Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11897 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11897 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29089/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliazione telematica EMAIL, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 1788/2020 depositata il 24/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che
NOME COGNOME ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 1788 del 2020 della Corte di appello di Bologna, esponendo, per quanto di utilità, che:
-aveva convenuto in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, allegando: di essere stato contattato dalla stessa, quale artigiano, con la prospettazione di poter percepire il trattamento pensionistico anticipato di un anno; di aver accettato il suggerimento contenuto in tale parere, corrispondendo all’RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 25.953,48, per poter ottenere quanto indicato; di non aver ottenuto il beneficio, che sarebbe ammontato, per un anno, a euro 21.108,62, non sussistendo i presupposti normativi; di aver diritto al ristoro del conseguente danno;
-il Tribunale aveva rigettato la domanda osservando che non sussisteva il nesso causale tra la condotta dell’associazione e il diniego del trattamento pensionistico anticipato, dovuto a limiti normativi, mentre l’effettuato versamento della somma di quasi 26 mila euro aveva comunque avuto utilità, consentendo l’anticipo della decorrenza del trattamento previdenziale, dal 2012 al 2010, e un importo annuo correlato anch’esso maggiore, non potendo quindi ciò integrare fatto costitutivo di danno;
-la Corte di appello aveva disatteso il gravame osservando che la domanda originariamente proposta era stata quella di rifusione, a titolo risarcitorio, dell’importo corrispondente a un anno di trattamento pensionistico, senza mutamenti nei termini di prime cure per l’emenda assertiva, mentre in appello la pretesa era stata, diversamente, quella di rifusione della somma versata, ad avviso del deducente inutilmente, per il suddetto anticipo
dell’emolumento di previdenza, e tale mutamento era inammissibile, fermo che non vi era stata d’altro lato censura sull’affermata insussistenza del nesso causale tra diniego dell’anticipo pensionistico e condotta dell’associazione;
è rimasta intimata l’RAGIONE_SOCIALE;
rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, cod. civ., 112, 183, 345, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere sussistente un mutamento della domanda, atteso che si era trattato solo di una diversa quantificazione del medesimo danno fatto valere;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando comunque di pronunciare sulla domanda ritenuta originariamente avanzata;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 342, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che era stata invece censurata la ragione decisoria afferente alla ritenuta insussistenza del nesso causale tra condotta dell’associazione e danno, posto che il gravame di merito era stato tutto incentrato sull’affermare la correlazione tra la prima e il pregiudizio subìto per non aver ottenuto il trattamento pensionistico anticipato versando quindi inutilmente la somma erogata a tal fine;
considerato che
il primo motivo di ricorso è in parte inammissibile, in parte infondato;
la Corte territoriale ha, come detto, sottolineato che:
-la domanda originaria era quella del ristoro del danno integrato dalla perdita dell’annualità pensionistica;
-tale domanda non era stata emendata neppure nel termine di cui all’art. 183, sesto comma, n. 1, cod. proc. civ.;
-la domanda di rifusione del danno costituito da quanto versato inutilmente costituiva una modifica inammissibile in appello;
parte ricorrente, come visto, non nega tutto ciò, affermando per converso che si tratterebbe di non di una ‘ mutatio ‘ ma solo di «diversa quantificazione del danno subìto, fondata sullo stesso fatto costitutivo» (pag. 16 del ricorso);
la conclusione cui la parte connette la tesi non può essere condivisa;
la domanda certamente poteva essere precisata, senza per questo ritenersi mutata, correlando il danno richiesto non all’anno di trattamento previdenziale non ottenuto bensì alla pretesa inutilità del versamento effettuato a quel fine;
la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa, ” petitum ” e ” causa petendi “, sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali (Cass., Sez. U., 15/06/2015, n. 12310, Cass., 16/02/2021, n. 4031);
questo però non implica che l” emendatio ‘ della domanda, per modifica come nel caso del ‘ petitum ‘ e non solo una sua differente quantificazione, possa farsi sempre, anche in appello, ovvero in prime cure oltre il termine appositamente previsto per l’emenda assertiva e infatti richiamato dalla sentenza gravata (a pag. 5);
la parte non afferma di aver proceduto a tale modifica dopo il ‘mutamento del rito’ inizialmente introdotto ex art. 702 -bis , cod. proc. civ., e non si misura con tale specifica ragione decisoria;
nel ricorso si riportano le conclusioni finali in prime cure, e non si riferisce che vi fosse stata statuizione ovvero scrutinio del Tribunale sulla violazione o meno dei termini per la precisazione della domanda, sicché non può dirsi che fosse maturato sul punto un giudicato interno ostativo al sempre possibile rilievo d’ufficio afferente al superamento di termini perentori (cfr., sul punto, la logica di Cass., Sez. U., 12/05/2017, n. 11799, punto 9.3.3.1);
se la domanda fosse stata precisata in tempo avrebbe potuto affrontarsi il tema, non a caso differente, dell’utilità del versamento, secondo il Tribunale comunque sussistente per aver permesso l’anticipo e l’incremento del trattamento pensionistico, ferma la necessità di rivolgere la pretesa all’RAGIONE_SOCIALE qualora invece, in tesi, il diritto previdenziale non avesse avuto necessità di quel versamento dunque indebito;
il secondo e terzo motivo sono infondati;
la Corte territoriale ha risposto alla domanda quale infine proposta e come visto inammissibile;
la diversa domanda originariamente articolata era stata infatti sostituita in seconde cure con quella come descritto modificata (pag. 4 del ricorso per cassazione);
quanto all’originaria domanda, peraltro, la Corte di appello l’ha comunque indicata come inammissibile per non essere stata proposta specifica censura in ordine al rilievo per cui non vi era nesso causale;
parte ricorrente afferma che la censura era invece sussistente, ma, sempre nella cornice di ammissibilità del ricorso per cassazione dettata dall’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., ‘ ratione temporis ‘ applicabile, non lo dimostra;
secondo quanto reiteratamente riportato (in specie nelle note 1, 2, 3, alle pagg. 20 e 21 del ricorso qui in scrutinio), infatti, la domanda coltivata in appello era tutta rivolta, come d’altro canto riaffermato infine in questa sede (nel corpo della stessa pagina 21), nel senso della pretesa inutilità del versamento quale pregiudizio conseguente alla condotta colposa imputata all’associazione, e non, pertanto, alla riconoscibilità del nesso eziologico tra quest’ultima e il mancato ottenimento dell’annualità previdenziale, dovuto, a ben vedere, al regime normativo;
non deve disporsi sulle spese attese le mancate difese di parte intimata;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 26/01/2024.