Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32869 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32869 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22538/2020 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 301/2020 della Corte d’Appello di Firenze, depositata il 23.6.2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.11.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La ricorrente, dipendente dell ‘Agenzia delle Entrate in servizio presso gli uffici di Grosseto, convenne in giudizio la datrice di lavoro e l’Agenzia del Demanio per chiederne la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti cadendo a terra mentre usciva dal luogo di lavoro.
Il Tribunale di Grosseto respinse la domanda, ritenendo insussistenti sia la responsabilità ai sensi dell’art. 2087 c.c. (prospettata nei confronti de ll’Agenzia delle Entrate), sia quella ai sensi degli artt. 2051 o 2043 c.c. (prospettata nei confronti dell’Agenzia del Demanio) .
La lavoratrice si rivolse allora al la Corte d’Appello di Firenze, che respinse il gravame, confermando la decisione di primo grado.
Contro la sentenza della Corte territoriale la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
Le due Agenzie si sono difese ciascuna con un proprio controricorso.
Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunciano «violazione e comunque falsa applicazione dell ‘art. 345 c.p.c. in relazione all’ errata dichiarazione di inammissibilità dell’appello (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) per avere erroneamente ritenuto
‘nuova’ la domanda risarcitoria fondata su fatti che erano stati prospettati sin dal ricorso introduttivo primo grado di giudizio».
La Corte d’Appello ha rilevato che, in primo grado, la domanda era stata proposta allegando , all’origine della caduta e, quindi, del danno subito dalla ricorrente, l’esistenza di una «sconnessione non segnalata della rampa d’accesso all’edificio suo luogo di lavoro» . Viceversa, in grado d’appello, a fronte della mancanza di prova della sconnessione ( rectius : a fronte della prova che n on c’era alcuna sconnessione ), era stata «individuata una ulteriore situazione ovverosia il fatto che la rampa o scivolo non fosse dotato di adeguate protezioni sottoforma di parapetti e corrimano». In ciò la Corte territoriale ha ravvisato una mutatio libelli inammissibile in appello.
La ricorrente censura la decisione in parte qua sostenendo di avere sollevato già in primo grado, e fin dal ricorso introduttivo, «il tema della violazione dell’art. 2087 c.c. per inosservanza delle norme sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e comunque degli edifici aperti al pubblico».
1.1. Il motivo è infondato.
1.1.1. La Corte territoriale ha correttamente osservato che si ha domanda nuova quando la modifica della causa petendi comporta il mutamento dei fatti costitutivi del diritto, i quali devono essere introdotti nel processo entro il maturare delle preclusioni assertorie, in modo che su di essi possa formarsi il regolare contraddittorio, nel rispetto del diritto di difesa del convenuto (Cass. nn. 10141/2021; 23415/2018; 8842/2013).
La nuda affermazione della ricorrente di essere caduta, sia pure nel luogo di lavoro o nelle sue immediate vicinanze, non
descrive, di per sé, un «fatto giuridico» rilevante ai fini della prospettata ipotesi di una responsabilità di terzi per la caduta e di un conseguente diritto al risarcimento del danno. Perché la mera affermazione del fatto assurga ad allegazione di un fatto giuridico nell’ambito della indicazione di una causa petendi occorre che la caduta sia qualificata da circostanze ulteriori che connotano il fatto allegato quale fonte dell’obbligazione e, quindi, a sostegno della domanda.
Nella sentenza impugnata si legge che l’allegazione posta a sostegno della domanda nel ricorso di primo grado era stata la «sussistenza di una ‘sconnessione non segnalata’ », ipotesi del tutto abbandonata in grado d’appello, ove la responsabilità delle attuali controricorrenti era stata diversamente ricollegata alla mancanza di «adeguate protezioni sotto forma di parapetti e corrimano» in una «rampa o scivolo».
È evidente che nelle due prospettazioni il tema di indagine in fatto risulta completamente diverso. Nel primo caso si allega un’anomalia fisica nella pavimentazione e un’omessa segnalazione di tale anomalia; nel secondo caso, invece, si prospetta la non conformità di un manufatto, così come costruito, alle norme dettate per la sicurezza nei luoghi di lavoro e negli edifici aperti al pubblico. Quello che muta è il fatto giuridico posto a fondamento della domanda -con riferimento al quale il convenuto è chiamato a difendersi -che non è la caduta in un certo luogo, ma la caduta in circostanze tali che rendono ipotizzabili la responsabilità di terzi e il diritto al risarcimento del danno, salvo l’accertamento della fondatezza in concreto della pretesa.
1.1.2. Anche nel l’ambito del rapporto di lavoro subordinato è stato chiarito che « l a responsabilità datoriale non è suscettibile di essere ampliata fino al punto da comprendere, sotto il profilo meramente oggettivo, ogni ipotesi di lesione dell ‘ integrità psico-fisica dei dipendenti (e di correlativo pericolo) » e che « non si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto » (Cass. n. 8911/2019, che cita, a sua volta, Cass. nn. 12347/2016 e 11981/2016; conf., successivamente, Cass. nn. 14066/2019; 3282/2020; 1509/2021; 29909/2021).
