Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2671 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2671 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29032/2020 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOMEricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 381/2020 depositata il 04/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- Il ricorso riguarda la sentenza, pubblicata il 4.5.2020, con cui la Corte d’Appello di Ancona ha parzialmente riformato la decisione pronunciata il 19.11.2013 dal Tribunale di Macerata che aveva accolto l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo emesso su ricorso di Banca delle Marche spa in Amministrazione Straordinaria (poi Nuova Banca delle Marche s.p.a.) per il pagamento della somma di euro 101.491,96 dovuta a titolo di scoperto del conto corrente in essere con il COGNOME L’opponente aveva dedotto numerosi inadempimenti della banca nell’esecuzione di molteplici rapporti di negoziazione titoli, in violazione con le disposizioni dell’intercorso contratto-quadro nonché di quelle vigenti nella specifica materia, in funzione della declaratoria di nullità dei rapporti obbligatori dedotti in giudizio, e della condanna della banca a titolo di risarcimento danni della somma di euro 26.992,00.
Il Tribunale -all’esito di istruttoria orale e della disposta CTU contabile – aveva revocato il decreto ingiuntivo accogliendo la domanda -proposta in sede di precisazione delle conclusioni – di risoluzione dei contratti per inadempimento della banca agli obblighi riguardanti la fase successiva alla stipulazione del contratto e condannato la banca a pagare la somma di 6.287,49 euro a titolo di risarcimento del danno.
– La Corte d’appello ha accolto parzialmente il gravame: ha respinto la domanda di risoluzione per inadempimento tra le parti, ritenendo che il giudice di primo grado fosse incorso in vizio di ultrapetizione con riguardo a quest’ultima stante l’inammissibilità della mutatio libelli compiuta dall’attore con le conclusioni rassegnate al termine dell’istruttoria rispetto a quelle dedotte nell’atto introduttivo della lite, ove era stata richiesta
esclusivamente la declaratoria di nullità degli atti negoziali posti in essere con la banca convenuta e non la loro risoluzione; ha confermato la condanna della banca al risarcimento dei danni in quanto fondata esclusivamente sullo specifico fatto dedotto della vendita delle azioni della società A.S. Roma Calcio s.p.a. per complessivi euro 26.990,87, in quanto disposta dal sig. COGNOME per ripianare parzialmente il debito accumulato con la banca per effetto delle perdite registrate sul conto corrente al servizio delle operazioni riguardanti strumenti derivati (nella specie futures ), specificando che solo in detti termini detta domanda di risarcimento danni poteva essere accolta non potendo essere modificata in sede di appello nel senso preteso dal COGNOME di ricomprendere altri eventuali danni conseguenti l’illegittimo comportamento della banca.
Con riguardo a detta circoscritta domanda, dopo aver ritenuto insussistente la violazione degli obblighi di informazione, attiva e passiva, incombenti sulla banca intermediaria quanto alla fase prodromica delle operazioni in futures (avendo l’investitore sottoscritto previamente il contratto-quadro con cui erano state raccolte tutte le informazioni necessarie, nonché il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari anche con specifico riguardo alle operazioni riguardanti strumenti derivati, essendovi precisato che l’effettuazione di dette operazioni avrebbe comportato possibilità di notevoli fluttuazioni del valore dei titoli e di notevoli perdite anche in conto capitale), ha considerato, invece, violati gli obblighi informativi della banca con riferimento alla successiva gestione dei contratti, aventi ad oggetto futures, di cui all’art. 29 del Reg. Consob n. 11522/98. In sintesi: pur considerando (a) non rilevanti profili di inadeguatezza sotto il profilo soggettivo delle operazioni (i documenti dimostravano, invero, un’apprezzabile esperienza del cliente negli investimenti finanziari ed un elevato livello sia di consapevolezza che di
propensione al rischio, avendo sottoscritto con la Banca delle Marche ben 736 contratti sui futures, arrivando in alcuni casi a concluderne addirittura 18 al giorno), (b) idonea l’informazione sul rischio fornita attraverso la documentazione sottoscritta relativamente a ciascun ordine, (c) priva di rilievo, agli effetti della colpa della banca, la circostanza che non fosse stata previamente costituita dal cliente la provvista necessaria allo svolgimento di tale operazioni, da ritenersi solo sintomatica della fiducia concessa al cliente, tuttavia ha ritenuto che la banca fosse venuta meno all’obbligo di avvertire l’investitore e di sconsigliargli in modo formale altre operazioni sui futures dopo che tra il 3 e il 9 ottobre 2002 dette operazioni avevano prodotto una perdita complessiva di 93.600 € (nella giornata del 3 ottobre le perdite erano state di 20.910 € e in quella del 4 ottobre 13.910 €, e così fino ad arrivare alla perdita alla predetta cifra totale); e ciò perché, già il 4 ottobre tali operazioni in futures divenivano «inadeguate» ai sensi dell’art. 29 del Reg. Consob predetto, sicché a norma dell’art. 28 del medesimo regolamento la banca – a maggior ragione per il fatto che non era neppure stata costituita la «provvista» prevista anche dalla norma – avrebbe dovuto avvertire per iscritto l’investitore di quanto stava accadendo, violando tanto l’art. 1375 c.c. quanto l’art. 21 comma 1 lett. a ) del TUF.
