe
erroneamente accertato il tasso di interesse moratorio e ritenuto che lo stesso non fosse superiore al cd. tasso soglia, disattendendo le diverse considerazioni esposte nella perizia di parte;
come evidenziato in precedenza, una siffatta doglianza investe accertamenti riservati al giudice di merito;
con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 11 e 24 Cost., 61, 115 e 191 cod. proc. civ., 1224, 1815 e 2697 cod. civ. e 117 t.u.b., nonché la violazione del codice del consumo, per aver la Corte territoriale ritenuto ininfluente il superamento del cd. tasso soglia sul fondamento che questo avrebbe quale unica conseguenza la sterilizzazione della componente degli interessi sulle rate non pagate e la sostituzione con gli interessi moratori in misura pari al saggio legale;
reiterano la censura per mancata disposizione della consulenza tecnica d’ufficio e allegano la mancata considerazione della dedotta vessatorietà della clausola determinativa degli interessi ai sensi della disciplina a tutela del consumatore;
il motivo è inammissibile;
nella parte relativa agli effetti dello «sforamento» del cd. tasso soglia, la doglianza non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, consistente, sul punto, nel fatto che gli interessi pattuiti -sia corrispettivi, sia moratori -erano coerenti con la soglia prevista dal decreto emanato in attuazione della l. 7 marzo 1996, n. 108, ai fini della rilevazione delle pratiche usurarie;
solamente ad abundantiam , la Corte di appello ha aggiunto che un eventuale «sforamento» di tale soglia relativamente alla clausola determinativa degli interessi moratori non avrebbe avuto l’effetto invocato dai ricorrenti della gratuità del mutuo;
-va, poi, ribadita la insindacabilità, per le ragioni esposte in precedenza, della decisione del giudice di merito di non disporre la sollecitata consulenza tecnica d’ufficio;
infine, con riferimento alla contestata mancata applicazione della normativa a tutela dei consumatori, si rileva che i ricorrenti omettono di indicare se e in quale atto hanno allegato la loro vantata qualità, non consentendo a questa Corte di esaminare l’ammissibilità della censura, sotto il profilo della concludenza, nonché la sua fondatezza;
sul punto, dunque, la doglianza pecca della necessaria specificità;
può aggiungersi, in proposito, che il potere di rilevazione della nullità negoziale esige che la stessa emerga ex actis non potendo il giudice procedere di sua iniziativa ad accertamenti di fatto al fine di stabilire se essa sussiste o meno (cfr. Cass. 13 giugno 2007, n. 13846);
conseguentemente, ove si lamenti, in sede di legittimità, il mancato rilievo ufficioso della menzionata invalidità, occorre dedurre, a pena di inammissibilità della censura per difetto di specificità, anche l’emersione nel corso del giudizio di merito degli elementi che avrebbero dovuto indurre il giudice a ravvisare detta nullità;
con il quarto motivo i ricorrenti criticano la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1283, 1815 e 2697 cod. civ. e 644 cod. pen. e della l.n. 108 del 1996, nella parte in cui ha escluso la natura usuraria degli interessi applicati;
il motivo è inammissibile;
lo stesso, infatti, si risolve in una generica contestazione -già peraltro investita dai precedenti motivi di ricorso -dell’accertamento operato dal giudice di merito in ordine ai fatti di causa e della sua decisione di non dare ingresso a una consulenza tecnica d’ufficio;
-con l’ultimo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e 1-11 d.m. 10 marzo 2014, n. 55, nonché, in via subordinata, della carenza di motivazione, per aver la sentenza impugnata liquidato le spese processuali del giudizio di appello, poste a carico di parte appellante, in euro 8.600,00, oltre accessori, benché il valore dichiarato della controversia fosse di euro 5.100,00, e,
dunque, immotivatamente applicando tariffe non coerenti con il valore della causa;
il motivo è inammissibile;
parte ricorrente allega che il valore della causa sarebbe pari a euro 5.100,00 e che tale era il valore dal medesimo dichiarato in seno all’atto di appello;
si rileva, tuttavia, che tale dichiarazione non risulta adeguatamente riportata -e risulta contestata dalla controricorrente -e che, comunque, l’indicazione del valore della causa indicato dalla parte non costituisce un elemento vincolante per il relativo accertamento devoluto al giudice ai fini della liquidazione delle spese processuali;
sotto altro aspetto, si osserva che la parte omette di indicare gli elementi dai quali poter evincere l’effettivo valore della causa, non consentendo a questa Corte di poter apprezzare la prospettata erroneità della liquidazione operata dal giudice di merito e, conseguentemente, la fondatezza della censura;
per le suesposte considerazioni, dunque, il ricorso non può essere accolto;
le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 6.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 18 giugno 2024.