Da ciò consegue che l’onere di allegazione che il lavoratore deve assolvere per definire l’oggetto della causa non può limitarsi alla mera affermazione della verificazione di un danno durante il tempo dedicato al l’esecuzione della prestazione lavorativa, dovendosi ulteriormente descrivere il fatto, in modo da potersi enucleare un rapporto di causalità con inadempimenti datoriali ed inquadrare la fattispecie in un’astratta ipotesi di responsabilità per violazione di specifiche regole di sicurezza o anche solo del generale dovere di adottare le misure protettive adeguate, come suggerite dalle conoscenze sperimentali o tecniche. Il che vale a più forte ragione laddove, come nel caso in esame, il fatto allegato è di per sé del tutto estraneo alla prestazione lavorativa, trattandosi di una caduta avvenuta all’uscita dal luogo di lavoro.
1.1.3. A ben vedere la ricorrente non mette in discussione il principio sopra enunciato, dal momento che non afferma di
poter mutare in appello l’allegazione delle circostanze che connotano la fattispecie, ma sostiene di avere posto fin dal ricorso introduttivo del giudizio di primo grado «il tema della violazione dell’art. 2087 c.c. per inosservanza delle norme sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e comunque degli edifici aperti al pubblico».
Sennonché, l’affermazione secondo cui la questione sarebbe stata posta già nel ricorso introduttivo di primo grado non è supportata dalla necessaria riproduzione nel ricorso per cassazione delle parti essenziali dell’atto richiamato, in modo da permettere alla Corte di Cassazione di verificare la fondatezza di quanto affermato in merito al suo contenuto.
Resta fermo, in ogni caso, che la mera invocazione della norma generale di cui all’art. 2087 c.c. nulla aggiunge alla descrizione del fatto giuridico posto a fondamento della domanda. Il profilo fattuale caratterizzante l ‘ allegazione rimane pur sempre la caduta provocata da una «sconnessione non segnalata», alla quale si ricollega una responsabilità delle convenute ai sensi dell’art. 2087 c.c. (per l’Agenzia delle Entrate) e degli artt. 2051 o 2043 c.c. (per l’Agenzia delle Dogane).
1.1.4. Viene invece testualmente riportato nel ricorso per cassazione un brano delle «note autorizzate finali del 14.2.2019» presentate davanti al Tribunale, ove si descrivono le caratteristiche costruttive della «rampa» e si afferma che essa «sul lato sinistro … presenta un dislivello non protetto né da parapetto né da corrimano o altra idonea protezione anche solo visiva».
Ma è facile obiettare che il mutamento della domanda non è consentito nel rito del lavoro (ma lo stesso sarebbe nel rito ordinario) nemmeno nelle «note autorizzate finali» di primo grado, ovverosia quando le preclusioni assertorie sono comunque già maturate.
A questo punto è addirittura superfluo osservare che anche la tardiva affermazione della mancanza di parapetto e di corrimano risulta un’allegazione incompleta, se non si descrive l’episodio in modo tale da spiegare perché il parapetto o il corrimano sarebbero stati utili al fine di evitare la caduta.
Il secondo motivo di ricorso denuncia «violazione dell’art. 2087 c.c. in relazione agli artt. 62, 63 e 64 del d.lgs. n. 81/2008 e al d.P.R. 24.7.1996 n. 503, Regolamento recante norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche degli edifici, spazi e servizi pubblici (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) per mancata applicazione della normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e comunque agli edifici pubblici e aperti al pubblico all’area pertinenziale del palazzo degli uffici finanziari nella quale è collocata la rampa ove è avvenuto il sinistro».
2.1. Il motivo è inammissibile, perché riguarda questioni attinenti alla domanda di cui la Corte d’Appello ha correttamente impedito la tardiva introduzione nel giudizio.
Il terzo motivo prospetta, nella sentenza impugnata, una «violazione dell’art. 2087 c.c. in relazione all’art. 1218 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) per avere indebitamente invertito l’onere della prova in ordine alla responsabilità dell’evento ed avere attribuito rilievo esimente alla caduta per ‘negligenza’ della vi ttima senza avere valutato la rilevanza causale e la riconducibilità al c.d. ‘rischio elettivo’ ».
3.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte territoriale non ha deciso la causa attribuendo «rilievo esimente alla caduta per ‘negligenza’ della vittima», bensì constatando la mancanza di prova del fatto posto a fondamento dell’azione, dal momen to che «non è dato conoscere come l’evento ebbe a verificarsi» e che è stata positivamente accertata l’inesistenza della «sconnessione» inizialmente indicata quale causa della caduta.
Il quarto motivo censura la sentenza per «violazione dell’art. 2051 c.c.; in ipotesi violazione dell’art. 2043 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) per aver ritenuto erroneamente inapplicabili al caso di specie le disposizioni richiamate per assenza di pericolosità della cosa (art. 2051 c.c.) e comunque di condotta illecita (art. 2043 c.c.)».
4.1. Il motivo torna sul tema della rampa che «si presenta, nella sua conformazione, difforme dai parametri legali in quanto sfornita di parapetto o corrimano o di altro accorgimento (anche solo visivo) idoneo ad evitare il rischio di caduta».
Anche quest’ultimo motivo è dunque inammissibile , perché pone questioni estranee all’oggetto della causa come definito nel giudizio di primo grado.
Rigettato il ricorso, le spese legali per il presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità, liquidate: quanto all’Agenzia delle Entrate , in € 2.500 per compensi, oltre a spese generali al 15%, € 200 per esborsi e accessori di legge ; quanto all’Agenzia del Demanio, in € 2.500 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della