3.- Avverso la sentenza NOME COGNOME ha presentato ricorso affidandolo a tre motivi. Ha resistito RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria di un portafoglio di crediti di titolarità di REV Gestione Crediti s.p.a. a sua volta cessionaria dei crediti in sofferenza di Banca Marche s.p.a. e detenuti da Nuova Banca delle Marche s.p.a. in ragione di un previo contratto di cessione disposto dalla Banca d’Italia. La resistente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il primo motivo di ricorso denuncia «ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione di norme di
diritto: L. n. 1/1991, artt. 6, d.lgs. n. 415/1996, artt. 17 e 18, del art. 5 reg. n. 10943/97, d.lgs. 58/998 artt. 21, artt. 28 e 29 Regolamento Consob n. 11522/1998, nonché artt. 1469 bis e seg., 1341 e 1342 c.c. « per insufficiente e contraddittoria motivazione, travisamento dei fatti, in riferimento alla mancata rappresentazione dei rischi delle operazioni sui derivati e conseguente contraddittorietà e illogicità della pronuncia ».
Per quel che si riesce a comprendere di un motivo che invoca violazione di legge ( error in iudicando ) di numerose disposizioni di legge e regolamenti (senza peraltro conformarsi al dovere di specificità nell’illustrazione delle singole violazioni dedotte), per concludere in termini di vizio di motivazione ( error in procedendo ) per insufficienza, contraddittorietà e illogicità della stessa, il ricorrente censura la sentenza nel capo relativo alla valutazione del comportamento specifico della banca con riguardo alla negoziazione dei futures , ed, in particolare, l’argomentazione con cui la Corte di merito ha ritenuto non violati i doveri di informazione circa l’adeguatezza delle operazioni ed idonee le informazioni offerte nonostante -a suo dire- queste fossero carenti sul piano della specificità dei rischi connessi all’investimento in questione. Osserva che il fatto che l’investitore avesse un profilo connotato da sufficiente consapevolezza ed un’elevata propensione al rischio, non significa che la banca potesse accettare qualsiasi operazione di investimento rischiosa che gli fosse presentata, e che gli avvertimenti contenuti negli ordini non assolvevano all’obbligo imposto dalla legge di una preventiva, completa ed esauriente informativa; che, inoltre, le dichiarazioni erano contenute in clausole da considerarsi vessatorie, inserite all’interno di formulari sottoscritti dall’investitore per adesione, senza idonea valutazione della loro efficacia, prive di richiamo all’effetto «leva» tipico delle negoziazioni di contratti futures. Ritiene che la banca si sarebbe dovuta attivare per evitare che il patrimonio del ricorrente si
azzerasse a fronte dei forti ribassi in borsa nel periodo luglioottobre e che avrebbe omesso la comunicazione dovuta in caso di perdite superiori al 50%, e che perciò la sentenza sarebbe affetta da vizio di motivazione « avendo evidentemente ritenuto la questione interamente assorbita dalla comunicazione delle note informative che hanno natura e scopo differenti ». Infine lamenta che la quasi totalità delle operazioni aveva avuto esecuzione mediante disposizioni impartite telefonicamente e solo successivamente ratificate mediante sottoscrizione della relativa cedola d’ordine, ad operazione finanziaria già avvenuta col conseguente addebito della relativa posta passiva, sicché sarebbe violato l’articolo 29 comma 1 del Reg. Consob che impone all’intermediario anche l’obbligo di astenersi dall’effettuare per conto degli investitori operazioni, anche se espressamente impartite dal cliente, che rispetto a questi siano non adeguate per tipologia, oggetto e frequenza.
1.1 – Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.
Anche a prescindere dalla carenza della illustrazione dello stesso agli effetti di quanto imposto dall’art. 366 comma 1 n. 4 e 6 c.p.c., e dalla sua illogicità intrinseca che invoca violazioni di legge per censurare vizi di motivazione, le ragioni di cassazione prospettate a proposito della motivazione della decisione gravata sono del tutto inammissibili a fronte di una motivazione articolata, che, da un lato, non può essere censurata per «insufficienza» laddove l’anomalia motivazionale rilevante, per costante orientamento di questa Corte, è ravvisabile solo laddove essa si traduca in violazione di legge costituzionalmente rilevante in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, ovvero nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» (v. Cass. Sez. U n. 805314); dall’altro non presenta -né la ricorrente li illustra specificatamente -aspetti
di contraddittorietà o illogicità interna, risolvendosi la censura in una non condivisione del percorso argomentativo seguito dalla Corte distrettuale.
Si può aggiungere -a voler considerare la sola denuncia di violazione di legge -che la censura è inconferente, poiché riguarda la motivazione addotta a sostegno della statuizione relativa alla (accolta) domanda di risarcimento del danno come espressamente circoscritta (senza che sul punto, ovvero su siffatta individuazione della stessa il ricorrente muova alcuna censura) all’avvenuta vendita di titoli azionari necessitata dall’esigenza di « ripianare parzialmente il debito accumulato con la banca » non potendo « la parte appellata ricomprendere in essa altri eventuali danni conseguenti l’illegittimo comportamento della banca» stessa poiché ciò costituiva « una illegittima estensione della richiesta risarcitoria non una diversa quantificazione della stessa ». Poiché, dunque detta pretesa risarcitoria è stata accolta dalla Corte d’appello, sia pure non per le omissioni di informazioni qui denunciate bensì per quelle relative alla successiva gestione degli esiti dei contratti sui derivati, non si vede quale interesse sorregga la pretesa di sindacare la correttezza della decisone sotto altri e diversi profili; fermo, peraltro, che la dedotta violazione della normativa consumeristica è questione del tutto nuova, che rende ulteriormente inammissibile il motivo in esame.
Il secondo motivo denuncia « ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, travisamento dei fatti, violazione di norme di diritto: L. n. 1/1991, artt. 6, d.lgs. n. 415/1996, art. 17 Delibera Consob n. 10943/97; d.lgs. n. 58/998 e art. 29 Regolamento Consob n. 11522/1998, nonché artt. 1710, 1176 comma 2°, 1175 e 1375 c.c. in relazione alla diligenza dell’intermediario nella operatività sui contratti futures» .
Anche con tale mezzo il ricorrente invoca violazione di legge ( error in iudicando ) con riguardo a numerose disposizioni di legge e regolamenti (senza conformarsi al dovere di specificità nell’illustrazione delle singole violazioni dedotte) per concludere con una censura della sentenza gravata per vizio di motivazione ( error in procedendo, ancora una volta deducendone l’« insufficienza, contraddittorietà e illogicità » oltre che travisamento dei fatti) nella parte in cui la Corte reputa privo di sostanziale rilievo – agli effetti della colpa della banca o di un suo inadempimento al dovere di buona fede – il fatto che le operazioni di investimento non fossero state precedute dalla costituzione da parte del cliente della provvista necessaria e ciò poiché detta irregolarità non aveva influenzato le scelte di investimento del Fulimeni ed era sintomatica solo della fiducia riposta dalla banca nel cliente, che, invero, aveva sempre onorato i propri impegni. Reputa il ricorrente che si sia trattato di una valutazione errata della Corte d’appello perché, autorizzando l’operatività in scoperto di conto corrente, l’intermediario si era reso inadempiente rispetto alla normativa primaria e secondaria che gli imponeva di non dar corso a operazioni, ovvero di chiuderle, sino a che il cliente non avesse provveduto ai necessari versamenti a copertura del saldo negativo; sicché emergerebbe « con chiarezza l’omessa e contraddittoria motivazione della Corte anconetana la quale non ha applicato le norme contrattuali e di legge che disciplinavano e imponevano precisi obblighi all’intermediario sul versante dei margini di garanzia e sulla operatività in presenza di un patrimonio negativo dell’investitore », tanto più per il fatto che, resasi conto dell’illegittimità del suo operato, la Banca delle Marche non aveva « esitato a convincere l’investitore a vendere le proprie azioni per rientrare in parte del debito accumulato», riuscendo così «a far fronte con denaro altrui a un debito proprio».
2.2 -Il motivo è inammissibile.
