Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22413 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22413 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 31112-2020 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
MINISTERO RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 189/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 21/04/2020 R.G.N. 1340/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa :
Oggetto
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N.31112/2020
Ud 02/07/2025 CC
Con ricorso innanzi al Tribunale di Cosenza, in funzione di giudice del lavoro, NOME COGNOME conveniva in giudizio il MIUR e chiedeva l’emissione di una sentenza che facesse luogo di un contratto di lavoro a tempo determinato a far data dal 01/09/2010 e a tempo indeterminato a far data dal 01/09/2011 e la condanna della Amministrazione a corrispondergli le retribuzioni dovutegli a far data dal 01/09/2010 assumendo che nella copertura dei posti preso il Liceo IPSIA di Amantea fossero disponibili posti non assegnati secondo le procedure e normative vigenti ma destinati in modo illegittimo a personale appartenente ad altre classi di laboratorio e a docenti incentivati. Nelle more del giudizio sopravveniva l’assunzione del ricorrente, a far data dal 01/09/2017; il ricorrente dichiarava di non avere interesse alla domanda principale, vi rinunciava e spiegava domanda di risarcimento del danno da ritardata assunzione. Con la sentenza n. 859/2017 il Tribunale di Cosenza rigettava il ricorso ritenendo la domanda di risarcimento del danno carente in punto di allegazione e di prova.
NOME COGNOME proponeva appello. Il MIUR si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’impugnazione. Con la sentenza n. 189/2020 depositata il 21/04/2020 la Corte di Appello di Catanzaro, sezione lavoro, rigettava l’impugnazione.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando due motivi di gravame. Il Ministero dell’Istruzione si è costituito con controricorso chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380bis . 1 c.p.c..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 2 luglio 2025.
Ragioni della decisione:
Con il primo motivo di ricorso si deduce nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. per falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. Si critica la sentenza impugnata perché avrebbe erroneamente ritenuto che la domanda di risarcimento del danno per ritardata assunzione proposta dal ricorrente dopo aver rinunciato alla domanda principale relativa alla richiesta di costituzione del rapporto di lavoro per intervenuta carenza di interesse stante l’intervenuta assunzione, costituisse una mutatio libelli e fosse come tale inammissibile.
1.1. Il motivo è infondato. Con la domanda principale veniva chiesta la costituzione del rapporto di lavoro, e per questa via ogni tutela contrattuale; la domanda di risarcimento spiegata solo all’udienza di discussione innanzi al giudice di primo grado si fondava sul danno da pretesa ritardata assunzione deducendo un pregiudizio extracontrattuale. La domanda era così idonea a mutare i fatti costitutivi del preteso diritto, le ragioni giuridiche a fondamento della domanda e il bene della vita richiesto, concretando per questa via una inammissibile mutatio libelli .
1.2. Va osservato, in proposito, che: «posto che nel rito speciale del lavoro l’unica modifica della domanda consentita è quella che integra una emendatio libelli , in caso di domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro proposta ex art. 69, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, costituisce violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato la sentenza emessa ai sensi del comma 1 del predetto articolo, in quanto le ipotesi contemplate nei rispettivi commi poggiano su distinte causae petendi e introducono diversi temi di indagine» (Cass. 10/05/2016, n. 9471).
1.3. Il ricorrente, una volta intervenuta la assunzione ha rinunciato alla domanda principale, diretta a far accertare la
illegittimità della condotta della pubblica amministrazione; per questa via nessun accertamento è maturato circa la pretesa illegittimità della mancata precedente assunzione. L’assunzione è, peraltro, subentrata -nulla emergendo in senso contrario -per altro titolo e senza alcuna transazione nè accertamento circa la pretesa illegittimità della condotta precedente della pubblica amministrazione, dunque non vi era valido presupposto per considerare tardiva l’assunzione stessa. La domanda risarcitoria rimaneva, così, slegata dalla vicenda già posta a fondamento della domanda originaria con conseguente novità e inammissibilità della diversa pretesa.
1.4. Si consideri, ulteriormente, in tal senso che: «si ha mutatio libelli quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo; si ha, invece, semplice emendatio quando si incida sulla causa petendi , in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum , nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere» (Cass. 20/07/2012, n. 12621).
Con il secondo motivo di ricorso si deduce ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti e si critica la sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe ritenuto la
domanda risarcitoria carente sia in punto di allegazione che di prova.
2.1. La sentenza della Corte di Appello, dopo avere argomentato circa l’inammissibilità della domanda risarcitoria spiegata in primo grado all’udienza di discussione, aggiunge una seconda ratio decidendi argomentando circa l’infondatezza della domanda risarcitoria, peraltro in conformità alla valutazione del Tribunale. Non si tratta di un obiter dictum , si consideri che: «la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, il quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa ratio decidendi , né contiene, quanto alla causa petendi alternativa o subordinata, un mero obiter dictum , insuscettibile di trasformarsi nel giudicato. Detta sentenza, invece, configura una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi , ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione» (Cass. 14/08/2020, n. 17182).
2.2. Occorre, per questa via, esaminare il secondo motivo di ricorso che è, tuttavia, inammissibile. Si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo ma non si deduce quale sia il fatto storico trascurato dalla sentenza impugnata della quale si critica, in re altà, la valutazione in fatto della domanda sull’intero compendio di allegazioni e prove proposte. Peraltro, trattandosi di doppia conforme, avendo respinto nel merito la domanda risarcitoria sia il Tribunale sia la Corte di appello, il motivo di ricorso trascura di evidenziare in qual modo le due decisioni si
differenzierebbero: «nell’ipotesi di doppia conforme, prevista dall’art. 348-ter, quinto comma, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse» (Cass. 28/02/2023, n. 5947).
In conclusione il ricorso deve essere respinto.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi euro 4.000,00 oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione