Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13513 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13513 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23647-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 262/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/03/2019 R.G.N. 3973/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Oggetto
R.G.N. 23647/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 14/02/2024
CC
La Corte di appello di Roma, aveva confermato la decisione con cui il tribunale aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro tra NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE per mutuo consenso.
La corte aveva ritenuto che, a fronte della originaria domanda avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE diretta alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato alle dirette dipendenze di RAGIONE_SOCIALE, presso cui aveva effettuato la propria attività lavorativa, il lungo lasso temporale (9 anni) tra la cessazione del rapporto e la proposizione del ricorso, e il reperimento di altra occupazione nelle more, nonché l’assenza di elementi in contrasto, fondassero il convincimento della esistenza di una risoluzione per mutuo consenso ai sensi dell’art. 1372 c.c.
La RAGIONE_SOCIALE impugnava la decisione con ricorso affidato a tre motivi cui resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Entrambe le parti depositavano successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1)-Con il primo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c. e artt. 1 e 3 l. n. 196/77 (ai sensi dell’art. art. 360 co.1 n.3 c.p.c.).
La ricorrente rileva la inapplicabilità dell’art. 1372 c.c. nel caso di rapporto trilaterale quale quello in esame; espone che la disposizione richiamata, assoggettando al vincolo contrattuale le sole parti contraenti, prevede che detto vincolo non possa che essere sciolto (oltre che per le cause ammesse dalla legge), per mutuo consenso manifestato solo dalle stesse parti.
Occorre chiarire che la lavoratrice era dipendente formale da agenzia di somministrazione (RAGIONE_SOCIALE) e forniva la propria prestazione in favore di RAGIONE_SOCIALE in ragione di un contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo ex art. 1 legge n. 196/1997 stipulato tra le due società.
La fattispecie così articolata è dunque caratterizzata da due differenti contratti, uno commerciale e l’altro di lavoro.
Nella prospettazione offerta dalla ricorrente nella censura in esame è rilevato che, in virtù della ‘trilateralità’ della fattispecie e della esistenza di due differenti e distinti contratti, il rapporto esistente con l’utilizzatore, se affetto da illegittimità perché non rispondente allo schema legale, non possa dar luogo a ‘conversione’ del precedente rapporto in rapporto di lavoro subordinato, ma possa solo dar luogo alla costituzione di un rapporto di lavoro alle dirette dipendenze dell’utilizzatore. A ciò deve dunque conseguire la inapplicabilità dell’art. 1372 c.c che, ai fini della individuazione della esistenz a di un mutuo consenso, presuppone lo scioglimento di un contratto già esistente, non riscontrabile nel rapporto tra lavoratore ed utilizzatore. La tesi non è convincente.
Il contesto giuridico in cui è sorto il rapporto di lavoro in discussione ( legge n. 196/1997) fa riferimento ad un rapporto articolato costituito da tre soggetti e due differenti contratti, comunque tra loro collegati e con effetti ‘incrociati’ al punto c he, in caso di mancato rispetto delle condizioni richieste dalla stessa normativa per la regolarità del contratto ( forma scritta , specificità dell’utilizzo e della sua temporaneità) il rapporto di lavoro, pur sorto con differente parte datoriale, si deve imputare al datore di lavoro utilizzatore (Cass. n. 1148 del 2013, Cass.n.10486 del 2017).
Lo schema della trilateralità dei rapporti coesistenti in una fattispecie complessa è stato ripetutamente adottato dal legislatore anche in successive previsioni legislative ( d.lgs n. 276/2003; d,lgs.n. 81/2015), ed ha dato luogo a molteplici occasioni in cui questa Corte di legittimità ha ribadito la particolare natura delle interconnessioni di natura giuridico-economica che sono riscontrabili nella somministrazione di lavoro. Ha evidenziato che quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di legge pro tempore vigente, si costituisce un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore, sicché sia per quel che riguarda la tipologia di lavoro, che viene ricondotto all’utilizzatore negli stessi termini in cui era stato voluto, costituito e poi gestito dal somministratore, sia per quanto riguarda gli atti di gestione del rapporto, che producono, per espressa volontà del legislatore, tutti gli
effetti negoziali del rapporto di lavoro loro propri (ex multis, in motivazione, vedi Cass. 16/9/2016 n.17969), sicché l’utilizzatore subentra nei rapporti così come costituiti e poi gestiti dal somministratore (Cass. n. 24408 del 2021 in motivazione).
In siffatta articolazione di rapporti devono quindi ritenersi anche pienamente operativi gli effetti del recesso per mutuo consenso come previsto dall’art. 1372 c.c. Si tratta infatti di mettere in relazione comportamenti e indicatori concreti e significativi della volontà delle parti di porre fine al rapporto in questione, con il rapporto stesso che, come rilevato, ha una natura originariamente trilaterale con effetti incrociati. Pertanto gli elementi che siano dimostrativi della volontà delle parti di concludere per fatti concludenti il rapporto di lavoro, non possono che produrre effetti nei confronti di tutte le parti interessate e coinvolte nello schema contrattuale in discussione.
Il motivo deve pertanto essere disatteso.
2)Con la seconda censura è denunciato l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione (art. 360 co.1.n.5 c.p.c.)
La ricorrente lamenta l’omesso esame circa la irrilevanza delle circostanze valutate dalla corte di merito per ritenere sussistente l’ipotesi del recesso per mutuo consenso. Sostiene che le ragioni motivazionali non diano conto della determinazione adottata.
Il motivo si appalesa inammissibile poiché non individua uno specifico ‘fatto storico’ omesso e la cui valutazione avrebbe con certezza prodotto un esito decisionale differente .
Si rammenta che ‘ In tema di ricorso per cassazione costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi del’art.360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa ( Cass. n.18368/2013; Cass. n. 17761/2016)
Ha anche specificato che ‘ L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 (conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia’ ( Cass. n. 23238/2017)
La decisività del ‘fatto’ omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata rilevanza assoluta poiche’ determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione ( non solo eventuale ma certa).
Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio.
Il motivo in esame non contiene un ‘fatto storico’ come indicato nelle richiamate pronunce, ma sottopone al vaglio del Giudice di legittimità gli elementi di valutazione già esaminati dalla corte territoriale e dalla stessa posti a base della decisione. Si tratta, a ben vedere, di una richiesta di nuova valutazione di merito estranea al giudizio di legittimità.
Peraltro, anche la denunciata carenza motivazionale è fondata sulla non condivisa valutazione degli argomenti utilizzati dal giudice d’appello.
A riguardo deve ribadirsi che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa
qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione ( SU Cass. n. 8053/2014; Cass 22598/2018).
Rispetto a tali principi il denunciato ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’, fondato sulla mancata valutazione di irrilevanza degli elementi posti a sostegno del mutuo consenso, rifluendo in una inammissibile censura sulla valutazione di merito svolta dalla corte d’appello, deve essere ritenuta inammissibilmente proposta.
3)Con il terzo motivo è dedotta la violazione dell’art 1372 c.c. ( art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.) con riferimento alla valutazione circa la rilevanza degli elementi considerati dalla corte di merito ( lasso temporale ) per ritenere la sussistenza di un recesso per mutuo consenso.
Anche tale motivo è inammissibilmente proposto, poiché, pur invocando il vizio di violazione di legge, in realtà si denuncia la valutazione di merito fatta dal giudice, invocando una nuova rivalutazione. Deve peraltro annotarsi che la corte territoriale non ha valorizzato, ai fini del proprio giudizio circa la esistenza di un recesso per mutuo consenso, soltanto il fattore temporale, ma anche altri elementi fattuali.
Per le esposte ragioni, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 3.500,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Cosi’ deciso in Roma il 14 febbraio 2024.
La Presidente NOME COGNOME