Anche con riguardo a detta censura vale, invero, quanto sopra osservato – oltre che a proposito della carenza della illustrazione del motivo e della sua illogicità intrinseca (invocandosi anche qui diverse violazioni di legge per censurare vizi motivazionali che non assurgono al minimo costituzionale di sindacabilità)- a proposito dell’inconferenza delle prospettate violazioni, la cui fondatezza il ricorrente non ha alcun interesse a vedere vagliate in questa sede dal momento che riguardano una statuizione che accoglie la domanda risarcitoria per come circoscritta, anche in tal caso non cogliendo e non confrontandosi, dunque, con la ratio decidendi, che avrebbe dovuto essere aggredita, logicamente, quanto alla delimitazione della rilevanza dell’inadempimento dedotto al solo fatto dell’operato disinvestimento.
3.- Il terzo motivo denuncia « ai sensi dell’ art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, travisamento dei fatti, in riferimento alla mancata pronuncia sulla inadempienza giustificante la risoluzione del contratto, violazione di norme di diritto: art. 113 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c., artt. 1453 e 1455 c.c.», in quanto la Corte d’appello aveva integralmente recepito l’assunto difensivo della banca per cui il sig. COGNOME aveva compiuto un’inammissibile mutatio libelli nelle conclusioni finali introducendo una domanda di risoluzione dei rapporti di intermediazione finanziaria intercorsi con l’istituto di credito non contenuta nelle conclusioni rassegnate nell’atto introduttivo della lite; aggredisce il ricorrente in particolare il passaggio argomentativo in cui La Corte distrettuale ha rilevato che « nella parte espositiva e argomentativa del proprio atto di citazione l’attore aveva evidenziato i comportamenti in ipotesi illegittimi della banca e prospettato, poi, gli stessi come violazione di norme e regole imperative inficianti di nullità, ex art. 1418 c.c., i contratti e gli atti (in particolare gli ordini di acquisto e vendita dei futures)»,
sicché «la successiva modifica della domanda intervenuta solo in sede di precisazione delle conclusioni si presentava inammissibile» onde qualsiasi intervento del giudice volto a interpretare o a convertire una chiara inequivoca domanda di nullità in una domanda di risoluzione si risolverebbe in un legittimo vizio di extrapetizione».
Il ricorrente sostiene che l’indicazione normativa fornita dall’attore ai fini dell’accoglimento della propria domanda non vincola il giudice ad esaminare la domanda soltanto alla stregua di tali norme, ben potendo ravvisare che la domanda, per come è individuata nel petitum e nei fatti indicati dall’attore, sia giustificata da altre norme dell’ordinamento, donde il principio consolidato per cui, fermi i fatti e il petitum allegato, compete al giudice il potere di qualificare la domanda; invoca, inoltre, precedenti di legittimità per cui la volontà di risolvere un contratto per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalla parte in giudizio, « ben potendo essere implicitamente contenuta in altra domanda, eccezione e richiesta, sia pure di diverso contenuto, che presupponga una domanda di risoluzione », per concludere che « un’attenta lettura degli atti di causa avrebbe consentito di affermare che, già nelle conclusioni del libello introduttivo, la parte attrice aveva dedotto una duplice responsabilità dell’ istituto di credito per violazione della normativa sopra ricordata, avanzando una domanda sia di nullità del contratto per violazione di norme imperative sia una cumulativa domanda diretta ad accertare il dedotto inadempimento contrattuale delle obbligazioni normativamente previste dal TUF e dal Regolamento Consob, fondando su quest’ultimo profilo l’allegata responsabilità implicante la risoluzione contrattuale».
3.1- Il motivo è inammissibile. Invero -fermo il fatto che l’interpretazione della domanda spetta certamente al giudice fermi i fatti e il petitum dedotti, nella specie il ricorrente -onde censurare
la decisone gravata in punto inammissibilità della domanda perché costituente mutatio libelli -invoca una richiesta ( petitum ) «implicita» di risoluzione dei contratti per inadempimento invocando il predetto orientamento di legittimità (in sé condivisibile) senza indicare quale sarebbe stata la domanda (o l’eccezione) che presupponeva la domanda di risoluzione non formulata e il suo fondamento; tanto più che quella risarcitoria è stata ritenuta dalla Corte di merito delimitata alla sola vicenda della vendita di titoli azionari posta in essere per ripianare parzialmente lo scoperto del conto (aspetto della decisione non sottoposto a censura e, quindi, definitivo) fondata sulla negligente e inadempiente condotta della banca nella gestione «successiva» dei contratti, che, quindi, non implicava certo la declaratoria di risoluzione dei contratti stessi.
Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. Il ricorrente è stato ammesso al gratuito patrocinio (con delibera in data 2.11.2020)
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente ammesso al gratuito patrocinio e, quindi per esso l’Erario, al pagamento delle spese di lite in favore di parte controricorrente liquidate nell’importo di euro 6.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione