Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5430 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5430 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2307/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME per procura in calce al controricorso, -controricorrente- nonchè contro
COGNOME NOME e COGNOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n.2741/2017 depositata il 6.12.2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 26.1.2000 COGNOME NOME, proprietario del terreno riportato a foglio 5, particella 55, del NCT del Comune di Porcari, per acquisto fattone il 19.2.1991, dopo averlo detenuto in affitto dagli anni ’60 dello scorso secolo, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Lucca COGNOME NOME e COGNOME NOME, proprietari della particella 105 del foglio 11 del NCT del Comune di Montecarlo, con la quale confinava asseritamente a mezzo del INDIRIZZO, lamentando che i predetti avevano edificato un muro di contenimento di un terrapieno artificiale in cemento armato e bozze di cemento, che ricadeva in parte sul tracciato del INDIRIZZO ricoperto da terreno riportato a valle dal terrapieno, ed in parte sulla sua proprietà, e che su tale muro erano stati praticati dei fori con tubazioni di scolo che avevano dato luogo a scarichi abusivi ricadenti sulla sua proprietà, e chiedeva quindi la riduzione in pristino dello stato dei luoghi con rimozione delle edificazioni realizzate sulla sua proprietà e/o in violazione delle distanze legali prescritte dal codice civile e dalla normativa locale, l’eliminazione degli scarichi abusivi per impedire lo sversamento sul suo fondo, oltre al risarcimento dei danni subiti.
Si costituivano nel giudizio di primo grado COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME che sostenevano che il muro di contenimento, relativo ad un terrapieno naturale, era stato costruito interamente
sulla loro proprietà e qualificando come rivendica l’opposta azione, sollevavano l’eccezione possideo quia possideo, ritenendo il COGNOME gravato della cosiddetta probatio diabolica ; che nell’ipotesi in cui il confine fosse collocato, come prospettato dal COGNOME, il terrapieno con sovrastante fabbricato allo stato rustico esistevano fin dalla metà degli anni ’70 del ‘900, mentre il muro di contenimento era stato realizzato prima del loro acquisto per atto del notaio NOME COGNOME del 23.12.1985 ad opera dei loro danti causa, COGNOME NOME e COGNOME NOME, essendo menzionato nell’atto medesimo, per cui andava accertata l’usucapione in loro favore del terreno occupato dal muro di contenimento, nonché del diritto alla servitù di scolo ed a mantenere il terrapieno col muro di contenimento a distanza inferiore a quella imposta dalla normativa locale; che in subordine andava loro riconosciuta la proprietà del fondo occupato dal muro di contenimento e dal terrapieno con sovrastante fabbricato ai sensi dell’art. 938 cod. civ. previo pagamento al COGNOME del relativo indennizzo; che il COGNOME andava a sua volta condannato a ripristinare il tratto del INDIRIZZO posto tra i due fondi che aveva spianato; che nel caso in cui le domande del COGNOME fossero state ritenute fondate, i venditori COGNOME NOME e COGNOME NOME, previa chiamata in causa, andavano condannati a restituire loro parte del prezzo percepito per la vendita in ragione dell’evizione parziale subita ed al risarcimento dei danni subiti, da liquidare in separato giudizio.
Autorizzata la chiamata in causa di COGNOME NOME e COGNOME NOME, a seguito del decesso degli stessi, si costituivano i chiamati all’eredità, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che chiedevano di essere estromessi dal giudizio, documentando la loro rinuncia all’eredità, ed all’originario attore subentrava, a seguito del decesso, l’unico erede, COGNOME NOME.
Espletata CTU dall’arch. COGNOME ed acquisiti chiarimenti, il Tribunale di Lucca, con la sentenza n. 420/2014 accertava il confine tra le proprietà delle parti sulla base dei rilievi tecnici eseguiti dall’ausiliario del CTU geometra COGNOME qualificava l’azione esercitata dal COGNOME come actio negatoria servitutis, ritenendo quindi sufficiente la produzione da parte dello stesso del titolo di acquisto del 19.2.1991, qualificava il muro di contenimento per la sua consistenza (cemento armato e bozze in cemento) e per la sua altezza, di m 3,50 fuori terra, come costruzione, soggetta alla distanza legale prevista dal regolamento edilizio del Comune di Montecarlo di cinque metri dal confine, verificando in base alla CTU che essa aveva occupato una superficie di 40,5 mq della particella 55 del foglio 5 del NCT del Comune di Porcari del Carmignani, rigettava la riconvenzionale di usucapione, ritenendo desumibile dalla documentazione prodotta relativa alle pratiche edilizie del muro, e dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà a firma di COGNOME NOME del 25.2.1995 allegata alla domanda di condono edilizio, che il muro era stato costruito nel 1980 e che quindi non erano decorsi i venti anni necessari per l’usucapione del terreno da esso occupato e della servitù di scolo alla data dell’introduzione del giudizio (26.1.2000), e rigettava la riconvenzionale di accessione ex art. 938 cod. civ., in quanto l’applicazione del relativo principio poteva valere per le superfici occupate in buona fede da edifici, e non da muri di contenimento, ed in quanto la funzionalità del muro di contenimento alla stabilità del terrapieno e del sovrastante fabbricato dei COGNOME
COGNOME non era desumibile dalla CTU dell’ing. COGNOME che era stata espletata nel giudizio che aveva visto gli stessi contrapposti al Ministero delle Finanze davanti al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Firenze, in un giudizio al quale il COGNOME non aveva partecipato. Il Tribunale di Lucca condannava quindi i COGNOME
COGNOME ad arretrare il muro di contenimento fino ad una distanza di cinque metri dal confine
accertato dall’ausiliario del CTU, al risarcimento dei danni conseguenti alla violazione della distanza legale, quantificati equitativamente in € 1.500,00 oltre interessi, accertava l’inesistenza della servitù di scolo ordinando ai COGNOME di astenersi dal creare scoli di acque sul fondo del Carmignani, respingeva le richieste di malleva e risarcimento danni dei COGNOME nei confronti dei chiamati in causa, che avevano rinunciato all’eredità prima dell’inizio del giudizio, e condannava i COGNOME al pagamento delle spese processuali in favore delle altre parti e delle spese di CTU.
Per completezza del quadro, va rappresentato che con sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche n. 26/2003 del 5.3.2003, passata in giudicato, nel giudizio che aveva visto contrapposti i COGNOME al Ministero delle Finanze, ma senza la partecipazione del COGNOME, e nel quale era stata espletata CTU dall’ing. COGNOME era stato accertato che la striscia di terreno larga due metri, classificata come proprietà demaniale nel nuovo catasto terreni e sulla quale insisteva l’estremità sud-occidentale del muro di contenimento in questione, non corrispondeva al letto del Rio Poggio Mozzo, ma ad un’antica fascia di terreno che un tempo segnava i confini tra il Granducato di Toscana ed il Ducato di Lucca e che ancora rappresentava il limite tra i territori dei Comuni di Montecarlo e di Porcari, e non aveva alcuna funzione di tutela di acqua pubblica perché il Rio INDIRIZZO poteva essere qualificato come acqua pubblica solo in corrispondenza della linea di massimo pendio del compluvio, a circa 150 metri dalla sorgente, e ad una distanza di circa trenta metri ad ovest rispetto al muro di contenimento in questione.
Con sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche n.370/2016, invece, a seguito di riassunzione dal TAR della Toscana dichiaratosi incompetente, nel contraddittorio di tutte le parti, é stato annullato, per vizio di motivazione, il provvedimento
dell’Ufficio del Genio civile di Lucca del 22.1.1999, che a seguito di esposto dei COGNOME–COGNOME aveva ordinato a COGNOME NOME di rimettere in pristino il suo terreno asseritamente spianato coprendo il tracciato del INDIRIZZO.
Contro la sentenza del Tribunale di Lucca proponevano appello i COGNOME e la Corte d’Appello di Firenze, nella resistenza di COGNOME NOME, e nella contumacia di COGNOME e COGNOME NOME, con la sentenza n. 2741/2017 del 24.11/6.12.2017, rigettava l’appello, e condannava gli appellanti in solido alle spese processuali di secondo grado in favore di COGNOME NOME.
In particolare la Corte d’Appello riteneva, che non fosse stata sollevata una specifica ed univoca censura alla determinazione del confine tra le proprietà delle parti, effettuata dal Tribunale di Lucca in conformità ai rilievi dell’ausiliario del CTU, non essendo essa ravvisabile nel fugace, vago ed impreciso accenno fatto alla pagina 29 dell’atto di appello al rilievo nell’ambito della CTU della presenza di ceppi lapidei, che andavano a favore degli appellanti, e che avrebbero dovuto impedire il ricorso al criterio sussidiario delle risultanze catastali.
In ordine alla riproposta riconvenzionale di usucapione della proprietà dell’area di sedime del muro di contenimento, del diritto di tenerlo a distanza inferiore a quella legale dal confine e del diritto di servitù di scolo, il giudice di secondo grado evidenziava che i COGNOME avevano dedotto che il possesso del terreno contenuto e del muro era stato coevo, e che COGNOME Carlo aveva reso una confessione stragiudiziale al Comune nell’ambito della pratica edilizia relativa al muro di contenimento, riconoscendo che era stato edificato nel 1980, confessione stragiudiziale che andava liberamente valutata ex art. 2735 comma 1° seconda parte ed ex art. 2733 ultimo comma cod. civ., e che doveva ritenersi dirimente ai fini del rigetto della domanda di usucapione del terrapieno e del
muro di contenimento, in quanto nulla era stato dedotto su eventuali errori che avrebbero determinato la confessione, o sui motivi che avrebbero indotto il COGNOME a dichiarare un fatto non vero.
In ordine alla riproposta domanda di accessione ex art. 938 cod. civ., la Corte d’Appello dichiarava inammissibile il motivo di appello proposto, col quale si era tornata ad invocare la CTU COGNOME espletata in altro giudizio, al quale COGNOME NOME non aveva partecipato, per sostenere che il terrapieno con sovrastante fabbricato ed il muro di contenimento costituivano un unico complesso edilizio perché senza il muro sarebbe stata compromessa la stabilità del fabbricato, sicché sarebbe stato applicabile l’art. 938 cod. civ. dettato per le ipotesi di occupazione di suolo in buona fede con edifici e non con altre costruzioni, in quanto tale motivazione non era idonea a scalfire la motivazione della sentenza impugnata, che aveva ritenuto irrilevante la CTU COGNOME espletata in altro giudizio ed escluso l’applicazione dell’art. 938 cod. civ. ad un muro di contenimento, trattandosi di norma dettata per gli edifici.
Quanto al motivo di appello col quale i COGNOME–COGNOME avevano riproposto la qualificazione delle domande avversarie in primo grado in termini di rivendica, la Corte d’Appello lo reputava infondato, osservando che dovevano ritenersi proposte oltre all’azione di regolamento dei confini, che presupponeva l’incertezza soggettiva del confine senza la contestazione dei rispettivi titoli di proprietà, per cui non si trattava di una rivendica, anche l’ actio negatoria servitutis, azioni delle quali non mutavano i presupposti solo perché i COGNOME avevano chiesto in via riconvenzionale l’usucapione della striscia di terreno del fondo del COGNOME occupata che si trovava oltre la linea di confine, per cui il COGNOME non era tenuto alla cosiddetta probatio diabolica.
Quanto al motivo di appello relativo alla domanda dei COGNOME di condanna del COGNOME al ripristino del deflusso delle acque nel tratto che interessava il suo terreno, ed alla richiesta di supplemento di CTU, la Corte d’Appello lo riteneva inammissibile per genericità, in quanto non si confrontava con la motivazione addotta dal primo giudice, che aveva ritenuto il difetto di prova di tale domanda posto che le CTU dell’ing. COGNOME erano state espletate in giudizi in cui il COGNOME non era stato parte, ed in quanto la richiesta di un supplemento di CTU sulla situazione e posizione del INDIRIZZO era generica ed indefinita.
Quanto al motivo di appello concernente l’accoglimento dell’avversa domanda di arretramento di cinque metri rispetto al confine del muro di contenimento, la Corte d’Appello riteneva inammissibile per genericità la doglianza meramente apodittica formulata nel senso che nessuna distanza legale dovesse trovare applicazione ad un muro di contenimento di un terrapieno naturale, e reputava tardivi ed inammissibili i rilievi sulla vigente e più favorevole normativa locale applicabile, formulati per la prima volta dai COGNOME–COGNOME nella comparsa conclusionale.
Avverso tale sentenza hanno proposto tempestivo ricorso a questa Corte COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a cinque motivi, ed ha resistito con controricorso COGNOME NOME, mentre sono rimasti intimati COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME
E’ intervenuto nel corso del giudizio di legittimità NOME NOME per avere acquistato la proprietà dei genitori, NOME NOME e NOME NOMECOGNOME con l’atto del notaio NOME COGNOME del 29.12.2015, rep. n. 62371, aderendo alle richieste dei ricorrenti.
I soli NOME NOME COGNOME NOME nell’imminenza dell’adunanza camerale, hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va rilevata l’inammissibilità dell’intervento in causa di NOME COGNOME avente causa dei ricorrenti, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME in quanto per giurisprudenza consolidata di questa Corte ‘ nel giudizio di cassazione, mancando un’espressa previsione normativa che consenta al terzo di prendervi parte con facoltà di esplicare difese, è inammissibile l’intervento di soggetti che non abbiano partecipato alle pregresse fasi di merito, fatta eccezione per il successore a titolo particolare nel diritto controverso, al quale tale facoltà deve essere riconosciuta ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa ‘ (vedi Cass. n. 16526/2024; Cass. n. 6774/2022; Cass. n.5987/2021; Cass. n. 25423/2019) e nella specie il diritto di difesa é già stato esercitato prima dell’intervento dai danti causa, che hanno proposto ricorso, e che successivamente hanno anche depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
1) Col primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione degli articoli 342 e 113 comma 1° c.p.c., ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., l’omessa pronuncia su domande ed eccezioni formulate dagli appellanti.
Si dolgono i ricorrenti che l’impugnata sentenza abbia ritenuto non specificamente ed univocamente censurata la sentenza del Tribunale di Lucca quanto alla determinazione del confine, ancorché alle pagine 28, 29 e 30 dell’atto di appello essi avessero fatto riferimento al rinvenimento da parte del CTU degli originari termini lapidei ed all’esistenza di punti certi di riferimento (case, strade, recinti, dislivelli), indicativi di una situazione di fatto consolidata, che avrebbero dovuto escludere il ricorso alle mappe catastali, costituenti un sistema di accertamento del confine di carattere meramente sussidiario;
che l’impugnata sentenza abbia ritenuto inammissibile, per genericità, il motivo di appello relativo alla domanda di accessione ex art. 938 cod. civ., pur avendo essi dedotto che, in base alla CTU dell’ing. COGNOME espletata nel giudizio svoltosi davanti al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, la casa di abitazione, il terrapieno ed il muro di contenimento costituivano un unico complesso edilizio, nel quale il terrapieno ed il muro di contenimento servivano ad evitare il dissesto del fabbricato;
che l’impugnata sentenza abbia ritenuto inammissibile, per genericità, il motivo di appello inerente al ripristino da parte del COGNOME dell’area spianata a copertura del Rio Poggio Mozzo, e la richiesta di ammissione delle prove non ammesse in primo grado e di un supplemento di CTU per la verifica dell’epoca di costruzione del muro di contenimento e della situazione e posizione del Rio Poggio Mozzo, per avere gli appellanti richiamato le CTU dell’ing. COGNOME espletate nel giudizio davanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, al quale il COGNOME non aveva partecipato, ancorché per l’utilizzo delle prove raccolte in un altro giudizio tra le stesse parti, o tra altre parti, non esista un divieto di legge quando in detto giudizio, come nella specie, sia stata pronunciata sentenza, costituente anch’essa documentazione acquisita (Cass. 15.5.2018 n. 11753), e benché ove si ritenesse non utilizzabile la CTU dell’ing. COGNOME doveva almeno disporsi il richiesto supplemento di CTU; che l’impugnata sentenza abbia ritenuto inammissibile il motivo di appello concernente l’accoglimento dell’avversa domanda di arretramento di cinque metri rispetto al confine del muro di contenimento, per genericità della doglianza meramente apodittica formulata nel senso che nessuna distanza legale dovesse trovare applicazione ad un muro di contenimento di un terrapieno naturale, laddove essi avevano dedotto che il COGNOME non aveva fornito prova che il terrapieno sostenuto dal muro di contenimento fosse artificiale e quindi soggetto alle norme sulle distanze e non
naturale, e che la sentenza non aveva neppure individuato la norma locale applicabile per la distanza legale dal confine, il tutto benché per le norme locali sulle distanze legali valesse il principio iura novit curia, per cui non potevano essere considerati tardivi ed inammissibili i rilievi sulla normativa locale applicabile formulati per la prima volta dai COGNOME nella comparsa conclusionale del giudizio di secondo grado.
Il motivo va accolto per quanto di ragione.
Preliminarmente occorre chiarire che non ricorre il vizio di omessa pronuncia in quanto non ci sono domande, o eccezioni sulle quali l’impugnata sentenza non si sia pronunciata, avendo semplicemente la Corte d’Appello ritenuto inammissibili alcuni dei motivi di appello che erano stati fatti valere da NOME e NOME NOME.
Nondimeno, la violazione dell’art. 342 c.p.c. in sede di legittimità può essere lamentata per far valere l’asserito difetto di specificità dei motivi d’impugnazione come error in procedendo, quando si tratti di valutare l’idoneità dell’atto di appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c. ad espletare il suo effetto devolutivo ed a far conoscere al giudice di secondo grado i termini dell’impugnazione per decidere su di essa (vedi in tal senso Cass. 15.1.2009 n.806).
E’ insegnamento della Corte (Cass. 28.10.2020 n. 23781, in connessione con Cass. 12.2.2016 n. 2814) che ” (a)i fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l’allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice “. Si è anche chiarito che ” (e)ssendo
l’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi – previsto dall’art. 342, comma 1, c.p.c. prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure ” (Cass. 25.1.2023 n. 2320, in connessione con Cass. n. 23781/2020).
Sulla base di questi principi é infondata la doglianza relativa all’inammissibilità del motivo di appello concernente la determinazione del confine, in quanto nell’atto di appello gli attuali ricorrenti si sono limitati alle pagine 28, 29 e 30 ad effettuare un fugace richiamo al rinvenimento da parte del CTU di termini lapidei, essendo del tutto generici gli altri elementi di fatto invocati, ed al noto principio per cui in sede di determinazione del confine le risultanze catastali hanno carattere meramente sussidiario, senza spiegare però sotto quale profilo i termini lapidei suddetti avrebbero inficiato il confine ricostruito dall’ausiliario del CTU geometra COGNOME che allo scopo si é avvalso anche dei termini lapidei rinvenuti e fotografati, ha tenuto conto dell’estensione delle proprietà delle parti risultanti dai rispettivi atti di acquisto e dei dati di fatto rinvenibili in loco, ed ha utilizzato i riferimenti desumibili dal catasto solo per colmare le lacune della situazione di fatto. Il motivo tende poi ad ottenere una rivalutazione delle risultanze istruttorie ai fini di una diversa determinazione del confine tra le proprietà delle parti, che però é riservata al giudice di merito, cui
compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 27.2.2024 n. 5146; Cass. 23.5.2019 n. 11511; Cass. 4.7.2017 n. 16467; Cass. 23.5.2014 n. 11511; Cass. 13.6.2014 n.13485; Cass. 15.7.2009 n. 16499) e non può essere richiesta nel giudizio di legittimità.
Inammissibile é invece la doglianza relativa alla dichiarata inammissibilità del motivo di appello relativo alla domanda di accessione ex art. 938 cod. civ., in quanto il mero richiamo nell’atto di appello alle risultanze della CTU COGNOME espletata in un giudizio al quale il COGNOME non aveva partecipato, che aveva evidenziato la connessione funzionale statica del muro di contenimento e del terrapieno rispetto al fabbricato dei COGNOME, era inidoneo a scalfire la motivazione di rigetto addotta dal Tribunale di Lucca, che oltre ad escludere erroneamente l’utilizzabilità della CTU COGNOME nei confronti di un soggetto che non era stato parte del giudizio nel quale la stessa era stata espletata (infatti per giurisprudenza consolidata di questa Corte si tratta comunque di un elemento indiziario che dev’essere valutato: vedi in tal senso Cass. n. 8603/2017; Cass. n. 10972/1994), aveva però spiegato anche che l’art. 938 cod. civ. é invocabile esclusivamente alla costruzione in buona fede di edifici, ossia di strutture murarie complesse idonee alla permanenza nel suo interno di persone e cose, e non per opere diverse quali i muri di contenimento (vedi in tal senso Cass. n. 12402/2023; Cass. n. 992/2022; Cass. n. 22997/2019; Cass. n. 23018/2012).
Tale seconda ed autonoma ratio decidendi, basata sul fatto che qui l’occupazione di terreno é avvenuta per mezzo di un terrapieno e di un muro di contenimento, e non mediante un edificio, come richiesto dall’art. 938 cod. civ., non é stata intaccata in modo fondato dalla doglianza degli appellanti relativa al fatto che nella CTU dell’ing. COGNOME il fabbricato, il terrapieno ed il muro di
contenimento sarebbero stati considerati come un complesso interconnesso sul piano statico, il che del resto accade quasi sempre per i muri di contenimento, che sono destinati ad evitare cedimenti del terreno, per cui resistendo una delle due rationes decidendi, la censura relativa alla mancata valutazione della CTU dell’ing. COGNOME in un separato giudizio al quale il COGNOME non ha partecipato, risultava effettivamente inammissibile, perché comunque inidonea a conseguire una modifica della decisione di rigetto adottata sul punto in primo grado (vedi sull’inammissibilità del motivo d’impugnazione laddove la censura contro una delle due rationes decidendi sia infondata Cass. n. 5102/2024; Cass. sez. un. n. 10012/2021; Cass. n.11493/2018).
Infondata é la doglianza dei ricorrenti, relativa all’inammissibilità, per genericità, del motivo di appello inerente al ripristino da parte del COGNOME dell’area spianata a copertura del INDIRIZZO, ed alla richiesta di ammissione delle prove non ammesse in primo grado e di un supplemento di CTU per la verifica dell’epoca di costruzione del muro di contenimento e della situazione e posizione del Rio Poggio Mozzo, motivo ancora una volta basato sulle risultanze delle CTU dell’ing. COGNOME sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche n. 26/2003 risultava, infatti, con efficacia di giudicato per i COGNOME
COGNOME, che il Rio INDIRIZZO poteva essere qualificato come acqua pubblica solo in corrispondenza della linea di massimo pendio del compluvio, a circa 150 metri dalla sorgente, e ad una distanza di circa trenta metri ad ovest rispetto al muro di contenimento dei COGNOME
COGNOME, per cui non trovandosi l’area demaniale a confine col suddetto muro e con la proprietà dei predetti, non é dato comprendere a quale titolo gli attuali ricorrenti potessero pretendere un ripristino dello stato anteatto del fosso demaniale in una zona di proprietà del COGNOME a loro estranea, posta a quota inferiore e non incidente sullo scolo delle acque nel fondo superiore dei ricorrenti. Tale
accertamento, peraltro, rendeva superfluo verificare nella causa tra le parti dove fosse ubicato il INDIRIZZO, che certamente non si frapponeva fra le proprietà delle parti nonostante le contrarie fuorvianti indicazioni del nuovo catasto, frutto di un fraintendimento del vecchio confine tra il Granducato di Toscana ed il Ducato di Lucca, mentre é evidente che non poteva essere demandato al CTU il compito di fornire la prova, che competeva ai COGNOME–COGNOME, della data di costruzione del muro di contenimento ai fini dell’accoglimento della loro domanda di usucapione. Ne deriva che, al di là della motivazione del diniego di CTU addotta, fondata sulla genericità dei quesiti proposti, la Corte d’Appello disponeva già del materiale necessario a decidere sulle questioni per le quali gli appellanti avevano richiesto la CTU.
Fondato é invece la doglianza in esame, nella parte in cui censura la ritenuta inammissibilità del motivo di appello concernente l’accoglimento dell’avversa domanda di arretramento di cinque metri rispetto al confine del muro di contenimento, per genericità della doglianza, ritenuta meramente apodittica, formulata nel senso che nessuna distanza legale dovesse trovare applicazione ad un muro di contenimento di un terrapieno naturale, laddove essi avevano dedotto che il COGNOME non aveva fornito prova che il terrapieno sostenuto dal muro di contenimento fosse artificiale e quindi soggetto alle norme sulle distanze, e non naturale, e che la sentenza non aveva neppure individuato la norma locale applicabile per la distanza legale dal confine, il tutto benché per le norme locali sulle distanze legali valesse il principio iura novit curia, per cui non potevano essere considerati tardivi ed inammissibili i rilievi sulla normativa locale più favorevole applicabile formulati per la prima volta dai COGNOME nella comparsa conclusionale del giudizio di secondo grado.
Ed invero, il Tribunale di Lucca aveva qualificato il muro di contenimento come costruzione soggetta alle distanze legali, in
ragione della sua consistenza in cemento armato e bozze in cemento e della sua altezza fuori terra di m 3,50, senza alcun accertamento in ordine al fatto se il terrapieno contenuto fosse naturale, o artificiale, come se si trattasse di un semplice muro di cinta, che in caso di superamento dei tre metri di altezza, sulla base della previsione dell’art. 886 cod. civ., va qualificato automaticamente come costruzione.
Per giurisprudenza consolidata di questa Corte però ‘ in tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi “costruzione” agli effetti della disciplina di cui all’art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione di sostegno e contenimento, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l’altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento, dovendosi escludere la qualifica di costruzione anche se una faccia non si presenti come isolata e l’altezza possa superare i tre metri, qualora tale sia l’altezza del terrapieno o della scarpata’ (Cass. 16.9.2024 n.24842; Cass. ord. 19.3.2018 n. 6766), con la conseguenza che il motivo di appello inerente alla mancata prova della natura artificiale del terrapieno contenuto ed all’asserita naturalità dello stesso, avrebbero dovuto indurre la Corte d’Appello a motivare sul punto ed eventualmente di accertare la natura del terrapieno, l’aderenza, o meno ad esso del muro di contenimento, e di esaminare anche i rilievi formulati dagli appellanti in ordine alla normativa locale sopravvenuta più favorevole applicabile (vedi sull’applicabilità senza preclusioni della normativa più favorevole sopravvenuta in materia di distanze legali ai fini del diritto di mantenere il manufatto nella sua posizione Cass.10.5.2023 n. 12562; Cass. ord. 17.8.2022 n. 24844; Cass. 26.7.2013 n.18119), che per il principio iura novit curia, non potevano ritenersi tardivi, trattandosi di profilo giuridico da
esaminare anche d’ufficio, specie a fronte di un’originaria domanda di demolizione avanzata in termini estremamente generici. Si impone pertanto nuovo esame.
2) Col secondo articolato motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omessa considerazione di una serie di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, individuati in: a) l’esistenza di originari termini lapidei sul confine e di altri punti certi di riferimento (case, strade, recinti dislivelli); b) il fatto che la casa di abitazione, il muro di contenimento ed il terrapieno dei ricorrenti formano un unico complesso edilizio; c) l’esistenza del Rio Poggio Mozzo, ossia di un’acqua demaniale interposta tra le proprietà delle parti; d) la mancanza di una norma locale che all’epoca della costruzione del muro di contenimento ne imponesse la distanza dal confine di cinque metri, e la vigenza all’epoca della comparsa conclusionale d’appello dei ricorrenti di una normativa locale sulle distanze (l’art. 64 comma 1° del regolamento edilizio del Comune di Porcari e l’art. 56 comma 2° del regolamento edilizio del Comune di Montecarlo), più favorevole e quindi comunque applicabile, che per i muri di contenimento, da non confondere con gli edifici, consentiva la costruzione sul confine; 5) l’utilizzabilità (vedi Cass. 15.5.2018 n. 11743), in assenza di divieti di legge, delle prove raccolte in altro giudizio in cui era stata pronunciata, anche se senza la partecipazione del COGNOME, la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche n.26/2003, ed in particolare delle relazioni tecniche ivi espletate dall’ing. COGNOME
Tale motivo é inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. per la presenza di una ‘doppia conforme’ in primo ed in secondo grado, dal momento che tale disposizione trova applicazione agli appelli proposti, come nella specie, dopo l’11.9.2012, in base all’art. 54 comma 3 del D.L. 22.6.2012 n. 83, convertito con
modificazioni nella L. 7.8.2012 n. 134 (vedi in tal senso sul regime transitorio Cass. 16.1.2024 n. 1567; Cass. 22.12.2016 n. 26774).
3) Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché degli articoli 948, 949 e 950 cod. civ., ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti relativi all’interpretazione della domanda avanzata in primo grado da COGNOME NOME.
Dopo avere ricordato che la riserva al giudice di merito dell’interpretazione della domanda giudiziale, quale giudizio di fatto, al giudice di merito, non trova applicazione nei casi in cui l’interpretazione abbia determinato un vizio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, traducendosi in un vizio in procedendo, i ricorrenti sostengono che le argomentazioni addotte dalle parti e le finalità perseguite dagli attori deponessero nel senso della qualificazione della loro domanda in termini di azione di rivendicazione, e non di azione di regolamento dei confini e di actio negatoria servitutis, come invece affermato dalla Corte d’Appello, che aveva ritenuto implicitamente richiesta la determinazione del confine tra le proprietà delle parti per eliminare un’incertezza relativa dello stesso, che non involgeva i rispettivi titoli di acquisto, e solo in conseguenza di tale accertamento aveva ritenuto la domanda volta a far cessare l’usurpazione di terreno e le servitù costituite in danno della proprietà del COGNOME, reputando ininfluente l’usucapione della striscia di terreno al confine, che i ricorrenti avevano invocato per avere posseduto il terrapieno sostenuto dal muro di contenimento in aderenza fin dalla metà degli anni ’70 del ‘900, e che metteva in discussione lo stesso titolo di acquisto del COGNOME.
Il terzo motivo é infondato, in quanto, premesso che l’interpretazione della domanda é il frutto di un giudizio di fatto che é riservato al giudice di merito e non é sindacabile in sede di
legittimità se congruamente motivato (Cass. 25.10.2017 n. 25259; Cass. 8.9.2017 n. 20957; Cass. 6.5.2015 n. 9011; Cass. 9.9.2008 n. 22893; Cass. 5.4.1986 n. 2369), la Corte di Appello ha correttamente ritenuto che non essendovi contestazione sui rispettivi titoli di acquisto delle proprietà delle parti, ma sulla linea di demarcazione delle stesse, e che le richieste di rimozione del muro di contenimento, di osservanza della distanza legale dal confine e di accertamento dell’insussistenza della servitù di scolo delle acque provenienti da detto muro e dal terrapieno dallo stesso sorretto, formulate dal COGNOME, fossero conseguenziali a quell’accertamento, le azioni proposte dovessero essere qualificate come azione di regolamento dei confini ex art. 950 cod. civ. con conseguente rilascio della porzione di sua proprietà occupata dai ricorrenti per travalicamento del confine, e come actio negatoria servitutis con conseguente arretramento del muro di contenimento anche al di là del confine e con diniego della servitù di scolo, e non come azione di rivendica. Avendo i ricorrenti invocato in riconvenzionale l’usucapione della striscia di sedime del muro di contenimento eventualmente ubicata sulla confinante proprietà del COGNOME, assumendo che insieme ai danti causa ne sarebbe stato esercitato da loro il possesso uti domini fin dalla metà degli anni ’70 dello scorso secolo, l’eventuale usucapione non sarebbe comunque maturata prima dell’acquisto della particella 55 del foglio 5 del NCT del Comune di Porcari da parte di COGNOME NOME, avvenuto in data 19.2.1991, per cui la riconvenzionale non si é tradotta in una contestazione del titolo di acquisto del COGNOME e non é invocabile la giurisprudenza di questa Corte relativa alle ipotesi in cui il convenuto invochi un titolo di acquisto per usucapione maturato prima dell’acquisto del proprietario che agisca ex art. 950 cod. civ. (vedi Cass. n.18870/2013; Cass. n.5899/2011).
Essendosi quindi la Corte d’Appello attenuta alle domande proposte dal COGNOME, non vi é stata alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c.. Inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. é poi, per ‘doppia conforme’, la doglianza ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. sollevata anche con tale motivo.
4) Col quarto motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. la nullità della sentenza impugnata per il mancato esame delle domande riconvenzionali di usucapione del terreno, della distanza legale e della servitù di scarico e per la mancata ammissione delle relative prove, ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, relativi all’interpretazione della domanda riconvenzionale ed all’ammissione delle relative prove.
Nella parte argomentativa del motivo i ricorrenti si dolgono poi, che la Corte d’Appello abbia rigettato la loro domanda riconvenzionale di usucapione, erroneamente assumendo, in violazione dell’art. 115 c.p.c., che essi avessero allegato la contemporaneità del possesso del terrapieno e del muro di contenimento, mentre in realtà essi avevano dedotto che il terrapieno naturale ed il sovrastante fabbricato allo stato rustico erano stati posseduti da loro e dai loro danti causa almeno dal 1977 e che solo il muro di contenimento, che aveva seguito l’andamento del terrapieno naturale, era stato realizzato prima del loro acquisto del 23.12.1985, e valorizzando la confessione stragiudiziale di COGNOME NOMECOGNOME che aveva dichiarato che il muro era stato costruito nel 1980.
Per la doglianza relativa all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., peraltro neppure riferita a fatti storici primari, o secondari che sarebbero stati trascurati, vale l’inammissibilità ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. per ‘doppia conforme’.
Quanto alla violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la Corte d’Appello non ha omesso di decidere sulla domanda di usucapione, avendo motivatamente respinto l’appello sul punto dei ricorrenti, dopo che la domanda medesima era stata respinta in primo grado.
Infondata, infine, é anche la doglianza relativa alla violazione dell’art. 115 c.p.c., perché se é vero, come emerge dall’esame degli atti consentito per il vizio processuale allegato, che i convenuti nel giudizio di primo grado non avevano allegato la contemporaneità del possesso del terrapieno e del muro di contenimento fin dalla metà degli anni ’70 del ‘900, bensì del terrapieno naturale con sovrastante fabbricato allo stato rustico, dichiarando quanto al muro di contenimento che semplicemente era stato realizzato prima del loro acquisto del 23.12.1985, per cui la Corte d’Appello non poteva desumere la data del possesso del terreno contenuto da quella di costruzione del muro di contenimento (1980) emergente dalla confessione stragiudiziale di COGNOME NOMECOGNOME é anche vero che i COGNOME–COGNOME hanno avanzato domanda riconvenzionale soltanto per l’area di sedime del muro di contenimento ubicata oltre il confine con la proprietà COGNOME, e non anche per il terreno del terrapieno da esso contenuto come erroneamente indicato dalla Corte d’Appello, per cui la valutata prova emersa dalla confessione stragiudiziale circa l’epoca di costruzione del muro di contenimento, risultata non anteriore di almeno venti anni rispetto all’inizio del giudizio di primo grado (26.1.2000), era sufficiente per confermare il rigetto della riconvenzionale di usucapione di quell’area di sedime.
5) Col quinto motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione dell’art. 113 c.p.c. e degli articoli 873 e ss. cod. civ. e delle norme integrative degli stessi. Con tale doglianza i ricorrenti lamentano la violazione delle vigenti disposizioni dei regolamenti comunali dei Comuni di Porcari (art. 64
comma 1°) e di Montecarlo (art. 56 comma 2°), già richiamate nella comparsa conclusionale del giudizio di secondo grado, e da applicare comunque d’ufficio per il principio iura novit curia, che non prevedono per i muri di contenimento il rispetto di distanze minime dal confine.
Tale motivo deve ritenersi assorbito per effetto dell’accoglimento dell’ultima parte del primo motivo.
In conclusione, va accolto per quanto di ragione il primo motivo, va dichiarato assorbito il quinto e vanno rigettati i restanti motivi; la sentenza va cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla medesima Corte di merito in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il primo motivo, dichiara assorbito il quinto e rigetta i restanti motivi, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23.1.2025